LA CORTE DI APPELLO

    Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza   sull'eccezione  di
illegittimita'  costituzionale  proposta  dal  p.g. con riguardo agli
artt. 4 e 11 della legge 22 febbraio 2006, n. 46, in riferimento agli
artt.  3, 111 e 112 della Costituzione, nel procedimento promosso nei
confronti  di  Graldi  Paolo,  nato  a  Bologna  il  27  maggio 1942,
domiciliato  c/o  «Il  Messaggero»  in  Roma, via del Tritone n. 152,
difeso   dagli  avvocati  Paola  Severino  Di  Benedetto  e  Maurizio
Bellacosa,  con  studio  in  Roma,  via  Ciro  Menotti  n. 4; Papillo
Emiliano,  nato  a Frosinone il 2 maggio 1975, domiciliato in Morolo,
via  Portella  n. 16, difeso dall'avv. Giampiero Vellucci, con studio
in Frosinone, via Marcello Mastroianni n. 351; imputati:
        Panillo Emiliano: A) del reato p. e p. dagli artt. 595, comma
3  c.p.  e 13, legge n. 47/1948 perche' redigeva articolo apparso sul
quotidiano  «Il  Messaggero»,  pagina  di  Frosinone, che si richiama
integralmente,  in  cui  insinuava  che  lo  sciopero e l'occupazione
dell'azienda  N.A.I.  avvenuta  a  novembre 2001, era il frutto di un
accordo  tra  azienda  e  sindacato  per  non  pagare i dipendenti, e
criticava   il  sindacato  affermando  che  aveva  assunto  posizioni
ambigue,  cosi' offendendo la reputazione del sindacato Fisascat CISL
- Roma, 24 dicembre 2001;
        Graldi  Paolo:  B)  del  reato  p.  e p. dall'art. 57 c.p. in
relazione   all'art.  595  c.p.  perche'  in  qualita'  di  direttore
responsabile  del  Messaggero  ometteva  di  esercitare sul contenuto
dell'articolo  di  cui  al capo A) il doveroso controllo, e cosi' non
impediva  che  si commettesse il reato di diffamazione di cui al capo
A) - Roma, 24 dicembre 2001.
                              F a t t o
                          e  d i r i t t o
    Con   sentenza   emessa   il   23   novembre   2004,   depositata
contestualmente, il g.u.p. presso il Tribunale di Roma dichiarava non
luogo  a  procedere  nei  confronti  dei due imputati, in ordine alle
imputazioni  loro  ascritte, per essere l'azione penale improcedibile
in mancanza della proposizione di valida querela.
    Rilevava  il g.u.p. che in atti non risultavano provati in capo a
Santigli  Luciano i poteri di rappresentanza del sindacato, posto che
l'autocertificazione  della  qualita'  di  segretario  generale dello
stesso  sindacato  non  poteva  ritenersi  idonea, mancando invece la
prova  dell'autorizzazione conferita al Santigli, nella sua qualita',
da parte dei componenti del sindacato (che e' un ente di fatto, ossia
un'associazione   non   riconosciuta),   ovvero  da  apposite  regole
statutarie,  alla  specifica  presentazione  della  querela  a tutela
dell'onorabilita' del sindacato medesimo.
    La  sentenza  del g.u.p. veniva impugnata dal p.m. per i seguenti
motivi:
        A) Errata  applicazione  dell'art.  120 c.p. e dell'art. 337,
comma 3 c.p.p., dal momento che tale ultimo articolo, come la suprema
Corte  aveva  ritenuto  piu'  volte, non commina alcuna nullita' alla
mancata    compiuta   indicazione   della   fonte   dei   poteri   di
rappresentanza,  e  nel  caso di specie l'onere di indicare (e non di
provare)   la   fonte   dei  poteri  era  stato  assolto  dalla  mera
enunciazione  della qualita' di rappresentante del sindacato da parte
del Santigli;
        B) Negli  enti  di  fatto, come ancora la suprema Corte aveva
affermato  piu' volte, la legittimazione a proporre la querela spetta
ai   legali   rappresentanti   ex  se,  senza  che  occorra  apposita
autorizzazione  da parte dei soci, e senza che occorra apposita norma
statutaria.
    Il  p.m.  chiedeva,  pertanto,  che  venisse disposto il rinvio a
giudizio  di Graldi Paolo e Papillo Emiliano per rispondere dei reati
come loro rispettivamente ascritti.
    In  pendenza  dell'appello,  in  data  9 marzo 2006 e' entrata in
vigore  la  legge  n. 46/2006,  che  dispone  all'art.  11  che venga
dichiarata  l'inammissibilita'  dell'appello  proposto dal p.m. prima
dell'entrata  in  vigore  di essa legge. All'ufficio del p.m. e' data
(art.  4)  la  facolta'  di proporre ricorso per cassazione contro la
sentenza di non luogo a procedere.
    Ritiene la Corte che l'eccezione di incostituzionalita' sollevata
dal  p.g., e richiamata in epigrafe, non sia manifestamente infondata
nei termini qui di seguito esposti.
    E  invero  l'inappellabilita', anche per i procedimenti in corso,
delle  sentenze di non luogo a procedere, come previsto dal combinato
disposto degli artt. 4 e 11 della legge n. 46/2006 contrasta:
        con  il  principio  della ragionevole durata e speditezza del
procedimento   (sancito   dall'art.   111  Cost.)  in  quanto  potra'
verificarsi  una  regressione  dello  stesso  alla  fase dell'udienza
preliminare  -  a seguito di annullamento della Corte di cassazione -
con   una  inevitabile  dilatazione  dei  tempi  di  definizione  del
processo, anche per l'inevitabile aggravio di lavoro che ne derivera'
soprattutto  per  la  medesima  Corte di cassazione data l'estensione
della sua competenza sul merito;
        con  il  principio  della ragionevolezza (desunto dall'art. 3
della  Cost.),  perche'  la  riforma  non  appare giustificata ne' da
esigenze  connesse alla corretta amministrazione della giustizia, ne'
da  concreti,  benefici  effetti  giuridici, e vanifica, inoltre, gli
appelli  gia' proposti, mentre il giudizio di secondo grado di merito
garantiva  un opportuno controllo da parte del giudice collegiale sui
possibili  errori,  anche  di  fatto,  delle  sentenze, numericamente
prevalenti, del giudice monocratico.
    Non  ritiene  invece  la  Corte  ravvisabile  un contrasto con il
principio dell'esercizio obbligatorio dell'azione penale (ex art. 112
Cost.)  che, secondo il p.g., considerato questo nella sua interezza,
si  esplicherebbe  nel  corso di entrambi i gradi di giurisdizione di
merito  mentre  la  legge  n. 46/2006 lo viene a eludere senza valida
giustificazione,  posto  che  la  Corte  costituzionale ha piu' volte
ribadito  che «il potere di impugnazione del p.m. non costituisce una
estrinsecazione dei poteri inerenti all'esercizio dell'azione penale»
(vedesi ordinanze numeri 247 del 2002 e 165 del 2003).
    Conclusivamente la rilevanza, nel caso di specie, della questione
di  legittimita'  sollevata - che non appare manifestamente infondata
nei  termini  sopra  indicati  -  deriva  dalla  circostanza  che  in
applicazione  della  nuova  normativa,  la  Corte di appello dovrebbe
senz'altro     dichiarare,    con    ordinanza    non    impugnabile,
l'inammissibilita'  dell'appello proposto dal p.m. contro la sentenza
di non luogo a procedere pronunciata dal g.u.p., mentre, ove la Corte
costituzionale    ritenesse    fondata   tale   questione,   verrebbe
ripristinata   la   situazione   precedente   e   cioe'  la  pendenza
dell'appello del p.m. nel processo in esame.