IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Visto il ricorso n. 547/2003 proposto da: El Idrissi Mohammed rappresentato e difeso dall'avv. Gianni Dionigi, con domicilio eletto presso lo stesso in Perugia, via Quieta n. 2/B; Contro: 1) Prefettura di Terni, 2) Ministero dell'interno, in persona dei rispettivi titolari pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato e presso la stessa legalmente domiciliati in Perugia, via degli Offici, 14; e nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze (costituitosi spontaneamente nel subprocedimento di liquidazione delle spese legali in favore del ricorrente, in quanto ammesso al patrocinio a spese dello Stato) in persona del titolare pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato e presso la stessa legalmente domiciliato in Perugia, via degli Offici, 14, per l'annullamento della decisione di rigeto dell'Ufficio territoriale del Governo di Terni concernente la «dichiarazione di emersione di lavoro irregolare» che il signor Ba Mohamed Ahmed ha presentato ai sensi della legge n. 222/2002 quale datore di lavoro a favore dell'extracomunitario addetto a lavoro subordinato signor El Idrissi Mohammed; Vista la sentenza n. 45 in data 3 febbraio 2004, con cui questo tribunale ha definito il giudizio, respingendo il ricorso in epigrafe e compensando integralmente le spese fra le parti; Vista la domanda in data 31 luglio 2004, con cui l'avv. Gianni Dionigi ha chiesto la liquidazione delle spese, funzioni ed onorari del giudizio, sulla base dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato disposta con decreto del presidente del Tribunale amministrativo regionale 27 dicembre 2003, n. 49; Visto il parere in data 3 settembre 2004, con cui il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Perugia, ai sensi dell'art. 82 del d.P.R. n. 115/2002, ha ritenuto congruo un importo di Euro 1.726,88; Vista la propria ordinanza collegiale 10-26 novembre 2004, con la quale gli atti sono stati rimessi alla Corte costituzionale; Vista l'ordinanza della Corte costituzionale 24 febbraio 2006, n. 76, con la quale la questione di costituzionalita' e' stata dichiarata «manifestamente inammissibile»; Udito, alla nuova camera di consiglio dell'8 marzo 2006, il relatore Cons. Pierfrancesco Ungari e udite le parti come da verbale; F a t t o e d i r i t t o I. Questo tribunale, con ordinanza n. 51 in data 26 novembre 2004, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 119 e 142 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione. E' opportuno riportare la parte motiva di detta ordinanza. [...] «1. - Con la sentenza n. 45 in data 3 febbraio 2004, questo Tribunale ha respinto il ricorso in epigrafe, volto all'annullamento di un diniego di regolarizzazione, ai sensi del decreto-legge n. 189/2002, convertito, con modificazioni, in legge n. 222/2002, opposto dall'Ufficio territoriale del Governo di Terni al datore di lavoro di un cittadino marocchino. 2. - Viene ora all'esame del Collegio la domanda di liquidazione delle spese di giudizio (compensate con la predetta sentenza), presentata dal difensore dell'extracomunitario, sulla base dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato disposta con decreto del presidente del Tribunale amministrativo regionale 27 dicembre 2003, n. 49. Dopo che le parti erano state convocate davanti al Collegio in camera di consiglio per l'esame e la trattazione della suddetta domanda, e' pervenuta una memoria (di costituzione spontanea o d'intervento) del Ministero dell'economia e delle finanze, quale amministrazione statale competente al pagamento. Il Ministero dell'economia e delle finanze, con tale memoria (e poi ancora oralmente in camera di consiglio ha chiesto la revoca dell'ammissione ai patrocinio a spese dello Stato, invocando l'art. 119 del t.u. Il difensore del ricorrente, presente alla trattazione orale in camera di consiglio, non ha sollevato eccezioni riguardo alla ritualita' dell'intervento del Ministero dell'economia e delle finanze. 3. - Il Collegio osserva che la convocazione della odierna camera di consiglio, con l'intervento delle parti, era preordinata ad una decisione sul quantum delle spese da liquidare al difensore del ricorrente, ma non si puo' ritenere estranea ai compiti del Collegio la conclusiva decisione sulla spettanza del beneficio, atteso che il provvedimento di ammissione al beneficio e' un «decreto» monocratico, espressamente qualificato come revocabile dall'art. 136 del t.u. Vero e' che fra le ipotesi di revoca non e' espressamente previsto il difetto dello status di cittadino o di straniero regolarmente soggiornante, ma trattandosi di requisito prescritto dalla legge sembra inevitabile che il suo difetto osti alla definitiva liquidazione delle spese e che sia rilevabile anche d'ufficio sino a che il relativo sub-procedimento non sia concluso. Cio' posto, si passa all'esame del merito della questione. 4. - Il d.P.R. n. 115/2002, testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, disciplina il patrocinio a spese dello Stato, assicurato anche nel processo amministrativo, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate (art. 73, comma 2). In base all'art. 119 del predetto testo unico, il trattamento previsto per il cittadino italiano e' assicurato, altresi', allo straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare. Il successivo articolo 142, considera poi il processo avverso il provvedimento di espulsione di cittadini extracoinunitari (art. 13 del testo unico sull'immigrazione, di cui al d.lgs. n. 286/1998), per disporre che le relative spese sono a carico dell'erario e sono liquidati nella misura e con le modalita' previste per i cittadini comunitari. 5. - La posizione dello straniero il quale abbia impugnato (come e' avvenuto nel giudizio definito con la predetta sentenza), ovvero abbia interesse ad impugnare il diniego di regolarizzazione ai sensi della legge n. 222/2002, non e' riconducibile agli artt. 119 e 142, citati, ne' viene altrimenti espressamente considerata dalla normativa. Costui, infatti, non e' regolarmente soggiornante sul territorio nazionale, posto che la regolarizzazione prevista dalla legge n. 222/2002 presuppone proprio una condizione di clandestinita', sanabile in presenza di determinate condizioni. D'altra parte, l'impugnazione del diniego di regolarizzazione dinanzi al giudice amministrativo e' azione ben distinta dall'impugnazione del provvedimento di espulsione dinanzi al giudice ordinario. 6. - La mancata considerazione della impugnazione del diniego di regolarizzazione, ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sembra porsi in contrasto con i precetti costituzionali, sotto diversi profili. 6.1. - E' in contrasto con l'art. 3 della Costituzione: a) per violazione del principio di ragionevolezza, in quanto scelta irragionevole, che determina un grave pregiudizio alle concrete possibilita' di difesa in giudizio; b) per violazione del principio di uguaglianza, poiche' determina un'ingiustificata disparita' di trattamento nei confronti dei cittadini extracomunitari i quali si trovino a dover contrastare provvedimenti negativi incidenti sulla possibilita' di permanere nel territorio italiano (impugnazione dei dinieghi di rilascio o di rinnovo, nonche' di revoca del permesso di soggiorno), giovandosi di una situazione di soggiorno regolare. Sotto il primo profilo, oltre alla condizione di disagio sociale e difficolta' economica che rappresenta la normalita' per gli aspiranti alla regolarizzazione e rende per essi fondamentale la possibilita' di giovarsi di un patrocinio non oneroso, occorre considerare che l'espulsione consegue quale provvedimento pressoche' vincolato al diniego di regolarizzazione, e che quindi e' soltanto mediante l'impugnazione di tale ultimo provvedimento che nella maggior parte dei casi puo' essere fatta valere tempestivamente la sussistenza dei presupposti utili al rilascio di un titolo di soggiorno. Pertanto, alla luce della tutela apprestata dall'art. 142, predetto, nei giudizi concernenti i provvedimenti di espulsione - espressione di un principio di assistenza e tutela della condizione degli stranieri, ancorche' non in regola con le disposizioni in materia di ingresso e soggiorno - la mancata estensione alle impugnazioni del provvedimento presupposto e condizionante da' luogo ad una palese irragionevolezza, anche perche' in tal modo la stessa tutela in materia di espulsione in molti casi risulta inefficace. Quanto alla disparita' di trattamento, la situazione di clandestinita' degli stranieri legittimati ad impugnare il diniego di regolarizzazione non sembra impedire la comparazione agli stranieri regolarmente soggiornanti, poiche' sarebbe del tutto irragionevole una scelta normativa che, dopo aver consentito (per finalita' di interesse pubblico) la sanatoria dei clandestini occupati in attivita' lavorative (decreto-legge n. 195/2002, convertito con modificazioni in legge n. 222/2002), abbandonasse l'esito dei procedimenti di regolarizzazione a fattori casuali (quali la possibilita' dei singoli di tutelare concretamente le proprie ragioni, sostenendo l'onere del patrocinio), anziche' legarlo in ogni caso ad una seria verifica, anche giurisdizionale, della effettiva sussistenza dei presupposti. 6.2. - E' in violazione dell'art. 24 della Costituzione, perche' in questa norma il diritto alla difesa e' riconosciuto, testualmente, a «tutti», laddove altre disposizioni costituzionali riconoscono altri diritti fondamentali (solo) al «cittadino». Si prescinde qui dall'affrontare il problema se i diritti costituzionali che hanno per soggetto il «cittadino» debbano essere riconosciuti, integralmente o almeno in qualche misura, anche allo straniero. Certo e' che il testo dell'art. 24, in parte qua, appare inequivoco nel senso che nei confronti del diritto alla difesa non sono ammesse discriminazioni fondate sullo status civitatis. Ma se questo e' vero, ne consegue che, se il legislatore ha ritenuto che l'approntamento di una forma di sostegno economico al non abbiente sia un complemento indispensabile del diritto alla difesa, identico trattamento dev'essere fatto allo straniero. E' verosimile che il legislatore abbia ritenuto sufficiente ad assicurare parita' di trattamento sotto questo profilo il disposto dell'art. 142 del t.u., che, come si e' gia' detto, prevede addirittura ope legis il patrocinio a spese dello Stato in tutti i giudizi promossi avverso decreti di espulsione. E' probabile, infatti, che il legislatore abbia considerato che, se l'espulso risulta vittorioso nel giudizio contro l'espulsione, egli si viene a trovare automaticamente nella condizione del soggiornante legittimo, e consegue cosi' il titolo al beneficio in forza dell'art. 119; mentre se l'espulsione rimane confermata, l'espulso non ha piu' ragione di difendersi in altri giudizi. Ma se e' stato questo l'intento del legislatore, la norma appare tuttavia incongrua, perche' non si puo' escludere che lo straniero legittimamente espulso sia comunque parte di controversie civili o amministrative che per lui rivestono vitale importanza (es.: azioni civili per crediti di lavoro o di risarcimento del danno) senza avere i mezzi per sostenerle. In tale ipotesi, anzi, la norma tornerebbe ad ingiustificato vantaggio della controparte (che potrebbe essere un debitore inadempiente). Peraltro, come si e' gia' detto, in situazioni come quella cui si riferisce il presente ricorso l'espulsione e' una conseguenza praticamente vincolata del diniego di regolarizzazione; sicche' non ha senso concedere allo straniero di essere difeso a spese dello Stato nel ricorso contro l'espulsione (art. 142) e non concedergli, invece, analogo beneficio nel ricorso contro il presupposto dell'espulsione (art. 119). 6.3. - E' in contrasto, infine, con l'art. 113, che sostanzialmente riproduce, con uguale latitudine («e' sempre ammessa...»), il disposto dell'art. 24, riferendosi in particolare alla tutela giurisdizionale davanti agli organi della giustizia amministrativa. 7. - L'estensione dell'istituto del patrocinio a spese dello Stato ai giudizi in materia di (diniego di) regolarizzazione non appare conseguibile direttamente in via interpretativa, trattandosi di un'estensione della disciplina che comporta oneri per il bilancio dello Stato. Pertanto, questo tribunale ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 119 e 142 del d.P.R. n. 115/2002, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione. 8. - Poiche' nel caso in esame sussistono gli altri presupposti richiesti dalla legge per l'ammissione al beneficio (condizioni economiche disagiate e non manifesta inammissibilita' o infondatezza del ricorso) ed il Consiglio dell'Ordine ha espresso il parere di congruita' previsto dall'art. 82, comma 1, del d.P.R. n. 115/2002, la questione predetta appare altresi' rilevante ai fini della decisione sulla domanda di liquidazione delle spese di giudizio in esame. 9. - Conclusivamente, il giudizio va sospeso e gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale per il giudizio incidentale di costituzionalita'. Il Collegio si riserva, all'esito, ogni ulteriore decisione sulle spese.» [...]. II. Con ordinanza n. 76 in data 24 febbraio 2006, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilita' della questione, per difetto di motivazione sul punto della rilevanza. In proposito, la Corte ha affermato che «il provvedimento di rimessione fornisce una descrizione insufficiente in ordine alla fattispecie concreta sottoposta all'esame del giudice a quo, dal momento che si limita ad affermare che sussistono le condizioni economiche disagiate del ricorrente, quale presupposto richiesto per l'ammissione al beneficio, senza tenere presente che da tale affermazione non si desume se il cittadino extracomunitario fosse o meno in possesso dei requisiti di reddito necessari per accedere al patrocinio a spese dello Stato». Alla luce di tale pronuncia, il Collegio non puo' che procedere, doverosamente, al riesame della vicenda. Deve, in particolare, approfondire la disamina del punto della rilevanza, secondo quanto indicato dall'ordinanza della Corte. Peraltro, se all'esito di tale nuova disamina si giungera' ancora alla conclusione che la questione di costituzionalita' e' rilevante, sara' inevitabile riproporla tal quale, dal momento che sotto il profilo della «non manifesta infondatezza» non si possono che confermare le considerazioni gia' svolte. III. Cio' premesso, sul punto della rilevanza della questione di costituzionalita' si osserva quanto segue: con istanza depositata in data 23 dicembre 2003 il ricorrente aveva chiesto l'ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, dichiarando la sussistenza delle condizioni previste dalla legge ed in particolare che il suo reddito ai fini IRPEF per l'anno 2002 era pari a Euro 4.192,31 (come da modello CUD 2003, altresi' depositato in copia), che il reddito dei suoi familiari era pari a Euro 0, e che non possedeva beni immobili ne' redditi di sorta in Marocco; poiche' detto importo e' largamente inferiore alla soglia prevista dall'art. 76 del t.u. di cui al d.P.R. n. 115/2002, con decreto presidenziale n. 49 in data 27 dicembre 2003, la predetta istanza era stata accolta «ritenuto che - salve le verifiche di competenza dell'amministrazione finanziaria ai sensi dell'art. 127 t.u. - si possono ravvisare i presupposti per l'accoglimento dell'istanza»; ed invero, a norma dell'art. 127 t.u., dopo il primo sommario accertamento dei presupposti di reddito, espresso nel provvedimento di (provvisoria) ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, ogni ulteriore accertamento o valutazione in merito alle condizioni economiche dell'interessato e' di competenza dell'amministrazione finanziaria (Dipartimento delle entrate, e, per quanto di ragione, Guardia di Finanza), in ottemperanza alle suddette disposizioni, gli atti sono stati trasmessi agli uffici del Ministero dell'economia e delle finanze (Dipartimento delle entrate), i quali non hanno fatto pervenire alcuna richiesta di revoca dell'ammissione al beneficio, sotto il profilo dei requisiti reddituali dell'interessato, ne' altre comunicazioni in merito; neppure aliunde e' emerso a tutt'oggi alcun altro elemento rilevante ai fini della verifica della sussistenza del requisito reddituale. Si puo' dunque concludere, sul punto, nel senso che la rilevanza della questione appare pienamente accertata. Infatti risultano presenti tutti i requisiti per l'ammissione dell'interessato al beneficio del patrocinio a spese dello Stato: condizioni reddituali e non manifesta inammissibilita' o infondatezza dell'azione (e' appena il caso di precisare che tale ultimo requisito - non manifesta infondatezza o inammissibilita' dell'azione - non si puo' considerare escluso per il solo fatto che, nel merito, il ricorso sia poi stato respinto: nel sistema del t.u. n. 115/2002 la soccombenza in giudizio non comporta di per se' la caducazione dell'ammissione al beneficio) tranne il requisito di cui all'art. 119 t.u. - che e' proprio quello sul quale si pone la questione di costituzionalita'. Il presente giudizio non puo' dunque essere definito prescindendo dalla questione di costituzionalita'. IV. Una volta verificata la rilevanza della questione di costituzionalita', questo Collegio, come gia' accennato, non puo' che confermare altresi' le proprie precedenti considerazioni sul punto della non manifesta infondatezza, cosi' come sono state esposte nell'ordinanza 10-26 novembre 2004 e che, come riprodotte nel capo I della presente ordinanza, formano parte integrante e sostanziale di quest'ultima. In conclusione il Collegio ripropone la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 119 e 142 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.