IL TRIBUNALE Letti gli atti del proc. pen. n. 10327/06 a carico di' Chierchia Anna, nata a Gragnano (NA) il 10 giugno 1973, e di Sicignano Elena, nata a Gragnano (NA) il 22 aprile 1956; Atteso che le predette sono chiamate a rispondere con decreto di citazione diretta, emesso in data 20 aprile 2005, dei reati di cui agli artt. 582 c.p., 594 c.p., commessi il 4 luglio 2000; Rilevato che, essendo stato il dibattimento aperto in data odierna, possono applicarsi, ex art. 10, terzo comma legge n. 251/2005, ove piu' favorevoli, i termini di prescrizione previsti dall'art. 157 c.p., come novellato dall'art. 6, legge n. 251/2005 cit.; Considerato in particolare che nel caso di specie deve aversi riguardo al disposto del nuovo art. 157, quinto comma c.p., in forza del quale, allorche' per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di tre anni, che in caso di interruzione della prescrizione, puo' essere aumentato di un quarto, fino a tre anni e nove mesi; Atteso che tale previsione deve essere riferita ai reati oggi di competenza del giudice di pace, per i quali in effetti ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 274/2000 puo' essere irrogata nei casi di cui al secondo comma, lettere a) seconda parte, b) e c), la sanzione della permanenza domiciliare o del lavoro sostitutivo, in alternativa, alla mera pena pecuniaria; Rilevato che tutti i reati per cui e' processo, stante il tenore dell'imputazione, sono oggi di competenza del giudice di pace e che dunque, ai sensi dell'art. 2 c.p., essi sono soggetti al piu' favorevole trattamento sanzionatorio dettato dall'art. 52 d.lgs. n. 274 cit.; Ritenuto a tale stregua che in relazione al tipo di sanzione per essi prevista risulta corrispondentemente applicabile anche il nuovo termine di prescrizione come sopra indicato; atteso peraltro che proprio sulla scorta di tale considerazione si appalesa rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 157, comma 5 c.p., come novellato dall'art. 6, legge n. 251/2005, per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui, senza tener conto dell'effettiva gravita' dei reati, ma anzi in contrasto con la pena edittale prevista, contempla irragionevolmente termini di prescrizione diversi, a seconda che per il reato siano o meno irrogabili, in alternativa alla pena pecuniaria, la permahenza domiciliare o il lavoro sostitutivo, Osserva in particolare quanto segue Innanzi tutto deve ritenersi che il disposto dell'art. 157 comma 5 c.p., risultante dalle modifiche apportate dall'art. 6 legge n. 251/2005, non sia riferibile a reati diversi da quelli oggi di corripetenza del giudice di pace, puniti con la permanenza domiciliare o il lavoro sostitutivo. Diversamente intesa, la norma risulterebbe inapplicabile, in quanto priva di qualsivoglia concreto riferimento. D'altro canto nulla rileva che l'art. 52 d.lgs. n. 274/2000 contempli un meccanismo sanzionatorio a griglia, prevedendo al secondo comma lett. a), seconda parte, lett. b) e lett. c), in alternativa alle altre, anche la mera pena pecuniaria. In particolare deve escludersi che, per il solo fatto della possibilita' di irrogare quest'ultima, debba aversi riguardo al termine dettato dall'art. 157, comma 1 c.p., in forza del quale la prescrizione matura in almeno sei anni per i delitti e in almeno quattro anni per le contravvenzioni, anche se puniti con la sola pena pecuniaria. Il primo comma infatti correla il termine alla natura del reato mentre il quinto comma al fatto in se' che la legge stabilisca una pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria. Men che mai, stante il tenore della norma, potrebbe aversi riguardo al tipo di trattamento in concreto irrogato, atteso che la prescrizione e' correlata alla pena edittalmente prevista. Cio' posto, deve prendersi atto che vi sono reati attualmente rientranti nella competenza del giudice di pace, in genere quelli meno gravi, per i quali e' irrogabile la sola pena pecuniaria: si tratta dei casi contemplati dall'art. 52, primo comma d.lgs. n. 274/2000, cioe' dei reati originariamente puniti con la sola pena pecuniaria, come la minaccia semplice di cui all'art. 612 c.p., e dei casi contemplati dall'art. 52, secondo comma lett. a) prima parte, cioe' dei reati per i quali era prevista la pena detentiva non superiore a mesi sei alternativa a quella pecuniaria, come nel caso dell'ingiuria di cui all'art. 594 c.p. Valutando il sistema delineato dal nuovo art. 157 c.p., commi 1 e 5, deve necessariamente concludersi, non essendo possibile pervenire a soluzioni interpretative diverse, che i reati oggi di competenza del giudice di pace sono soggetti a termini di prescrizione diversi, a seconda che siano puniti con la sola pena pecuniaria, nel qual caso il termine e' di anni sei per i delitti e di anni quattro per le contravvenzioni, ovvero, in alternativa, con la permanenza domiciliare o il lavoro sostitutivo, nel qual caso il termine e' sempre di anni tre. Ma un siffatto meccanismo risulta platealmente irragionevole, in quanto, a prescindere da qualsivoglia riferimento alla possibilita' di un piu' rapido «oblio sociale dell'illecito», si contempla un termine prescrizionale piu' lungo per reati oggettivamente meno gravi (talvolta di gran lunga meno gravi), in quanto implicanti una minore offesa ad uno stesso bene ovvero lesivi di un bene di rango inferiore. E' sufficiente in proposito considerare che se taluno minaccia di picchiare un altro individuo o lo percuote, i delitti di cui agli artt. 612 e 581 c.p., puniti con pena pecuniaria, sono soggetti al termine prescrizionale di anni sei, mentre se lo stesso individuo passa effettivamente a vie di fatto, procurando lesioni lievi, il reato, punito anche con permanenza domiciliare o lavoro sostitutivo, e' soggetto al termine di prescrizione di anni tre. Analogamente nel rapporto tra ingiuria e diffamazione. Ad una siffatta irrazionalita', ascrivibile a malgoverno della discrezionalita' legislativa e non emendabile in malam partem, non puo' ovviarsi che con l'unificazione del termine di prescrizione per tutti i reati di competenza del giudice di pace, nel senso che sia per essi indistintamente applicabile il termine di anni tre, come previsto dall'art. 157, comma 5 c.p.. Cio' risponde del resto all'eadem ratio della creazione di un «diritto mite», in cui la mitezza si rifletta non solo, nel trattamento sanzionatorio ma anche nella delimitazione del lasso temporale entro il quale permane l'interesse alla punizione. La questione e' nella specie rilevante, in quanto alle imputate sono contestati il reato di lesioni personali lievi, per il quale e' applicabile il termine di prescrizione piu' breve e che dunque potrebbe considerarsi gia' prescritto, e il reato di ingiuria, per il quale e' teoricamente applicabile il termine di prescrizione ordinaria di anni sei aumentabile di un quarto fino a anni sette e mesi sei, o, che e' lo stesso, il termine di anni cinque aumentabile fino ad anni sette e mesi sei, previsto dall'art. 157 c.p. nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dalla legge n. 251/2005, ma che potrebbe parimenti considerarsi prescritto in caso di ritenuta fondatezza della questione di legittimita' costituzionale.