IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2050/2005 proposto da Rubino Maria Rosaria, rappresentata e difesa in giudizio dall'avv. Nicola Massari, ed elettivamente domiciliata nello studio di questi in Lecce alla via Zanardelli n. 7 presso lo studio dell'avv. Vantaggiato; Contro il comune di Brindisi, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso in giudizio dall'avv. Francesco Trane e Emanuela Guarino ed elettivamente domiciliato in Lecce presso lo studio dell'avv. Astuto alla via Umberto I n. 28; e nei confronti di Gismondi Cosima, rappresentata e difesa in giudizio dall'avv. Lorenzo Durano ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. G. Pellegrino alla via Augusto Imperatore n. 16; per l'annullamento, previa sospensione del provvedimento sindacale n. 56473 del-l'8 settembre 2005 con il quale e' stato conferito l'incarico di dirigente dei Servizi sociali alla dott.ssa Cosima Gismondi e della delibera di G.C. n. 392 del 5 agosto 2005 ivi richiamata, con la quale e' stata disciplinata presso il comune di Brindisi l'attribuzione degli incarichi dirigenziali fuori dotazione organica ed e' stato approvato lo schema di contratto individuale d'incarico dirigenziale; Visto il ricorso ed i relativi allegati; Visto l'atto, depositato in segreteria in data 27 febbraio 2006, contenente motivi aggiunti avverso l'art. 24 del Regolamento dei servizi del comune di Brindisi; Vista la memoria prodotta dall'amministrazione intimata nonche' dalla controinteressata Gismondi; Visti tutti gli atti di causa; Udito alla camera di consiglio del 2 marzo 2006 il giudice relatore dott. Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per la ricorrente l'avv. Massari, l'avv. Trane per il comune di Brindisi e l'avv. Durano per la controinteressata Gismondi; Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue. F a t t o La ricorrente, gia' affidataria di incarico dirigenziale nel Settore dei servizi sociali presso il comune di Brindisi, incarico venuto meno ai sensi dell'art. 110, comma 3 del d.lgs. n. 267/2000 a seguito delle dimissioni del sindaco, lamenta col ricorso all'esame la illegittimita' dell'atto gravato col quale il nuovo sindaco della citta' di Brindisi ha affidato alla odierna controinteressata Gismondi lo stesso incarico dirigenziale gia' di appannaggio di essa ricorrente nella decorsa consiliatura. Di qui i motivi di impugnativa della ricorrente avverso tale nuovo atto di investitura articolati sotto i distinti profili della violazione di legge e dell'eccesso di potere, con la richiesta di annullamento degli atti gravati e di ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese di lite. Si sono costituite le parti intimate per resistere al ricorso e per chiederne il rigetto e, prima ancora, per la declaratoria di inammissibilita' del mezzo per difetto di giurisdizione di questo giudice adito. All'udienza pubblica del 2 marzo 2006 il ricorso e' stato trattenuto per la decisione. D i r i t t o La controversia all'esame involge pacificamente il conferimento di un incarico dirigenziale in un Ente locale, giacche' questo e' il contenuto dell'atto gravato in principalita' di cui si chiede la rimozione in questa sede giudiziale. Il Collegio e' dunque investito in via prioritaria della questione di giurisdizione, questione sulla quale hanno peraltro lungamente argomentato le parti intimate nei propri scritti difensivi. E' noto che ai sensi dell'art. 63 del d.lgs. n. 165/2001 (recante le Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, riproduttivo sul punto del contenuto delle pregresse disposizioni sul riparto, art. 68 del d.lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 33 del d.lgs. n. 546 del 1993, e poi dall'art. 29 del d.lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 18 del d.lgs. n. 387 del 1998) «sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilita' dirigenziale, nonche' quelle concernenti le indennita' di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorche' vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto amministrativo rilevante nella controversia non e' causa di sospensione del processo». In base al chiaro tenore letterale della disposizione appena richiamata non par dubbio che la controversia in esame, involgente come detto il conferimento di un incarico dirigenziale nell'ambito di un Ente locale, dovrebbe essere attratta, in quanto pacificamente estranea ad ogni ambito di residuale giurisdizione del giudice amministrativo, nei grandi confini della giurisdizione ordinaria, per come tracciati dagli interventi normativi dianzi citati. Pertanto, in applicazione del citato precetto normativo sul riparto, questo giudice amministrativo, verificata l'insussistenza dei presupposti per l'applicazione del quarto comma del medesimo articolo, attesa la pacifica non ricorrenza nella specie di una procedura concorsuale (o anche soltanto comparativa tra piu' soggetti), dovrebbe in base al quadro normativo attualmente vigente declinare la propria giurisdizione nella presente controversia e dichiarare conseguentemente la inammissibilita' del ricorso proposto. E tuttavia a tale soluzione si oppone, a parer del Collegio, una considerazione di ordine prioritario ed assorbente sulla compatibilita' costituzionale di un tale assetto normativo in tema di riparto di giurisdizione con riguardo alla materia dei conferimenti (e delle conseguenti revoche) degli incarichi dirigenziali. Il Collegio dubita infatti della legittimita' costituzionale di tale ampia devoluzione compiuta dal legislatore delegato con l'art. 63, d.lgs. n. 165/2001 in favore del giudice ordinario ed il dubbio attinge la sua maggior consistenza proprio in relazione al tema del conferimento (e della revoca) degli incarichi dirigenziali, cio' che rappresenta - come detto - oggetto specifico del presente giudizio. Va premesso che il citato art. 63 e' parte del Testo unico delle disposizioni concernenti lo Statuto degli impiegati civili delle amministrazioni pubbliche (d.lgs. n. 165/2001), che e' stato emanato - in attuazione dell'art. 1, comma 8 della legge delega n. 340 del 24 novembre 2000 - con finalita' di riordino delle norme regolanti i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici. Trattandosi di disposizione contenuta in un testo unico con finalita' di riordino della normativa esistente e di semplificazione, la stessa - come anticipato - e' pedissequamente riproduttiva di una norma gia' presente nel sistema, e cioe' dell'art. 68 del d.lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 18 del d.lgs. n. 387/1998. Tale premessa vale a chiarire che se e' pur vero che la questione di costituzionalita' che qui si intende portare all'attenzione del Giudice delle leggi deve intendersi trasferita sul dianzi citato art. 63, d.lgs. n. 165/2001 (sul meccanismo relativo a detto trasferimento v. in particolare Corte cost. n. 84 del 1996, n. 454 del 1998 e n. 376 del 2000), giacche' tale disposizione riproduce e rappresenta l'unico testo di legge attualmente vigente di cui viene in gioco l'applicazione alla fattispecie in esame, nondimeno lo scrutinio delibativo di costituzionalita' proprio di questa fase non potrebbe prescindere dall'esame della genesi della citata disposizione (con particolare riguardo alle previsioni del gia' citato art. 68 del d.lgs. n. 29 del 1993 e s.m.i.), in quanto e' proprio con tali disposizioni che sono maturate le scelte normative in tema di riparto di giurisdizione, scelte poi meccanicamente fatte proprie dal legislatore del testo unico. Peraltro, il Collegio non ignora che questa ecc.ma Corte costituzionale si e' gia' pronunciata - con ordinanza n. 149 del 25 maggio 2004 - sulla questione di costituzionalita' oggetto della presente rimessione, dichiarando la manifesta inammissibilita' della stessa. A base di quel decisum tuttavia la Corte ha addotto la carenza di una sufficiente indagine da parte del giudice a quo in ordine alla natura della selezione culminata con il contestato conferimento di incarico dirigenziale che formava oggetto del giudizio di merito, cosi' concludendo per la inammissibilita' del mezzo, per non aver sostanzialmente il giudice rimettente verificato la necessaria applicabilita' alla fattispecie - riguardante un incarico dirigenziale a tempo determinato a soggetto esterno all'amministrazione - dell'art. 68, comma 1 del d.lgs. n. 29 del 1993 e non piuttosto della previsione del comma 4 (relativo alla giurisdizione del giudice amministrativo sulle procedure concorsuali), e di non aver quindi scandagliato ogni opzione interpretativa in ordine al possibile radicarsi della sua giurisdizione residuale. Nel tentativo di mettersi al riparo da analoghi rilievi il Collegio, attesa la medesimezza della materia trattata (incarico dirigenziale ad tempus ad un soggetto esterno), ritiene opportuno svolgere al riguardo brevi considerazioni di supporto. Nella fattispecie all'esame, come sinteticamente gia' detto, l'incarico dirigenziale alla controinteressata (come d'altronde quello a suo tempo stipulato con la odierna ricorrente, poi risolto contestualmente all'avvicendamento dell'organo sindacale) e' stato conferito ai sensi del combinato disposto dell'art. 110, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e dell'art. 24 del Regolamento degli Uffici e dei Servizi vigente nel comune di Brindisi ed approvato con deliberazione G.C. n. 343 del 20 marzo 1998; tali disposizioni prevedono infatti la possibilita' per l'Ente locale di stipulare, al di fuori della vigente dotazione organica, contratti per la costituzione di rapporti di lavoro dirigenziale a tempo determinato per il conseguimento di specifici obiettivi, lo svolgimento di funzioni di supporto o l'esercizio di attribuzioni di coordinamento di strutture, anche destinate all'assorbimento di funzioni istituzionali, fermi restando i requisiti richiesti, dal vigente ordinamento, per la qualifica da assumere. Si prevede espressamente (art. 24 cit., secondo comma) che l'Amministrazione procede mediante costituzione diretta e fiduciaria del rapporto di lavoro anche con personale gia' dipendente in possesso dei necessari requisiti, «eventualmente preceduta, se ritenuto opportuno, da valutazione curriculare di tipo informale o di altri momenti valutativi, anche di carattere esplorativo, considerati idonei». Come si vede, lo strumento finalizzato, alla costituzione di rapporti di lavoro dirigenziale a tempo determinato fuori dalla dotazione organica dell'Ente e' caratterizzato da estrema flessibilita', tanto in relazione all'ampia platea dei candidati sui quali puo' cadere la scelta dell'Ente (interni o esterni all'Amministrazione), quanto con riguardo alle modalita' selettive dei soggetti da incaricare, connotate da larghi tratti di fiduciarieta' e senza alcun vincolo di selezione comparativa. A fronte di tali coordinate di riferimento, la contestata scelta operata nello specifico dall'Amministrazione comunale di Brindisi a mezzo dell'atto gravato, non sembra esorbitare dai confini delineati dalla normativa di riferimento sotto il profilo della omessa previa valutazione comparativa dei requisiti curriculari di piu' soggetti giacche', come detto, tale opzione non e' contemplata come obbligatoria ne' nella disposizione di rango primario (art. 110 TUEL) ne' in quella di livello secondario (art. 24 Reg. cit.), in cui e' anzi espressa la scelta dell'ampia facoltativita' del criterio selettivo che, pur richiedente in capo al candidato requisiti di professionalita' corrispondenti alla natura dell'incarico conferito, non risulta necessariamente ancorato ad un meccanismo - neppure paraconcorsuale - di selezione comparativa tra piu' soggetti aspiranti. Non par dubbio pertanto che, a fronte di tale specifico quadro normativo d'insieme, non potrebbe giammai radicarsi la giurisdizione di questo giudice amministrativo, astretta -ai sensi del citato quarto comma dell'art. 63 del d.lgs. n. 165/2001 (gia' quarto comma dell'art. 68 del d.lgs. n. 29/1993 e s.m.i.) - alle sole procedure concorsuali finalizzate all'assunzione; senza possibilita', peraltro, per quanto appena detto in relazione alla mera facoltativita' di meccanismi presupponenti la scelta comparativa tra piu' soggetti, di predicare l'astratta obbligatorieta' di procedure selettive concorsuali o paraconcorsuali e di radicare in via conseguenziale, per simmetria, la giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia insorta in dipendenza della ipotetica violazione di quelle procedure selettive. Ne', d'altra parte, potrebbe addivenirsi alla conclusione di ipotizzare la eventuale illegittimita' costituzionale della disciplina sostanziale dei conferimenti degli incarichi a contratto riveniente dalle citate disposizioni per violazione della regola costituzionale sul concorso (art. 97 Cost.) quale modalita' normale d'accesso ai pubblici impieghi; e' noto, infatti, che detta modalita' e' stata delineata dal legislatore costituzionale soltanto quale strumento preferenziale e non esclusivo di selezione del personale pubblico, come d'altronde si desume dalla espressa salvezza in ordine a diverse opzioni di legge contenuta nella stessa disposizione costituzionale nonche' dalle tante scelte di sistema prevedenti la chiamata di soggetti a posti di pubblico impiego al di fuori di meccanismi selettivi concorsuali o paraconcorsuali. Cio' premesso, va pertanto ribadito che, in base al diritto vigente, la presente controversia, involgente l'affidamento di un contratto a tempo determinato fuori dalla dotazione organica, esula dalla cognizione del giudice amministrativo, che pertanto difetta di giurisdizione nella materia dei conferimenti degli incarichi dirigenziali (fermo restando che l'accesso alla qualifica dirigenziale avviene per concorso o corso-concorso ai sensi degli artt. 28 e segg. del d.lgs. n. 165/2001, con devoluzione al G.A. delle relative questioni ai sensi dell'art. 63, comma 4 cit. e che invece il conferimento degli incarichi dirigenziali a chi e' gia' in possesso della relativa qualifica, costituisce un atto di gestione del rapporto di lavoro e rientra di conseguenza nell'ambito cognitorio del G.O.). Ora, il Collegio deve osservare che, come gia' anticipato, tale scelta distributiva della giurisdizione appare dubbia sul piano della legittimita' costituzionale. Come gia' detto, infatti, la opzione in favore dell'allargamento della giurisdizione del giudice ordinario anche alla materia degli incarichi dirigenziali risulta in concreto operata dal d.lgs. n. 387/1998 (art. 18) che, nel sostituire il testo dell'art. 68 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, ha per la prima volta espressamente ricompreso, nelle controversie gia' devolute al giudice ordinario in materia di pubblico impiego, anche quelle riguardanti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali. Senonche' tale scelta del legislatore delegato, in quanto non sorretta da indicazioni in tal senso contenute nelle diverse leggi-delega succedutesi nel tempo, appare al Collegio del tutto arbitraria e percio' violativa, per eccesso di delega, dell'art. 76 e dell'art. 77 della Costituzione. Ed invero, la legge n. 59 del 1997 (art. 11, comma 4, lett. g) sulla base della quale - nel testo modificato dall'art. 1, comma 14 della legge 16 giugno 1998, n. 191 - e' stato adottato il d.lgs. n. 387 del 29 ottobre 1998 (il cui art. 18 ha sostituito l'art. 68 del d.lgs. n. 29 del 1993) contiene una generica - ancorche' ampia - delega al Governo finalizzata a devolvere, entro il 30 giugno 1998, al giudice ordinario tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Nessuna menzione tuttavia si rinviene nel testo di detta legge-delega (neppure nella formulazione originaria, sulla base della quale e' stato adottato il d.lgs. n. 80 del 1998, il cui art. 29 ha anch'esso sostituito l'art. 68 del d.lgs. n. 29 del 1993) alla materia dei conferimenti degli incarichi dirigenziali, la cui inclusione nel novero delle controversie da devolvere alla cognizione del giudice ordinario e' stato quindi il frutto di una scelta del legislatore delegato, non pertinente all'ambito di esercizio della funzione legislativa del Governo. Vero e' che analoga scelta espansiva era gia' stata compiuta dal legislatore delegato in sede di adozione del citato d.lgs. n. 80/1998 ove, pur in assenza di indicazioni in tal senso, la giurisdizione del giudice ordinario era stata estesa alle controversie concernenti l'assunzione al lavoro (v. il testo del richiamato art. 68, d.lgs. n. 29/1993, come sostituito dall'art. 29 del d.lgs. n. 80/1998); e tuttavia anche tale scelta, per quanto la questione deve ritenersi ultronea rispetto all'oggetto di questo giudizio e comunque superata dalla nuova riscrittura del testo dell'art. 68 cit. operata dal ridetto art. 18, d.lgs. n. 387/1998 (poi riprodotto pedissequamente nell'art. 63 del d.lgs. n. 165/2001), sembrava esporsi, ancorche' con qualche sfumatura di minor consistenza (su cui non e' il caso di indulgere oltre attesa la gia' evidenziata irrilevanza della questione), al medesimo vizio di assenza di copertura ad opera della legge delega. Significativo appare, piuttosto, che la primigenia versione dell'art. 68, d.lgs. n. 29/1993, in perfetta aderenza ai principi ed ai criteri direttivi contenuti nella prima delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione della disciplina del pubblico impiego (legge 23 dicembre 1992, n. 421, art. 2, comma 1, lett. c) prevedente il generico affidamento al G.O. delle controversie di lavoro riguardanti i pubblici dipendenti), prevedeva semplicemente la devoluzione al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro di tutte le controversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, senza alcun riferimento specifico a quelle relative al momento genetico del rapporto, quali appunto le controversie involgenti l'assunzione al lavoro o l'affidamento degli incarichi dirigenziali a contratto. E d'altra parte anche la prima modifica del citato art. 68 del d.lgs. n. 29/1993 (ad opera dell'art. 33 del d.lgs. n. 546/1993) introduceva, in aggiunta alla generica ed ampia devoluzione di tutte le controversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, non poche ipotesi tipiche di controversie da devolvere al giudice ordinario, non senza tuttavia specificare che si trattava in ogni caso di controversie attinenti al rapporto in corso. Ora, proprio partendo da tale ultima notazione, espressione di una antica fedelta' legislativa al tradizionale impianto di ripartizione delle controversie tra le due giurisdizioni, il Collegio e' persuaso che la devoluzione operata in favore del giudice ordinario ad opera di tutte le leggi-delega dianzi richiamate non abbia mai riguardato la fase genetica del rapporto di lavoro e cioe', per essere piu' chiari, non abbia mai avuto a suo precipuo oggetto quelle controversie inerenti quell'attivita' (che si concreta normalmente con l'adozione di atti o con l'attivazione di procedimenti) posta in essere dalla pubblica amministrazione (e dai soggetti alle stessa equiparati) prima della costituzione del vincolo contrattuale tra le parti. E' noto infatti che in tale momento genetico del rapporto d'impiego l'Amministrazione o si autolimita e precostituisce criteri selettivi per la individuazione del soggetto da assumere nei ranghi del personale dipendente (ed in tali casi la risoluzione delle contese e' attribuita al G.A. dall'art. 68, comma 4, del d.lgs. n. 29/1993 attesa la consistenza delle situazioni giuridiche coinvolte e per l'intreccio di queste e delle pretese attinenti agli atti di conformazione e gestione organizzativa) o gode di una discrezionalita' ancor piu' ampia (a fortiori, si potrebbe dire, a seguito della c.d. «privatizzazione» del pubblico impiego e della connessa dotazione di nuovi ed ampi strumenti di flessibilita) sicche' sembrerebbe fuorviante ipotizzare in capo ai soggetti aspiranti all'incarico situazioni giuridiche diverse dall'interesse legittimo pretensivo; se sono conosciute, infatti, dal G.A. le questioni in cui l'ambito della discrezionalita' e' piu' limitato, e' giocoforza ritenere che l'ampiezza della discrezionalita' esercitata nel conferimento di un incarico dirigenziale impedisce alle posizioni giuridiche che si assumano lese di acquisire consistenza tale da giustificare la loro giustiziabilita' ad opera del G.O. Ora, nessuno dubita che il giudice naturale dell'interesse legittimo, per scelta costituzionale, sicuramente non irreversibile ma pur sempre allo stato dotata di efficacia conformativa per il legislatore ordinario, resta il giudice amministrativo (art. 103 Cost.); di guisa che le controversie involgenti il momento anteriore alla costituzione del rapporto di pubblico impiego non possono che appartenere a tale naturale alveo giurisdizionale di perimetrazione costituzionale. Peraltro tale assetto tradizionale dell'impianto costituzionale sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo sembra particolarmente rafforzato dal piu' recente intervento in tema della Corte costituzionale (il riferimento e' alla sentenza n. 204 del 6 luglio 2004); come e' noto, in tale pronuncia la Corte, interpretando restrittivamente l'ambito delle «particolari materie» (art. 103 Cost.) che possono eccezionalmente facultare la devoluzione al G.A. della giurisdizione sui diritti soggettivi, ha di fatto ricacciato la giurisdizione di quest'ultimo nel suo tradizionale e naturale ambito cognitorio, e cioe' quello in cui e' ravvisabile esercizio di funzione amministrativa - nelle multiformi modalita' conosciute dal diritto amministrativo moderno - ed in cui le posizioni dei privati sono pur sempre qualificabili, perdurando l'attuale assetto, in termini di interessi legittimi. Cio' detto, va ulteriormente precisato che il Collegio e' ben consapevole degli sviluppi che potrebbe assumere, a costituzione invariata, la legislazione ordinaria in tema di riparto di materie da affidare all'uno o all'altro plesso giurisdizionale; non si ignora, infatti, che mentre la giurisdizione del giudice ordinario sui diritti soggettivi e' presidiata, in termini di quasi esclusivita', dalla ricordata previsione di eccezionale devoluzione, soltanto in particolari materie, di analoga giurisdizione al giudice amministrativo (art. 103 Cost.); quest'ultimo al contrario non gode di analogo presidio costituzionale posto che, pur nella generica attribuzione in suo favore (art. 103 Cost.) della tutela degli interessi legittimi, lo stesso potrebbe vedersi sottratte ampie fette di giurisdizione sugli interessi ad opera di scelte puntuali del legislatore ordinario compiute in perfetta aderenza alle previsioni dell'art. 113, terzo comma, Cost. Ma nessuno potrebbe dubitare che siffatte scelte, in quanto incidenti su un assetto costituzionale ben definito ed in quanto implicanti sottrazione di contenzioso al suo giudice naturale (conservato in tale sua specialita' da tutte le riforme costituzionali fino ad oggi intervenute e vieppiu' confermato dai recenti interventi della Corte costituzionale quale giudice deputato alla tutela dei cittadini contro l'illegittimo esercizio della funzione amministrativa), devono necessariamente compiersi dal legislatore statale nella deputata sede parlamentare. Ora, poiche' nella materia che ci occupa - come gia' detto - non e' dato al contrario riscontrare alcuna scelta in tal senso da parte del legislatore delegante, deve ritenersi costituzionalmente illegittima l'attribuzione al giudice ordinario, operata motu proprio dal legislatore delegato (art. 68, d.lgs. n. 29/1993, come sostituito dall'art. 18, d.lgs. n. 387/1998 e come trasfuso nell'art. 63, d.lgs. n. 165/2001), della giurisdizione sulle controversie in materia di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali. Evidente infatti risulta la violazione dei citati artt. 76 e 77 della Costituzione per i profili formali attinenti la carenza di criteri e principi direttivi legittimanti la devoluzione di cui qui si dubita e, piu' in generale, per la carenza di un momento di ponderata scelta, ad opera del Parlamento quale Organo sovrano deputato in via primaria alla funzione legislativa, su materie involgenti valori e principi desumibili dalla stessa Costituzione (artt. 103 e 113 Cost.). Come anticipato, i predetti vizi di legittimita' costituzionale che inficiano - a parer della Sezione - la disposizione di cui all'art. 68 devono intendersi trasferiti all'art. 63, d.lgs. n. 165/2001 nel testo attualmente vigente ed in relazione al quale soltanto, per quanto gia' detto, deve essere sollevata nei termini dianzi indicati la presente questione di legittimita' costituzionale della disposizione. Dalle considerazioni che precedono discende la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' del precitato art. 63, d.lgs. n. 165/2001, per contrasto con gli artt. 76 e 77 della Costituzione per violazione dei limiti contenuti nella legge delega, nonche' con gli artt. 103 e 113 della Costituzione per violazione dei parametri che presiedono ad un ragionevole e ponderato riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. Da ultimo va appena osservato che la rilevanza della questione di costituzionalita', considerata la sua immediata incidenza sul meccanismo di riparto della giurisdizione, puo' considerarsi nella specie in re ipsa, posto che dall'applicazione nel caso all'esame dell'art. 63 cit. non potrebbesi prescindere e che pertanto dalla positiva soluzione dell'incidente di costituzionalita' discende la stessa possibilita' di definire nel merito il presente giudizio. Di qui la necessita' di sospendere il giudizio e di rimettere previamente gli atti di causa alla Corte costituzionale perche' si esprima sulla detta questione di costituzionalita', nei termini dianzi prospettati.