IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma
2  legge  n. 87/1953,  sul ricorso 669/2006 proposto da: Manganaro C.
s.r.l.,   rappresentata  e  difesa  da  Mauceri  avv.  Francesco  con
domicilio  eletto in Catania via Conte Ruggero 9, presso Mauceri avv.
Francesco  contro  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei trasporti
rappresentato  e  difeso  da:  Avvocatura  dello Stato, con domicilio
eletto  in Catania, via Vecchia Ognina, 149 presso la sua sede Comune
di  Catania,  rappresentato  e  difeso  da:  Patane'  avv. Paolo, con
donicilio  eletto  in Catania, via G. Oberdan, 141 presso la sua sede
Italferr  S.p.A.  -  Gruppo  Ferrovie  dello Stato Rete - Ferroviaria
Italiana  S.p.A.  rappresentato  e  difeso da: Ali' avv. Michele, con
doniicilio  eletto  in  Catania, via Crociferi, 60 presso la sua sede
per  l'annullamento  del decrto di occupazione di urgenza preordinato
all'espropriazione  e  di occupazione temporanea del 7 dicembre 2005,
prot.  n. 009,  adottato  dalla  Rete  Ferroviaria  Italiana - R.F.I.
S.p.A.  -  Direzione  compartimentale  infrastruttura  di  Palermo  -
Ufficio  territoriale  per  le  espropriazioni, con il quale e' stata
disposta     l'occupazione     anticipata    d'urgenza    preordinata
all'espropriazione  dell'immobile  della  societa'  ricorrente  ed e'
stata  determinata,  seppur genericamente, l'indennita' da offrire in
via provvisoria;
    del  provvedimento del sindaco del Comune di Catania del 7 luglio
2003,  n. 20  di  approvazione  del progetto di raddoppio del binario
nella  tratta  Catania  Ognina - Catania C.le con dichiarazione della
pubblica  utilita',  nella parte in cui e' riferibile all'immobile di
proprieta'  della ricorrente; del provvedimento della Italferr S.p.A.
prot.  n. DP.PAE1017  del  6  dicembre  2005, notificato il 5 gennaio
2006,   con   il  quale  sono  stati  comunicati  i  precitati  altri
provvedimenti  ed e' stato dato avviso della successiva immissione in
possesso;  del  relativo  verbale  di  consistenza e di immissione in
possesso del 12 gennaio 2006;
    di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente.
    Visto il ricorso introduttivo del giudizio;
    Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
    Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento
impugnato;
    Visto  l'atto  di costituzione in giudizio del Comune di Catania,
del  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti e della Rete
Ferroviaria Italiana S.p.A.;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio del 6 Aprile 2006 il relatore
cons. Pancrazio Maria Savasta;
    Uditi gli avvocati come da verbale;
    Vista la documentazione tutta in atti;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              In fatto

    Con  provvedimento n. 20 del 7 luglio 2003, il sindaco del Comune
di    Catania,    quale   commissario   delegato   (giusta   O.P.C.M.
n. 3259/2002),  approvava,  in  variante  al P.R.G. ed in deroga alle
normative   vigenti,   il  progetto  relativo  al  completamento  del
raddoppio  ferroviario  Catania  Ognina  -  Catania Centrale, redatto
dalla  «R.F.I.»  S.p.A.,  con  valore  di  dichiarazione  di pubblica
utilita',  urgenza  ed  indifferibilita'  delle  opere,  nonche'  con
effetto   sostitutivo   di   autorizzazioni,  visti  e  pareri  della
legislazione derogata.
    I  lavori  previsti  in  progetto  riguardavano,  tra l'altro, il
terreno  ove e' situato il fabbricato di proprieta' della ricorrente,
adibito all'esercizio della propria attivita' commerciale.
    Con    decreto    di    occupazione    di   urgenza   preordinato
all'espropriazione  e  di occupazione temporanea del 7 dicembre 2005,
prot.  n. 009,  adottato  dalla  Rete  Ferroviaria  Italiana - R.F.I.
S.p.A.  -  Direzione  compartimentale  Infrastruttura  di  Palermo  -
Ufficio   territoriale  per  le  espropriazioni,  e'  stata  disposta
l'occupazione  anticipata  d'urgenza  preordinata  all'espropriazione
dell'immobile  della  societa'  ricorrente  ed  e' stata determinata,
seppur  genericamente, l'indennita' da offrire in via provvisoria. In
data  12 gennaio 2006, la Italfer S.p.A. procedeva alla immissione in
possesso  dei  beni della ricorrente, previa redazione del verbale di
consistenza.
    Con  il  ricorso  in  epigrafe,  notificato il 25 febbraio 2006 e
depositato  il  2  marzo  2006, la ricorrente ha impugnato i suddetti
atti, affidandosi ai seguenti motivi di gravame:
      I.  Violazione  e  falsa  applicazione degli artt. 20 e ss. del
d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, come modificato dal decreto legislativo
n. 302/2002. Eccesso di potere per difetto di motivazione, per errore
nel presupposto, per contraddittorieta'.
      II.  Ulteriore profilo di violazione e falsa applicazione degli
artt. 20  e  ss. del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, siccome modificato
dal   decreto   legislativo   n. 302/2002.   Eccesso  di  potere  per
illogicita' manifesta e per carenza di istruttoria.
      III.  Violazione  e  falsa  applicazione degli artt 7 - l3 e 22
della  l.  n. 7/agosto/1990,  n. 241 siccome recepiti dalla l.r. sic.
34/aprile/1991, n. 10. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.
      IV. La ricorrente ha, inoltre, proposto istanza di risarcinento
del danno.
    Costituitasi,  l'Avvocatura  di  Stato  per  il  Ministero  delle
infrastrutture  e  dei  trasporti  ha concluso per l'infondatezza del
gravame.
    Il   Comune  di  Catania  e  la  R.F.I.  S.p.A.  hanno,  inoltre,
prelintinarmente  rappresentato  l'incompetenza  funzionale di questo
Tribunale  a favore del Tribunale amministrativo regionale del Lazio,
in  applicazione  dell'art. 3, commi 2-bis, ter e quater, del d.l. 30
novembre   2005,   n. 245,  cosi'  come  introdotti  dalla  legge  di
conversione 27 gennaio 2006, n. 21.
    Nella  camera di consiglio del 6 aprile 2006 la domanda cautelare
e' stata trattenuta per la decisione.

                            D i r i t t o

    Le  parti  ricorrenti  assumono  che  l'occupazione  di  urgenza,
preordinata  all'espropriazione  del loro immobile, e' illegittima in
quanto  essenzialmente  adottata  in  deroga  alle garanzie di legge,
specialmente  partecipative,  nonche'  in  difetto  di  motivazione e
mediante  un'immissione  in  possesso priva dei necessari riferimenti
relativi  ai luoghi dell'esproprio. Piu' dettagliatamente, secondo la
ricorrente,   il   decreto   di   occupazione  d'urgenza  preordinato
all'espropriazione,  adottato  dalla R.F.I. S.p.A. su espressa delega
(provvedimento  n. 23  del 20 settembre 2003) del sindaco commissario
delegato  per  l'emergenza  traffico,  non conterrebbe, cosi' come la
richiamata    dichiarazione    di    pubblica    utilita'   contenuta
nell'approvazione  del  progetto definitivo dell'opera (provvedimento
n. 20  del  7  luglio 2003 del predetto Commissario), alcuna concreta
indicazione  della  particolare  motivazione  richiesta  dal d.P.R. 8
giugno 2001, n. 327.
    I)  Il ricorso, come chiarito in premessa, e' rivolto a censurare
un  provvedimento adottato all'esito di una procedura posta in essere
dal  sindaco  di Catania nell'esercizio dei poteri a questo conferiti
in   qualita'  di  Commissario  delegato  di  protezione  civile  per
l'emergenza traffico. Pertanto, il Collegio deve affrontare d'ufficio
la  questione  relativa  alla  competenza  inderogabile del Tribunale
amministrativo regionale del Lazio a conoscere della vicenda.
    Tale  competenza  sorge per effetto della norma di cui alla legge
n. 21/2006,  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio
2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone: omissis . . .
«2-bis.  In  tutte  le  situazioni  di  emergenza dichiarate ai sensi
dell'articolo  5,  comma  1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, la
competenza  di  primo  grado  a  conoscere  della  legittimita' delle
ordinanze  adottate  e dei consequenziali provvedimenti commissariali
spetta  in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari,
al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma.
    2-ter.  Le  questioni  di  cui  al  comma  2-bis,  sono  rilevate
d'ufficio.  Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito
con  sentenza succintamente motivata ai sensi dell'articolo 26, della
legge  6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando
applicazione  i  commi 2 e seguenti dell'articolo 23-bis della stessa
legge.
    2-quater.  Le  norme  di  cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano
anche  ai  processi  in  corso.  L'efficacia  delle  misure cautelari
adottate  da  un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al
comma  2-bis  permane  fino  alla loro modifica o revoca da parte del
Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio, con sede in Roma, cui
la parte interessata puo' riproporre il ricorso».
    Osserva  il  Collegio  che  la  fattispecie  in esame e' attratta
nell'applicazione  della  citata  l. n. 21/2006, art. 3, in quanto il
sindaco  del  Comune di Catania ha agito come delegato dell'emergenza
traffico,  fattispecie  rientrante  nel  novero  delle  situazioni di
emergenza  dichiarate  ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge
24 febbraio 1992, n. 225, cosi' come emerge dall'espresso richiamo di
detta  disposizione  nel  preambolo  dell'O.P.C.M.  20  dicembre 2002
n. 3259  di  conferimento  dei poteri straordinari, che, a sua volta,
richiama l'altra O.P.C.M. 29 novembre 2002 n. 3254 emanata di seguito
al  decreto  del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 ottobre
2002,  con  il  quale  e'  stato  dichiarato lo stato di emergenza in
ordine  ai  gravi  fenomeni eruttivi connessi all'attivita' vulcanica
dell'Etna  nel  territorio  della provincia di Catania ed agli eventi
sismici concernenti la medesima area.
    Il  Collegio,  pertanto,  ritenendola  rilevante  ai  fini  della
decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti
al  Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  e non manifestamente
infondata,  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
predetto  art. 3,  e  segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni
bis,  ter,  quater,  come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come
gia'  fatto  in  ordine  ad altra fattispecie per la cui decisione e'
venuta   in  rilievo  la  medesima  norma  (Tribunale  amministrativo
regionale  Catania,  I,  Ord.  n. 90  del  7  marzo  2006)  e per una
ulteriore   questione,   invece,   pressocche'   identica  (Tribunale
amministrativo regionale Catania, Ord. n. l45 del 4 aprile 2006)
    I.  La  rilevanza  della  questione  ai  fini  della decisione da
assumere  e' di tutta evidenza. Il Collegio sarebbe tenuta sulla base
della  normativa  espressa  dalla  richiamata l. n. 21/2006 - ove non
dubitasse  della  incostituzionalita'  di essa e quindi non ritenesse
necessario  investire il giudice delle leggi della relativa questione
-  a trasmettere gli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio
e  cio'  per  espressa  disposizione  della  nuova  disciplina che ne
prescrive l'applicazione.
    In  sostanza  non  potrebbe  questo  Giudicante  adottare  alcuna
decisione,  neanche  sulla correttezza della procedura ed in punto di
ammissibilita'  del  ricorso,  in  quanto  ostacolato  dalla puntuale
disposizione  che  stabilisce  la competenza funzionale del Tribunale
amministrativo  regionale  Lazio,  ogniqualvolta  si tratti, come nel
caso  di specie, di gravami volti a censurare provvedimenti afferenti
situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1,
della legge 24 febbraio 1992, n. 225.
    Non  vale  a  mutare  la superiore considerazione il fatto che il
giudizio sia stato chiamato ad essere trattato in camere di consiglio
per  la sua sola domanda cautelare, posto che la chiara dizione delle
disposizioni  in  esame  non  lascia adito a dubbi e, per effetto del
combinato  disposto  di  cui  all'art. 21  e 26 della legge Tribunale
amministrativo  regionale  ivi  richiamato, in sede della trattazione
cautelare  il  Collegio  dovrebbe  con  sentenza  breve dichiarare la
competenza  del Tribunale amministrativo regionale Lazio e concludere
il  giudizio,  salva  la  riassunzione  di esso a cura delle parti di
fronte    al    Tribunale    amministrativo   regionale   competente,
nornativamente prevista.
    II)  Circa  la  non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno
sospettare  le  norme  in  esame  di  incostituzionalita', osserva il
collegio  che  la  normativa introdotta dal legislatore con l'art. 3,
comma   2,  da  bis  a  quater,  della  legge  n. 21/2006,  contrasta
innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il
principio  della articolazione su base regionale degli organi statali
di  giustizia  amministrativa  di  primo  grado  ivi  espressa «Nella
Regione  sono  istituiti  organi di giustizia amministrativa di primo
grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica» che
implica  il  rilievo  e  la  garanzia  costituzionale  della sfera di
competenza dei singoli organi predetti.
    Non  appaiono,  all'evidenza,  manifeste  o  comunque sufficienti
ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera
di  competenze  costituzionalmente  garantita  nella  materia  di cui
trattasi  quando,  come  nel  caso in esame, le singole situazioni di
emergenza   hanno   rilievo   spiccatamente  locale  con  conseguente
efficacia  locale  dei  relativi  provvedimenti adottati dai soggetti
delegati  alla  cura  delle  varie  situazioni emergenziali, anche se
(arg. ex art. 2 comma 1 lett. «c» della legge n. 225/1992, richiamato
dall'art. 5  comma  1  l.  cit.) essi sono adottati per fare fronte a
situazioni   che   «per   intensita   ed  estensione  debbono  essere
fronteggiate con mezzi e poteri straordinari».
    II.a)   Anzi,   sotto   questo  aspetto,  la  norma  e'  altresi'
contraddittoria  ed  irrazionale  in  quanto  sottopone  al  medesimo
trattamento  processuale  situazioni  disparate  e  differenti tra di
loro.
    In  questo quadro, l'art. 5 comma 1 della legge 24 febbraio 1992,
n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione
normativa,  i  casi  in  cui (ex art. 2 comma 1 lett. «c» della legge
n. 225/1992)   sia   necessario   fare  fronte  con  mezzi  e  poteri
straordinari  alle  calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi
che  richiedano  tale  intervento  per  intensita'  ed estensione. La
previsione  di  cui  alla  legge  n. 21/06  radica  la competenza del
Tribunale  amministrativo  regionale Lazio in tutti i casi in cui sia
dichiarato  lo  stato  di  emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5
appena  citato  e  quindi  con  esclusione  dei casi di intervento di
protezione  civile  per  gli  eventi  che  possano  essere affrontati
mediante  interventi  attuabili  dai  singoli  enti e amministrazioni
competenti  in  via  ordinaria  (art. 2  lett.  «a»)  e di quelli che
richiedano  intervento  coordinato  di  questi  ultimi  (art. 2 lett.
«b».).
    Quindi,  il sistema della Protezione Civile e' articolato in vari
livelli  di  intervento,  contraddistinti dal corrispondente grado di
ampiezza  della  situazione  emergenziale.  Ne  deriva  che  per ogni
tipologia  territoriale e «qualitativa» della situazione di emergenza
e'  chiamato  ad  intervenire  in merito il «livello» di governo piu'
vicino  alla  concreta  dimensione  delle  comunita'  colpite e della
natura dell'emergenza, secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e
senza  escludere  -  funzionalmente e residualmente - che determinate
funzioni  siano «trasversali» ossia comprendano le competenze di piu'
amministrazioni o livelli di governo.
    A  fronte  di  questa  multiformita'  possibile di manifestazioni
concrete   dell'esercizio   del   potere,   la   regola  generale  di
ripartizione  delle  competenze  delineata  dagli  artt. 2 e ss della
legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente
con  l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della
legge  n. 21/06,  contraddittoriamente  ed immotivatamente assegna ex
lege   rilevanza   nazionale   a   qualsiasi   controversia   insorga
nell'esercizio  del  potere  di  protezione civile, facendo leva solo
sulla  necessita'  che  esso presupponga l'intervento extra ordinem e
quindi  a dispetto dell'articolazione del potere previsto dalla legge
n. 225/92,  posto che assegna in maniera indiscriminata la competenza
funzionale   a   conoscere  delle  relative  questioni  al  Tribunale
amministrativo regionale Lazio.
    In  altri  termini,  con  la  norma in esame, il Legislatore, sul
semplice  presupposto  della  necessita' di' interventi di protezione
civile  extra  ordinem,  pare abbia cristallizzato una valutazione di
rilevanza nazionale degli stessi, a prescindere, come sembra apparire
nel   caso  di  specie,  dalla  loro  eventuale  incidenza  meramente
periferica.
    Appare  utile  rilevare,  in  questa sede, come la giurisprudenza
della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che:
      - con l'articolo 5 della legge n. 225 del 1992 e' attribuito al
Consiglio  dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza
in ipotesi di calamita' naturali, ed a seguito della dichiarazione di
emergenza,  e  per  fare  fronte  ad  essa,  lo stesso Presidente del
Consiglio  dei  ministri  o,  su sua delega, il Ministro dell'interno
possano  adottare  ordinanze  in deroga ad ogni disposizione vigente,
nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico;
      - l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo
31   marzo   1998,   n. 112   (Conferimento  di  funzioni  e  compiti
amministrativi  dello  Stato  alle  regioni  ed  agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta,
chiarisce  che  tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che
il   riconoscimento   di   poteri  straordinari  e  derogatori  della
legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale;
        -  queste  ultime  due  previsioni,  inoltre, sono gia' state
ritenute  dalla  Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come
espressive   di   un   principio  fondamentale  della  materia  della
protezione  civile,  sicche'  deve  ritenersi  che esse delimitino il
potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze
legislative  delineato  dalla  legge  costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione).
    Alla  luce  di  quanto  sopra  ricordato,  la Corte ha dichiarato
illegittimo l'articolo 4, comma 4, della legge della Regione Campania
n. 8  del  2004, nella misura in cui essa ha attribuito al sindaco di
Napoli  i  poteri  commissariali  dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del
Ministro  dell'interno,  dopo  la  scadenza  della emergenza alla cui
soluzione  tale  ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto co
l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. 82/2006) .
    Tale   ragionamento   comporta   che,  in  relazione  alla  legge
n. 225/1992  ed  all'art. 107  comma 1 lettere b e c d.lgs. 112/1998,
possiedono  rilievo  nazionale «solamente» il potere di dichiarare lo
stato  di  emergenza  e  quello,  distinto  dal primo seppure ad esso
finalisticamente connesso, di derogare a norme dell'ordinamento.
    Ne  consegue  dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame
e'  irragionevole  per contraddittorieta' e disparita' di trattamento
processuale,  poiche'  utilizza  lo stesso trattamento per situazioni
del  tutto  differenti  quanto  ad  ambito  territoriale  e livello e
qualita'  degli  interessi  pubblici coinvolti, nonche' per contrasto
con  l'art. 117  della  Costituzione, poiche' implicitamente, finisce
per  attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla
competenza regionale.
    II.b)    Ancora,   l'aggravio   della   tutela   giurisdizionale,
soprattutto  ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una
effettiva  natura  accentrata  (o  dall'efficacia  estesa  a tutto il
territorio)   dei   provvedimenti   sui  quali  deve  esercitarsi  la
cognizione  del  Tribunale  amministrativo  regionale Lazio, comporta
indubbia  violazione  dell'art. 24 della Costituzione, in particolare
della   possibilita'  di  tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi
enunciata  al  primo  comma; detta tutela ne risulta minorata, per la
evidente maggiore difficolta' di esercitare le relative azioni presso
il  Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso
gli organi giurisdizionali localmente istituiti. Cio' vale sia per la
fase  transitoria  in cui i giudizi pendenti trasmigrano al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio,  sia  per  le  future  nuove
controversi  e  che  secondo  la nuova normativa dovrebbero essere ab
initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale.
    Anche  l'art. 25  della  Carta  costituzionale  risulti vulnerato
dalla normativa denunciata dal collegio; e se ne trae conferma da una
recente   decisione  della  Corte  costituzionale,  che,  sebbene  in
relazione a discipline totalmente diversa, ha avuto nodo di affermare
un   principi  generale,  che  e'  quello  della  appartenenza  della
competenze   territoriale   alla   nozione   del   giudice   naturale
precostituito  per  legge.  Precisamente,  la sentenza n. 41 del 2006
afferma,  anzi, ribadisce (come testualmente essa si esprime, citando
sentenze  precedenti  in  termini),  che  «alla  nozione  del giudice
naturale   precostituito  per  legge  non  e'  affatto  estranea  "la
ripartizione  della  competenza  territoriale tra giudici, dettata da
normativa   nel   tempo  anteriore  alla  istituzione  del  giudizio"
(sentenze n. 251 del 1986 e n. 410 del 2005)».
    III)  Da  ultimo,  secondo  un aspetto diverso che si' riconnette
ancora  al  tema  del  giudice  naturale,  la  norma  in  esame viola
l'art. 23  dello  Statuto della Regione Sicilia (legge costituzionale
n. 2  del  26  febbraio  1948)  a  norma del quale: «Gli organi giuri
sdizionali  centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli
affari  concernenti  la  Regione. Le Sezioni del Consiglio di Stato e
della   Corte"   dei   conti   svolgeranno   altresi'   le  funzioni,
rispettivamente,   consultive   e   di   controllo  amministrativo  e
contabile.  I  magistrati  della  Corte  dei  conti sono nominati, di
accordo,   dai  Governi  dello  Stato  e  della  Regione.  I  ricorsi
amministrativi,   avanzati   in   linea   straordinaria  contro  atti
amministrativi regionali, saranno decisi dal presidente della Regione
sentite  le  Sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e'
stata  «interpretata»  dall'art. 5  del  d.lgs  6 maggio 1948 n. 654,
contenente   norme   per  l'esercizio  delle  funzioni  spettanti  al
Consiglio  di  Stato  nella  Regione Sicilia, il quale prevede che il
Consiglio  di Giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge
al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e
provvedimenti  definitivi  «dell'amministrazione  regionale  e  delle
altre  autorita'  amministrative  aventi  sede  nel  territorio della
Regione».
    Osserva  il  Collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost.
in   data   12   marzo   1975,  n. 61,  dichiarando  l'illegittimita'
costituzionale  delle limitazioni poste dall'art. 40 legge 6 dicembre
1971, n. 1034, alla competenza del Tribunale amministrativo regionale
Sicilia,  e'  stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite
tutte   le   controversie   d'interesse  regionale  considerate  tali
dall'art. 23,  comma  1,  d.l. 15 maggio 1946, n. 455, comprendendosi
intale  categoria  le  controversie  sorte  da  impugnazione  di atti
amministrativi  di  autorita'  centrali  aventi  effetti  limitati al
territorio   regionale  ovvero  concernenti  pubblici  dipendenti  in
servizio  nella  regione  siciliana»  (Consiglio Stato, sez. 6 VI, 26
luglio 1979, n. 595).
    Quindi   la  legge  n. 2l/06,  in  esame,  e'  costituzionalmente
illegittima  anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23
dello  Statuto  regionale,  sia nella sua formulazione letterale, che
nella   interpretazione   pacifica   che   di  esso  ha  maturato  la
giurisprudenza,  anche  costituzionale,  non  riserva al Consiglio di
giustizia   amministrativa   ed   in   primo   grado   al   Tribunale
amministrativo  regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le
controversie   sorte   da  impugnazione  di  atti  amministrativi  di
autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale.
    IV)  Tanto  premesso,  il  Collegio  ritiene di dover evidenziare
altri profili di incostituzionalita' delle norme in esame, seppur non
immediatamente  rifluenti  sul  giudizio  in  esame,  che,  in quanto
introdotto  successivamente  alla pubblicazione della legge regionale
n. 21/2006,  non  puo' definirsi, quindi, «pendente» al momento della
sua   pubblicazione.   L'aggravio   della   tutela   giurisdizionale,
soprattutto  ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una
effettiva  natura  accentrata  (o  dall'efficacia  estesa  a tutto il
territorio)   dei   provvedimenti   sui  quali  deve  esercitarsi  la
cognizione  del  Tribunale  amministrativo regionale Lazio, comporta,
come   gia'   ritenuto,   indubbia   violazione   dell'art. 24  della
Costituzione,  in particolare della possibilita' di tutela dei propri
diritti  ed  interessi  enunciata  al primo comma; detta tutela, come
gia'  detto, ne risulta minorata per la evidente maggiore difficolta'
ed  il  maggior  dispendio  anche economico di esercitare le relative
azioni   presso  il  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio
piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti.
Cio'  vale  sia  per  la  fase  transitoria in cui i giudizi pendenti
trasmigrano  al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sia per
le   future   nuove  controversie  che  secondo  la  nuova  normativa
dovrebbero   essere  ab  initio  instaurate  presso  detto  Tribunale
amministrativo regionale.
    La  Corte  ha  ritenuto,  in  un caso in cui il legislatore aveva
disposto  l'estinzione  ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma
primo,  legge  n. 425/1984),  che  siffatta  disposizione,  in quanto
«preclude  al  giudice  la  decisione  di  merito  imponendo  gli  di
dichiarare  d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi
stato  e  grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge
sopravvenuta»,  percio'  stesso  «viola  il valore costituzionale del
diritto  di  agire,  in quanto implicante il diritto del cittadino ad
ottenere  una  decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte
costituzionale, sentenza n. 123 del 1987).
    Sebbene  la  fattispecie  in  esame sia diversa da quella oggetto
della   citata  pronuncia,  il  principio  tuttavia,  ad  avviso  del
collegio, e' nello stesso modo applicabile. Accade infatti, posto che
la  norma  in esame equipara la pendenza del giudizio alla successiva
introduzione,  che  chi  abbia  gia'  un giudizio pendente davanti al
Tribunale  amministrativo  regionale  locale,  ed  addirittura  abbia
ottenuto  una  decisione  cautelare,  debba  proseguire altrove nella
propria  iniziativa  giudiziaria,  addirittura  (se  ne parlera' piu'
diffusamente  infra)  rimanendo  esposto  ad  una  seconda  pronuncia
cautelare  sollecitata  dalla  parte  soccombente  davanti al giudice
adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione.
    V)  Altro  profilo  di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre,
nella  violazione,  sotto  diverso  profilo  rispetto  a  quanto gia'
rappresentato,  del  principio del giudice naturale precostituito per
legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale
ora  citata stabilendo che «nessuno puo' essere di stolto dal giudice
naturale  precostituito  per  legge»,  esclude,  come la stessa Corte
costituzionale  afferma,  «che vi possa essere una designazione tanto
da  parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole
generali,  quanto  da  altri  soggetti,  dopo che la controversia sia
insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»;
il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti,
richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002). Come la Corte
ha  insegnato,  perche'  tale principio possa considerarsi rispettato
occorre  che  «...  la  regola  di competenza sia prefissata rispetto
all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta
scorrere  le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia
di  principio  del  giudice  naturale  per rilevare che e' proprio la
preesistenza  della  regola  che  individua la competenza rispetto al
giudizio  il  criterio  fondamentale  in  base  al  quale  sono state
valutate le questioni sollevate.
    Tale  profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente,
ad  avviso  del  collegio,  nella parte della disciplina in questione
(comma  2-quater), che non solo ne dispone l'applicazione ai processi
pendenti,  ma  addirittura  consente  una  riforma  dei provvedimenti
assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera
di  un  organo  giurisdizionale  pariordinato a quelli di provenienza
(trattasi   di   giudici   tutti   di   primo   grado,  il  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio non essendo un «super-Tribunale
amministrativo   regionale»).   Cosi'   facendo,   in   sostanza,  il
legislatore  ha  introdotto un rimedio inedito, che non e' di secondo
grado  e  che  finisce  per costituire un doppione del gia' espletato
giudizio  (cautelare)  di  primo  grado, senza alcuna possibilita' di
inquadramento  tra  i  rimedi  noti  tipizzati (appello, revocazione,
reclamo).   Pertanto,  anche  l'art. 25  della  Carta  costituzionale
risulta vulnerato dalla normativa denunciata dal collegio.
    Per  altro,  atteso che il principio del doppio grado di giudizio
nella  giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di
merito,  riceve  garanzia  costituzionale  dall'art. 125  della Carta
(cfr. Corte cost., sentenza n. 8 del 1982), si configura un ulteriore
profilo  di  violazione  di  detta  norma.  Viene  infatti  ad essere
introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso (su cui
gia'   il   Collegio  ha  poco  prima  espresso  i  propri  dubbi  di
incostituzionalita)  che  stravolge  l'ordinario iter giudiziario. La
regola  e'  che  ad  un  giudizio  di primo grado segua, ove la parte
soccombente  appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti
di  giudizio  cautelare,  sia  che  si  tratti di giudizio di merito;
giammai  e'  prevista  una  doppia  pronuncia sulla stessa materia da
parte  di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato
a  riformare  la  decisione  del primo giudice. Orbene, ad avviso del
Collegio,   siffatta   disciplina  integra  altresi'  violazione  del
principio  del  «giusto  processo», di cui all'art. 111, comma primo,
della  medesima  Carta («La giurisdizione si attua mediante il giusto
processo  regolato  dalla legge»). Sempre con riferimento ai processi
pendenti,  infatti,  la  parte  soccombente  nel  giudizio  cautelare
verrebbe ad essere fornita di uno strumento giurisdizionale anomalo e
atipico  a  tutela della propria (legittima, ma da esercitare in modi
conformi  ai  principi  costituzionali)  aspirazione  ad ottenere una
pronuncia  favorevole  in  secondo grado (che deve tuttavia essere un
vero  giudizio  di  secondo  grado,  e  non, si ribadisce, un inedito
duplicato del giudizio di primo grado).
    Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio
del  ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla
Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale
principio del «giusto processo» teste richiamato.
    VI)  Un'ulteriore  considerazione appare opportuna, in quanto non
rilevata  nelle  precedenti  richiamate ordinanze di rinvio di questa
stessa sezione.
    Come  gia' premesso, la possibilita', espressa al comma 4-quater,
di  riproposizione  del  ricorso  presso  il Tribunale amministrativo
regionale Lazio a cura della parte interessata introduce un'ulteriore
elemento  di  dissonanza  nel  sistema,  segnatamente  in  disarmonia
all'art. 24  Cost.,  posto  che  consente  un riesame della decisione
cautelare  presso il Tribunale amministrativo regionale Centrale (con
espressa  possibilita'  di  modifica)  proprio  ad  iniziativa  anche
dell'Amministrazione e/o del controinteressato.
    A   dette   parti   processuali,   secondo  la  richiamata  norma
costituzionale, non e' certamente conferito l'impulso processuale (ma
la resistenza a difesa del provvedimento amministrativo), prerogativa
esclusiva  della parte ricorrente, cui pertiene la tutela del diritto
di difesa dei propri interessi e diritti.
    Il    ribaltamento   consentito   dalla   norma   sospettata   di
incostituzionalita',   quindi,  mentre  per  un  verso  introduce  un
allungamento  della  serie  delle  possibili decisioni, in violazione
dell'art. 25   Cost.,   per  un  altro  promuove  un  non  consentito
originario impulso processuale da parte degli originari resistenti in
giudizio, con pregiudizio, come chiarito, dell'art. 24 Cost.
    VI)  In  conclusione,  il Collegio ravvisa la rilevanza e' la non
manifesta  infondatezza,  per  violazione degli artt. 3, 125, 24 e 25
della  Costituzione e per contrasto con l'art. 23 dello Statuto della
Regione  Sicilia,  della  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 3,   comma   2-bis,  comma  2-ter,  comma  2-quater,  legge
n. 21/2006.
    Va,   pertanto,   disposta   -   ai  sensi  dell'art. 134  Cost.,
dell'art. 1  della  legge  costituzionale  9  febbraio  1948  n. 1  e
dell'art. 23  legge 11 marzo 1953 n. 87 - la sospensione del presente
giudizio  e  la  trasmissione  degli  atti alla Corte costituzionale,
oltre   agli  ulteriori  adempimenti  di  legge  meglio  indicati  in
dispositivo.