ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 1917, commi
primo  e  secondo,  2751-bis,  n. 1), 2767 e 2778, n. 11), del codice
civile,  42,  46,  comma  primo, e 111 del regio decreto del 16 marzo
1942,  n. 267  (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo,
dell'amministrazione   controllata   e   della   liquidazione  coatta
amministrativa),  promosso  con  ordinanza del 16 novembre 2004 della
Corte  di  appello  di  Torino  nel  procedimento civile vertente tra
Mirabella  Filippo  e  il  fallimento della s.p.a. Industrie Fontauto
iscritta  al  n. 37  del  registro  ordinanze 2005 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  n. 7,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2005;
    Visto l'atto di costituzione di Mirabella Filippo;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  5 dicembre  2006  il  giudice
relatore Romano Vaccarella;
    Ritenuto  che la Corte di appello di Torino, investita di gravame
avverso  una  sentenza  del  Tribunale  ordinario  di  Cuneo, resa su
domanda  tardiva  di  ammissione  al  passivo  del  fallimento  della
Industrie   Fontauto   s.p.a.,   ha   sollevato,  con  ordinanza  del
16 novembre   2004,  questioni  di  legittimita'  costituzionale,  in
riferimento  agli  artt. 2,  3,  24, 32, 36, comma primo, e 41, comma
secondo, della Costituzione, degli artt. 1917, commi primo e secondo,
del  codice  civile,  42,  46,  comma  primo, e 111 del regio decreto
16 marzo  1942,  n. 267  (Disciplina  del  fallimento, del concordato
preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della liquidazione
coatta amministrativa), e, in subordine, degli artt. 2751-bis, n. 1),
2767  e  2778,  n. 11), cod. civ., e 111 del regio decreto n. 267 del
1942 (legge fallimentare);
        che, in fatto, il giudice rimettente espone che l'appellante,
lavoratore  dipendente  della  societa' fallita, in primo grado aveva
chiesto,   in   via  tardiva,  ai  sensi  dell'art. 101  della  legge
fallimentare,   l'ammissione   al   passivo   del   fallimento,   «in
prededuzione   ovvero,   in   subordine,   con   il   privilegio   ex
artt. 2751-bis,   n. 1,   e  2776  cod.  civ.»,  per  un  credito  da
risarcimento  dei  danni  conseguenti ad un infortunio sul lavoro, di
cui   la   datrice   di   lavoro  era  stata  riconosciuta  esclusiva
responsabile,  ed  aveva,  altresi', chiesto che, essendo la societa'
fallita  assicurata  per  la  responsabilita' civile da infortuni sul
lavoro   occorsi   ai   dipendenti,  fosse  ordinato  alla  compagnia
assicuratrice  di  pagare direttamente a lui l'indennita' dovuta; che
il  Tribunale,  con  l'impugnata sentenza, aveva ammesso l'istante al
passivo,  in  via privilegiata, respingendo le altre domande, tra cui
quella  per  il  pagamento  diretto  dell'indennita',  nel  frattempo
versata  alla  curatela fallimentare; che l'appellante aveva, quindi,
impugnato  detta  sentenza  limitatamente  al  capo con cui era stato
negato  il  suo  diritto  «di  azionare  direttamente  la pretesa nei
confronti della compagnia assicuratrice», sicche' la lite devoluta al
giudice  del  gravame  verteva «sulla contestata prededucibilita' del
credito  azionato  ovvero  sulla  avocabilita'  alla massa attiva del
fallimento  dell'indennizzo  in  esame, gia' riscosso dalla procedura
fallimentare»;
        che, secondo il giudice rimettente, la pretesa del lavoratore
infortunato   -   di   ottenere,  a  soddisfazione  del  suo  credito
risarcitorio nei confronti del datore di lavoro, il pagamento diretto
dell'indennita'  dovuta  a  costui dalla compagnia assicuratrice - e'
ostacolata,  in  caso  di fallimento del datore di lavoro assicurato,
sia    dall'art. 1917    cod.    civ.    (il   quale   prevede   che,
nell'assicurazione  della  responsabilita'  civile, l'assicuratore e'
obbligato  a  tenere indenne l'assicurato, e pertanto e' a questo che
deve essere pagata l'indennita) sia dagli artt. 42 e 46, primo comma,
della  legge  fallimentare  (i quali ricomprendono nella massa attiva
fallimentare   tutti  i  crediti  del  fallito,  anche  sopravvenuti,
escludendo   solo   quelli  «personali»  tassativamente  elencati,  e
includendo cosi' anche il credito per l'indennita' di cui si discute)
sia,  infine,  dagli  artt. 111  della legge fallimentare e 2751-bis,
primo comma, cod. civ. (i quali, in combinato disposto, pospongono il
credito  del  lavoratore per risarcimento dei danni da infortunio sul
lavoro  ad  altri crediti «di natura meno protetta», ossia le «spese»
della    procedura   fallimentare   e   i   «debiti   contratti   per
l'amministrazione del fallimento»);
        che  tale  posizione  deteriore  del  lavoratore  danneggiato
discende   dal   «diritto   vivente»,   costituito   dal  consolidato
orientamento   della   giurisprudenza   di  legittimita',  nel  senso
dell'autonomia      dell'obbligazione     dell'assicuratore     della
responsabilita'   civile   verso   l'assicurato   rispetto  a  quella
dell'assicurato verso il danneggiato;
        che,  viceversa,  in una pluralita' di casi, e' attribuita al
danneggiato  o  al  creditore  azione diretta nei confronti del terzo
debitore:   cosi'   nell'ipotesi   di  cui  all'art. 18  della  legge
24 dicembre    1969,   n. 990   (Assicurazione   obbligatoria   della
responsabilita'  civile  derivante  dalla  circolazione dei veicoli a
motore  e  dei  natanti),  il  quale consente al danneggiato di agire
direttamente   nei   confronti   della  compagnia  assicuratrice  del
danneggiante;  nell'ipotesi,  ancora, di cui all'art. 1676 cod. civ.,
il quale prevede che gli ausiliari dell'appaltatore «possono proporre
azione  diretta  contro  il committente per conseguire quanto e' loro
dovuto,  fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso
l'appaltatore»;  nell'ipotesi, infine, di appalto di opere o servizi,
nella  quale si consente ai lavoratori dipendenti dall'appaltatore di
esercitare  i  diritti  loro  spettanti  direttamente  nei  confronti
dell'imprenditore  appaltante  (artt. 23,  comma terzo, e 29, secondo
comma,  del  decreto  legislativo  10 settembre  2003, n. 276 recante
«Attuazione  delle  deleghe  in  materia di occupazione e mercato del
lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30»;
        che,   nonostante  nell'assicurazione  della  responsabilita'
civile da infortunio sul lavoro l'indennita' dovuta dall'assicuratore
sia  destinata  a  tenere  indenne  il datore di lavoro assicurato, e
pertanto  il  credito  verso  l'assicuratore  sia «del tutto estraneo
all'utile  ed  al patrimonio dell'impresa», in caso di fallimento del
datore  di lavoro l'indennita' entra nella massa attiva fallimentare,
come  ogni  altro cespite, quasi fosse elemento attivo del patrimonio
del  fallito  nel  quale  possono soddisfarsi, almeno in parte, altri
soggetti, non danneggiati dall'infortunio;
        che,  quanto  alla  rilevanza  delle  questioni,  il  giudice
rimettente  asserisce  che  essa  e'  evidente, dovendo egli decidere
«della   prededucibilita'   o   meno  del  credito  risarcitorio  del
lavoratore infortunato» nel fallimento del datore di lavoro, e quindi
se  l'indennita' dovuta dall'assicuratore spetti al lavoratore ovvero
«spetti  al  fallito,  con  conseguente  sua apprensione da parte del
curatore»,  nel  qual  caso  il  lavoratore  «avrebbe solo diritto ad
insinuarsi» al passivo del fallimento;
        che,  quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  della prima
questione - con la quale si lamenta che il lavoratore infortunato non
disponga  di azione diretta contro l'assicuratore, e non sia prevista
«quindi  la  prededuzione del (suo) credito» -, il giudice rimettente
afferma  che  nella  fattispecie «vengono in comparazione due diversi
interessi  di  rango  diseguale»,  e cioe' quello racchiuso nella par
condicio  creditorum,  che non e' di rango costituzionale (essendo la
tutela del credito subordinata ai diritti inviolabili dell'uomo ed al
principio di solidarieta), e quello rappresentato «dalla tutela della
integrita'  psicofisica del cittadino e dalla tutela del lavoratore»,
protetto dagli artt. 32 e 36, comma primo, Cost;
        che    il    favore    accordato    ad   un   interesse   non
costituzionalmente    garantito    «a    detrimento    della   tutela
dell'integrita'  psicofisica  dell'uomo  e  della  tutela  del lavoro
confligge  con  il  principio  di  ragionevolezza  e di uguaglianza»,
sotteso  ai  richiamati  precetti  degli  artt. 32 e 36, comma primo,
Cost.,  ed  e', inoltre, irragionevole «l'indebito arricchimento» del
patrimonio  fallimentare  e,  quindi,  dei  creditori  muniti di pari
privilegio generale per crediti di lavoro retributivi, contributivi o
risarcitori di danni non conseguenti ad infortuni sul lavoro;
        che,  aggiunge  il  giudice  rimettente,  mentre i crediti di
natura  personale  del  datore  di  lavoro fallito, tra cui quelli da
infortunio  a lui occorso, non sono compresi nel fallimento, ai sensi
dell'art. 46, n. 1, della legge fallimentare, vi e', invece, compreso
il  credito che egli vanta verso l'assicuratore della responsabilita'
civile,  benche'  destinato a coprire il debito risarcitorio verso il
lavoratore   dipendente  infortunato,  che  e'  anch'esso  di  natura
personale,  sicche'  «appare  irragionevole  la  mancata  inclusione,
all'interno  di  una  specifica  norma attributiva di un trattamento,
l'esclusione  di  fattispecie  omogenea  a  quella  cui  la  causa di
esclusione dalla esecuzione concorsuale e' riferita»;
        che,  infine, la normativa censurata appare irragionevolmente
lesiva  del  diritto  di  difesa  del  lavoratore  infortunato  ed in
contrasto  con  il  principio  costituzionale  della  integrale e non
limitabile  tutela  risarcitoria  del  diritto alla salute, affermato
dalla Corte costituzionale nelle sentenze numeri 485 e 391 del 1991;
        che,  quanto  alla non manifesta infondatezza della questione
sollevata  in  via subordinata, il giudice rimettente osserva che gli
artt. 2751-bis, n. 1), 2767 e 2778, n. 11), cod. civ. confliggono con
i  medesimi artt. 2, 3, 24, 32, 36, comma primo, e 41, comma secondo,
Cost.,  «laddove non pongono in primo grado il privilegio del credito
da  risarcimento  del  danno  del  lavoratore, quando abbia subito un
infortunio  sul lavoro imputabile al datore di lavoro - nei limiti in
cui il lavoratore non goda di copertura assicurativa obbligatoria - e
non  lo  sottraggono alla falcidia delle prededuzioni fallimentari ed
al concorso con altri crediti retributivi, contributivi e risarcitori
non da infortunio muniti di pari privilegio generale»;
        che  si  e' costituito nel giudizio il lavoratore appellante,
il   quale   ha,   con   argomentazioni  conformi  a  quelle  esposte
dall'ordinanza  di  rimessione,  concluso  per  l'accoglimento  delle
questioni,   osservando   che,  poiche'  il  risarcimento  del  danno
biologico  attiene  alla  tutela  del  bene  salute,  il diritto alla
salute,  e,  per  esso,  quello  al  ristoro  economico della perduta
integrita' psicofisica, non puo' venire sacrificato o depauperato per
soddisfare  diritti di terzi, non attinenti alla sfera della persona,
in ipotesi tutelati da norme di rango inferiore.
    Considerato  che  la  Corte  di  appello  di  Torino  dubita,  in
riferimento  agli  artt. 2,  3,  24, 32, 36, comma primo, e 41, comma
secondo,  Cost.,  della legittimita' costituzionale degli artt. 1917,
commi  primo e secondo, del codice civile, 42, 46, comma primo, e 111
del  regio  decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento,
del  concordato  preventivo, dell'amministrazione controllata e della
liquidazione   coatta   amministrativa),  nella  parte  in  cui  «non
consentono  al dipendente danneggiato da un infortunio sul lavoro per
violazione del dovere di sicurezza azione diretta contro la compagnia
assicuratrice  del  datore  di  lavoro,  e quindi la prededuzione del
credito  in  ipotesi di fallimento, posponendolo alla previa falcidia
dei  crediti della procedura», e, in subordine, degli artt. 2751-bis,
n. 1), 2767 e 2778, n. 11), cod. civ., e 111 del regio decreto n. 267
del  1942  (legge  fallimentare),  nella parte in cui «non pongono in
primo  grado  il privilegio del credito da risarcimento del danno del
lavoratore,  quando  abbia  subito  un  infortunio  sul  lavoro  e lo
ammettono  al  privilegio generale sui mobili in concorso con crediti
di lavoro retributivi, contributivi e risarcitori non da infortunio»;
        che entrambe le questioni sono manifestamente inammissibili;
        che,    quanto    alla    prima   -   a   prescindere   dalla
incompatibilita',   non   percepita  dal  rimettente,  esistente  tra
prededuzione  (la  quale  presuppone  l'acquisizione  del  credito al
fallimento) e azione diretta del danneggiato verso l'assicuratore (la
quale  presuppone che il credito non sia compreso nella massa attiva)
- e' evidente l'irrilevanza della questione nel giudizio a quo;
        che  infatti,  avendo  tale  giudizio  quale unico, possibile
oggetto l'ammissione al passivo del credito azionato ex art. 93 o 101
della  legge  fallimentare  ed  il  suo  rango,  non e' in alcun modo
rilevante  una  questione  di  azionabilita'  diretta,  da  parte del
danneggiato,    del    suo   credito   risarcitorio   nei   confronti
dell'assicuratore  ne',  ancor  meno ed a prescindere da ogni rilievo
circa la sua fondatezza, una questione di assimilabilita' del credito
da  infortunio  del  fallito verso l'assicuratore (sottratto, perche'
«personale»,  alla  massa  attiva) al suo debito verso il danneggiato
(che dovrebbe essere sottratto, viceversa, alla massa passiva);
        che   anche  la  seconda  questione  -  a  prescindere  dalla
inammissibilita'  del  petitum,  con il quale si invoca una pronuncia
che,  modificando  l'ordine  legale dei privilegi, invaderebbe l'area
riservata  alle  scelte economico-politiche del legislatore (sentenze
n. 113  del  2004  e  n. 326  del 1983) - e' estranea all'oggetto del
giudizio  a  quo,  promosso  dall'appellante  esclusivamente  per  la
riforma  del  capo della  sentenza  che aveva rigettato la pretesa di
azionare il credito direttamente nei confronti dell'assicuratore.