ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di  attribuzione  sorto  a seguito del
decreto  del  Presidente della Repubblica del 18 ottobre 2004, n. 334
(Regolamento  recante  modifiche  ed integrazioni al d.P.R. 31 agosto
1999,  n. 394  in materia di immigrazione) promosso con ricorso della
Regione   Friuli-Venezia   Giulia,   notificato   l'11 aprile   2005,
depositato  in cancelleria il 14 aprile 2005 ed iscritto al n. 20 del
registro conflitti 2005.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  24 ottobre  2006  il  giudice
relatore Maria Rita Saulle;
    Uditi    l'avvocato    Giandomenico   Falcon   per   la   Regione
Friuli-Venezia  Giulia  e l'avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli
per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  notificato  l'11 aprile 2005 e depositato il
14 aprile  successivo,  la  Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona
del Presidente della Giunta regionale protempore, ha proposto ricorso
per  conflitto  di  attribuzione  nei  confronti  del  Presidente del
Consiglio  dei ministri in relazione all'art. 24, comma 1, del d.P.R.
18 ottobre   2004,   n. 334   (Regolamento   recante   modifiche   ed
integrazioni   al   d.P.R.  31 agosto  1999,  n. 394  in  materia  di
immigrazione),  perche'  venga  dichiarato  che non spetta allo Stato
prevedere  che  nelle  Regioni a statuto speciale «sono disciplinate,
mediante  apposite  norme  di  attuazione,  forme  di raccordo tra lo
Sportello   unico   e   gli   uffici   regionali  e  provinciali  per
l'organizzazione  e  l'esercizio  delle  funzioni  amministrative  in
materia   di   lavoro,   attribuite  allo  sportello  medesimo»,  con
conseguente annullamento, in parte qua, dell'atto impugnato.
    La  ricorrente  assume,  in  particolare,  che la disposizione in
questione  violerebbe  gli artt. 117, commi terzo e sesto, 118, commi
primo  e  secondo, della Costituzione (in relazione all'art. 10 della
legge  costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3, recante «Modifiche al
titolo  quinto della parte seconda della Costituzione»), gli artt. 4,
primo  comma,  e  65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1
(Statuto  speciale  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia),  nonche'
l'art. 11   della  legge  5  giugno 2003,  n. 131  (Disposizioni  per
l'adeguamento    dell'ordinamento   della   Repubblica   alla   legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
    Premette la Regione ricorrente che, in virtu' dell'art. 6, numero
2, dello statuto speciale, essa ha competenza legislativa integrativa
ed  attuativa in materia del lavoro e che, con il decreto legislativo
16 settembre 1996, n. 514 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per  la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  recanti  delega di funzioni
amministrative  alla  Regione in materia di collocamento e avviamento
al  lavoro),  «al  fine  di  realizzare  nella Regione Friuli-Venezia
Giulia  un  organico sistema di servizi per l'impiego», le sono state
delegate   le   funzioni   amministrative  in  precedenza  esercitate
dall'ufficio  regionale e dagli uffici provinciali del lavoro e della
massima   occupazione  nonche'  dalle  sezioni  circoscrizionali  per
l'impiego.
    Per  altro  verso,  a  seguito  della modifica del Titolo V della
Parte  II  della Costituzione, l'art. 117, terzo comma - da ritenersi
applicabile  anche  alla  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  in  virtu'
dell'art. 10   della   legge  costituzionale  n. 3  del  2001  -,  ha
attribuito  la  materia  della  tutela  del  lavoro  alla  competenza
legislativa   concorrente   regionale,   di   talche'   le   funzioni
amministrative  gia'  delegate  spetterebbero ora alla Regione a tale
maggior titolo.
    In   siffatto   contesto,   precisa   ancora  la  ricorrente,  e'
intervenuta  la  legge  regionale 25 gennaio 2002, n. 3 (Disposizioni
per  la  formazione del bilancio pluriennale ed annuale della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia - legge finanziaria 2002), la quale ha
assegnato  alle Province l'esercizio delle funzioni amministrative in
materia  del  lavoro, ivi comprese quelle relative al procedimento di
autorizzazione   al   lavoro  per  i  cittadini  extracomunitari,  in
precedenza  spettanti  all'Agenzia  regionale  per  l'impiego  di cui
all'art. 26  della  legge  regionale  14 gennaio 1998, n. 1 (Norme in
materia  di  politica  attiva  del  lavoro,  collocamento  e  servizi
all'impiego  nonche'  norme  in materia di formazione professionale e
personale regionale).
    Cio'  premesso,  con  un  primo  motivo,  la ricorrente deduce la
violazione,  ad  opera del citato art. 24, comma 1, del d.P.R. n. 334
del  2004,  della  propria sfera di competenza in materia di norme di
attuazione. Detta disposizione, infatti, rinviando, per la disciplina
delle  forme  di raccordo tra lo Sportello unico per l'immigrazione e
gli  uffici  regionali e provinciali, all'adozione di «apposite norme
di  attuazione»,  predeterminerebbe  il contenuto di una fonte di cui
non  potrebbe  disporre, in contrasto sia con l'art. 65 dello statuto
speciale che con l'art. 11 della legge n. 131 del 2003.
    Con  il secondo motivo, la Regione lamenta che la norma impugnata
avrebbe  realizzato  un  intervento  normativo  non  rientrante nella
materia   dell'immigrazione,  bensi'  in  quella  del  lavoro,  cosi'
violando  gli  artt. 117,  terzo comma, e 118, commi primo e secondo,
della   Costituzione   -   in   relazione   all'art. 10  della  legge
costituzionale  n. 3  del  2001  -,  che  riservano tale materia alla
competenza legislativa regionale concorrente.
    Ad  avviso  della ricorrente, infatti, nel complesso procedimento
che  regola  l'ingresso del cittadino extracomunitario nel territorio
nazionale e il suo avviamento al lavoro, ferme restando le competenze
statali  che  attengono  specificamente all'immigrazione, le funzioni
relative al rilascio del nulla osta per motivi di lavoro al cittadino
extracomunitario,  dovrebbero  essere  svolte  dagli uffici regionali
competenti  secondo la legislazione vigente, e non gia' da un ufficio
statale.
    Per   altro  verso,  osserva  la  ricorrente,  qualora  la  norma
regolamentare  in  questione,  con  riguardo  alle  regioni a statuto
speciale,  si dovesse interpretare nel senso che tale ufficio rivesta
carattere  regionale  anziche'  statale, essa risulterebbe, comunque,
illegittima  in quanto lesiva della competenza regionale esclusiva in
materia  di  organizzazione  dei propri uffici, prevista dall'art. 4,
numero 1, dello statuto di autonomia.
    Con   la  terza  censura,  la  ricorrente  deduce  la  violazione
dell'art. 117,  sesto  comma,  della  Costituzione,  poiche' lo Stato
sarebbe   intervenuto  con  un  proprio  regolamento  in  materia  di
competenza regionale.
    2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo il rigetto del ricorso, stante la sua infondatezza.
    Preliminarmente,   l'Avvocatura   osserva   che  la  disposizione
impugnata  si inserisce «in un piu' ampio sistema normativo», volto a
regolare  in  tutti  i  suoi  aspetti  l'immigrazione  dei  cittadini
extracomunitari, materia che, pur riservata alla competenza esclusiva
dello   Stato   dall'art. 117,   secondo   comma,  lettera b),  della
Costituzione, interferirebbe inevitabilmente, in considerazione della
sua ampiezza e complessita', con le competenze regionali.
    Cio'  posto, l'Avvocatura sottolinea che, ai sensi dell'art. 117,
terzo  comma,  della  Costituzione,  lo  Stato  puo' emanare principi
fondamentali  in materia di lavoro, tanto piu' necessari in un ambito
strettamente collegato con quello delle politiche immigratorie.
    Per altro verso, ad avviso della difesa erariale, la disposizione
impugnata,   nel   rinviare  ad  apposite  norme  di  attuazione  per
l'individuazione  di  forme  di  raccordo  fra lo Sportello unico e i
competenti  uffici  regionali,  lungi  dal  porre  una disciplina sul
punto,  si  sarebbe  limitata  a  dare  applicazione ai principi gia'
contenuti nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle  disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione e
norme  sulla  condizione  dello  straniero), prevedendo un necessario
coordinamento  tra  le  attribuzioni regionali in materia di lavoro e
quelle  statali  in  materia di immigrazione, al fine di garantire la
funzionalita'  e  l'uniformita' applicativa della disciplina su tutto
il territorio nazionale.
    Risulterebbe,  pertanto,  priva  di fondamento anche la doglianza
relativa  alla  pretesa  violazione  del divieto di cui all'art. 117,
sesto  comma, della Costituzione, atteso che, con la norma impugnata,
lo Stato non avrebbe esercitato alcuna potesta' regolamentare.
    3.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  la  Regione Friuli-Venezia
Giulia  e  l'Avvocatura  generale dello Stato, con memorie depositate
rispettivamente  l'11 ottobre 2006 e il 10 ottobre 2006, hanno svolto
ulteriori deduzioni ad integrazione dei loro atti introduttivi.
    3.1.  -  Ad  avviso  della Regione, sia i compiti che le funzioni
regolate   dall'art. 24,   comma 1,   del   d.P.R.  n. 334  del  2004
spetterebbero  alla  Regione,  non  sussistendo  alcuna  ragione  per
attrarre, da parte dello Stato, le funzioni tipiche della materia del
lavoro in quelle dell'immigrazione.
    In  secondo  luogo, a parere della ricorrente, la norma impugnata
non sarebbe affatto ripetitiva dei principi fissati dal d.lgs. n. 286
del  1998,  dettando,  piuttosto, con un regolamento statale anziche'
con un atto di rango legislativo, regole operative di dettaglio.
    Da  ultimo,  la  difesa  regionale osserva che, dopo l'emanazione
dell'atto  contestato,  sono  intervenute  la legge regionale 4 marzo
2005,  n. 5  (Norme  per l'accoglienza e l'integrazione sociale delle
cittadine  e dei cittadini stranieri immigrati), e la legge regionale
9 agosto  2005, n. 18 (Norme regionali per l'occupazione, la tutela e
la  qualita' del lavoro), entrambe contenenti disposizioni in materia
di  lavoro  degli immigrati, che non sono state oggetto di censura da
parte dello Stato.
    Sulla   base   delle   richiamate  disposizioni  legislative,  la
ricorrente  ritiene  che  sia  venuta meno la materia del contendere,
insistendo,  comunque,  ove  non  si  rilevassero  gli estremi per la
cessazione del conflitto, nell'accoglimento del ricorso.
    3.2.  -  La  difesa  erariale,  a  sua  volta,  nel confermare le
argomentazioni  riportate nell'atto di costituzione, ribadisce che la
disposizione  censurata  e'  espressione  della  competenza esclusiva
dello  Stato,  dovendosi  ritenere  prevalenti i profili strettamente
collegati  all'immigrazione  rispetto a quelli del rapporto di lavoro
dello straniero, insistendo, pertanto, nel rigetto del ricorso.

                       Considerato in diritto

    1.   -   Con   il   ricorso  indicato  in  epigrafe,  la  Regione
Friuli-Venezia  Giulia  ha  proposto  conflitto  di  attribuzione nei
confronti  dello Stato, in relazione all'art. 24, comma 1, del d.P.R.
18 ottobre   2004,   n. 334   (Regolamento   recante   modifiche   ed
integrazioni   al   d.P.R.  31 agosto  1999,  n. 394  in  materia  di
immigrazione),   chiedendone   l'annullamento   in   parte  qua,  per
violazione  degli  artt. 117, commi terzo e sesto, 118, commi primo e
secondo,  della  Costituzione  (in  relazione all'art. 10 della legge
costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3, recante «Modifiche al titolo
quinto della parte seconda della Costituzione»), degli artt. 4, primo
comma, e 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto
speciale  della  Regione Friuli-Venezia Giulia), nonche' dell'art. 11
della  legge  5  giugno 2003,  n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento
dell'ordinamento   della   Repubblica   alla   legge   costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3).
    In particolare, a parere della ricorrente, la norma regolamentare
impugnata,  la  quale  prevede  che  nelle Regioni a statuto speciale
siano  «disciplinate, mediante apposite norme di attuazione, forme di
raccordo  tra  lo  Sportello  unico  per  l'immigrazione e gli uffici
regionali   e  provinciali  per  l'organizzazione  e  l'esercizio  di
funzioni   amministrative   in  materia  di  lavoro  attribuite  allo
sportello  medesimo»,  risulterebbe  lesiva della sfera di competenza
riservata   alle  norme  di  attuazione  dall'art. 65  dello  statuto
speciale, e dall'art. 11 della legge n. 131 del 2003.
    In secondo luogo, la norma censurata realizzerebbe un'illegittima
attrazione  allo  Stato  di  una  serie  di  funzioni  amministrative
inerenti  alla  materia  del lavoro, cosi' violando sia la competenza
legislativa  regionale  in materia, sia il divieto di esercizio della
potesta'   regolamentare   nelle  materie  di  competenza  regionale,
stabiliti,  rispettivamente,  dagli artt. 117, commi terzo e sesto, e
118,   commi  primo  e  secondo,  della  Costituzione,  in  relazione
all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
    Infine, a avviso della ricorrente, se anche si ritenesse che, nei
confronti  della  Regione  a statuto speciale, la norma regolamentare
impugnata   regoli  competenze  di  un  ufficio  regionale,  anziche'
statale,  risulterebbe  in  ogni  caso  violata  la  competenza della
Regione  ad organizzare i propri uffici, riservatale in via esclusiva
dall'art. 4, numero 1, dello statuto speciale.
    2.  - Quanto alla prima censura, va osservato che, contrariamente
a  quanto  ritenuto  dalla  Regione  Friuli-Venezia  Giulia, la norma
regolamentare  di  cui  all'art. 24,  comma 1,  del d.P.R. n. 334 del
2004,  nel  prevedere  la  necessita'  che  siano  adottate  forme di
raccordo  fra lo Sportello unico e gli uffici regionali e provinciali
competenti  in  materia  di  lavoro,  rimette  l'individuazione della
concreta  disciplina all'adozione di apposite norme di attuazione, da
approvarsi  necessariamente con la procedura di cui all'art. 65 dello
statuto  speciale,  senza, pertanto, predeterminarne in alcun modo il
contenuto.
    2.1. - Con riferimento alla seconda censura, deve preliminarmente
osservarsi   che   la  disposizione  impugnata  si  inserisce  in  un
regolamento   statale   che   regola  la  materia  dell'immigrazione,
riservata   alla   competenza   esclusiva   dello   Stato,  ai  sensi
dell'art. 117,  comma  secondo,  lettera b),  della  Costituzione. In
particolare,   detta   disposizione,   rimarcando  l'esigenza  di  un
coordinamento  fra  gli  uffici  statali  e  regionali  implicati, e'
finalizzata  ad  assicurare la funzionalita' del procedimento volto a
disciplinare  l'ingresso  e  l'avviamento  al  lavoro  del  cittadino
extracomunitario.
    Alla   luce   delle  considerazioni  che  precedono,  dunque,  la
disposizione   regolamentare   impugnata,   in   quanto  direttamente
afferente  alla materia dell'immigrazione, non determina alcun vulnus
alle prerogative della Regione in materia di tutela del lavoro di cui
agli  artt. 117,  comma 3,  e  118,  della Costituzione, in relazione
all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
    2.2.  -  Del  pari,  tenuto  conto  che l'ambito materiale su cui
incide la norma regolamentare impugnata e' riservato in via esclusiva
allo  Stato, ai sensi dell'art. 117, comma secondo, lettera b), della
Costituzione,  risulta  infondata  anche  l'asserita  violazione  del
divieto   di   esercizio  della  potesta'  regolamentare  in  materie
regionali  di  cui all' art. 117, comma sesto, della Costituzione, in
relazione all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
    2.3.  - Sulla base di quanto precede, il conflitto deve ritenersi
infondato sotto ogni profilo.