ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  deliberazione della Camera dei deputati del
7 ottobre 2003 relativa alla insindacabilita', ai sensi dell'art. 68,
comma primo, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato
Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Andrea Padalino, promosso con
ricorso  della  Corte  di  appello di Milano, sezione seconda civile,
notificato   il   15 novembre  2004,  depositato  in  cancelleria  il
24 novembre 2004 ed iscritto al n. 25 del registro conflitti 2004;
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  24 ottobre  2006  il  giudice
relatore Paolo Maddalena;
    Udito l'avvocato Laura Rainaldi per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  depositato  il 12 dicembre 2003, la Corte di
appello   di   Milano,  sezione  seconda  civile,  nel  corso  di  un
procedimento  instaurato  nei  confronti del deputato Vittorio Sgarbi
dal dott. Andrea Padalino, ha sollevato conflitto di attribuzione fra
poteri  dello  Stato  nei  confronti  della  Camera  dei deputati, in
relazione  alla  deliberazione,  adottata  il  7 ottobre  2003  (doc.
IV-quater,  n. 26),  secondo  la  quale  le dichiarazioni oggetto del
predetto  procedimento  civile  concernono  opinioni  espresse  da un
membro   del   Parlamento  nell'esercizio  delle  sue  funzioni,  con
conseguente   insindacabilita'   delle   opinioni   stesse   a  norma
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Il  Giudice ricorrente premette che il giudizio e' stato promosso
dal  dott.  Andrea  Padalino,  magistrato  in Milano, per ottenere il
risarcimento   dei   danni   che   afferma  subiti  a  seguito  della
trasmissione  televisiva  «Sgarbi  quotidiani»  del  15 ottobre  1994
condotta  dal deputato Vittorio Sgarbi, durante la quale quest'ultimo
avrebbe  pronunciato  espressioni  ritenute  «lesive  dell'onore» del
suddetto   magistrato,   «denigratorie   e  integranti  il  reato  di
diffamazione»,  dopo  un precedente, analogo episodio verificatosi il
4 agosto  1994.  Lamentava,  in particolare, l'attore che il deputato
Sgarbi,  prendendo  lo spunto dalla citazione per danni notificatagli
in  riferimento  alla  precedente  trasmissione del 4 agosto 1994, lo
aveva   accusato   di   abusare  del  suo  potere  e,  facendo  anche
apprezzamenti  sulla  sua faccia, ribadiva quanto gia' espresso circa
l'asserita   inadeguatezza  del  «ragazzo»  Padalino  a  svolgere  la
funzione  di  giudice  per  le  indagini preliminari del Tribunale di
Milano.
    Espone  la  Corte di appello ricorrente che il deputato Sgarbi e'
stato   condannato   dal   Tribunale   di  Milano,  con  sentenza  17
settembre-12 ottobre  2000,  al  risarcimento  del  danno  e  che, in
pendenza  del  giudizio  di  appello,  la  Camera dei deputati, nella
seduta  del  7 ottobre  2003,  ha  deliberato che i fatti oggetto del
procedimento riguardano opinioni espresse da un membro del Parlamento
nell'esercizio delle sue funzioni ai sensi dell'art. 68, primo comma,
della Costituzione.
    La  ritenuta insindacabilita' delle opinioni espresse, secondo il
parere   della   Giunta   per   le   autorizzazioni   fatto   proprio
dall'Assemblea,  sta  nel fatto che l'intento del deputato Sgarbi non
sarebbe stato quello di diffamare la persona del magistrato Padalino,
«quanto  piuttosto quello di sensibilizzare l'opinione pubblica circa
le  distorsioni  dell'attuale  sistema  penale, nell'ambito del quale
puo'  verificarsi  la  circostanza  che  il  giudice  per le indagini
preliminari  puo'  doversi  trovare  a  decidere  in  poco  tempo, in
relazione  ad  indagini  di particolare complessita', finendo, spesso
senza  sua  colpa,  con  l'appiattirsi sulle posizioni della pubblica
accusa  e dunque non svolgendo pienamente quel ruolo di terzieta' che
pure il codice di procedura penale astrattamente gli assegna».
    Ad  avviso  della  Corte  di appello ricorrente, la deliberazione
della  Camera dei deputati sarebbe lesiva delle proprie attribuzioni,
mancando  il  nesso  funzionale tra le opinioni espresse dal deputato
Sgarbi e l'attivita' parlamentare.
    Riferisce  il  Giudice  ricorrente  che il deputato Sgarbi, nella
trasmissione  del  15 ottobre  1994,  ha  affermato  tra l'altro: «La
Procura di Milano e' presidiata da questo giovinetto, guardatene bene
la  faccia, ditemi se uno con la faccia come questa puo', serenamente
e  avendo  tutto  il  peso  di  centinaia  di arresti da firmare, non
lasciarsi  prendere  la  mano  e  puo'  veramente  in poche ore, lui,
rivedere quello che ha fatto il pubblico ministero, se con una faccia
come questa voi credete che la giustizia possa essere salva».
    Cio'  premesso,  secondo  la  Corte di appello, «quello che senza
possibilita'  di  dubbio  pone  il monologo dell'on. Sgarbi fuori dai
limiti   del   legittimo  esercizio  della  funzione  parlamentare  e
determina   l'abuso   del   diritto  e'  l'assoluta  gratuita'  delle
espressioni  usate,  non  pertinenti  al  tema  in  discussione e, in
particolare,   il  ricorso  al  c.d.  argumentum  ad  hominem,  ossia
l'attacco  personale  inteso  a  screditare  e denigrare l'avversario
ponendo l'accento su una pretesa indegnita' o inadeguatezza personale
piuttosto   che   sul   merito   dei  suoi  atti.  E,  per  di  piu',
coinvolgendone  anche  l'aspetto  fisico con i gia' accennati giudizi
sulla  faccia  del Padalino. Inoltre questa dissertazione fisionomica
(che  costituisce,  come  risulta  dalla  trascrizione agli atti, una
larga parte dell'intero intervento dello Sgarbi alla trasmissione del
15 ottobre  1994)  si  segnala  anche  per  la  pesante trivialita' e
volgarita' del linguaggio (... uno ha la faccia di m..., di c... o di
s..., etc.) che non consente di assimilare le espressioni usate a una
manifestazione  di opinioni perche' qui il discorso deborda nel campo
dell'ingiuria o del mero dileggio».
    In  definitiva,  ad  avviso  del Giudice ricorrente, nella specie
mancherebbe   qualsiasi  corrispondenza  formale  e  sostanziale  con
l'attivita' parlamentare, per cui le espressioni usate non potrebbero
essere  coperte  dall'immunita'  ai  sensi dell'art. 68, primo comma,
della  Costituzione, senza che a diversa conclusione possa indurre il
disposto   dell'art. 3   della   legge  21  giugno 2003,  n. 140.  In
particolare,   ad  avviso  della  Corte  di  appello,  anche  secondo
quest'ultima  norma l'insindacabilita' non puo' comunque estendersi a
manifestazioni  che  non  sono  di pensiero ma costituiscono gratuiti
insulti  e pura denigrazione e si risolvono in una immotivata lesione
dei  diritti  personalissimi altrui (quali l'onore e la reputazione),
poiche',  in tal caso, e' evidente la rottura del collegamento tra la
condotta del parlamentare e la funzione espletata.
    2.  -  Con  ordinanza  n. 314  del 2004, depositata il 21 ottobre
2004,  la Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto proposto dalla
Corte di appello di Milano, seconda sezione civile.
    L'ordinanza  di  ammissibilita', unitamente all'atto introduttivo
del giudizio, e' stata notificata il 15 novembre 2004. Il conseguente
deposito e' stato effettuato il 24 novembre 2004.
    3.  -  Nel  giudizio  si  e'  costituita  la Camera dei deputati,
depositando  documenti  e  svolgendo  deduzioni,  a conclusione delle
quali  ha chiesto che la Corte dichiari il conflitto inammissibile, e
in  subordine  rigetti  il  ricorso per infondatezza, dichiarando che
spettava  alla  Camera  dei deputati affermare l'insindacabilita', ai
sensi  dell'art. 68,  primo comma, della Costituzione, delle opinioni
espresse    dal    deputato   Sgarbi,   secondo   quando   deliberato
dall'Assemblea nella seduta del 7 ottobre 2003.
    3.1.  -  Il  ricorso  sarebbe  inammissibile,  perche'  del tutto
carente  di  motivazione  in  relazione  alla riconducibilita' o meno
delle  opinioni  espresse  dal  deputato  Sgarbi alla sua funzione di
parlamentare.
    Premesso che la valutazione effettuata dall'autorita' giudiziaria
sulla  ricorrenza del nesso funzionale rappresenta un elemento la cui
sussistenza  e'  fondamentale  affinche'  il giudizio su conflitto di
attribuzione   possa  validamente  radicarsi  e  che,  ove  una  tale
valutazione  non  vi  sia,  il  ricorso  deve ritenersi inammissibile
perche'  carente  di  quella  esposizione  sommaria delle ragioni del
conflitto,  richiesta  dall'art. 26  delle  norme  integrative  per i
giudizi  dinanzi  alla  Corte  costituzionale,  la Camera ritiene che
nella  specie  tale  valutazione  sarebbe  stata del tutto omessa. In
nessuna   parte   del  ricorso,  infatti,  la  Corte  di  appello  si
soffermerebbe  a dimostrare i motivi sostanziali - ovvero riguardanti
la  vicenda  concreta  che  costituiva  lo  sfondo  delle  richiamate
opinioni  -  per  cui  le  affermazioni  del  deputato  Sgarbi non si
sarebbero  dovute  ritenere rientranti nella funzione di parlamentare
e,  di conseguenza, nell'area di insindacabilita' di cui all'art. 68,
primo  comma, della Costituzione. In particolare, non sarebbero fatti
riferimenti   alla   vicenda   giudiziaria  collegata  alla  custodia
cautelare  di  ventuno  militari  della  Guardia  di  finanza, che il
giudice  per le indagini preliminari dott. Padalino aveva disposto in
breve tempo su richiesta del pubblico ministero; non si effettuerebbe
alcun,  seppur  sommario,  esame  sulla pertinenza di tali vicende al
dibattito  politico-istituzionale  e  sarebbe  del  tutto  omessa  la
ricostruzione  degli  antefatti  delle  vicende che, in seguito, sono
state oggetto delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi.
    Inoltre,  il ricorso della Corte di appello, per sostenere la non
riconducibilita' delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi alla sua
funzione di parlamentare, farebbe esclusivo riferimento al linguaggio
asseritamente  offensivo  e  denigratorio  usato dal parlamentare. In
particolare,  ad  avviso della Corte di appello, ogni motivazione sul
nesso   funzionale   rimarrebbe   assorbita   dal  preteso  carattere
oltraggioso  e  diffamatorio  delle  opinioni  espresse  dal deputato
Sgarbi, elemento di per se' solo idoneo, secondo la Corte ricorrente,
ad   impedire   una   loro  riconducibilita'  alle  funzioni  proprie
dell'attivita' parlamentare.
    A  questo  riguardo,  la  difesa  della  Camera ritiene di dover,
preliminarmente,  ridimensionare il contenuto delle opinioni espresse
dal  deputato  Sgarbi nel corso della trasmissione televisiva «Sgarbi
quotidiani»  del  15 ottobre 1994, osservando che quelli che sembrano
talvolta  «eccessi  verbali»  non  sarebbero rivolti direttamente nei
confronti  del  dott.  Padalino.  Le  affermazioni fatte dal deputato
Sgarbi  andrebbero  riconnesse  alle  vicende,  di  grande  rilevanza
politica   nel   dibattito   sia   all'interno  che  all'esterno  del
Parlamento, legate alle inchieste giudiziarie milanesi sulla presunta
corruzione di alcuni componenti della Guardia di finanza da parte dei
vertici  della  Fininvest  s.p.a.  al  fine  di ottenere informazioni
riservate  sui  procedimenti penali in corso. Tale elemento varrebbe,
quindi,  ad escludere la natura esclusivamente privata delle opinioni
espresse  dal  deputato  Sgarbi,  ed  a  ricondurle  in  un  contesto
politico-parlamentare  che vede alcuni parlamentari - e tra questi il
deputato  Sgarbi  -  particolarmente attivi nel prendere posizione su
taluni presunti abusi legati all'azione della magistratura inquirente
e  giudicante.  Sottolinea  ancora  la difesa della Camera che e' nel
corso  della  prima  trasmissione televisiva del 4 agosto 1994 che il
deputato   Sgarbi  entra  nel  merito  di  quella  che  egli  ritiene
l'inadeguatezza  del  dott.  Padalino a farsi carico in poco tempo di
una  serie  assai nutrita di provvedimenti di convalida, facendo leva
sull'argomento  fisionomico al fine di sottolineare - con un evidente
intento  paradossale  -  la  giovane eta' del giudice per le indagini
preliminari.  Nel  corso  della  trasmissione  del  15 ottobre  1994,
invece, la serie di richiami fisionomici si rivelerebbe evidentemente
finalizzata  a  delimitare  la portata delle precedenti affermazioni:
contrariamente  a quello che ritiene la Corte di appello, infatti, le
stesse   espressioni   volgari   richiamate   nel   ricorso   non  si
riferirebbero al dott. Padalino.
    Ad  avviso  della  Camera,  il modo (sarcastico, provocatorio, al
limite  anche offensivo) con cui una certa opinione e' stata espressa
non  puo'  in  alcun  modo  rappresentare  di  per se' solo motivo di
esclusione  dell'insindacabilita'  parlamentare. Il giudice, posto di
fronte  ad  una  deliberazione  assembleare  con cui vengono ritenute
insindacabili  opinioni  sia pure svolte con toni non commendevoli da
parte  di un parlamentare, sarebbe tenuto ad entrare nel merito della
riconducibilita'  oggettiva  di  quelle  affermazioni  alla  funzione
parlamentare; laddove l'arrestarsi a mettere in evidenza il carattere
denigratorio  di un'opinione (evidentemente ritenendo questo elemento
sufficiente   a   dimostrare   la   rottura   del  nesso  funzionale)
equivarrebbe  a  non evidenziare in maniera corretta la causa petendi
del  conflitto  e,  di  conseguenza,  a  non consentire alla Corte di
esercitare il suo ruolo di giudice della spettanza di un'attribuzione
costituzionalmente  disciplinata.  Nella  specie  la Corte di appello
avrebbe  ritenuto  assorbente  il  modo in cui le opinioni sono state
espresse   rispetto   al  loro  contenuto  oggettivo,  limitandosi  -
incongruamente  -  a  far  leva  soltanto  sul  primo dato al fine di
cercare  di  dimostrare  la  non inerenza delle opinioni espresse dal
deputato   Sgarbi   al  disposto  dell'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione.
    Solo l'assenza di un fumus di inerenza alla funzione parlamentare
dispenserebbe, in ipotesi, l'autorita' giudiziaria da una motivazione
sulla  riconducibilita'  in  concreto  delle  opinioni  espresse  dal
parlamentare  a  quanto  prevede  la  norma  costituzionale.  Se tale
circostanza  non  sussiste,  perche', come nella specie, queste fanno
parte  di  una  polemica  politica,  non  si potrebbe ritenere che il
ricorrente  sia  esentato dalla motivazione sul punto della inerenza,
posto  che, se lo fosse, la Corte costituzionale non sarebbe in grado
di assolvere al suo ruolo di giudice del conflitto.
    Il   ricorso   della   Corte   di   appello   sarebbe,  pertanto,
inammissibile per difetto assoluto di motivazione.
    3.2.  -  Nel  merito,  la  difesa  della  Camera  ritiene  che le
affermazioni  rese  dal  deputato Sgarbi nel corso della trasmissione
«Sgarbi quotidiani» del 15 ottobre 1994 rappresentino la divulgazione
all'esterno  di  un'opinione gia' espressa nell'esercizio di funzioni
parlamentari, e come tale insindacabile.
    La  Camera - premesso che l'essere state quelle affermazioni rese
nel  corso  di  una  trasmissione  televisiva,  di cui il deputato e'
conduttore,  di per se' non esclude la garanzia dell'insindacabilita'
-  osserva  che  occorre  distinguere,  quanto  all'iscrizione  delle
dichiarazioni effettuate extra moenia nell'ambito dell'art. 68, primo
comma,  della  Costituzione,  tra  le  espressioni  del  parlamentare
attinenti alla politica in senso lato ed indifferenziato e quelle che
invece attengono propriamente alla politica parlamentare, solo queste
ultime   essendo   identificabili   quale  espressione  di  attivita'
parlamentare coperte dalla insindacabilita'; osserva, ancora, che per
stabilire  la  sussistenza  del  nesso  funzionale  e'  necessario  e
sufficiente  che  vi  sia,  non  gia'  identita',  ma  corrispondenza
sostanziale   di   contenuti,   da   valutarsi   secondo  criteri  di
ragionevolezza  e  non formalistici, tra le opinioni espresse in sede
parlamentare e quelle che il parlamentare ha reso all'esterno.
    Secondo  la  difesa  della  Camera,  i  fatti cui le opinioni del
deputato  Sgarbi  si riferivano erano gia' stati sottoposti all'esame
della  Camera,  costituendo  oggetto  di  numerosi atti parlamentari,
presentati, nel corso del tempo, anche da altri parlamentari.
    La   Camera   ribadisce   che   il   contenuto   specifico  delle
dichiarazioni  in  discussione  -  al  di  la'  degli eccessi verbali
connessi  alla  forma  polemica  e  paradossale adottata dal deputato
Sgarbi (censurata dalla relazione della Giunta per le autorizzazioni)
-  riguarda  in  generale  le  indagini  avviate  dalla Procura della
Repubblica di Milano sulle «tangenti» che si sospettava fossero state
erogate dalla Fininvest ad appartenenti alla Guardia di finanza, allo
scopo  di  «ammorbidire»  le  loro verifiche sulle societa' da questa
controllate e, in particolare, una serie di provvedimenti di custodia
cautelare  in  carcere  a  carico di alcuni militari della Guardia di
finanza  emessi dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Milano, dott. Andrea Padalino.
    In  tale  contesto  andrebbero  valutate  le  richiamate opinioni
espresse  dal  deputato  Sgarbi:  lo stesso riferimento alla presunta
inadeguatezza  del  dott. Padalino determinata dalla sua giovane eta'
non  potrebbe,  infatti,  essere  letto  prescindendo  dalla temperie
politica in cui la vicenda complessiva, che vedeva coinvolto l'allora
Presidente del Consiglio dei ministri, si andava inserendo.
    A  ritenere diversamente, restringendo il contenuto proprio delle
dichiarazioni  del  deputato  Sgarbi alla sola vicenda degli «appunti
fisionomici» concernenti il dott. Padalino, si assoggetterebbe ad una
visione  estremamente  riduttiva l'esercizio del diritto di critica e
la  polemica  parlamentare  del suddetto parlamentare e di altri suoi
colleghi;  e,  soprattutto,  si rischierebbe di tradire l'ispirazione
piu'  profonda  che caratterizza la giurisprudenza costituzionale sul
tema,  secondo  la  quale  la  sussistenza  del nesso funzionale deve
essere   apprezzata   secondo   criteri   di   ragionevolezza  e  non
formalistici,   valutando  se  le  opinioni  rese  extra  moenia  dal
parlamentare  e  le dichiarazioni o affermazioni fatte nell'esercizio
di  funzioni  parlamentari siano contrassegnate da una corrispondenza
sostanziale di contenuti.
    Nella  memoria  si  citano:  l'interrogazione  a  risposta  orale
presentata  alla  Camera  dal  deputato Sgarbi nella seduta n. 45 del
1° agosto  1994 (n. atto: 3/00190), nella quale, dopo aver richiamato
l'arresto  del colonnello della Guardia di finanza Giuliano Montanari
e  altri  provvedimenti  di  custodia  cautelare  a  carico  di altri
militari  della  Guardia  di  finanza  coinvolti nello scandalo delle
«tangenti  Fininvest»,  si chiede al Ministro competente se non ci si
debbano   «porre   inquietanti   interrogativi  sull'inchiesta  "Mani
pulite",   nel   suo   complesso,  per  l'innegabile  alto  grado  di
inquinamento   ambientale   che   la   sta   ormai  caratterizzando»;
l'interrogazione a risposta orale presentata alla Camera dal deputato
Sgarbi  nella  medesima seduta del 1° agosto 1994 (n. atto: 3/00189),
nella  quale,  dopo  avere richiamato il caso accaduto a Milano di un
provvedimento  di arresto nella medesima vicenda, si stigmatizzava un
modo  di  procedere  che evocherebbe «altre epoche e altri modelli di
giudici  inquisitori»,  chiedendo  pertanto al Ministro competente di
assumere   iniziative   idonee   a   scongiurare   simili   anomalie;
l'interrogazione a risposta orale presentata alla Camera dal deputato
Sgarbi  lo  stesso  giorno  (n.  atto:  3/00191),  dove,  premesso un
esplicito  riferimento  all'operato  dei  magistrati  di Milano nelle
medesime  vicende  legate  alle  indagini  sulle  presunte «tangenti»
ricevute  dalla  Guardia  di finanza, veniva criticata l'indifferenza
manifestata  dagli  stessi nei confronti della sorte degli indagati e
delle loro condizioni fisiche e psicologiche, e si faceva riferimento
al contenuto della «lettera-testamento» di un indagato contenente una
dura critica nei confronti dei medesimi giudici.
    La  sussistenza  del nesso funzionale sarebbe, poi, ulteriormente
confermata da altri atti parlamentari riguardanti le medesime vicende
e  presentati prima della trasmissione televisiva del 15 ottobre 2004
da altri parlamentari: l'interrogazione a risposta scritta presentata
il  22 settembre  1994 al Senato (seduta n. 52; n. atto: 4/01476) dal
senatore  Girolamo  Tripodi  (primo  firmatario);  l'interrogazione a
risposta  orale  presentata  nella seduta n. 29 del 7 luglio 1994 dal
deputato  Dorigo (n. atto: 3/00128); l'interpellanza presentata nella
seduta  n. 45  del  1° agosto 1994 dal deputato Della Valle (n. atto:
2/00156);  l'interrogazione  a risposta orale presentata nella seduta
n. 50  dell'11 agosto 1994 (n. atto: 3/00204) dal deputato Alessandra
Bonsanti; l'interrogazione a risposta scritta presentata nella seduta
n. 92  del 5 dicembre 1996 dal deputato Tabladini (n. atto: 4/03252);
l'interrogazione  a risposta orale presentata nella seduta n. 355 del
15 maggio 1998 dal deputato Maiolo (n. atto: 3/02367).
    Ad  avviso  della  difesa  della  Camera,  pertanto,  le opinioni
espresse  dal  deputato  Sgarbi  nella  trasmissione  televisiva  del
15 ottobre   1994   sarebbero   legate   da   nesso   funzionale  con
dichiarazioni  rese  nell'esercizio di funzioni parlamentari, sia dal
deputato Sgarbi che da altri parlamentari, precedentemente alla detta
trasmissione.  Ne'  dovrebbero  essere  confusi con la sostanza delle
opinioni  manifestate  dal  deputato Sgarbi nell'ambito della propria
attivita'  parlamentare e divulgate nell'attivita' televisiva, quelli
che  sono  invece  i  toni,  gli  accenti  ed anche gli eccessi degli
argomenti  utilizzati  dal  deputato  nel  corso  della  trasmissione
televisiva.  Questi  ultimi,  diversi certamente da quelli che sono o
che  si  immaginano  appropriati al dibattito parlamentare, sarebbero
peraltro  del  tutto  sintomatici  di  quella profonda trasformazione
della  comunicazione politica nella societa' contemporanea, di cui la
Corte  ha  preso  atto  nella propria giurisprudenza (sentenze n. 11,
n. 320  e  n. 321  del  2000). Quella trasformazione, ad avviso della
Camera,   non   e',  ne'  puo'  essere,  soltanto  trasformazione  od
ampliamento  delle sedi del discorso politico, ma e' anche, se non di
piu',  trasformazione  dei  modi  della comunicazione: modi sui quali
proprio  la  natura  del  mezzo,  con  tutte  le  sue caratteristiche
d'insieme, incide inevitabilmente.
    4.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  la  Camera dei deputati ha
depositato una memoria illustrativa.
    Nella  memoria  si  ribadisce l'eccezione di inammissibilita' del
conflitto  per difetto di motivazione del ricorso che lo ha sollevato
sulla  asserita  non  riconducibilita'  delle  opinioni  espresse dal
deputato Sgarbi allo svolgimento della sua funzione parlamentare.
    Nel  merito,  la  difesa della Camera sottolinea come le opinioni
oggetto  del giudizio civile dinanzi alla Corte di appello riflettono
le  medesime  posizioni  espresse  dal deputato in sede parlamentare,
trattandosi,  in  tutti  i casi, di valutazioni fortemente critiche -
condotte  talora  anche  attraverso  attacchi  personali  e  con toni
accesamente  polemici  -  rispetto  all'inchiesta  «Mani pulite» e ai
metodi  utilizzati dai magistrati coinvolti, con puntuale riferimento
alle condizioni fisiche e psicologiche degli indagati e ad un uso che
si riteneva troppo disinvolto delle misure cautelari.
    Sarebbe,  pertanto,  pienamente  corretta  la valutazione operata
dalla  Camera  che ha dichiarato l'insindacabilita' ex art. 68, primo
comma, Cost.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Corte di appello di Milano, sezione seconda civile, ha
sollevato - con ricorso depositato il 12 dicembre 2003 - conflitto di
attribuzione  tra  poteri  dello Stato nei confronti della Camera dei
deputati, in relazione alla deliberazione, adottata dall'Assemblea il
7 ottobre  2003  (documento  IV-quater, n. 26), con la quale e' stato
dichiarato,   in  conformita'  alla  proposta  della  Giunta  per  le
autorizzazioni,   che   le   dichiarazioni   oggetto   del   predetto
procedimento  civile concernono opinioni espresse dal deputato Sgarbi
nell'esercizio delle sue funzioni parlamentari, a norma dell'art. 68,
primo comma, della Costituzione.
    Ad  avviso della Corte di appello, la Camera dei deputati avrebbe
fatto  non  corretta  applicazione  dell'art. 68, primo comma, Cost.,
qualificando   come   esercizio   della   funzione   parlamentare  le
dichiarazioni,  per le quali e' in corso il procedimento civile, rese
dal deputato Sgarbi nella trasmissione televisiva «Sgarbi quotidiani»
del  15 ottobre  1994.  Riferisce la Corte di appello ricorrente che,
nel  corso  di  quella  trasmissione  televisiva, il deputato Sgarbi,
riferendosi  al  dott.  Andrea  Padalino,  giudice  per  le  indagini
preliminari del Tribunale di Milano, avrebbe detto che «la Procura di
Milano e' presidiata da questo giovinetto, guardatene bene la faccia,
ditemi  se  uno  con la faccia come questa puo', serenamente e avendo
tutto  il  peso  di  centinaia  di  arresti da firmare, non lasciarsi
prendere  la mano e puo' veramente in poche ore, lui, rivedere quello
che ha fatto il pubblico ministero, se con una faccia come questa voi
credete  che  la  giustizia  possa  essere  salva».  Riferisce ancora
l'autorita'   giudiziaria   ricorrente   che   questa   dissertazione
fisionomica  risulta accompagnata da espressioni volgari e di pesante
trivialita'.
    Secondo  la  Corte  di  appello,  immotivatamente  sarebbe  stato
ritenuto  sussistente il collegamento funzionale di tali affermazioni
con  l'attivita'  parlamentare  del  deputato Sgarbi, considerato che
l'insindacabilita'  non potrebbe comunque estendersi a manifestazioni
che  non  sono  di  pensiero ma costituiscono gratuiti insulti e pura
denigrazione  e  si  risolvono  in una immotivata lesione dei diritti
personalissimi altrui (quali l'onore e la reputazione).
    Di  qui  la proposizione del conflitto di attribuzione avverso la
delibera  di  insindacabilita'  del 7 ottobre 2003, che sarebbe stata
adottata  in  assenza  dei  presupposti richiesti dall'art. 68, primo
comma,    Cost.,   con   conseguente   lesione   delle   attribuzioni
dell'autorita' giudiziaria.
    2.  - Deve, preliminarmente, essere ribadita l'ammissibilita' del
conflitto,  sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come
gia' ritenuto da questa Corte con l'ordinanza n. 314 del 2004.
    Non  puo' essere accolta in proposito l'eccezione, avanzata dalla
difesa  della  Camera  dei  deputati,  basata  sul rilievo che l'atto
introduttivo  del  presente  giudizio  difetterebbe di motivazione in
ordine alla asserita non riconducibilita' delle opinioni espresse dal
parlamentare allo svolgimento della sua funzione.
    Invero,  l'art. 26  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla   Corte   costituzionale   prescrive  che  il  ricorso  contenga
«l'esposizione  sommaria  delle ragioni del conflitto e l'indicazione
delle  norme  costituzionali  che  regolano  la materia». Entrambe le
prescrizioni sono soddisfatte dall'atto introduttivo, in cui non solo
vengono riportate le dichiarazioni rese dal parlamentare in relazione
alle  quali  e'  pendente  procedimento  civile dinanzi alla Corte di
appello,  ma  sono anche esposte le ragioni di fatto e di diritto che
inducono la ricorrente a ritenere non invocabile, nel caso di specie,
l'art. 68, primo comma, della Costituzione, e a denunciare la lesione
delle attribuzioni dell'autorita' giudiziaria.
    3. - Nel merito, il ricorso e' fondato.
    Va  qui  ribadita  la  costante  giurisprudenza  di questa Corte,
secondo   cui,   per  l'esistenza  di  un  nesso  funzionale  tra  le
dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare (nella specie, nel
corso  di  un  programma  televisivo,  quale «opinionista» conduttore
della trasmissione) e l'espletamento delle sue funzioni di membro del
Parlamento,  e'  necessario  che  tali  dichiarazioni  possano essere
identificate    come    espressione   dell'esercizio   di   attivita'
parlamentare  (cfr.,  tra le piu' recenti, sentenze n. 10 e n. 11 del
2000,  n. 164,  n. 176  e  n. 193  del  2005, n. 249, n. 258, n. 260,
n. 317  e  n. 335  del  2006). Tale nesso richiede una corrispondenza
sostanziale  di contenuto fra attivita' parlamentare e dichiarazioni,
non  essendo  sufficiente  una  mera comunanza di tematiche (sentenze
n. 508 del 2002, n. 235 del 2005 e n. 331 del 2006).
    Nel  caso  in esame, neppure nella delibera di insindacabilita' e
nella  proposta  della  Giunta  per  le autorizzazioni a procedere e'
possibile  rinvenire  un riferimento ad atti tipici del parlamentare.
In  proposito,  la  proposta  della Giunta, cui rinvia la delibera di
insindacabilita',  si  limita  ad  osservare  che  l'intendimento del
deputato   Sgarbi  «non  era  quello  di  diffamare  la  persona  del
magistrato  interessato  quanto  piuttosto  quello  di sensibilizzare
l'opinione  pubblica circa le possibili distorsioni dell'attuale rito
penale,  nell'ambito del quale puo' verificarsi la circostanza che il
giudice  per  le indagini preliminari puo' doversi trovare a decidere
in  poco  tempo in relazione ad indagini di particolare complessita',
finendo,  spesso  senza  sua colpa, con l'appiattirsi sulle posizioni
della pubblica accusa e dunque non svolgendo pienamente quel ruolo di
terzieta'  che  pure  il codice di procedura penale astrattamente gli
assegna».
    A  tale  proposito, si deve ribadire che il «contesto politico» o
comunque   l'inerenza   a  temi  di  rilievo  generale  dibattuti  in
Parlamento,  entro  cui  tali dichiarazioni si possano collocare, non
vale  in  se' a connotarle quali espressive della funzione, ove esse,
mancando  di  costituire la sostanziale riproduzione delle specifiche
opinioni  manifestate  dal  parlamentare nell'esercizio delle proprie
attribuzioni, siano non gia' il riflesso del peculiare contributo che
ciascun  deputato  e  ciascun senatore apporta alla vita parlamentare
mediante  le  proprie  opinioni e i propri voti (come tale coperto, a
garanzia  delle  prerogative  delle Camere, dall'insindacabilita), ma
una   ulteriore  e  diversa  articolazione  di  siffatto  contributo,
elaborata  ed  offerta  alla  pubblica  opinione nell'esercizio della
libera   manifestazione   del   pensiero  assicurata  a  tutti  dalla
Costituzione (sentenza n. 51 del 2002).
    Neppure gli atti di sindacato ispettivo, evocati e prodotti dalla
difesa  della  Camera,  provenienti  dal  parlamentare (gli unici che
possono  qui  essere presi in considerazione, non potendo un deputato
giovarsi,  ai  fini  della  insindacabilita'  di  sue  dichiarazioni,
dell'attivita'  parlamentare  posta  in  essere  da  altri deputati o
senatori:  cfr.  sentenza  n. 249  del  2006), evidenziano profili di
sostanziale  corrispondenza  rispetto  alle  espressioni  che formano
oggetto del giudizio civile dinanzi alla Corte di appello ricorrente.
    Tali  atti  tipici,  infatti,  riguardano  le  indagini  relative
all'inchiesta  «Mani  pulite»  -  in particolare, le indagini avviate
dalla  Procura  della  Repubblica  di Milano su presunte «tangenti» a
componenti   della  Guardia  di  finanza  -,  e  censurano  i  metodi
utilizzati  dai  magistrati  di  Milano,  anche  in  riferimento alle
condizioni  fisiche  e  psicologiche degli indagati, e l'uso ritenuto
troppo disinvolto delle misure cautelari.
    Viceversa,   le   espressioni   extra   moenia  del  parlamentare
contengono soltanto valutazioni fisionomiche sul magistrato.
    Tali  dichiarazioni  sono  dunque  prive  di  un intimo raccordo,
contenutistico   e   funzionale,   con   l'esercizio  delle  funzioni
parlamentari,  le  quali  sole  legittimano e giustificano, sul piano
costituzionale, la garanzia della insindacabilita'.
    4.  -  Deve  dunque  concludersi  che la Camera dei deputati, nel
votare  per  la  insindacabilita'  delle  dichiarazioni di cui qui si
tratta, ha violato l'art. 68, primo comma, della Costituzione, e leso
in tal modo le attribuzioni dell'autorita' giudiziaria ricorrente.
    La  deliberazione  di  insindacabilita'  deve  essere,  pertanto,
annullata.