IL TRIBUNALE
Ha  emesso  la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte
costituzionale  nel  processo  penale a carico di Metthsinna Arahhige
Jerad  +  1 (art. 1, legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23, legge 11
marzo 1953, n. 87).
                              Premesso
Nel   presente  processo  penale  Metthsinna  Arahhige  Jerad  Fansis
Fernando e Liyauruga Nelson Santha sono imputati del reato previsto e
punito  dagli art. 110 c.p. e 12, commi 1 e 3, d.lgs. 25 luglio 1998,
n. 286,  perche',  in  concorso tra loro, e con Ratnawira Patabandiga
Jayawan  (per  il  quale si e' proceduto separatamente), quali membri
dell'equipaggio che ha condotto fino alle coste italiane la motobarca
denominata   «Janaki»,   compivano   attivita'   dirette  a  favorire
l'ingresso  clandestino  nel territorio dello Stato di n. 118 persone
di nazionalita' srilankese, passeggeri della suddetta imbarcazione.
All'udienza  del  5 luglio 2005, su richiesta del pubblico ministero,
sono  stati acquisiti il verbale di interrogatorio reso dall'imputato
Metthsinna  Arahhige  Jerad  all'udienza  di  convalida  dell'arresto
davanti al G.i.p. presso il Tribunale di Siracusa in data 25 febbraio
2002,  il  verbale  di  interrogatorio  reso dall'imputato Metthsinna
Arahhige  Jerad  alla Procura della Repubblica di Siracusa in data 22
febbraio   2002   ed  il  verbale  di  interrogatorio  delegato  reso
dall'imputato  Metthsinna  Arahhige  Jerad  alla Squadra Mobile della
Questura  di  Catania  in  data  6 marzo 2002 ai sensi dell'art. 503,
comma  5, c.p.p. in quanto utilizzati per le contestazioni e difformi
dalle  dichiarazioni rese dall'imputato Metthsinna Arahhige Jerad nel
corso dell'esame dibattimentale. La difesa si e' opposta.
All'odierna  udienza, dichiarati utilizzabili ai fini della decisione
gli  atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, ad esito della
istruzione   dibattimentale,   le  parti  formulavano  le  rispettive
conclusioni  cosi'  come  in  epigrafe  riportate ed il giudice, dopo
essersi  ritirato in camera di consiglio per decidere, pronunciava la
presente ordinanza.
                               Osserva
L'imputato  Metthsinna  Arahhige  Jerad,  esaminato all'udienza del 5
luglio  2005  e  con l'assistenza di un interprete all'udienza del 30
giugno  2006,  ha  fornito  una  versione dei fatti diversa da quella
offerta  in  sede di interrogatorio davanti al g.i.p., al p.m. e alla
p.g. delegata.
Ha  invero  negato  la  sua  responsabilita'  ed ha dichiarato che il
coimputato  Liyauruga  Nelson  Santha  lo  aveva aiutato a portare la
barca,  precisando  che  era  stato  lui a chiedere aiuto a Liyauruga
Nelson Santha perche' era stanco.
Sentito  in  sede  di  interrogatorio  di  garanzia davanti al G.i.p.
presso  il Tribunale di Siracusa in data 25 febbraio 2002, l'imputato
Metthsinna  Arahhige  Jerad  aveva,  invece,  ammesso i fatti che gli
venivano  contestati  ed  aveva  riconosciuto Liyauruga Nelson Santha
come concorrente nel reato.
Sentito  in  sede  di  interrogatorio  davanti  al  p.m.,  l'imputato
Metthsinna  aveva  riconosciuto  nella  fotografia n. 6 la persona di
nome Santha che lo aveva aiutato nella conduzione dell'imbarcazione.
Sentito in sede di interrogatorio delegato dalla Squadra Mobile della
Questura  di  Catania  in  data  6  marzo 2002, l'imputato Metthsinna
Arahhige Jerad aveva, poi, precisato che il comando dell'imbarcazione
gli  era  stato  affidato  dal  suo  connazionale  e amico d'infanzia
Lalith,  il quale gli aveva promesso la somma di 11 lex equivalenti a
circa  20.000  euro, di cui gli aveva dato come anticipo un lex e gli
aveva  detto  che  sulla  barca  avrebbe  trovato due persone di nome
Santha  e Jayawan che lo avrebbero collaborato. In effetti al momento
della  partenza  aveva trovato a bordo le persone indicate dal Lalith
che lo avevano collaborato per tutta la durata del viaggio.
Le dichiarazioni rese dall'imputato Metthsinna Arahhige Jerad in sede
di  interrogatorio  davanti al g.i.p., davanti al p.m. e davanti alla
Squadra  Mobile  della  Questura  di  Catania  sono, com'e' evidente,
fortemente  accusatorie nei confronti del coimputato Liyauruga Nelson
Santha  in  quanto  riscontrano  l'ipotesi accusatoria che l'imputato
Liyauruga  Nelson  Santha  sia  stato  uno dei soggetti che sia stato
scelto,  fin  dall'inizio,  dagli  organizzatori  del  viaggio per la
conduzione     dell'imbarcazione     che     trasportava    cittadini
extracomunitari nel territorio dello Stato italiano.
Si   pone,   quindi,   il   problema   della   utilizzabilita'  delle
dichiarazioni  rese dall'imputato Metthsinna Arahhige Jerad non solo,
com'e'  pacifico,  nei confronti dello stesso, ma anche nei confronti
del  coimputato  Liyauruga  Nelson Santha, il cui difensore non aveva
diritto di assistervi e non ha prestato il consenso all'utilizzazione
delle stesse.
                               Ritiene
Ad  avviso  di  questo  giudice  e'  rilevante  e  non manifestamente
infondata  la  questione  di  legittimita' costituzionale del comma 5
dell'art.  503  c.p.p.,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  le
dichiarazioni  alle  quali  il  difensore  aveva diritto di assistere
assunte  dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria su delega
del pubblico ministero non possono essere utilizzate nei confronti di
altri  senza  il  loro consenso, salvo che ricorrano i presupposti di
cui  all'art.  500,  comma  4, c.p.p., per violazione degli artt. 24,
secondo comma, e 111, comma quarto, Cost.
Ad   avviso   di   questo   giudice  e',  inoltre,  rilevante  e  non
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
del  comma 6 dell'art. 503 c.p.p., nella parte in cui non prevede che
le  dichiarazioni  alle quali il difensore aveva diritto di assistere
rese  a  norma degli articoli 294, 299, comma 3-ter, 391 e 422 c.p.p.
non  possono  essere  utilizzate nei confronti di altri senza il loro
consenso,  salvo  che  ricorrano  i  presupposti di cui all'art. 500,
comma  4,  c.p.p.,  per  violazione  degli artt. 24, secondo comma, e
111, quarto comma, Cost.
La  rilevanza delle questioni nel giudizio a quo e' evidente: in base
al  diritto  vivente,  espresso  dalla  giurisprudenza della Corte di
cassazione   e  dalla  stessa  Corte  costituzionale,  le  precedenti
dichiarazioni  difformi  rese  dall'imputato davanti al p.m., davanti
alla  p.g.  delegata  e  davanti  al g.i.p. nella fase delle indagini
preliminari  e  nell'udienza preliminare, in quanto utilizzate per le
contestazioni  ed acquisite al fascicolo per il dibattimento ai sensi
dei  commi  5  e  6  dell'art.  503  c.p.p., assumono piena efficacia
probatoria al fine dell'accertamento dei fatti non solo nei confronti
dell'imputato che le ha rese con la (possibilita' della) presenza del
difensore, ma anche nei confronti dei coimputati il cui difensore non
aveva  diritto  di  assistervi  e  che non hanno prestato il consenso
all'utilizzazione  delle  stesse  (in termini, Cass. pen., sez. I, 12
luglio  2005,  n. 34244,  Vitelli  e  altri; Cass. pen., sez. III, 10
febbraio  2005, n. 9510, Micheletti V. ed altro; Cass. pen., sez. VI,
21 ottobre 1998 - 28 gennaio 1999, n. 1167, Maraffi C. e altri; Cass.
pen., sez. I, 12 maggio 1999, n. 9539, Commisso ed altri; Cass. pen.,
sez.  I,  7  maggio  1992,  n. 6918,  Meconi; Cass. pen., sez. VI, 1°
luglio  1992,  n. 9822,  Pellegrino;  Cass.  pen., sez. I, 17 ottobre
1991,  n. 12386,  Roger;  Corte  cost.  sentenza n. 255 del 18 maggio
1992).
Pertanto  nel  giudizio  a  quo  le  dichiarazioni rese dall'imputato
Metthsinna  Arahhige  Jerad  in  sede  di  interrogatorio  davanti al
g.i.p.,  davanti  alla  Procura  di  Siracusa  e davanti alla Squadra
Mobile  della  Questura  di  Catania sarebbero utilizzabili anche nei
confronti  del  coimputato  Liyauruga Nelson Santha, il cui difensore
non  aveva  diritto  di  assistervi e che non ha prestato il consenso
all'utilizzazione delle stesse.
Ne   consegue  che  il  giudizio  a  quo  non  puo'  essere  definito
indipendentemente  dalla  risoluzione  delle  suddette  questioni  di
legittimita' costituzionale.
Le questioni di legittimita' costituzionale dei commi 5 e 6 dell'art.
503 c.p.p. non sono, poi, manifestamente infondate.
Occorre   premettere  un  breve  excursus  storico  sulla  disciplina
normativa della formazione e valutazione della prova che dall'entrata
in  vigore del nuovo codice di procedura penale (approvato con d.P.R.
22  settembre  1988,  n. 447)  ha  subito numerose modifiche ad opera
della Corte costituzionale e del legislatore.
Il   nuovo   codice  di  procedura  penale,  nella  sua  impostazione
originaria,   era   ispirato  ai  principi  della  oralita'  e  della
separazione   della   fase   delle  indagini  preliminari  da  quella
dibattimentale, assicurando in tal modo la formazione della prova nel
contraddittorio tra le parti.
Cosi',  in  tema di contestazioni nell'esame testimoniale, l'art. 500
c.p.p.  dopo  aver  ribadito,  al  comma 1, i divieti di lettura e di
allegazione,   stabiliva,   al   comma   3,   che   le  dichiarazioni
precedentemente rese dal testimone e utilizzate per le contestazioni,
anche  se  lette dalla parte, non potevano costituire prova dei fatti
in  esse  affermati  e  potevano essere valutate dal giudice solo per
stabilire la credibilita' della persona esaminata.
In  tema di esame dell'imputato (e delle altre parti private), l'art.
503  c.p.p.,  al  comma  3,  ripeteva  i  divieti  di  lettura  e  di
allegazione  e  richiamava, al comma 4, quanto alla valutazione delle
dichiarazioni precedentemente rese dalla parte esaminata e utilizzate
per le contestazioni, la disposizione dell'art. 500, comma 3 c.p.p.
In  tema  di prove documentali, l'art. 238 c.p.p. stabiliva, al comma
1,  che  «E'  consentita  l'acquisizione di verbali di prove di altro
procedimento  penale,  se le parti vi consentono e si tratta di prove
assunte  nell'incidente  probatorio  o  nel  dibattimento  ovvero  di
verbali  di  cui e' stata data lettura durante lo stesso»; prevedeva,
al  comma  4,  che  «I  verbali  di  prova  di  cui non e' consentita
l'acquisizione a norma dei commi precedenti possono essere utilizzati
nel  dibattimento ai fini delle contestazione previste dagli articoli
500 e 503».
Al  principio  della  formazione  dibattimentale  della  prova faceva
eccezione  l'art.  513  c.p.p.  che prevedeva la possibilita' di dare
lettura,  a  richiesta di parte, dei verbali delle dichiarazioni rese
al   pubblico  ministero  o  al  giudice  nel  corso  delle  indagini
preliminari  o nell'udienza preliminare dall'imputato nonche', se non
era  possibile  ottenere  la  presenza del dichiarante, dalle persone
indicate nell'art. 210 c.p.p.
Nella  sua  formulazione  originaria,  peraltro,  il  nuovo codice di
procedura   penale   diversificava,   quanto   alla  possibilita'  di
acquisizione, la disciplina delle dichiarazioni rese nella fase delle
indagini  preliminari  a seconda che fossero state rese dal testimone
ovvero dall'imputato (e dalle altre parti private).
In  particolare, mentre l'art. 500 c.p.p. prevedeva, al comma 4, come
unica   limitata   eccezione,  l'acquisizione  al  fascicolo  per  il
dibattimento  delle  dichiarazioni  assunte  dal pubblico ministero o
dalla  polizia  giudiziaria  nel corso delle perquisizioni ovvero sul
luogo e nell'immediatezza del fatto (le c.d. res gestae, in relazione
alle  quali  veniva  formulata  una  presunzione  di  genuinita),  se
utilizzate  per  le  contestazioni,  l'art. 503 c.p.p., stabiliva, ai
commi  5  e  6, l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento delle
dichiarazioni  assunte  dal  pubblico  ministero  e di quelle rese al
giudice  a  norma  degli  artt.  294,  391 e 422 c.p.p. alle quali il
difensore   aveva   diritto   di  assistere,  se  utilizzate  per  le
contestazioni previste dal comma 3.
La    possibilita'   di   acquisizione   delle   dichiarazioni   rese
dall'imputato  (e  dalle  altre  parti private) al pubblico ministero
ovvero  al giudice trovava la sua ratio nelle modalita' di assunzione
delle  dichiarazioni, trattandosi di atti garantiti dalla presenza (o
comunque dal diritto alla presenza) del difensore.
L'impostazione   rigorosamente   accusatoria   del  nuovo  codice  di
procedura  penale  -  e  con  essa  la diversita' di disciplina delle
dichiarazioni  rese  nella  fase delle indagini preliminari a seconda
che  fossero  state  rese dal testimone ovvero dall'imputato (o dalle
altre  parti  private)  -  veniva  stravolta nell'anno 1992 quando la
Corte  costituzionale, prima, e il legislatore, poi, sacrificavano il
principio   del   contraddittorio   nella   formazione   della  prova
sull'altare della efficienza del processo, teorizzando addirittura il
principio della non dispersione dei mezzi di prova.
La  Corte costituzionale, infatti, con sentenza 18 maggio - 13 giugno
1992, n. 255, dichiarava l'illegittimita', per contrasto con l'art. 3
Cost.,   del   terzo   e  del  quarto  comma  dell'art.  500  c.p.p.,
quest'ultimo  nella  parte  in  cui  non prevedeva l'acquisizione nel
fascicolo  per  il  dibattimento,  se  erano  state utilizzate per le
contestazioni previste dai commi primo e secondo, delle dichiarazioni
precedentemente  rese  dal  testimone  e  contenute nel fascicolo del
pubblico ministero.
L'assimilazione   della  disciplina  delle  precedenti  dichiarazioni
difformi   rese   dal  testimone  alla  disciplina  delle  precedenti
dichiarazioni  difformi  rese  dall'imputato  (e  dalle  altre  parti
private)   veniva,  poi,  in  gran  parte  confermata  dalla  novella
legislativa  portata  dal  d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con
modificazioni nella legge 7 agosto 1992, n. 356.
L'art  7,  d.l.  8  giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni
nella  legge  7  agosto  1992, n. 356, infatti, dopo aver inserito il
comma  2-bis,  modificava  i  commi  3  e  4  dell'art.  500,  c.p.p.
stabilendo  che  le  dichiarazioni  utilizzate  per  la contestazione
potevano  essere utilizzate dal giudice per stabilire la credibilita'
della  persona  esaminata  (comma  3)  e  che quando, a seguito della
contestazione,  sussisteva  difformita'  rispetto  al contenuto della
deposizione,  le  dichiarazioni utilizzate per la contestazione erano
acquisite  al  fascicolo  per  il dibattimento ed erano valutate come
prova  dei  fatti in esse affermati se sussistevano altri elementi di
prova che ne confermavano l'attendibilita' (comma 4).
L'art.  7,  cit.,  inoltre,  aggiungeva  i commi 5 («le dichiarazioni
acquisite  a  norma del comma 4 sono valutate come prova dei fatti in
esse affermati quando, anche per le modalita' della deposizione o per
altre  circostanze  emerse nel dibattimento, risulta che il testimone
e'  stato  sottoposto  a  violenza,  minaccia,  offerta o promessa di
denaro  o di altra utilita', affinche' non deponga o deponga il falso
ovvero risultano altre situazioni che hanno compromesso la genuinita'
dell'esame»)  e  6  («Le  dichiarazioni  assunte  dal giudice a norma
dell'art.  422  costituiscono  prova  dei fatti in esse affermati, se
sono  state  utilizzate  per  le  contestazioni previste dal presente
articolo»).
Si  stabiliva,  quindi, che le precedenti dichiarazioni difformi rese
dal  teste  e  utilizzate per le contestazioni avessero, in generale,
una efficacia probatoria limitata (ossia unitamente ad altri elementi
di  prova)  e che avessero, invece, una efficacia probatoria piena in
presenza  di  determinate  circostanze  ovvero  qualora  erano  state
assunte  dal  giudice a norma dell'art. 422 c.p.p. (ossia all'udienza
preliminare).
L'art.  8,  d.l.  8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni
nella  legge  7 agosto 1992, n. 356, modificava, inoltre, l'art. 503,
comma   5,   c.p.p.   prevedendo  espressamente  tra  le  ipotesi  di
acquisizione  nel  fascicolo  per  il dibattimento anche quella delle
dichiarazioni  alle  quali  il  difensore  aveva diritto di assistere
assunte dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero.
La  legge  7  agosto  1992,  n. 356,  sostituiva, inoltre, l'art. 238
c.p.p.   eliminando  la  necessita'  del  consenso  delle  parti  per
l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale se si
trattava   di   prove   assunte   nell'incidente   probatorio  e  nel
dibattimento  (comma 1) nonche' prevedendo in mancanza di consenso la
possibilita'  di  utilizzazione dei verbali a norma degli artt. 500 e
503  c.p.p.  (comma  4),  facendo  salvo  il  diritto  delle parti di
ottenere   a  norma  dell'art.  190  l'esame  delle  persone  le  cui
dichiarazioni  erano  state  acquisite  a  norma  dei  commi 1, 2 e 4
dell'art. 238 c.p.p.
Il   problema   dei  limiti  alla  utilizzabilita'  delle  precedenti
dichiarazioni  difformi  tornava, pero', a porsi con riferimento alle
dichiarazioni  rese  dall'imputato e dalle persone indicate nell'art.
210  c.p.p.  nel  corso  delle  indagini  preliminari  o nell'udienza
preliminare.
La  Corte  costituzionale, infatti, con sentenza 18 maggio - 3 giugno
1992,   n. 254,   aveva  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'originario  comma 2 dell'art. 513 c.p.p. «nella parte in cui non
prevedeva  che  il  giudice,  sentite le parti, disponesse la lettura
delle  dichiarazioni  di  cui  al  comma 1 del medesimo articolo rese
dalle  persone  indicate nell'art. 210, qualora queste si avvalessero
della facolta' di non rispondere».
Con  sentenza  20  - 24 febbraio 1995, n. 60, la Corte costituzionale
aveva,     poi,     dichiarato     l'illegittimita'    costituzionale
dell'originario  comma  1 dell'art. 513 c.p.p. nella parte in cui non
prevedeva  che il giudice, ricorrendone le condizioni, disponesse che
fosse  data  lettura  dei  verbali  delle dichiarazioni dell'imputato
assunte dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero.
Il legislatore reagiva alle sentenze della Corte costituzionale e con
la  legge  7  agosto  1997,  n. 267,  modificava  l'art.  513 c.p.p.,
stabilendo,  al  primo comma, che le dichiarazioni rese dall'imputato
al  pubblico  ministero  o  alla  polizia  giudiziaria  su delega del
pubblico  ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari
o   nell'udienza  preliminare  non  potevano  essere  utilizzate  nei
confronti  di  altri  senza il loro consenso e stabilendo, al secondo
comma,  che,  qualora  le  persone  indicate  nell'art. 210 c.p.p. si
avvalessero della facolta' di non rispondere, il giudice disponeva la
lettura dei verbali contenenti le suddette dichiarazioni soltanto con
l'accordo delle parti.
La  legge  7  agosto  1997,  n. 267, modificava, inoltre, l'art. 238,
c.p.p.,  inserendo  il  comma  2-bis  con cui stabiliva che «nei casi
previsti  dal  comma  1, le dichiarazioni rese dalle persone indicate
nell'art. 210 sono utilizzabili soltanto nei confronti degli imputati
i   cui   difensori   hanno   partecipato  alla  loro  assunzione»  e
modificando,  al  comma  4, le parole «se le parti vi consentono» con
«solo nei confronti dell'imputato che vi consenta».
La  Corte  costituzionale  veniva  nuovamente  chiamata  ad occuparsi
dell'art.  513,  c.p.p., e con sentenza 26 ottobre - 2 novembre 1998,
n. 361,   dichiarava   l'illegittimita'   costituzionale  dell'ultimo
periodo  del  comma  2  dell'art. 513, c.p.p., nella parte in cui non
prevedeva  che,  qualora il dichiarante rifiutava o comunque ometteva
in   tutto   o  in  parte  di  rispondere  su  fatti  concernenti  la
responsabilita'   di   altri   gia'   oggetto  delle  sue  precedenti
dichiarazioni,  in  mancanza dell'accordo delle parti alla lettura si
applicava l'art. 500, commi 2-bis e 4, c.p.p.
Il   legislatore   reagiva   a   quest'ultima  sentenza  della  Corte
costituzionale  e con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2,
modificava  l'art.  111 Cost. introducendo i principi del c.d. giusto
processo  e,  con  particolare  riferimento  al  processo  penale, il
principio del contraddittorio nella formazione della prova.
Il  principio  del  contraddittorio  nella formazione della prova nel
processo  penale  e'  ora, infatti, espressamente enunciato nella sua
dimensione  oggettiva,  cioe' quale metodo di accertamento giudiziale
dei  fatti,  nella  prima parte del quarto comma dell'art. 111 Cost.,
mediante   la  formulazione  «il  processo  penale  e'  regolato  dal
principio  del  contraddittorio  nella  formazione della prova» ed e'
richiamato anche nella sua dimensione soggettiva, cioe' quale diritto
dell'imputato  di  confrontarsi con il suo accusatore, in particolare
nel   terzo   comma   del  medesimo  articolo  111  Cost.  ove  viene
riconosciuta  alla  persona accusata la facolta', davanti al giudice,
di   interrogare   o  di  far  interrogare  le  persone  che  rendono
dichiarazioni  a suo carico «(in termini, Corte cost. 12 - 25 ottobre
2000,    n. 440).    Il   principio   trova,   poi,   una   specifica
puntualizzazione nella regola, dettata dalla seconda parte del quarto
comma dell'art. 111 Cost., secondo cui «La colpevolezza dell'imputato
non  puo' essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per
libera    scelta,    si    e'    sempre   volontariamente   sottratto
all'interrogatorio  da  parte  dell'imputato  o  del  suo difensore».
Contestualmente  l'art.  111  Cost.  prevede  nel  quinto  comma  che
eccezionalmente,  nei casi regolati dalla legge, «la formazione della
prova  non  ha  luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o
per  accertata  impossibilita'  di  natura oggettiva o per effetto di
provata condotta illecita».
In attuazione della legge costituzionale di riforma dell'articolo 111
della  Costituzione, veniva quindi emanata dal Parlamento la legge 1°
marzo  2001,  n. 63,  che  apportava modifiche al codice di procedura
penale in materia di formazione e valutazione della prova.
La  legge  1°  marzo  2001,  n. 63, ha, anzitutto, ridotto l'area del
diritto al silenzio dell'imputato in procedimento connesso o di reato
collegato,  modificando  diverse disposizioni del codice di procedura
penale  tra  cui,  in  particolare,  il comma 3 dell'art. 64 c.p.p. e
introducendo  l'art.  197-bis,  il  quale stabilisce i casi in cui le
persone  imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato
collegato  a norma dell'art. 371, comma 2, lett. b), possono assumere
l'ufficio  di testimone c.d. assistito e precisamente quando nei loro
confronti    e'    stata   pronunciata   sentenza   irrevocabile   di
proscioglimento,  di  condanna  o di applicazione della pena ai sensi
dell'art.  444  c.p.p.  ovvero,  quando  si  tratti  di  imputato  in
procedimento  connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. e), o di
un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lett. b), nel caso
previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c), c.p.p.
La  legge  1°  marzo  2001, n. 63, ha, poi, modificato l'art. 210 del
codice   di  procedura  penale,  non  solo  limitando,  in  generale,
l'applicazione   delle   sue  disposizioni  all'esame  delle  persone
imputate  in  un procedimento connesso a norma dell'art. 12, comma 1,
lett.  a),  nei  confronti  delle  quali si procede o si e' proceduto
separatamente  e che non possono assumere l'ufficio di testimone (non
essendo  state  giudicate con sentenza divenuta irrevocabile) nonche'
stabilendo l'applicazione delle disposizioni dell'art. 210 anche alle
persone  imputate  in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12,
comma  1,  lett.  c),  o di un reato collegato a norma dell'art. 371,
comma  2,  lett.  b),  solo se le stesse non hanno reso in precedenza
dichiarazioni   concernenti   la   responsabilita'   dell'imputato  e
prevedendo  che  a  tali  persone  e'  dato  l'avvertimento  previsto
dall'art.  64,  comma  3,  lett.  c), e che, se esse non si avvalgono
della facolta' di non rispondere, assumono l'ufficio di testimone; ma
soprattutto  stabilendo  che  all'esame  delle persone imputate in un
procedimento  connesso  o per un reato collegato si applicano, tra le
altre,  le  disposizioni  previste  dall'art. 500, c.p.p., e non piu'
quelle  previste  dall'art.  503,  c.p.p., in tal modo assimilando la
posizione  delle persone imputate in un procedimento connesso o di un
reato collegato a quella del testimone.
La  legge  1°  marzo  2001, n. 63, ha, poi, modificato l'art. 238 del
codice  di  procedura  penale, stabilendo, al comma 2-bis, che tra le
dichiarazioni  utilizzabili  soltanto  se il difensore ha partecipato
all'assunzione della prova vi sono anche quelle rese dall'imputato (e
non  piu'  solo  quelle rese dalle persone indicate nell'articolo 210
c.p.p.)  e precisando, al comma 4, che, in mancanza di partecipazione
all'assunzione  della  prova  o  di consenso dell'imputato, i verbali
delle   dichiarazioni   possono   essere   utilizzati   solo  per  le
contestazioni previste dagli articoli 500 e 503, c.p.p.
La  legge  1°  marzo  2001, n. 63, ha, poi, modificato l'art. 500 del
codice  di  procedura  penale, diversificando nuovamente, quanto alla
possibilita'  di  acquisizione,  la  disciplina  delle  dichiarazioni
difformi  rese  nella  fase  delle indagini preliminari dal testimone
rispetto  a  quelle rese dall'imputato. In particolare, ha nuovamente
previsto  che  le  dichiarazioni  lette  per le contestazioni possono
essere  valutate, di regola, ai soli fui della credibilita' del teste
(comma  3) e ha previsto, come limitata eccezione, la possibilita' di
acquisizione  al  fascicolo  per  il dibattimento delle dichiarazioni
rese  dal  testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero
«quando,  anche  per  le circostanze emerse nel dibattimento, vi sono
elementi concreti per ritenere che il testimone e' stato sottoposto a
violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilita',
affinche' non deponga ovvero deponga il falso» (comma 4).
La  legge  1°  marzo  2001,  n. 63, ha, infine, modificato il comma 6
dell'art.  500,  c.p.p.,  prevedendo che le dichiarazioni assunte dal
giudice  a  norma  dell'art.  422,  se  sono  state utilizzate per le
contestazioni, sono acquisite al fascicolo del dibattimento ma solo a
richiesta  di parte e, soprattutto, sono valutate ai fini della prova
solo  nei  confronti  delle  parti  che  hanno  partecipato alla loro
assunzione.
La  legge 1° marzo 2001, n. 63, ha, infine, modificato l'art. 513 del
codice  di  procedura penale, aggiungendo, alla fine del primo comma,
le  parole  «salvo  che  ricorrano i presupposti di cui all'art. 500,
comma 4».
Alla  fine  di  questo breve excursus puo', quindi, affermarsi che il
quadro  normativo in tema di formazione e valutazione della prova nel
processo penale, a seguito della legge costituzionale n. 2 del 1999 e
della  legge  1°  marzo  2001, n. 63, e' ora interamente informato al
principio  del contraddittorio nella formazione della prova sia nella
sua dimensione oggettiva sia nella sua dimensione soggettiva.
Da   un   lato   e'   stata  nuovamente  diversificata,  quanto  alla
possibilita'   di   acquisizione,   la  disciplina  delle  precedenti
dichiarazioni  difformi  rese nella fase delle indagini preliminari a
seconda  che  siano  state  rese  dal  testimone  (al  quale e' ormai
assimilata  la  posizione  delle  persone imputate in un procedimento
connesso  o  di un reato collegato) ovvero dall'imputato ed e' stata,
in  sostanza,  ripristinata  l'impostazione  originaria  del  codice;
dall'altro, l'utilizzabilita' delle precedenti dichiarazioni difformi
rese  dall'imputato  e  delle  dichiarazioni  rese nel corso di altri
processi  penali  e  civili  e'  stata  limitata  all'imputato il cui
difensore  ha  partecipato  all'assunzione  della  prova  o  nei  cui
confronti fa stato la sentenza civile ovvero che vi consenta.
In  particolare,  l'acquisizione dei verbali delle dichiarazioni rese
dall'imputato  al  pubblico  ministero  o alla polizia giudiziaria su
delega  del  pubblico  ministero  ovvero  al  giudice nel corso delle
indagini  preliminari  o nell'udienza preliminare, prevista dall'art.
513  c.p.p.,  qualora l'imputato sia contumace o assente o rifiuti di
sottoporsi   all'esame,  non  costituisce  una  deroga  al  principio
costituzionale  del  contraddittorio  nella  formazione  della  prova
atteso  che  tali  dichiarazioni, da un lato, sono state assunte alla
presenza  del  difensore  e quindi in contraddittorio tra le parti e,
dall'altro,  non  possono  essere  utilizzate  nei confronti di altri
imputati  senza il loro consenso salvo che ricorrano i presupposti di
cui all'art. 500, comma 4, c.p.p.
Parimenti  la  possibilita'  di  acquisizione dei verbali di prove di
altro  procedimento  penale  e  civile, prevista dall'art. 238, se si
tratta  di prove assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento
ovvero  in  un  giudizio  civile  definito  con  sentenza  passata in
giudicato, non costituisce una deroga al principio costituzionale del
contraddittorio  nella  formazione  della  prova atteso che i verbali
delle  dichiarazioni  possono  essere  utilizzati  contro  l'imputato
soltanto  se  il  suo  difensore  ha partecipato all'assunzione della
prova ovvero se l'imputato vi consenta.
In entrambi i casi (artt. 513 e 238 c.p.p.), dunque, il principio del
contraddittorio  nella  formazione della prova e' rispettato perche',
da  un  lato,  si tratta di atti garantiti dalla presenza (o comunque
dalla  possibilita'  della presenza) del difensore dell'imputato alla
loro  assunzione  (cio'  che costituisce la ratio della utilizzazione
degli   atti   nei   confronti  dell'imputato),  dall'altro  lato,  e
correlativamente,  e'  previsto  che  tali  dichiarazioni non possono
essere  utilizzate  nei confronti degli imputati il cui difensore non
abbia potuto partecipare alla loro assunzione senza il loro consenso,
salvo  che  ricorrano  i  presupposti  di  cui all'art. 500, comma 4,
c.p.p.
In  altri  termini,  la  ratio della possibilita' di acquisizione dei
suddetti   verbali  di  dichiarazioni,  pur  nella  diversita'  delle
ipotesi, consiste in cio' che o si tratta di atti alla cui assunzione
il difensore dell'imputato ha potuto partecipare e allora la prova si
e'  gia'  formata  nel contraddittorio delle parti (in conformita' al
dettato  del  quarto  comma dell'art. 111 Cost.) ovvero l'imputato ha
prestato il suo consenso all'acquisizione dell'atto e allora la prova
non  si  e'  formata  in  contraddittorio  tra  le parti per consenso
dell'imputato  (in  conformita'  a  quanto stabilito dal quinto comma
dell'art. 111 Cost.).
Una  riprova  della  esattezza di questa lettura degli articoli 513 e
238  c.p.p.  si  trova nell'art. 500 c.p.p., che, al comma 6, prevede
si'  la possibilita' di acquisizione al fascicolo per il dibattimento
delle  dichiarazioni  assunte dal giudice a norma dell'art. 422, e la
loro valutazione ai fini della prova, se sono state utilizzate per le
contestazioni,   ma   solo   nei  confronti  delle  parti  che  hanno
partecipato alla loro assunzione, richiedendo altrimenti, al comma 7,
l'accordo delle parti per l'acquisizione delle dichiarazioni.
Cosi'  le  cose,  appare,  quindi,  fondato il dubbio di legittimita'
costituzionale  del  comma 5 dell'art. 503, c.p.p, nella parte in cui
non  prevede  che  le  dichiarazioni  alle  quali  il difensore aveva
diritto  di  assistere assunte dal pubblico ministero o dalla polizia
giudiziaria  su  delega  del  pubblico  ministero  non possono essere
utilizzate  nei  confronti di altri senza il loro consenso, salvo che
ricorrano  i  presupposti  di cui all'art. 500, conuna 4, c.p.p., per
violazione degli artt. 24, secondo comma, e 111, quarto comma, Cost.
Quanto  alla  violazione dell'art. 24 Cost., osserva il tribunale che
la possibilita' di utilizzazione nei confronti di altri senza il loro
consenso  delle dichiarazioni difformi rese dall'imputato al pubblico
ministero   o   alla  polizia  giudiziaria  su  delega  del  pubblico
ministero,  prevista  dal  comma  5 dell'art. 503, c.p.p., qualora le
dichiarazioni  siano  state utilizzate per le contestazioni, viola il
diritto  di  difesa  dei  coimputati  in  quanto  tali  dichiarazioni
difformi  sono  state  rese  dall'imputato  in  un  atto  al  quale i
difensori degli altri imputati non hanno potuto partecipare.
Quanto alla violazione dell'art. 111, quarto comma, Cost., osserva il
tribunale che la possibilita' di utilizzazione nei confronti di altri
senza   il   loro   consenso   delle   dichiarazioni   difformi  rese
dall'imputato  al  pubblico  ministero  o alla polizia giudiziaria su
delega  del  pubblico  ministero, prevista dal comma 5 dell'art. 503,
c.p.p.,  qualora  le  dichiarazioni  siano  state  utilizzate  per le
contestazioni,   viola   il   principio   del  contraddittorio  nella
formazione  della prova atteso che la prova in tal caso e' costituita
dalle dichiarazioni difformi rese dall'imputato in un atto al quale i
difensori  degli altri imputati non hanno potuto partecipare e quindi
la  prova si e' formata in contraddittorio solo con l'imputato il cui
difensore  aveva  diritto di assistere e non con gli altri imputati i
cui difensori non avevano diritto di assistere.
Sul   punto   giova   osservare   che,  dopo  una  lunga  discussione
parlamentare  che  ha  visto  contrapposti  il Senato e la Camera, la
nostra  Costituzione  ha  accolto  una  concezione «massimalista» del
contraddittorio,  per  cui  «prova  formata  in  contraddittorio»  e'
esclusivamente  quella  dichiarazione  che  sia  stata resa nel corso
dell'esame  incrociato,  mentre  la  dichiarazione  utilizzata per le
contestazioni  e'  un  mezzo  che serve al contraddittorio, in quanto
costringe  l'esaminato  a  rendere conto del mutamento della versione
dei  fatti,  ma  non e' formata in contraddittorio e come tale non e'
utilizzabile come prova del fatto.
La   nostra  Costituzione  ha,  quindi,  rigettato  quella  accezione
«minore»   del   contraddittorio,   secondo  cui  «prova  formata  in
contraddittorio»  e'  quella  prova  complessa  che  si compone della
dichiarazione   dibattimentale   e   del   c.d.  precedente  difforme
introdotto mediante contestazione.
Come   sopra   osservato,  il  principio  del  contraddittorio  nella
formazione della prova nel processo penale e', infatti, espressamente
enunciato  non  solo  nella  sua  dimensione  soggettiva, cioe' quale
diritto  dell'imputato  di  controinterrogare  il suo accusatore, che
potrebbe consentire l'acquisizione e l'utilizzazione come prova della
precedente  dichiarazione  difforme,  ma  anche  nella sua dimensione
oggettiva,  cioe'  quale  metodo di accertamento giudiziale dei fatti
(«il  processo  penale  e' regolato dal principio del contraddittorio
nella  formazione della prova»), che, da un lato, esclude, di regola,
la   possibilita'   di   utilizzazione  probatoria  della  precedente
dichiarazione     oggetto    di    contestazione    e,    dall'altro,
«contestualizza»   il   contraddittorio:   la   prova   (rectius,  la
dichiarazione probatoria) deve essere formata nel contraddittorio tra
quelle parti nei confronti delle quali essa deve essere fatta valere.
La  stessa  Corte  costituzionale,  nel  rigettare  le  questioni  di
legittimita'  costituzionale  del  regime  di  esclusione  probatoria
previsto  dall'art.  500, c.p.p., ha piu' volte osservato che «l'art.
111  Cost.  ha  attribuito  risalto  costituzionale  al principio del
contraddittorio,  anche  nella  prospettiva della impermeabilita' del
processo  quanto  alla  formazione  della prova rispetto al materiale
raccolto  in  assenza  della  dialettica  tra  le  parti»; «che, alla
stregua  di siffatta opzione, appare del tutto coerente la previsione
di  istituti che mirino a preservare la fase del dibattimento - nella
quale  assumono  valore paradigmatico i principi della oralita' e del
contraddittorio  -  da  contaminazioni  probatorie  fondate  su  atti
unilateralmente  raccolti  nel  corso delle indagini preliminari» (in
termini,  ex pluribus, Corte cost. ord. 14 - 26 febbraio 2002, n. 36;
Corte  cost.  ord. 10 - 18 luglio 2002, n. 365; Corte cost. ord. 10 -
25 luglio 2002, n. 396).
Parimenti appare fondato il dubbio di legittimita' costituzionale del
comma  6  dell'art. 503 c.p.p., nella parte in cui non prevede che le
dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere rese
a  norma degli articoli 294, 299, comma 3-ter, 391 e 422, c.p.p., non
possono  essere  utilizzate  nei  confronti  di  altri  senza il loro
consenso,  salvo  che  ricorrano  i  presupposti di cui all'art. 500,
comma 4, c.p.p., per violazione degli artt. 24, secondo comma, e 111,
quarto comma, Cost.
Quanto  alla violazione dell'art. 24, Cost., osserva il tribunale che
la possibilita' di utilizzazione nei confronti di altri senza il loro
consenso  delle  dichiarazioni difformi rese dall'imputato al giudice
nel  corso  delle  indagini  preliminari  o nell'udienza preliminare,
prevista  dal  comma  6 dell'art. 503 c.p.p. qualora le dichiarazioni
siano  state  utilizzate  per  le  contestazioni, viola il diritto di
difesa  dei  coimputati  in  quanto  tali dichiarazioni difformi sono
state  rese dall'imputato in un atto al quale i difensori degli altri
imputati non hanno potuto partecipare.
Quanto alla violazione dell'art. 111, quarto comma, Cost., osserva il
tribunale che la possibilita' di utilizzazione nei confronti di altri
senza   il   loro   consenso   delle   dichiarazioni   difformi  rese
dall'imputato  al  giudice  nel  corso  delle  indagini preliminari o
nell'udienza  preliminare,  prevista dal comma 6 dell'art. 503 c.p.p.
qualora le dichiarazioni siano state utilizzate per le contestazioni,
viola  il  principio del contraddittorio nella formazione della prova
atteso  che  la  prova  in tal caso e' costituita dalle dichiarazioni
difformi  rese  dall'imputato  in  un atto al quale i difensori degli
altri  imputati  non hanno potuto partecipare e quindi la prova si e'
formata in contraddittorio solo con l'imputato il cui difensore aveva
diritto di assistere e non con gli altri imputati i cui difensori non
avevano diritto di assistere.
Sul   punto   giova   osservare   che,  dopo  una  lunga  discussione
parlamentare  che  ha  visto  contrapposti  il Senato e la Camera, la
nostra  Costituzione  ha  accolto  una  concezione «massimalista» del
contraddittorio,  per  cui  «prova  formata  in  contraddittorio»  e'
esclusivamente  quella  dichiarazione  che  sia  stata resa nel corso
dell'esame  incrociato,  mentre  la  dichiarazione  utilizzata per le
contestazioni  e'  un  mezzo  che serve al contraddittorio, in quanto
costringe  l'esaminato  a  rendere conto del mutamento della versione
dei  fatti,  ma  non e' formata in contraddittorio e come tale non e'
utilizzabile come prova del fatto.
La   nostra  Costituzione  ha,  quindi,  rigettato  quella  accezione
«minore»   del   contraddittorio,   secondo  cui  «prova  formata  in
contraddittorio»  e'  quella  prova  complessa  che  si compone della
dichiarazione   dibattimentale   e   del   c.d.  precedente  difforme
introdotto mediante contestazione.
Come   sopra   osservato,  il  principio  del  contraddittorio  nella
formazione della prova nel processo penale e', infatti, espressamente
enunciato  non  solo  nella  sua  dimensione  soggettiva, cioe' quale
diritto  dell'imputato  di  controinterrogare  il suo accusatore, che
potrebbe consentire l'acquisizione e l'utilizzazione come prova della
precedente  dichiarazione  difforme,  ma  anche  nella sua dimensione
oggettiva,  cioe'  quale  metodo di accertamento giudiziale dei fatti
(«il  processo  penale  e' regolato dal principio del contraddittorio
nella  formazione della prova»), che, da un lato, esclude, di regola,
la   possibilita'   di   utilizzazione  probatoria  della  precedente
dichiarazione     oggetto    di    contestazione    e,    dall'altro,
«contestualizza»   il   contraddittorio:   la   prova   (rectius,  la
dichiarazione probatoria) deve essere formata nel contraddittorio tra
quelle parti nei confronti delle quali essa deve essere fatta valere.
La  stessa  Corte  costituzionale,  nel  rigettare  le  questioni  di
legittimita'  costituzionale  del  regime  di  esclusione  probatoria
previsto  dall'art.  500, c.p.p., ha piu' volle osservato che «l'art.
111,  Cost.  ha  attribuito  risalto  costituzionale al principio del
contraddittorio,  anche  nella  prospettiva della impermeabilita' del
processo,  guanto  alla formazione della prova, rispetto al materiale
raccolto  in  assenza  della  dialettica  tra  le  parti»; «che, alla
stregua  di siffatta opzione, appare del tutto coerente la previsione
di  istituti che mirino a preservare la fase del dibattimento - nella
quale  assumono  valore paradigmatico i principi della oralita' e del
contraddittorio  -  da  contaminazioni  probatorie  fondate  su  atti
unilateralmente  raccolti  nel  corso delle indagini preliminari» (in
termini,  ex pluribus, Corte cost. ord. 14 - 26 febbraio 2002, n. 36;
Corte  cost.  ord. 10 - 18 luglio 2002, n. 365; Corte cost. ord. 10 -
25 luglio 2002, n. 396).