IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma 2 legge n. 87/1953, sul ricorso 669/2006 proposto da: Manganaro C. s.r.l., rappresentata e difesa da Mauceri avv. Francesco con domicilio eletto in Catania via Conte Ruggero 9, presso Mauceri avv. Francesco contro Ministero delle infrastrutture e dei trasporti rappresentato e difeso da: Avvocatura dello Stato, con domicilio eletto in Catania, via Vecchia Ognina, 149 presso la sua sede Comune di Catania, rappresentato e difeso da: Patane' avv. Paolo, con donicilio eletto in Catania, via G. Oberdan, 141 presso la sua sede Italferr S.p.A. - Gruppo Ferrovie dello Stato Rete - Ferroviaria Italiana S.p.A. rappresentato e difeso da: Ali' avv. Michele, con doniicilio eletto in Catania, via Crociferi, 60 presso la sua sede per l'annullamento del decrto di occupazione di urgenza preordinato all'espropriazione e di occupazione temporanea del 7 dicembre 2005, prot. n. 009, adottato dalla Rete Ferroviaria Italiana - R.F.I. S.p.A. - Direzione compartimentale infrastruttura di Palermo - Ufficio territoriale per le espropriazioni, con il quale e' stata disposta l'occupazione anticipata d'urgenza preordinata all'espropriazione dell'immobile della societa' ricorrente ed e' stata determinata, seppur genericamente, l'indennita' da offrire in via provvisoria; del provvedimento del sindaco del Comune di Catania del 7 luglio 2003, n. 20 di approvazione del progetto di raddoppio del binario nella tratta Catania Ognina - Catania C.le con dichiarazione della pubblica utilita', nella parte in cui e' riferibile all'immobile di proprieta' della ricorrente; del provvedimento della Italferr S.p.A. prot. n. DP.PAE1017 del 6 dicembre 2005, notificato il 5 gennaio 2006, con il quale sono stati comunicati i precitati altri provvedimenti ed e' stato dato avviso della successiva immissione in possesso; del relativo verbale di consistenza e di immissione in possesso del 12 gennaio 2006; di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente. Visto il ricorso introduttivo del giudizio; Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso; Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Catania, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e della Rete Ferroviaria Italiana S.p.A.; Udito nella Camera di consiglio del 6 Aprile 2006 il relatore cons. Pancrazio Maria Savasta; Uditi gli avvocati come da verbale; Vista la documentazione tutta in atti; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: In fatto Con provvedimento n. 20 del 7 luglio 2003, il sindaco del Comune di Catania, quale commissario delegato (giusta O.P.C.M. n. 3259/2002), approvava, in variante al P.R.G. ed in deroga alle normative vigenti, il progetto relativo al completamento del raddoppio ferroviario Catania Ognina - Catania Centrale, redatto dalla «R.F.I.» S.p.A., con valore di dichiarazione di pubblica utilita', urgenza ed indifferibilita' delle opere, nonche' con effetto sostitutivo di autorizzazioni, visti e pareri della legislazione derogata. I lavori previsti in progetto riguardavano, tra l'altro, il terreno ove e' situato il fabbricato di proprieta' della ricorrente, adibito all'esercizio della propria attivita' commerciale. Con decreto di occupazione di urgenza preordinato all'espropriazione e di occupazione temporanea del 7 dicembre 2005, prot. n. 009, adottato dalla Rete Ferroviaria Italiana - R.F.I. S.p.A. - Direzione compartimentale Infrastruttura di Palermo - Ufficio territoriale per le espropriazioni, e' stata disposta l'occupazione anticipata d'urgenza preordinata all'espropriazione dell'immobile della societa' ricorrente ed e' stata determinata, seppur genericamente, l'indennita' da offrire in via provvisoria. In data 12 gennaio 2006, la Italfer S.p.A. procedeva alla immissione in possesso dei beni della ricorrente, previa redazione del verbale di consistenza. Con il ricorso in epigrafe, notificato il 25 febbraio 2006 e depositato il 2 marzo 2006, la ricorrente ha impugnato i suddetti atti, affidandosi ai seguenti motivi di gravame: I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e ss. del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, come modificato dal decreto legislativo n. 302/2002. Eccesso di potere per difetto di motivazione, per errore nel presupposto, per contraddittorieta'. II. Ulteriore profilo di violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e ss. del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, siccome modificato dal decreto legislativo n. 302/2002. Eccesso di potere per illogicita' manifesta e per carenza di istruttoria. III. Violazione e falsa applicazione degli artt 7 - l3 e 22 della l. n. 7/agosto/1990, n. 241 siccome recepiti dalla l.r. sic. 34/aprile/1991, n. 10. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. IV. La ricorrente ha, inoltre, proposto istanza di risarcinento del danno. Costituitasi, l'Avvocatura di Stato per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha concluso per l'infondatezza del gravame. Il Comune di Catania e la R.F.I. S.p.A. hanno, inoltre, prelintinarmente rappresentato l'incompetenza funzionale di questo Tribunale a favore del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, in applicazione dell'art. 3, commi 2-bis, ter e quater, del d.l. 30 novembre 2005, n. 245, cosi' come introdotti dalla legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21. Nella camera di consiglio del 6 aprile 2006 la domanda cautelare e' stata trattenuta per la decisione. D i r i t t o Le parti ricorrenti assumono che l'occupazione di urgenza, preordinata all'espropriazione del loro immobile, e' illegittima in quanto essenzialmente adottata in deroga alle garanzie di legge, specialmente partecipative, nonche' in difetto di motivazione e mediante un'immissione in possesso priva dei necessari riferimenti relativi ai luoghi dell'esproprio. Piu' dettagliatamente, secondo la ricorrente, il decreto di occupazione d'urgenza preordinato all'espropriazione, adottato dalla R.F.I. S.p.A. su espressa delega (provvedimento n. 23 del 20 settembre 2003) del sindaco commissario delegato per l'emergenza traffico, non conterrebbe, cosi' come la richiamata dichiarazione di pubblica utilita' contenuta nell'approvazione del progetto definitivo dell'opera (provvedimento n. 20 del 7 luglio 2003 del predetto Commissario), alcuna concreta indicazione della particolare motivazione richiesta dal d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. I) Il ricorso, come chiarito in premessa, e' rivolto a censurare un provvedimento adottato all'esito di una procedura posta in essere dal sindaco di Catania nell'esercizio dei poteri a questo conferiti in qualita' di Commissario delegato di protezione civile per l'emergenza traffico. Pertanto, il Collegio deve affrontare d'ufficio la questione relativa alla competenza inderogabile del Tribunale amministrativo regionale del Lazio a conoscere della vicenda. Tale competenza sorge per effetto della norma di cui alla legge n. 21/2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio 2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone: omissis . . . «2-bis. In tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, la competenza di primo grado a conoscere della legittimita' delle ordinanze adottate e dei consequenziali provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari, al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma. 2-ter. Le questioni di cui al comma 2-bis, sono rilevate d'ufficio. Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell'articolo 26, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando applicazione i commi 2 e seguenti dell'articolo 23-bis della stessa legge. 2-quater. Le norme di cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano anche ai processi in corso. L'efficacia delle misure cautelari adottate da un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al comma 2-bis permane fino alla loro modifica o revoca da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata puo' riproporre il ricorso». Osserva il Collegio che la fattispecie in esame e' attratta nell'applicazione della citata l. n. 21/2006, art. 3, in quanto il sindaco del Comune di Catania ha agito come delegato dell'emergenza traffico, fattispecie rientrante nel novero delle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, cosi' come emerge dall'espresso richiamo di detta disposizione nel preambolo dell'O.P.C.M. 20 dicembre 2002 n. 3259 di conferimento dei poteri straordinari, che, a sua volta, richiama l'altra O.P.C.M. 29 novembre 2002 n. 3254 emanata di seguito al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 ottobre 2002, con il quale e' stato dichiarato lo stato di emergenza in ordine ai gravi fenomeni eruttivi connessi all'attivita' vulcanica dell'Etna nel territorio della provincia di Catania ed agli eventi sismici concernenti la medesima area. Il Collegio, pertanto, ritenendola rilevante ai fini della decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio e non manifestamente infondata, solleva questione di legittimita' costituzionale del predetto art. 3, e segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni bis, ter, quater, come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come gia' fatto in ordine ad altra fattispecie per la cui decisione e' venuta in rilievo la medesima norma (Tribunale amministrativo regionale Catania, I, Ord. n. 90 del 7 marzo 2006) e per una ulteriore questione, invece, pressocche' identica (Tribunale amministrativo regionale Catania, Ord. n. l45 del 4 aprile 2006) I. La rilevanza della questione ai fini della decisione da assumere e' di tutta evidenza. Il Collegio sarebbe tenuta sulla base della normativa espressa dalla richiamata l. n. 21/2006 - ove non dubitasse della incostituzionalita' di essa e quindi non ritenesse necessario investire il giudice delle leggi della relativa questione - a trasmettere gli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio e cio' per espressa disposizione della nuova disciplina che ne prescrive l'applicazione. In sostanza non potrebbe questo Giudicante adottare alcuna decisione, neanche sulla correttezza della procedura ed in punto di ammissibilita' del ricorso, in quanto ostacolato dalla puntuale disposizione che stabilisce la competenza funzionale del Tribunale amministrativo regionale Lazio, ogniqualvolta si tratti, come nel caso di specie, di gravami volti a censurare provvedimenti afferenti situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225. Non vale a mutare la superiore considerazione il fatto che il giudizio sia stato chiamato ad essere trattato in camere di consiglio per la sua sola domanda cautelare, posto che la chiara dizione delle disposizioni in esame non lascia adito a dubbi e, per effetto del combinato disposto di cui all'art. 21 e 26 della legge Tribunale amministrativo regionale ivi richiamato, in sede della trattazione cautelare il Collegio dovrebbe con sentenza breve dichiarare la competenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio e concludere il giudizio, salva la riassunzione di esso a cura delle parti di fronte al Tribunale amministrativo regionale competente, nornativamente prevista. II) Circa la non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno sospettare le norme in esame di incostituzionalita', osserva il collegio che la normativa introdotta dal legislatore con l'art. 3, comma 2, da bis a quater, della legge n. 21/2006, contrasta innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa di primo grado ivi espressa «Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica» che implica il rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di competenza dei singoli organi predetti. Non appaiono, all'evidenza, manifeste o comunque sufficienti ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera di competenze costituzionalmente garantita nella materia di cui trattasi quando, come nel caso in esame, le singole situazioni di emergenza hanno rilievo spiccatamente locale con conseguente efficacia locale dei relativi provvedimenti adottati dai soggetti delegati alla cura delle varie situazioni emergenziali, anche se (arg. ex art. 2 comma 1 lett. «c» della legge n. 225/1992, richiamato dall'art. 5 comma 1 l. cit.) essi sono adottati per fare fronte a situazioni che «per intensita ed estensione debbono essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari». II.a) Anzi, sotto questo aspetto, la norma e' altresi' contraddittoria ed irrazionale in quanto sottopone al medesimo trattamento processuale situazioni disparate e differenti tra di loro. In questo quadro, l'art. 5 comma 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione normativa, i casi in cui (ex art. 2 comma 1 lett. «c» della legge n. 225/1992) sia necessario fare fronte con mezzi e poteri straordinari alle calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi che richiedano tale intervento per intensita' ed estensione. La previsione di cui alla legge n. 21/06 radica la competenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio in tutti i casi in cui sia dichiarato lo stato di emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5 appena citato e quindi con esclusione dei casi di intervento di protezione civile per gli eventi che possano essere affrontati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2 lett. «a») e di quelli che richiedano intervento coordinato di questi ultimi (art. 2 lett. «b».). Quindi, il sistema della Protezione Civile e' articolato in vari livelli di intervento, contraddistinti dal corrispondente grado di ampiezza della situazione emergenziale. Ne deriva che per ogni tipologia territoriale e «qualitativa» della situazione di emergenza e' chiamato ad intervenire in merito il «livello» di governo piu' vicino alla concreta dimensione delle comunita' colpite e della natura dell'emergenza, secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e senza escludere - funzionalmente e residualmente - che determinate funzioni siano «trasversali» ossia comprendano le competenze di piu' amministrazioni o livelli di governo. A fronte di questa multiformita' possibile di manifestazioni concrete dell'esercizio del potere, la regola generale di ripartizione delle competenze delineata dagli artt. 2 e ss della legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente con l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della legge n. 21/06, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex lege rilevanza nazionale a qualsiasi controversia insorga nell'esercizio del potere di protezione civile, facendo leva solo sulla necessita' che esso presupponga l'intervento extra ordinem e quindi a dispetto dell'articolazione del potere previsto dalla legge n. 225/92, posto che assegna in maniera indiscriminata la competenza funzionale a conoscere delle relative questioni al Tribunale amministrativo regionale Lazio. In altri termini, con la norma in esame, il Legislatore, sul semplice presupposto della necessita' di' interventi di protezione civile extra ordinem, pare abbia cristallizzato una valutazione di rilevanza nazionale degli stessi, a prescindere, come sembra apparire nel caso di specie, dalla loro eventuale incidenza meramente periferica. Appare utile rilevare, in questa sede, come la giurisprudenza della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che: - con l'articolo 5 della legge n. 225 del 1992 e' attribuito al Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza in ipotesi di calamita' naturali, ed a seguito della dichiarazione di emergenza, e per fare fronte ad essa, lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, il Ministro dell'interno possano adottare ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico; - l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta, chiarisce che tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che il riconoscimento di poteri straordinari e derogatori della legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale; - queste ultime due previsioni, inoltre, sono gia' state ritenute dalla Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come espressive di un principio fondamentale della materia della protezione civile, sicche' deve ritenersi che esse delimitino il potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze legislative delineato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione). Alla luce di quanto sopra ricordato, la Corte ha dichiarato illegittimo l'articolo 4, comma 4, della legge della Regione Campania n. 8 del 2004, nella misura in cui essa ha attribuito al sindaco di Napoli i poteri commissariali dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del Ministro dell'interno, dopo la scadenza della emergenza alla cui soluzione tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto co l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. 82/2006) . Tale ragionamento comporta che, in relazione alla legge n. 225/1992 ed all'art. 107 comma 1 lettere b e c d.lgs. 112/1998, possiedono rilievo nazionale «solamente» il potere di dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure ad esso finalisticamente connesso, di derogare a norme dell'ordinamento. Ne consegue dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame e' irragionevole per contraddittorieta' e disparita' di trattamento processuale, poiche' utilizza lo stesso trattamento per situazioni del tutto differenti quanto ad ambito territoriale e livello e qualita' degli interessi pubblici coinvolti, nonche' per contrasto con l'art. 117 della Costituzione, poiche' implicitamente, finisce per attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla competenza regionale. II.b) Ancora, l'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una effettiva natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei provvedimenti sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale amministrativo regionale Lazio, comporta indubbia violazione dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di tutela dei propri diritti ed interessi enunciata al primo comma; detta tutela ne risulta minorata, per la evidente maggiore difficolta' di esercitare le relative azioni presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti. Cio' vale sia per la fase transitoria in cui i giudizi pendenti trasmigrano al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sia per le future nuove controversi e che secondo la nuova normativa dovrebbero essere ab initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale. Anche l'art. 25 della Carta costituzionale risulti vulnerato dalla normativa denunciata dal collegio; e se ne trae conferma da una recente decisione della Corte costituzionale, che, sebbene in relazione a discipline totalmente diversa, ha avuto nodo di affermare un principi generale, che e' quello della appartenenza della competenze territoriale alla nozione del giudice naturale precostituito per legge. Precisamente, la sentenza n. 41 del 2006 afferma, anzi, ribadisce (come testualmente essa si esprime, citando sentenze precedenti in termini), che «alla nozione del giudice naturale precostituito per legge non e' affatto estranea "la ripartizione della competenza territoriale tra giudici, dettata da normativa nel tempo anteriore alla istituzione del giudizio" (sentenze n. 251 del 1986 e n. 410 del 2005)». III) Da ultimo, secondo un aspetto diverso che si' riconnette ancora al tema del giudice naturale, la norma in esame viola l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia (legge costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948) a norma del quale: «Gli organi giuri sdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione. Le Sezioni del Consiglio di Stato e della Corte" dei conti svolgeranno altresi' le funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e contabile. I magistrati della Corte dei conti sono nominati, di accordo, dai Governi dello Stato e della Regione. I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal presidente della Regione sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e' stata «interpretata» dall'art. 5 del d.lgs 6 maggio 1948 n. 654, contenente norme per l'esercizio delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato nella Regione Sicilia, il quale prevede che il Consiglio di Giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e provvedimenti definitivi «dell'amministrazione regionale e delle altre autorita' amministrative aventi sede nel territorio della Regione». Osserva il Collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost. in data 12 marzo 1975, n. 61, dichiarando l'illegittimita' costituzionale delle limitazioni poste dall'art. 40 legge 6 dicembre 1971, n. 1034, alla competenza del Tribunale amministrativo regionale Sicilia, e' stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite tutte le controversie d'interesse regionale considerate tali dall'art. 23, comma 1, d.l. 15 maggio 1946, n. 455, comprendendosi intale categoria le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale ovvero concernenti pubblici dipendenti in servizio nella regione siciliana» (Consiglio Stato, sez. 6 VI, 26 luglio 1979, n. 595). Quindi la legge n. 2l/06, in esame, e' costituzionalmente illegittima anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23 dello Statuto regionale, sia nella sua formulazione letterale, che nella interpretazione pacifica che di esso ha maturato la giurisprudenza, anche costituzionale, non riserva al Consiglio di giustizia amministrativa ed in primo grado al Tribunale amministrativo regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale. IV) Tanto premesso, il Collegio ritiene di dover evidenziare altri profili di incostituzionalita' delle norme in esame, seppur non immediatamente rifluenti sul giudizio in esame, che, in quanto introdotto successivamente alla pubblicazione della legge regionale n. 21/2006, non puo' definirsi, quindi, «pendente» al momento della sua pubblicazione. L'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una effettiva natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei provvedimenti sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale amministrativo regionale Lazio, comporta, come gia' ritenuto, indubbia violazione dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di tutela dei propri diritti ed interessi enunciata al primo comma; detta tutela, come gia' detto, ne risulta minorata per la evidente maggiore difficolta' ed il maggior dispendio anche economico di esercitare le relative azioni presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti. Cio' vale sia per la fase transitoria in cui i giudizi pendenti trasmigrano al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sia per le future nuove controversie che secondo la nuova normativa dovrebbero essere ab initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale. La Corte ha ritenuto, in un caso in cui il legislatore aveva disposto l'estinzione ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma primo, legge n. 425/1984), che siffatta disposizione, in quanto «preclude al giudice la decisione di merito imponendo gli di dichiarare d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi stato e grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge sopravvenuta», percio' stesso «viola il valore costituzionale del diritto di agire, in quanto implicante il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte costituzionale, sentenza n. 123 del 1987). Sebbene la fattispecie in esame sia diversa da quella oggetto della citata pronuncia, il principio tuttavia, ad avviso del collegio, e' nello stesso modo applicabile. Accade infatti, posto che la norma in esame equipara la pendenza del giudizio alla successiva introduzione, che chi abbia gia' un giudizio pendente davanti al Tribunale amministrativo regionale locale, ed addirittura abbia ottenuto una decisione cautelare, debba proseguire altrove nella propria iniziativa giudiziaria, addirittura (se ne parlera' piu' diffusamente infra) rimanendo esposto ad una seconda pronuncia cautelare sollecitata dalla parte soccombente davanti al giudice adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione. V) Altro profilo di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre, nella violazione, sotto diverso profilo rispetto a quanto gia' rappresentato, del principio del giudice naturale precostituito per legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale ora citata stabilendo che «nessuno puo' essere di stolto dal giudice naturale precostituito per legge», esclude, come la stessa Corte costituzionale afferma, «che vi possa essere una designazione tanto da parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole generali, quanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»; il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti, richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002). Come la Corte ha insegnato, perche' tale principio possa considerarsi rispettato occorre che «... la regola di competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta scorrere le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia di principio del giudice naturale per rilevare che e' proprio la preesistenza della regola che individua la competenza rispetto al giudizio il criterio fondamentale in base al quale sono state valutate le questioni sollevate. Tale profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente, ad avviso del collegio, nella parte della disciplina in questione (comma 2-quater), che non solo ne dispone l'applicazione ai processi pendenti, ma addirittura consente una riforma dei provvedimenti assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera di un organo giurisdizionale pariordinato a quelli di provenienza (trattasi di giudici tutti di primo grado, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio non essendo un «super-Tribunale amministrativo regionale»). Cosi' facendo, in sostanza, il legislatore ha introdotto un rimedio inedito, che non e' di secondo grado e che finisce per costituire un doppione del gia' espletato giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna possibilita' di inquadramento tra i rimedi noti tipizzati (appello, revocazione, reclamo). Pertanto, anche l'art. 25 della Carta costituzionale risulta vulnerato dalla normativa denunciata dal collegio. Per altro, atteso che il principio del doppio grado di giudizio nella giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di merito, riceve garanzia costituzionale dall'art. 125 della Carta (cfr. Corte cost., sentenza n. 8 del 1982), si configura un ulteriore profilo di violazione di detta norma. Viene infatti ad essere introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso (su cui gia' il Collegio ha poco prima espresso i propri dubbi di incostituzionalita) che stravolge l'ordinario iter giudiziario. La regola e' che ad un giudizio di primo grado segua, ove la parte soccombente appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti di giudizio cautelare, sia che si tratti di giudizio di merito; giammai e' prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato a riformare la decisione del primo giudice. Orbene, ad avviso del Collegio, siffatta disciplina integra altresi' violazione del principio del «giusto processo», di cui all'art. 111, comma primo, della medesima Carta («La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge»). Sempre con riferimento ai processi pendenti, infatti, la parte soccombente nel giudizio cautelare verrebbe ad essere fornita di uno strumento giurisdizionale anomalo e atipico a tutela della propria (legittima, ma da esercitare in modi conformi ai principi costituzionali) aspirazione ad ottenere una pronuncia favorevole in secondo grado (che deve tuttavia essere un vero giudizio di secondo grado, e non, si ribadisce, un inedito duplicato del giudizio di primo grado). Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio del ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale principio del «giusto processo» teste richiamato. VI) Un'ulteriore considerazione appare opportuna, in quanto non rilevata nelle precedenti richiamate ordinanze di rinvio di questa stessa sezione. Come gia' premesso, la possibilita', espressa al comma 4-quater, di riproposizione del ricorso presso il Tribunale amministrativo regionale Lazio a cura della parte interessata introduce un'ulteriore elemento di dissonanza nel sistema, segnatamente in disarmonia all'art. 24 Cost., posto che consente un riesame della decisione cautelare presso il Tribunale amministrativo regionale Centrale (con espressa possibilita' di modifica) proprio ad iniziativa anche dell'Amministrazione e/o del controinteressato. A dette parti processuali, secondo la richiamata norma costituzionale, non e' certamente conferito l'impulso processuale (ma la resistenza a difesa del provvedimento amministrativo), prerogativa esclusiva della parte ricorrente, cui pertiene la tutela del diritto di difesa dei propri interessi e diritti. Il ribaltamento consentito dalla norma sospettata di incostituzionalita', quindi, mentre per un verso introduce un allungamento della serie delle possibili decisioni, in violazione dell'art. 25 Cost., per un altro promuove un non consentito originario impulso processuale da parte degli originari resistenti in giudizio, con pregiudizio, come chiarito, dell'art. 24 Cost. VI) In conclusione, il Collegio ravvisa la rilevanza e' la non manifesta infondatezza, per violazione degli artt. 3, 125, 24 e 25 della Costituzione e per contrasto con l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, comma 2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006. Va, pertanto, disposta - ai sensi dell'art. 134 Cost., dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e dell'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87 - la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, oltre agli ulteriori adempimenti di legge meglio indicati in dispositivo.