IL TRIBUNALE All'udienza dell'8 febbraio 2006 la difesa dell'imputato, relativamente al reato di cui all'art. 349 c.p. ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge n. 251/2005 in relazione all'art. 3 Cost. nella parte in cui preclude, con riferimento ai casi di apertura del dibattimento avvenuto prima dell'8 dicembre 2005, l'applicazione della piu' favorevole disciplina del termine prescrizionale di 6 anni allungato di un quarto, disciplina introdotta dall'art. 6, legge n. 251 cit. mediante novellazione degli artt. 157, 160 comma 3 e 161 comma 2 c.p. Sentito il p.m. d'udienza, il quale si e' espresso per la manifesta infondatezza dell'eccezione. Rilevato che la questione appare senz'altro rilevante ai fini del presente giudizio, in quanto con l'applicazione della nuova normativa, il reato per cui si procede a carico di Creta Angelo - art. 349 c.p. - alla data odierna sarebbe prescritto e non manifestamente infondata. O s s e r v a La legge n. 251/2005, all'art. 10 prevede che, laddove per effetto delle nuove disposizioni i termini di prescrizione risultino piu' brevi, le disposizioni stesse si applichino ai procedimenti e ai processi pendenti, salvo che si tratti di processi pendenti in appello, avanti la Corte di cassazione o che vi sia stata in primo grado la dichiarazione di apertura del dibattimento. Detto art. 10 limita l'efficacia di sopravvenute disposizioni piu' favorevoli al reo, escludendone tutti coloro peri quali il dibattimento di primo grado e' stato gia' aperto determinando situazioni nelle quali, come nella fattispecie, il superamento del menzionato momento processuale, determina addirittura il raddoppio del termine prescrizionale allungato. La scelta del legislatore (artt. 10 e 3, legge n. 251/2005) di rendere applicabile retroattivamente la nuova disciplina in tema di prescrizione di cui all' art. 6, legge n. 251/2005 solo nel caso in cui non e' aperto il dibattimento sembra in contrasto con l'art. 3 Cost. La suddetta disposizione va ad introdurre un regime differente a fronte di situazioni identiche, ovvero un trattamento soggettivamente diverso tra soggetti indagati e soggetti imputati, ma ancora peggio tra stessi imputati nel giudizio di primo grado, rispetto alle quali l'unica differenza e' costituita dalla dichiarazione o meno di apertura del dibattimento. Se puo' dunque essere esclusa in radice la retroattivita' di tutte le norme penali piu' favorevoli sopravvenute alla commissione del fatto o di alcune di esse, magari per alcuni tipi di reato, non puo' invece introdursi un regime transitoria che, prescindendo dalla valutazione del fatto, abbia l'effetto di far dipendere la retroattivita' della piu' favorevole disciplina sopravvenuta da fatti connessi all'evoluzione del processo penale ed allo stato in cui esso sia pervenuto ad una certa data. Invero, nel caso in cui l'effetto retroattivo della disciplina sopravvenuta sia correlato alla circostanza che il processo abbia o non varcato una certa soglia, puo' prospettarsi una disparita' di trattamento tra chi ha commesso il medesimo reato prima dell'entrata in vigore della nuova normativa, alcuni dei quali, solo perche' processati piu' rapidamente, si trovino ad essere giudicati in base alla disciplina precedente disposizione a differenza degli altri che per le cause piu' diverse abbiano beneficiato di un iter processuale piu' lento. Giova evidenziare che la dichiarazione «apertura del dibattimento», e un momento processuale assolutamente «neutro» posto che non e' assimilabile alla pronuncia di una sentenza di condanna in primo grado, ne' puo' considerarsi espressione della pretesa punitiva dello Stato, che, invece, e' intrinseca all'esercizio dell'azione penale; Cio' premesso il sacrificio del principio d'uguaglianza appare, per il modo in cui e' stato articolato, rimesso a criteri di selezione assolutamente diatonici rispetto alla ratio dell'istituto della prescrizione, quale permane anche dopo la novella. In buona sostanza, se il legislatore della novella ha ridimensionato «a regime» (come per il reato di cui al presente processo) i «termini ultimi» di prescrizione, con cio' ha inteso escludere il permanere dell'interesse punitivo dopo il decorso di quel dato tempo dal fatto/reato e ha inteso attribuire proprio al decorso di quel ridimensionato tempo massimo efficacia estintiva del reato a prescindere dalla qualita' e dalla quantita' degli avanzamenti processuali. Su queste premesse appare incomprensibile la ragione per la quale lo stato d'avanzamento del processo alla data dell'8 dicembre 2005 puo' determinare, a parita' di data di commissione del reato, in alcuni casi un interesse dello Stato a perseguire un reato entro 15 anni dalla commissione di esso e in altri casi il medesimo interesse nel limite di 7 anni e 6 mesi. La disposizione appare in contrasto con il principio della retroattivita' della norma piu' favorevole al reo costituzionalizzato ai sensi dell'art. 25 Cost. ed espresso in sede di legislazione ordinaria all'art. 2, comma 3 c.p. Non puo' negarsi il rilievo di diritto sostanziale della normativa concernente la materia in esame in quanto la quale, seppure modificatrice di una norma del codice di rito, ha natura sostanziale, (la prescrizione e' una causa estintiva del reato,) pertanto non puo' trovare applicazione il principio del «tempus regir actum» ma quello stabilito dall'art. 2 c.p., che, in caso di successione di leggi nel tempo, prescrive l'adozione di quella piu' favorevole per l'imputato. L'art. 111 Cost.,inoltre sancisce il principio del giusto processo teso con il rispetto delle regole processuali e sostanziali, ad una sentenza giusta. Una decisione e' giusta ex art. 111 Cost. allorquando non discrimini irragionevolmente posizioni nella sostanza identiche, in altre parole, quando la decisione di differenziare il trattamento normativo si fonda su ragioni fattali, logiche, e razionali. Laddove si derogasse alla regola di cui all'art. 2, comma 3 c.p. della retroattivita' della legge penale piu' favorevole al reo, senza una concreta giustificazione, si avrebbe una sentenza non giusta, perche' potrebbe determinare un diritto differente a fronte di situazioni sostanzialmente identiche, in violazione del combinato disposto dell'art. 3 e 111 Cost. La questione appare pertanto oltre che rilevante nel caso concreto non manifestatamene infondata e meritevole del vaglio della Corte costituzionale.