IL GIUDICE DI PACE Ha emesso la seguente ordinanza ex art. 23, legge n. 87/1953, pronunciata fuori udienza nella causa ex art. 22, legge n. 68/1981, iscritta al R.G. n. 23151/05, tra Gugliuzza Manuela e Prefetto di Torino. Svolgimento del processo Con ricorso ex art. 205 c.d.s., Gugliuzza Manuela si e' opposta, per svariati motivi, a cinque ordinanze-ingiunzioni adottate nei suoi confronti dal Prefetto di Torino in data 2 dicembre 2004. La notificazione di tali provvedimenti risulta essersi perfezionata, per il «notificante» (in base ai criterio indicato da Corte cost. n. 477/2002) il 2 maggio 2005, e, quindi, tempestivamente, ancorche' in limine litis, in quanto detta data ha coinciso con il primo giorno utile non festivo dopo quello di effettiva scadenza del termine di 150 giorni per provvedervi, previsto dall'art. 204, comma 2, c.d.s., cosi' come modificato dall'art. 4, comma 1-sexies della legge n. 214/2003, legge di conversione del d.l. n. 151/2003. Nel corso del giudizio, parte ricorrente, con apposita memoria, ha sollevato dubbio di costituzionalita', in relazione agli artt. 3, 24, 97, 111 e 113 Cost., della succitata norma, nella parte in cui ha fissato in 150 giorni il termine per perfezionare la notificazione di un'ordinanza-ingiunzione. A sostegno di tale tesi, ha evidenziato che, attualmente, il procedimento sanzionatorio amministrativo disciplinato dal codice stradale puo' avere il seguente svolgimento: l'organo di polizia stradale, ha tempo, in virtu' dell'art. 201 c.d.s., centocinquanta giorni per procedere alla contestazione non immediata della violazione; preso atto dell'addebito, al destinatario della sanzione ne sono concessi solamente sessanta per istruire le proprie difese; ulteriori sessanta (al posto degli originari trenta) - per un totale di duecentodieci - sono concessi al suddetto organo per trasmettere, ai sensi dell'art. 203 c.d.s., il ricorso al prefetto (il quale, a propria volta, ne ha a disposizione trenta, qualora il gravame gli venga trasmesso direttamente dal ricorrente); a quest'ultima autorita', a sua volta, e' consentito deciderlo nel merito in centoventi giorni, con possibilita' di prorogare detto termine in base ai tempi necessari per espletare l'audizione personale, laddove questa venga richiesta dall'incolpato; quest'ultimo, pero', ricevuta - entro quel termine di centocinquanta giorni della cui legittimita' costituzionale si ha motivo di dubitare - notificazione dell'ordinanza-ingiunzione, deve, di fatto, riesaminare gli atti (potendo essere trascorso ormai oltre un anno), consultarsi, all'occorrenza con esperti e/o avvocati, istruire e redigere il ricorso in opposizione, nonche' curarne il deposito (o la spedizione) in soli trenta giorni, perche' questo e' quanto il comma 1 dell'art. 22, legge n. 689/1981 gli concede. Sicche', «a conti fatti», nel procedimento sanzionatorio-amministrativo previsto dal codice della strada, alla p.a. sarebbero attualmente concessi cinquecentodieci (!) giorni per concluderlo, mentre l'incolpato deve continuare ad «organizzarsi» in un tempo (novanta giorni) che risulta meno di un quinto di quello a disposizione della parte avversa, con una disparita' di trattamento che, intanto, effettivamente, appare in netto contrasto con il principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, e che, in secondo luogo si ripercuote pesantemente sul diritto di difesa sancito dagli artt. 24 e 113 della Costituzione, vanificando, cosi', quel «giusto processo» che l'art. 111 Cost., recentemente innovato, avrebbe voluto celebrarsi in tempi ragionevoli: tenuto conto del termine per comparire, il cittadino che decida di percorrere l'intero iter amministrativo in quanto meno oneroso in termini di tempo e risorse finanziarie (spedire una raccomandata costa sicuramente meno che recarsi in udienza alla/e data/e fissata/e dal giudice, magari all'altro caro della Penisola), rischia di veder riconosciuto l'accesso al giudice dopo quasi due anni (!), e di veder cosi' dispersi elementi di prova (vuoi perche' lo stato dei luoghi - segnaletica, vegetazione, conformazione stradale, ecc.) e' in costante evoluzione e modifica, vuoi perche' la capacita' di ricordare i fatti, sua e di eventuali testimoni, si e' ormai insanabilmente compromessa (in pacifica violazione dell'art. 24, 111 e 113 Cost.). Ma l'aspetto piu' grave di questa previsione legislativa - ad avviso del ricorrente - risiederebbe nel fatto che con essa si sarebbe resa «Legge dello Stato» l'inefficienza della pubblica amministrazione, in totale spregio all'art. 97 della Costituzione, i cui ispiratori avrebbero voluto che i pubblici uffici fossero organizzati secondo disposizioni di legge in modo che ne fosse assicurato il buon andamento. Senza, infine, considerare, che la previsione di un termine per la notificazione di un'ordinanza-ingiunzione identico a quello previsto per la notificazione di un verbale (di per se' ingiustificatamente lungo, quanto meno nell'era della trasmissione dati in tempo reale e degli archivi informatizzati - vedi Corte cost. n. 255/1994 e, comunque, discriminatorio rispetto a tutte le altre sanzioni amministrative, vedi art. 14, legge n. 689/1981) non appare affatto giustificato, atteso che, nel momento in cui viene emessa l'ordinanza-ingiunzione, all'amministrazione certamente non incombe piu' l'onere di individuare il responsabile (sia esso diretto o solidale) della violazione, ma solo quello di portare il provvedimento nella sua sfera conoscitiva (incombenza per la quale, certamente, non occorrono 150 giorni, a maggior ragione da quando la Corte costituzionale ha chiarito che la notificazione si intende perfezionata, per il notificante, nel momento in cui questo compie gli atti che gli sono demandati dalla legge). Sicche' l'unico effetto - sempre secondo il ricorrente - dell'introduzione di un termine cosi' irragionevolmente lungo (e superiore anche al termine per la conclusione dei procedimenti amministrativi in generale previsto dall'art. 2, comma 3, legge n. 241/1990, recentemente rimodulato da 30 a 90 giorni) per la notificazione dell'ordinanza-ingiunzione, risulterebbe quello di dilatare i tempi di accesso al giudice, ovvero quello di far preferire, ai ricorrenti, al fine di scongiurare il rischio di dispersione degli elementi di prova, l'accesso diretto alla tutela giurisdizionale (con conseguente rischio di sovraccarico per gli uffici giudiziari). Motivi della decisione 1. - La questione, nei termini dianzi precisati, non appare manifestamente infondata, e viene integrata, d'ufficio, in forza del terzo comma dell'art. 23, legge n. 87/1953, nei sensi e secondo le precisazioni che seguono, anche in riferimento alla sua rilevanza nel presente giudizio. 1.1. - Quanto alla violazione dei parametri di cui agli artt. 3 Cost. (ragionevolezza) e 97 Cost. (efficienza della p.a.), si osserva che la dilatazione di un termine a favore di quest'ultima per concludere un determinato procedimento non appare affatto in grado di assicurarne l'evasione di un numero maggiore ovvero piu' efficiente, atteso che la quantita' di procedimenti da concludere in un determinato intervallo risultera', alfine, comunque proporzionale a quelli che nel medesimo intervallo verranno iniziati, sicche', in verita', la dilatazione di un termine (ammesso e non concesso che cio' sia di per se' rispettoso del principio sancito dall'art. 97 Cost.) produce, invero, un momento di «respiro» meramente transitorio (e, quindi, assolutamente inutile, e, per cio' stesso, irragionevole), atteso che, quando il bilancio tra i procedimenti da iniziare e quelli da concludere va «a regime» in base al nuovo termine, questo si rivela nuovamente inadeguato, se, nel frattempo, l'amministrazione non si e' diversamente organizzata (cosi' come vuole l'art. 97) in modo da assicurare uno smaltimento del procedimento interessato secondo un rapporto tempo/quantita' adeguato al carico di lavoro. 1.2. - Ancora sotto il profilo dell'art. 97 Cost., non puo' non rilevarsi come solo la conclusione in tempi stretti del procedimento sanzionatorio, in tutte le sue fasi, sia in grado di garantire quell'effetto deterrente, in relazione alla commissione delle violazioni, creatosi con l'introduzione della patente a punti. E' lo stesso art. 126-bis c.d.s., infatti, a stabilire che l'organo da cui dipende l'agente che ha accertato la violazione che comporta la perdita di punteggio puo' darne notizia, all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida, «entro 30 giorni dalla definizione della contestazione effettuata», ove per «definizione» si intende che, qualora iniziati, «siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi». Considerato che, salvo il caso di perdita totale del punteggio, la mancanza, per il periodo di due anni, di violazione di una norma di comportamento da cui derivi la decurtazione del punteggio, determina la riattribuzione di un numero di punti pari a venti, non v'e' chi non colga la convenienza, da parte di un soggetto colpito da una contestazione la cui definizione comporterebbe l'azzeramento del punteggio, a proporre, con mero intento dilatorio, un gravame prima in via amministrativa e poi davanti all'a.g.o., nella pressoche' certezza che detta contestazione, in un modo o nell'altro - grazie anche all'ampiezza del termine di cui si discute - non perverra' alla definizione, se non decorsi i «fatidici» due anni, durante i quali detto soggetto sara', cosi', libero di «gestire» al meglio i propri punti residui, frequentando, all'occorrenza (ma solo all'occorrenza, e, cioe', quando il rischio di vedere sfavorevolmente definita la contestazione prima di quanto auspicato diventasse concreto) i corsi di aggiornamento di cui al comma 4 dell'art. 126-bis c.d.s., ovvero attribuendo oculatamente (ma, tutto sommato, tranquillamente) a questo o a quel parente/amico compiacente, la responsabilita' per eventuali ulteriori violazioni, laddove non immediatamente contestate (cosi' come, attualmente, avviene sempre piu' spesso, grazie anche all'allargamento, in tal senso, delle «maglie» della Legislazione e della Giurisprudenza). 2. - Quanto alla rilevanza della questione, occorre premettere che una tra le prime disamine che, d'ufficio, compete al giudice nello scrutinio delle domande ad egli rivolte, riguarda lo stesso interesse ad agire delle parti, ai sensi dell'art. 100 c.p.c., dovendo pervenire a dichiarare cessata la materia del contendere laddove tale interesse si rivelasse insussistente (come nei caso di previo avvenuto pagamento della sanzione in misura ridotta, che determina l'«estinzione» dell'obbligazione). 2.1. - Con la legge n. 214/2003, al fine, evidentemente, di ridurre un contenzioso tutto sommato «inutile», il Legislatore ha espressamente qualificato come termini perentori e decadenziali quelli a disposizione delle amministrazioni interessate per pervenire all'adozione di un'ordinanza-ingiunzione, tanto che, infatti, in base all'ultimo periodo del comma 1-bis dell'art. 204 - introdotto dalla succitata legge di conversione del d.l. n. 151/2003 - «decorsi detti termini senza che sia stata adottata l'ordinanza del prefetto, il ricorso si intende accolto», sicche' un'ordinanza-ingiunzione emanata al di la' di detto termine dovra' considerarsi non solo «invalida ed annullabile» (peraltro solo su eccezione di parte, come da consolidata giurisprudenza creatasi prima della novella), ma, addirittura, tamquam non esset, e, quindi, inesistente, con la conseguenza che essa mai potrebbe esser fatta valere come titolo esecutivo per la sua riscossione coattiva. 2.2. - Il Legislatore ha, invero, taciuto in relazione agli effetti di una notificazione tardiva dell'ordinanza-ingiunzione tempestivamente adottata, ma motivi di carattere sistematico inducono questo giudice a ritenere che alla notificazione oltre il termine ammesso (o ammissibile) debbano conseguire i medesimi effetti estintivi dell'obbligazione di cui al comma 1-bis, e, questo, sia per ragioni logiche e di coerenza, sta perche' il termine di cui all'art. 204, comma 2 c.d.s. recentemente stabilito dal Legislatore, e che costituisce l'oggetto della presente questione di legittimita' costituzionale, coincide con quello (invero gia' lungo e, forse, non piu' giustificato, visto l'avvento dell'informatica nella p.a., vedi Corte cost. n. 255/1994) stabilito, a pena di decadenza, dall'art. 201 c.d.s., al quale, d'altro canto, il medesimo art. 204, comma 2 c.d.s. si richiama quanto alle «forme» della notificazione. 2.3. - Laddove, pertanto, la Corte costituzionale ritenesse di dover censurare il comma 2 dell'art. 204 c.d.s., cosi' come modificato dall'art. 4, comma 1-sexies, legge n. 214/2003, nella parte in cui ha previsto il termine di centocinquanta giorni per procedere alla notificazione di un'ordinanza-ingiunzione, risulterebbe applicabile - ma con i medesimi effetti estintivi dianzi ricordati - quello previsto, in via generale, dall'art. 3, comma 2, legge n. 241/1990 (che, tra l'altro, alla data di adozione delle ordinanze-ingiunzioni opposte, era di soli trenta giorni), sicche' questo giudice ritiene dovrebbe dichiarare cessata la materia del contendere, essendo, le obbligazioni pecuniarie correlate alle suddette ordinanze-ingiunzioni, da considerarsi «estinte», e, quindi, improduttive di effetti nei confronti della ricorrente. 3. - In conclusione, questo giudice dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 204, comma 2 c.d.s., cosi' come modificato dall'art. 4, comma 1-sexies, legge n. 214/2003, in relazione agli artt. 3, 24, 97, 111 e 113 della Costituzione, nella parte in cui prevede che l'ordinanza-ingiunzione, di pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria debba essere notificata, ad un soggetto ormai chiaramente individuato, nel termine di centocinquanta giorni, anziche' in quello previsto, dall'art. 2, comma 3, legge n. 241/1990, per la conclusione dei procedimenti amministrativi in genere, attualmente di 90 giorni e, quindi, tra l'alto, coincidente con quello, assai piu' ragionevole, stabilito dall'art. 14 della legge n. 689/1981 per la notificazione delle violazioni.