IL TRIBUNALE
Ha emesso la seguente ordinanza.
                           I n  f a t t o
In  data  29  gennaio  2007  il  G.i.p. presso il Tribunale di Napoli
emetteva  ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di
Pianese  Pietro,  per  il  reato  di cui all'art. 73, legge droga (v.
ff.ll. 19 e 173).
   Dal raffronto dell'imputazione per la quale era adottata la misura
(fl. 173) con quella indicata in premessa dell'ordinanza (fl. 19 capo
f),  e  dalla  parte motiva dell'ordinanza stessa (fl.173), si evince
chiaramente  che il provvedimento restrittivo riguarda il reato nella
sua   ipotesi   semplice  (nonostante  nella  parte  dispositiva  del
provvedimento  sia  stata  mantenuta, ma solo nella indicazione della
norma violata, l'indicazione dell'art. 7, legge n. 203/1991).
Essendo  il  Pianese  detenuto  in  Olanda per altra causa, lo stesso
g.i.p.  emetteva  in  pari data mandato d'arresto europeo, che veniva
eseguito  in  data  28  febbraio 2007 (v. verb. d'arresto ex art. 21,
primo  comma,  legge  sulla  consegna, in pari data, della Polizia di
Brabant-Noord  Distretto  Aa&Bomme Team West, trasmesso e ricevuto in
pari data il 5 marzo 2007).
Risolvendo  una  questione  di  diritto intertemporale (v. fl. 14) in
data  21 giugno 2007 il Tribunale del riesame, in altra composizione,
pronunciandosi su un gravame proposto dal co-indagato Pianese Antonio
gravato della medesima imputazione, fissava in mesi tre i termini (di
fase) di custodia cautelare, disponendone la scarcerazione.
In  conseguenza  di  detta pronuncia, il 23 giugno 2007 anche Pianese
Pietro  chiedeva  di  essere scarcerato per decorrenza dei termini di
custodia  cautelare  (fl.  12),  essendo detenuto (all'estero) per la
medesima  imputazione  dal  28 febbraio (l'indagato di fatto invocava
altresi',   attraverso   un   sia   pur  non  pertinente  riferimento
all'effetto   estensivo   dell'impugnazione  fondato  su  motivi  non
esclusivamente  personale, art. 587 c.p.p., la parita' di trattamento
derivante    dall'esistenza    di    un    giudicato    cautelare   o
endo-processuale).
La  questione  insorta a seguito di tale istanza non aveva ad oggetto
la  durata  (mesi tre) dei termini di fase (v. ordinanza con la quale
il  g.i.p.,  pur  rigettando la richiesta, da' atto di cio': fl. 175,
«In  primo luogo...»), bensi' la possibilita' di computare, a fini di
decorrenza   della   custodia   cautelare,   la  detenzione  sofferta
all'estero prima della consegna all'a.g. italiana.
Il  p.m.  chiamato ad esprimere parere sull'istanza (fl. 18) assumeva
che  «la detenzione cautelare subita all'estero... non e' computabile
agli  effetti  dei  termini  di  durata della custodia cautelare, fin
tanto  che  la  persona  richiesta non sia posta a disposizione della
giurisdizione  italiana», ed indicava a sostegno una pronuncia in tal
senso della S.C. (Cass. pen., sez. VI, n. 7705 del 19 dicembre 2006).
Il  g.i.p.  (fl.  175)  rigettava  l'istanza  sul presupposto che «il
periodo  di  custodia cautelare sofferto all'estero in esecuzione del
mandato  d'arresto  europeo  e'  computato ai sensi e per gli effetti
degli  articoli  303,  comma  4,  304  e  657 del codice di procedura
penale»,  quindi  «...  solo ai fini dei termini massimi di fase... e
non  anche  ai  fini  del  computo  dei termini ordinari di fase...»,
assumendo  a  sostegno  di  tale  decisione  la  lettera  della norma
dell'art.  33  della  legge  22  aprile  2005,  n. 69 (che disciplina
appunto il mandato d'arresto europeo).
Faceva  osservare  la  difesa,  nell'indicata istanza di revoca della
misura e, piu' diffusamente, nell'atto di appello avverso l'ordinanza
di  rigetto  della  citata istanza, che in materia analoga il Giudice
delle  leggi  ha  sanzionato  tale  interpretazione.  In  effetti, la
sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 253  del 21 luglio 2004 ha
dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 722 c.p.p. «nella parte in
cui  non  prevede che la custodia cautelare all'estero in conseguenza
di  una  domanda di estradizione presentata dallo Stato sia computata
anche  agli  effetti  della  durata  dei  termini  di  fase  previsti
dall'art. 303, commi 1, 2 e 3 c.p.p.».
Il  g.i.p.,  sul punto, faceva osservare che la decisione della Corte
riguarda  l'art.  722  cit.  che  disciplina  la  custodia  cautelare
all'estero in pendenza di procedura di estradizione ed e' intervenuta
(2004)  prima  dell'emanazione della legge (2005) relativa al mandato
d'arresto  europeo:  a  suo  dire, se il legislatore non ne ha tenuto
presente,  evidentemente  e'  perche'  non ha ritenuto di assumere la
medesima disciplina per istituti sostanzialmente diversi.
La  difesa  viceversa  ha  sostenuto  che  il  presupposto  delle due
discipline  (in  sintesi,  il  pre-sofferto  rispetto  a  due  misure
eseguite  all'estero  di  cui l'una, quella eseguita in uno dei paesi
estranei alla comunita' europea, vede decorrere la custodia cautelare
sin  dal  momento  in cui, con la richiesta di estradizione, lo stato
richiedente  e  per  esso  l'a.g.  titolare  dell'azione  penale sono
formalmente  a  conoscenza  dell'avvenuto  arresto, all'estero, si da
compiere  quelle  attivita' d'indagine e/o istruttorie che consentano
di  definire  la  fase  processuale in corso prima della scadenza del
relativo  termine  di  custodia  cautelare)  e' comune ad entrambe le
discipline  (per  il  mandato  d'arresto  europeo  l'esecuzione della
misura,  di cui l'a.g. procedente e' messa immediatamente al corrente
come  per  ogn'altra misura eseguita sul territorio nazionale, non vi
sarebbe  ragione  di  far  decorrere  la  custodia cautelare solo dal
momento  in  cui l'arrestato viene materialmente messo a disposizione
dell'a.g., e che dunque deve ritenersi che se il legislatore del 2005
non  ha  tenuto  conto  del  dictum della Corte e' stato per una mera
svista  e  comunque, ove cosi' non fosse, la norma dell'art. 33 della
legge   n. 69/2005   sarebbe   incostituzionale   perche'  disciplina
diversamente  situazioni  sostanzialmente analoghe, configgendo oltre
che  col  principio  di  eguaglianza  (sostanziale)  dei cittadini di
fronte  alla legge (art. 3 Cost.), altresi' col diritto alla liberta'
personale (art. 13 Cost.) e quello di difesa (art. 24 Cost.).
Peraltro,  osservava  ancora  la difesa, e' noto come la procedura di
estradizione  comporta  tempi necessariamente lunghi (durante i quali
matura,   alla   luce   dell'intervento   della  Corte,  la  custodia
cautelare):  se  ratio  della norma (riformata) dell'art. 722 cit. e'
quella  di  non  gravare il catturato dei tempi di espletamento della
procedura  di estradizione, non si vede perche' altrettanto non debba
valere per l'arrestato in relazione ai tempi di consegna.
Sulla  base  delle argomentazioni anzidette la questione e' pervenuta
all'esame  di  questo  tribunale,  investito  del  gravame avverso il
provvedimento  di  rigetto dell'istanza di scarcerazione per scadenza
dei termini di fase di custodia cautelare.
Il tribunale ha ritenuto non manifestamente infondata la questione.
                      I n  d  i  r  i  t  t  o
La  sentenza della S.C. (sez. VI, n. 7705 del 2007, indicata dal p.m.
a    sostegno   del   proprio   parere   contrario   all'accoglimento
dell'istanza),  dichiarando  l'inammissibilita'  del ricorso proposto
dall'imputato  avverso  il  provvedimento  di rigetto dell'istanza di
scarcerazione  per  scadenza  dei  termini di custodia cautelare, sul
presupposto   che  al  momento  della  proposizione  dell'istanza  il
catturato  si  trovava  tuttora  detenuto  in  Brasile  (e che solo a
partire  dal  momento  in  cui  sarebbe  stato  posto  a disposizione
dell'a.g.  italiana  avrebbe  potuto  far  valere  le sue ragioni sui
termini  di custodia cautelare), finisce col negare l'equivalenza tra
detenzione  cautelare all'estero in attesa di estradizione e custodia
cautelare in Italia.
Pur  comprendendosi le ragioni sottese a detta pronuncia, che fondano
evidentemente  sulla  circostanza  che, in quel caso, la durata della
detenzione   non   era   ricollegabile   all'inerzia   dell'autorita'
giudiziaria  nazionale, ritiene il tribunale che l'orientamento cosi'
espresso  appare pero' contrastare con la lettera della norma, che fa
discendere  dalla  domanda di estradizione gli effetti sulla custodia
cautelare  (quella  massima,  nella  stesura originaria dell'art. 722
cit.,  altresi'  quella  di  fase,  in  quella  riveduta  e  corretta
dall'intervento della C. cost.), e comunque ne tradisce l'intenzione,
nella  parte in cui sancisce che «la custodia cautelare all'estero...
sia  computata  anche  agli  effetti della durata dei termini di fase
previsti  dall'art.  303,  commi  1,  2 e 3 c.p.p.» (in tal senso, v.
Cass. pen., sez. IV, 7 ottobre 2004, n. 1687).
Se,  com'e'  evidente,  e'  alla  custodia  cautelare  all'estero  in
pendenza  della  procedura  di estradizione che devesi avere riguardo
per il computo dei termini (di fase come quelli di durata massima) di
custodia  cautelare,  e'  dunque  alla presentazione della domanda di
estradizione  che  la  norma dell'art. 722 cit. fa risalire l'effetto
della  decorrenza  dei  termini di custodia cautelare (che, se avesse
avuto  riguardo  al  momento dell'esaurimento della procedura, con la
consegna  del  catturato all'a.g. italiana, l'integrazione o modifica
normativa  non avrebbe avuto motivo di esservi, posto che col rientro
dell'imputato  in  Italia  e  la  sua  messa a disposizione dell'a.g.
procedente,  la  custodia  cautelare  --  anche per quanto concerne i
termini di fase -- comincia a decorrere naturalmente).
Di  tanto  deve  essersi  verosimilmente  reso conto lo stesso g.i.p.
impugnato,  se  e'  vero  che,  omettendo  qualsiasi riferimento alla
pronuncia  della S.C. (sez. VI), fonda il proprio convincimento sulla
supposta   sostanziale   difformita'   tra  i  due  istituti  (quello
dell'estradizione  e  quello  della  consegna  del detenuto arrestato
dall'autorita'  di  uno  dei  paesi comunitari), a sua volta ricavata
dalla  sola  circostanza che se il legislatore del 2005 non ha tenuto
conto  dell'intervento  della  C. cost. del 2004, lo ha evidentemente
fatto su quel presupposto.
Tanto  rende  necessario, a parere del tribunale, ripercorrere l'iter
normativo  dell'art.  722 cit. e la sua comparazione con la norma che
ha introdotto la disciplina relativa al mandato di arresto europeo.
L'art.  10,  comma  1,  del  d.l.  8  giugno 1992, n. 306, in tema di
criminalita'  mafiosa,  convertito,  con modificazioni, nella legge 7
agosto  1992,  n. 356,  sostituiva  l'originario art. 722 del cod. di
proc.  pen.,  affermando  che  la  custodia  cautelare  all'estero in
conseguenza  di una domanda di estradizione presentata dallo Stato e'
computata   ai   soli  effetti  della  durata  complessiva  stabilita
dall'art.  303, comma 4, fermo quanto previsto dall'art. 304, comma 4
(che,  in  presenza  di  una delle ipotesi di sospensione dei termini
ordinari  di  fase  di  cui  all'art.  303,  commi 1, 2 e 3, fissa il
termine  di  durata  massima per ciascuna fase processuale, o termini
massimi di fase).
   Vale  precisare che le ipotesi di sospensione ex art. 304 cit. dei
termini  previsti  dall'art.  303  cit.  riguardano  la sola fase del
giudizio,  non  anche  la  fase delle indagini preliminari (art. 303,
comma 1, lett. a).
La  modifica normativa del testo dell'art. 304, intervenuta con legge
15  agosto 1995, n. 332, ha spostato all'attuale comma 6 l'originario
comma  4,  sicche'  la  norma  dell'art.  722 deve ritenersi riferita
all'attuale  comma  6  dell'art.  304,  per  il  rinvio ricettizio, o
materiale, al contenuto del comma vigente al momento della sua (cioe'
dell'art. 722) modifica.
Con  la sentenza del 2004 la Corte cost. dichiarava «l'illegittimita'
costituzionale  dell'art.  722  del codice di procedura penale, nella
parte  in  cui  non  prevede  che la custodia cautelare all'estero in
conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato sia
computata  anche  agli  effetti della durata dei termini di fase...»)
sul presupposto che l'originaria impostazione della giurisprudenza di
legittimita',  conseguente alla valutazione fatta dal legislatore del
1992  --  stando  alla  quale  «il  computo del periodo di detenzione
all'estero  solo  ai  fini  della  durata  complessiva della custodia
cautelare  e'  giustificato  dal  fatto  che  le fasi precedenti alla
procedura  di  estradizione  sfuggono alla disponibilita' dello Stato
italiano  --  non teneva conto della modifica normativa dell'art. 304
intervenuta  con  la  legge  n. 332/1995,  la  quale  ha introdotto i
termini finali di fase, "con la conseguenza che, ai fini della durata
della  custodia  cautelare  all'estero...  non  sarebbe  rilevante la
distinzione   tra   termini   finali   di   fase   e  termine  finale
complessivo..."».
Motivava  ancora  la Corte cost.: «Le vicende legislative degli artt.
722  e  304,  comma  6, cod. proc. pen., la decisione di questa Corte
che,  con  riferimento  all'art.  3  Cost.,  ha affermato, al fine di
ritenere  sussistente  il  legittimo  impedimento a comparire, che la
detenzione  dell'imputato  all'estero,  concretando comunque un fatto
materiale  di  impossibilita'  a comparire, non puo' essere assunta a
ragionevole  presupposto  di  una  diversita' di trattamento rispetto
alla  detenzione  in  Italia  (sentenza  n. 212  del 1974) la recente
pronuncia (n. 21035 del 2003) con cui le sezioni unite della Corte di
cassazione,   conformemente   a   precedenti   relativi   alla  piena
fungibilita'  tra  la  custodia cautelare sofferta in Italia e quella
subita all'estero, hanno affermato che anche la detenzione all'estero
a   fini   di   estradizione   costituisce  legittimo  impedimento  a
comparire...   sono   tutti  elementi  che  concorrono  a  dimostrare
l'illegittimita' della disciplina censurata».
Sicche',  concludeva  la  Corte,  «In  effetti,  una  volta affermata
l'equivalenza  tra  detenzione  cautelare  all'estero  in  attesa  di
estradizione  e  custodia  cautelare  in  Italia,  evidenti motivi di
razionalita'  e  coerenza  interna del sistema impongono di applicare
alla  custodia  cautelare  all'estero la medesima disciplina prevista
per  la  durata  dei  termini  di  custodia  cautelare  in Italia. In
particolare,  rientrando  anche la detenzione all'estero tra i motivi
di  legittimo  impedimento a comparire che determinano la sospensione
del decorso dei termini di custodia cautelare previsti dall'art. 304,
comma  1,  lettera  a), cod. proc. pen., non vi e' alcuna ragione che
possa  giustificare  per  la  detenzione  all'estero  una  disciplina
diversa da quella prevista dagli artt. 303 e 304...».
Cosi'  ricostruito  l'iter  normativo  dell'art.  722  c.p.p., va ora
valutato  se,  alla  luce  delle considerazioni sottese alla modifica
apportata  dalla  C.  cost.,  la  medesima disciplina debba ritenersi
auspicabile  (art.  3 cost., in relaz. al principio di eguaglianza, a
sua  volta  riconducibile al principio di ragionevolezza della norma)
in  caso  di  restrizione  all'estero  a  seguito di esecuzione di un
mandato  d'arresto  europeo, la cui norma istitutiva limita alle sole
ipotesi  della  durata  complessiva  della  custodia  cautelare ed ai
termini  massimi  di fase gli effetti della restrizione all'estero o,
il  che  e'  lo  stesso, se la legge del 2005, nella parte in cui non
consente  di computare la custodia cautelare all'estero anche ai fini
dei  termini  ordinari di fase, non violi il diritto inviolabile alla
liberta'  personale  (art. 13 Cost.) ed il diritto di difesa (art. 24
Cost.).
Comune  ad  entrambi  gli  istituti,  a  giudizio  del  tribunale, e'
l'esigenza  che  i  tempi  di  custodia cautelare non vadano dilatati
oltre  i  termini  fisiologici  stabiliti  dal  codice  di  rito,  in
conseguenza  di  uno stallo (quello conseguente all'esaurimento della
procedura estradizionale, come quello relativo all'espletamento delle
procedure   di   trasferimento   dell'arrestato)  che,  se  pure  non
ascrivibile   ad   inerzia  del  giudice  o,  comunque,  dello  Stato
richiedente,  non per questo puo' essere ascritto all'arrestato, ed i
cui effetti possano conseguentemente essergli posti a carico.
Fatta  eccezione  per  il  periodo  necessario  alla  redazione della
sentenza  (art.  544  c.p.p.)  e  per  i procedimenti particolarmente
complessi  quando  si  procede per uno dei reati di cui all'art. 407,
comma   2,  c.p.p.,  la  regola  generale  in  materia  di  legittimo
impedimento utile alla sospensione dei termini di fase della custodia
cautelare,  e'  quello  che  esso  sussiste  ogni  qual volta non sia
esclusivamente riconducibile all'imputato od al suo difensore.
Ne' si vede, a tale riguardo, come il periodo trascorso in detenzione
all'estero  in  conseguenza di mandato d'arresto europeo possa essere
ascritto  all'arrestato, come conseguenza di una sua libera scelta di
sottrarsi   alle   ricerche  dell'autorita',  se  e'  vero  che  tale
eventualita' e' ipotizzabile anche laddove la cattura consegua ad una
misura  cautelare eseguita fuori dal territorio comunitario, rispetto
alla quale, come detto, il pre-sofferto non viene ora estrapolato dai
termini di durata (anche di fase) della custodia cautelare.
Come  ha  giustamente osservato la difesa, anzi, a voler tracciare un
discrimine  tra  le due procedure, esso pende - quanto alla questione
oggetto  di  causa - tutto a favore della tesi sostenuta dall'attuale
ricorrente.
Ed  infatti  mentre  la  procedura  di  estradizione  richiede, nella
pratica,  tempi  lunghi  e  non  e' di esclusiva competenza dell'a.g.
italiana  (passando attraverso l'intervento del Ministero di grazia e
giustizia  e  di  organismi  internazionali),  il  mandato  d'arresto
europeo  in virtu' della disciplina conseguente agli accordi presi in
sede  comunitaria  (e  che  hanno  poi determinato l'emanazione della
legge del 2005 cit.) opera sotto il diretto controllo del giudice che
emise la misura il quale, entro certi limiti, ne conserva la gestione
(basti  solo  pensare  alla  facolta'  di coordinare le operazioni di
consegna,   con  l'autorita'  dello  Stato  ove  l'arresto  e'  stato
eseguito). Sicche' se nel primo caso la custodia cautelare all'estero
fa  decorrere  altresi'  i termini ordinari di fase nonostante alcuna
inerzia  processuale  possa  essere  ascritta al giudice che emise il
provvedimento  restrittivo,  a maggior ragione cio' dovrebbe avvenire
in  presenza  di  una custodia cautelare all'estero in conseguenza di
mandato d'arresto europeo.
In  realta',  come pure fa osservare la difesa, l'art. 33 della legge
22  aprile 2005, n. 69, ricalca in maniera sostanzialmente pedissequa
l'originaria  formulazione  dell'art.  722 cit., restringendo ai soli
termini  massimi  di  fase  (artt.  303,  comma 4 e 304 c.p.p.) e non
(quindi)  ai  termini  ordinari  di  fase  (art. 303, commi 1, 2 e 3,
c.p.p.)  la  durata  della custodia cautelare all'estero in virtu' di
mandato  d'arresto  europeo,  e cio' fa ipotizzare che il legislatore
del   2005  abbia  sostanzialmente  ignorato  la  modifica  normativa
intervenuta a seguito dell'intervento della C. cost.
La  questione  sollevata dalla difesa dell'indagato appare, oltre che
non  manifestamente  infondata,  altresi'  rilevante  posto che, come
detto,  nella  fase  delle  indagini  preliminari (art. 303, comma 1,
lett.  a:  «La  custodia cautelare perde efficacia quando dall'inizio
della  sua  esecuzione  sono decorsi i seguenti termini senza che sia
stato  emesso  il  provvedimento che dispone il giudizio... tre mesi,
quando  si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la
pena  della  reclusione  non  superiore  nel  massimo  a sei anni...»
termine  ordinario di fase) non opera ex art. 304 cit. la sospensione
dei   termini   per   impedimento   dell'imputato,   sicche'  non  e'
automaticamente  applicabile la norma dell'art. 304, comma 6 (termine
massimo   di   fase)   fin  qui  richiamato  (unitamente  al  termine
complessivo)   dall'art.   33   della   legge   n. 69/2005,   ne'  la
disapplicazione  della  norma  sul  mandato  di  arresto europeo puo'
avvenire  sulla  base  di un richiamo a situazioni analoghe che la C.
cost. non ha inteso fare (ai sensi della legge).