LA CORTE MILITARE DI APPELLO Ha pronunciato in camera di consiglio la seguente ordinanza nel procedimento penale a carico di Marchitto Alessandro, nato a Foggia il 17 aprile 1967, domiciliato presso il difensore ai sensi dell'art. 157 c.p.p. - Ten. Col. A.M. presso 3° G.M.A. Aeronautica militare di Bari-Mungivacca - difeso dall'avv. Lucio Magnifico, del Foro di Bari, con studio in Bari, via Sabini «Complesso City Center» n. 11, difensore di fiducia. F a t t o e d i r i t t o Con sentenza n. 52 in data 21 aprile 2005 il giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale militare di Napoli dichiarava non luogo a procedere nei confronti di Marchitto Alessandro, in ordine al reato di possesso ingiustificato aggravato di carta o scritto atto a fornire notizie concernenti la forza, la preparazione e la difesa militare dello Stato (artt. 90, comma 4, 47 n. 2 c.p.m.p) perche' il fatto non conosce reato. Avverso la predetta decisione proponeva appello il pubblico ministero. Ai sensi del disposto dall'art. 10 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 l'appello dovrebbe essere dichiarato immediatamente inammissibile. La Corte, tuttavia, ritiene di dover sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 593 c.p.p., come sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui non prevede per il p.m. la possibilita' di appellare le sentenze di proscioglimento al di fuori dei casi di cui al comma 2 dello stesso art. 593 c.p.p., nonche' dell'art. 10, commi 1 e 2, della legge suindicata, per contrasto con gli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione. «Preliminarmente va osservato che nella specie si deve fare applicazione del disposto del menzionato art. 10 della legge n. 46/2006, il quale, definendo il regime transitorio, stabilisce al comma 2 che si debba pronunciare ordinanza di inammissibilita' delle impugnazioni proposte prima dell'entrata in vigore della nuova normativa avverso sentenze di proscioglimento. In ragione di cio' la questione circa la costituzionalita' della nuova disposizione appare certamente rilevante, dovendo questo giudice fare concreta applicazione della stessa nel presente processo, in presenza di una impugnazione che, alla stregua della precedente normativa, sarebbe stata pacificamente ammissibile. A tal riguardo va sottolineato che la proposizione ex officio della questione trova la sua origine anche nelle vicende che hanno connotato l'iter di approvazione della legge medesima, che ha visto, come e' noto, il rinvio del testo alle Camere da parte del Presidente della Repubblica motivato dalla rilevazione di plurimi profili di manifesto contrasto con la Carta costituzionale. Successivamente il testo ha subito delle modifiche che, ad avviso della Corte, non appaiono tali da far ritenere del tutto fugati i dubbi di costituzionalita' gia' prospettati. Ad avviso della Corte la nuova norma sui limiti oggettivi alla impugnabilita' delle sentenze di proscioglimento appare in contrasto con piu' disposizioni della Carta costituzionale. In primo luogo i rilievi si incentrano sulla violazione del principio di cui al comma 1 dell'art. 3 della Costituzione, relativo al principio di eguaglianza, che costituisce parametro di riferimento indubbiamente essenziale ai fini della valutazione della legittimita' costituzionale del suddetto art. 593 c.p.p., sotto il profilo della ragionevolezza, che, secondo consolidata giurisprudenza costituzionale, costituisce uno dei limiti alla discrezionalita' del Legislatore. Nel caso di specie tale ragionevolezza risulta compromessa per la determinante ragione che si impedisce al rappresentante della pubblica accusa di dare, nell'ambito della sequenza processuale, concreta attuazione al principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale, in tal modo non consentendogli di fornire il suo doveroso contributo all'accertamento dei reati. In proposito non si puo' fare a meno di notare, peraltro, che il sistema processuale risultante dalla novella determina la paradossale situazione per la quale da un lato si pone al p.m. di ricercare prove che a favore dell'imputato, dall'altro gli si impedisce di concretizzare la pretesa punitiva statuale attraverso l'appello di merito su pronunce assolutorie. Ne', ad avviso della Corte, il permanere della possibilita' di appello e tali tipi di pronunce, in presenza di nuova prova decisiva, fuga i dubbi di costituzionalita' sotto il profilo che ci occupa, sia in considerazione della residualita' dell'ipotesi, sia, soprattutto, perche' non consente un ulteriore vaglio nel merito del compendio probatorio gia' acquisito, ove il p.m. lo ritenga non adeguatamente valutato dal primo giudice. Invero, se scopo essenziale del processo e' l'accertamento della verita', non e' assolutamente ragionevole che cio' sia perseguito soltanto su istanza e nella prospettiva di una delle parti. Infine, il nuovo sistema appare ulteriormente irragionevole e sbilanciato in quanto, pur doverosamente conservando per la parte civile la possibilita' di appello avverso le sentenze di proscioglimento, nel contempo la priva della possibilita' del sostegno della parte pubblica nell'accertamento dei profili civilistici di responsabilita' che, comunque, originano da condotte penalmente rilevanti. Ulteriore aspetto e' quello afferente al contrasto con il comma 2 dell'art. 111 (introdotto ex art. 1 della legge cost. 23 novembre 1999, n. 2), che stabilisce il principio della necessaria condizione di parita' delle parti nel contraddittorio processuale e della ragionevole durata del processo. Sotto il primo profilo la garanzia della parita' di condizioni non puo' non riguardare anche gli strumenti di impulso funzionali al raggiungimento degli scopi che un sistema processuale adeguatamente informato ai principi costituzionali deve garantire, che, per la parte pubblica, sono quelli dell'attuazione della pretesa punitiva dello Stato a tutela dei primari interessi della collettivita'. Invero, il p.m. ha ora a disposizione soltanto lo strumento del ricorso per cassazione, che, per sua natura e nonostante i marginali correttivi introdotti con la modifica dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non appare comunque idoneo a garantire il completo riesame nel merito delle risultanze processuali. Cio' in quanto gli consente soltanto di dedurre vizi del provvedimento circoscritti e tassativi, impedendo il vaglio della totalita' delle ragioni che sono alla base della sentenza di proscioglimento. Occorre considerare, poi, i negativi effetti del nuovo regime sui tempi di definizione dei processi, che palesano un manifesto contrasto con il dettato dell'art. 111 cost. in relazione alla ragionevolezza della loro durata. Infatti, la natura esclusivamente rescindente del giudizio di cassazione comporta, in caso di accoglimento del ricorso, la inevitabile regressione di fase al primo giudice, con un evidente e significativo allungamento dei tempi del processo rispetto al previgente sistema che consentiva una immediata decisione nel merito all'esito del proposto gravame. Ne deriva, di conseguenza, il ragionevole dubbio sulla costituzionalita' della nuova disciplina, dato che, come posto in rilievo dalla Corte costituzionale, compromettono il principio della ragionevole durata del processo «... le norme procedurali che comportino una dilatazione dei tempi del processo non sorrette da alcuna logica esistenza, non essendo in altro modo definibile la durata ragionevole del processo se non in funzione della ragionevolezza degli adempimenti che ne scandiscono il corso e ne determinano i tempi» (sentenza n. 148 del 4-12 aprile 2005). Infine, ritiene la Corte che sussistano dubbi di costituzionalita' della normativa di cui trattasi anche con riferimento al principio dell'obbligatorieta' dell' azione penale di cui all'art. 112 della Costituzione. Non puo' negarsi, infatti, che il potere di impugnazione del p.m. costituisca una delle espressioni di tale principio, sicche' non puo' ammettersi che la normativa ordinaria vanifichi il complessivo assolvimento delle funzioni di accusa (Sentenze Corte cost. n. 177/1971 e 98/1994). Da ultimo va evidenziata una irragionevolezza interna della nuova disciplina, con riferimento al regime transitorio. Infatti, non si puo' non sottolineare che l'immediata declaratoria di inammissibilita' dell'impugnazione anche nei giudizi di appello in corso imposta dall'art. 10 della legge n. 46/2006 determina un'ingiustificata disparita' di trattamento con riferimento ai processi nei quali il p.m. abbia chiesto (e, magari gia' ottenuto durante il giudizio di appello non concluso) l'ammissione di nuove prove decisive, circostanza che nel nuovo assetto consentirebbe di coltivare l'impugnazione di merito avverso sentenze di proscioglimento. Tutte le suesposte considerazioni valgono, a maggior ragione, con riguardo al caso, come quello che ci occupa, di appello avverso sentenza di non luogo a procedere emessa dal giudice dell'udienza preliminare. Cio' in quanto si impedisce ai p.m. di pervenire al vaglio dibattimentale sulla scorta di una decisione adottata al termine dell'udienza preliminare che, per i limiti da cui e' connotata, non e' assimilabile ad una decisione di merito. Con l'inaccettabile conseguenza che in tale ipotesi viene escluso in radice non un secondo giudizio di merito, ma addirittura la possibilita' di pervenire all'unico giudizio di merito davanti al giudice della cognizione.