LA CORTE DEI CONTI

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza di remissione alla Corte
costituzionale  sui  giudizi  di  conto  del  tesoriere del comune di
Scanno,  relativi  agli  esercizi 1998, 1999, 2000, 2001, 2002, 2003,
iscritti,  rispettivamente ai numeri del registro di segreteria della
sezione, G.C.E.L. 16024, 16025, 16026, 16027, 16028, 16029, in ordine
ai  quali  il  magistrato  relatore aveva depositato relazioni con le
quali  venivano  prospettate  questioni  varie  per la cui soluzione,
nonche'  per  l'adozione  di  ogni  provvedimento  che fosse ritenuto
necessario,   veniva  chiesta  l'iscrizione  del  giudizio,  a  norma
dell'art. 30 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038.
    Con  decreto  del  presidente  della  sezione datato 21 settembre
2005,  l'udienza  per  la  discussione dei giudizi in parola e' stata
fissata  per  il  giorno  5  aprile  2006, dandone comunicazione agli
interessati in uno alla relazione del magistrato relatore.
    Uditi nella pubblica udienza del 5 aprile 2006, il relatore cons.
Silvio Benvenuto ed il sostituto procuratore generale, dottor Eugenio
Musumeci.

                           P r e m e s s a

    Il  magistrato  relatore  ha  prospettato  alla cognizione e alla
valutazione  del Collegio una serie di questioni relative a specifici
punti  dei  conti  del  tesoriere  rispetto  ai  quali  non  e' stato
possibile  un'approfondita valutazione di merito, atteso che il conto
consuntivo  dell'ente  non viene piu' inviato, a seguito dell'entrata
in  vigore  dell'art. 58  del  T.U.  n. 142/1990,  recepito  dal T.U.
n. 267/2000,  art. 93, comma 2, cosicche' e' precluso, in conseguenza
della  medesima  disposizione  di  legge,  accertare,  a  consuntivo,
l'effettivita'  dei risultati finali di bilancio, con il rispetto dei
principi  di  universalita',  integrita'  e  veridicita',  nonche' il
rispetto  delle regole poste con le leggi finanziarie in relazione al
patto  di  stabilita'  interno, anche nel caso in cui si manifestino,
come  nei  conti  in  parola,  dubbi  sulla  reale  consistenza delle
entrate,  con  la  loro  possibile  sopravalutazione  e  il  notevole
scostamento  fra  previsioni, accertamento e riscossione delle stesse
entrate;   sulla   consistenza  dei  residui  attivi,  con  eventuale
iscrizione  di  residui  inesistenti;  sul mancato pagamento di spese
obbligatorie   ed,   in  generale,  sull'esistenza  di  debiti  fuori
bilancio;   il  tutto  con  aspetti  tali  da  generare  dubbi  sulla
attendibilita' del risultato di amministrazione.
    Nella citata relazione si pone altresi' in rilievo che il sistema
instaurato  a  seguito  delle  citate  norme,  in  quanto ha limitato
l'oggetto  del  giudizio  al conto del tesoriere, suscita dubbi sulla
sua  conformita' ai criteri di ragionevolezza di cui all'art. 3 della
Costituzione,  nonche'  all'art. 103  della  Costituzione che demanda
alla  Corte  dei  conti  la  giurisdizione in materia di contabilita'
pubblica.  In  data 31 marzo 2006, il sindaco del comune di Scanno ha
trasmesso  in  ordine ai citati giudizi una memoria nella quale si fa
presente   che,   a  seguito  dell'accertamento  dei  residui  attivi
effettuato    dal    responsabile    dell'area   amministrativa   con
determinazione  n. 89  del  10  giugno  2004, ai sensi dell'art. 288,
comma  3  del  d.  lgs.  18 agosto n. 267, e' risultato che una massa
rilevante  dei residui attivi, pari a euro 638.922,55, come riportato
dal  responsabile del servizio nella sua relazione, non erano fondati
su  titoli  giuridici  certi ed attendibili, per cui si e' provveduto
alla loro cancellazione.
    La loro iscrizione, secondo sempre quanto affermato nella memoria
in  parola, era manifestamente diretta a modificare in senso positivo
il  risultato finanziario, come sembrerebbe evincersi dall'intervento
di un consigliere di maggioranza in sede di approvazione del bilancio
di  previsione  dell'anno 1999, quando afferma «anche questa volta si
e' previsto il taglio di un bosco di lire 130.000.000 per chiudere in
pareggio».  Da  questa affermazione si evincerebbe che non solo erano
state  messe  in atto alchimie contabili, ma che a queste alchimie si
ricorreva sistematicamente.
    La  memoria  osserva poi che l'ulteriore esempio della previsione
in  entrata  dell'anno 2000 del canone di affitto dei terreni dati in
concessione  all'ente  Parco,  con  un  contratto  sottoscritto il 19
gennaio  2001, prevedeva il pagamento del canone di lire 107.184.000,
con decorrenza dal 1° gennaio 2001.
      Emergevano poi anche negli anni pregressi presunti debiti fuori
bilancio  per  un  rilevante  ammontare.  Ci si riferisce al caso del
pagamento delle indennita' di un esproprio per la realizzazione della
palestra polivalente, il cui progetto era stato approvato nel lontano
1991.
    Con  deliberazione  di  giunta comunale n. 134 del 22 agosto 2001
era  stata approvata una transazione per pagamento dell'indennita' di
esproprio  di  lire 264.400.000, oltre a lire 20.072.512 per le spese
legali  della  parte  avversa, senza che il consiglio comunale avesse
provveduto  a  riconoscere la legittimita' del debito fuori bilancio,
ai  sensi  dell'art. 194,  comma 1, lettera a), del d. lgs. 18 agosto
2000, n. 267.
    Di  conseguenza  -  sottolinea  la memoria - l'avanzo finanziario
esposto in bilancio non risulterebbe reale.
    Dopo  altre  considerazioni,  il  sindaco  del  comune  di Scanno
chiedeva  nella memoria in parola che in sede di esame questa Sezione
non  si limitasse a verificare il rapporto di tesoreria e, quindi, la
gestione   di   cassa,   ma   accertasse,  attraverso  una  pronuncia
giurisdizionale, la effettiva situazione finanziaria, con l'eventuale
rettifica dei risultati finali.
    Il  Collegio  riunito  in  Camera  di  consiglio, valutava, anche
tenendo  conto  di quanto prospettato dal sindaco di Scanno nella sua
memoria,  che  i  dubbi di legittimita' costituzionale espressi nella
citata   relazione   del   consigliere   relatore,   non  risultavano
manifestamente infondati, e percio' ha ritenuto necessario sottoporre
nuovamente  al  giudizio  della  Corte costituzionale la legittimita'
costituzionale  della norme che limitano la pronuncia giurisdizionale
al  conto  di cassa, non solo in considerazione dell'espressa domanda
formulata dal sindaco del comune che chiede si faccia chiarezza sulle
disponibilita'   finanziarie   di   cui  puo'  disporre  in  funzione
dell'attuazione  del  suo  programma di governo, ma in considerazione
della  riscontrata  diffusione  sul  territorio regionale da parte di
diversi  enti  del  ricorso  ad espedienti, quali la sopravalutazione
delle entrate, il mantenimento di residui datati ed insussistenti, il
ritardo  o  l'omissione dei pagamenti in relazione a impegni di spesa
assunti,  il  differimento  di  impegni  per spese gia' effettuate ad
esercizi successivi (con abnorme crescita di oneri finanziari e spese
di  giudizio),  che  portano  ad  una non fedele rappresentazione del
risultato finale di amministrazione.
    Nel  corso  della  discussione orale nella pubblica udienza del 5
aprile  2006,  il  Pubblico  ministero  ha  preso atto delle anomalie
risultanti dagli atti del giudizio, riservando alla Procura regionale
le   eventuali   consequenziali   iniziative   rientranti  nella  sua
competenza.

                       Motivi della decisione

    Preliminarmente  si dispone, per evidenti ragioni di connessione,
la riunione dei giudizi ex art. 274 c.p.c.
    I molteplici profili di criticita' nella gestione finanziaria del
comune  di  Scanno,  nella  misura  in cui si riflettono in anomalie,
riscontrate  in  sede  di  revisione  nel  conto  del tesoriere, sono
apparsi  in  sede  di  remissione  al  Collegio  ed  anche in sede di
valutazione da parte di quest'ultimo, meritevoli di approfondimento e
considerazione.
    I  chiarimenti forniti dall'ente locale, se da un lato consentono
di  affermare  la  rispondenza  del  conto del tesoriere alle vicende
finanziarie  rappresentate e documentate, dall'altro lato evidenziano
problematiche  inerenti  la  vita finanziaria dell'ente stesso che si
presentano  con  profili  di  antigiuridicita' che non consentono una
adeguata  valutazione,  atteso  che,  come  si  e'  gia' accennato in
premessa,  l'oggetto  del  giudizio,  alla  stregua  della  normativa
vigente,  e' limitato al solo conto del tesoriere (che costituisce la
parte  di  mera  esecuzione  del conto dell'ente, che e' invece e' un
bilancio  misto,  di  competenza  e  di  cassa),  mentre  e' precluso
l'accertamento  a  consuntivo della effettivita' dei risultati finali
di   bilancio,   con  il  rispetto  dei  principi  di  universalita',
integrita'  e veridicita', nonche' il rispetto delle regole poste con
le  leggi  finanziarie  in  relazione  al patto di stabilita' interno
anche  nel  caso si manifestino, come nella specie, dubbi sulla reale
consistenza  delle  entrate  (con  possibile  sopravvalutazione delle
stesse).
    Il  Collegio  non  ignora  che la Corte costituzionale si e' gia'
pronunciata,  con  la  sentenza  n. 378  del 1996, sulla legittimita'
costituzionale   delle   normativa   su  richiamata  (in  particolare
dell'art. 58,  comma  2,  della  legge  8  giugno  1990, n. 142, oggi
recepito dall'art. 93, comma secondo, del nuovo T.U. approvato con d.
leg.vo  28  agosto  2000,  n. 267)  nella  parte  in  cui limitava il
giudizio  di conto alla gestione del tesoriere, nonche' dell'art. 64,
comma  1  della  medesima  legge,  nella  parte  in  cui abrogava gli
articoli  310, quarto comma, del r.d. 3 marzo 1934, n. 383, e 226 del
regio decreto 1911, n. 297.
    In  tale  sentenza,  il giudice delle leggi premette che la nuova
disciplina  che  era  stata introdotta dal legislatore e per la quale
era  stata  sollevata questione di costituzionalita' non poteva dirsi
che   avesse  contravvenuto  agli  insegnamenti  della  stessa  Corte
«secondo cui nessuna parte del conto consuntivo puo' essere sottratta
alla giurisdizione della Corte dei conti (sentenza n. 1007 del 1988).
Il principio e' stato peraltro formulato in un contesto nel quale, in
assenza  di  un  riscontro  giurisdizionale  dell'intera attivita' di
gestione, lo stesso giudizio di responsabilita' per fatti di gestione
sarebbe risultato puramente eventuale ed aleatorio, venendo a mancare
al  giudice contabile adeguati strumenti di conoscenza della gestione
e quindi degli illeciti che essa avrebbe potuto far emergere. Oggi si
puo'  affermare che all'esigenza imposta dagli articoli 3 e 103 della
Costituzione  -  che il giudice remittente assume violati a causa del
venir   meno   del   riscontro   giurisdizionale   della  gestione  -
corrispondano   le   leggi  nn. 142  del  1990,  19  e  20  del  1994
(Disposizioni  in materia di giurisdizione e di controllo della Corte
dei conti) e il piu' recente decreto legislativo n. 77 del 1995».
    Il  giudice  delle  leggi  dichiarava,  pertanto,  non fondata la
questione di legittimita', cosi' motivando:
        «appare  in  conclusione non irragionevole, ne' arbitrario, e
non  lede  la  posizione  costituzionale  della Corte dei conti, come
definita  dall'art. 103 della Costituzione, la circostanza che, in un
nuovo  disegno  delle  autonomie  locali, teso a valorizzare anche il
ruolo   degli   organi   regionali   di   controllo  (art. 130  della
Costituzione),   il   legislatore   abbia   limitato   il   controllo
giurisdizionale  sulla  legittimita' della gestione al solo conto del
tesoriere  e  degli  altri  soggetti  indicati dall'art. 58, comma 2,
della  legge n. 142 del 1990, poiche' ha mantenuto ferma, ampliandone
anzi  la sfera per effetto dell'art. 58, comma 1, della stessa legge,
la  giurisdizione  della  Corte dei conti sulla responsabilita' degli
amminisfratori   e   del   personale  degli  enti  locali  per  danno
all'erario.  Il  complessivo  disegno legislativo non risulta infatti
inteso  a  svilire l'efficienza di tale giudizio, che, semmai, appare
sotto piu' profili potenziato e reso ancora piu' adeguato ai principi
costituzionali».
    La  sentenza della Corte costituzionale si fondava altresi' sulla
«ragionevole    esigenza   di   evitare   improduttive   duplicazioni
dell'attivita'  di  controllo  e  che  si  e'  venuto attenuando, con
l'istituzione della sezione enti locali, il significato del riscontro
contabile  in via giurisdizionale e si sono poste le premesse perche'
l'ulteriore   avanzamento  di  una  linea  di  razionalizzazione  dei
controlli della finanza locale producesse la poi avvenuta separazione
tra  il controllo contabile del conto del tesoriere, da un lato, e il
giudizio  di  responsabilita'  degli  amministratori locali per fatti
della  loro  gestione,  dall'altro,  essendo  comunque  assicurato il
controllo  globale  della  gestione  della neo istituita sezioni enti
locali della Corte dei conti».
    Sennonche'  deve  rilevarsi che e' mutato il quadro normativo cui
fa  riferimento  nella  sentenza  in parola il Giudice delle leggi, a
seguito  della  modifica  dell'art. 117  della  Costituzione, essendo
venuta  meno  la  verifica  sul  consuntivo degli organi regionali di
controllo,  tal  che  l'unica  verifica  residuata  sul consuntivo e'
quella  affidata al collegio dei revisori, ossia ad un organo interno
all'ente  e  che  certo  non  e'  dotato  dei requisiti di terzieta',
imparzialita'   e   autonomia  richiesti,  sulla  base  dei  principi
condivisi, ai soggetti che esplicano attivita' di «certificazione».
    L'esigenza,   quindi,   di   evitare  improduttive  attivita'  di
controllo,  che opportunamente la Corte costituzionale faceva valere,
sembra oggi, per questo aspetto, prospettarsi in termini diversi.
    Ma  altre  valutazioni  meritano  di essere formulate a proposito
delle  funzioni  di  controllo  attribuite all'apposita sezione della
Corte  dei conti alla quale il legislatore (art. 13 del decreto-legge
22  dicembre 1981, n. 786, come modificato dalla legge di conversione
26  febbraio 1982, n. 51, Disposizioni in materia di finanza locale),
ha  affidato il compito di riscontro sulla gestione finanziaria degli
enti locali nell'intero contesto della finanza pubblica.
    Infatti,  pur tenendo presenti le accresciute competenze previste
dalla  legge finanziaria 2006 (legge n. 266/2005, art. 1, commi 166 e
segg.),  che,  tra  l'altro,  al  comma  168,  demanda  alla  sezione
regionale  di  controllo  una  «specifica  pronuncia»  in  ordine  «a
comportamenti  difformi  dalla sana gestione finanziaria, attribuendo
ad  essa  poteri di mera "vigilanza" sull'adozione da parte dell'ente
locale  di  misure  correttive,  l'istituzione  di  tale  sezione non
risulta  creare  duplicazione  di  funzioni  rispetto  al giudizio di
conto».
    Il  risultato  dell'attivita'  di  tale  sezione  si concretizza,
infatti,  nel  c.d. referto o comunque su pronunce che non modificano
le  risultanze  di  bilancio  che  sono  cosa  ben  diversa da quella
accertativa svolta nella sede giurisdizionale, attraverso un istituto
di cui impropriamente si denuncia il superamento.
    Nella  sede giurisdizionale, attraverso una procedura preliminare
che  appare  moderna ed agile, perche' conduce di norma ad un decreto
di regolarita', emesso su conforme proposta del magistrato istruttore
e  del  procuratore  regionale,  e  garantista,  perche'  in caso, di
contestazioni si apre una fase collegiale, nel rispetto del principio
del   contraddittorio,   si  perviene  ad  una  rapida  pronuncia  di
regolarita',  sulla  base  di un corretta ed adeguata interpretazione
delle norme.
    Cio'   costituisce  un  momento  insopprimibile  di  garanzia  di
correttezza  della  gestione,  come  lo stesso Giudice delle leggi ha
avuto modo di affermare in piu' occasioni.
    Giova,  in  proposito,  anche  ricordare  che, anteriormente alla
sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 55  del 1966, il conto del
tesoriere  dei  comuni e delle province veniva sottoposto al giudizio
dei   consigli  di  prefettura,  previa  approvazione  da  parte  del
consiglio  comunale  o  provinciale,  ai  sensi dell'art. 310, quarto
comma,  del testo unico della legge comunale e provinciale n. 383 del
1934.
    Il  giudizio  sul  rendiconto  degli  enti locali aveva allora ad
oggetto  non  soltanto  la  gestione del tesoriere, ma anche il conto
consuntivo  dell'ente  locale, e riguardava, pertanto, sia i fatti di
gestione   della   tesoreria,   sia   i   fatti   di  gestione  degli
amministratori.
    A  seguito di tale sentenza, la competenza passo' alle competenti
sezioni  del  contenzioso  contabile  della  Corte  dei  conti, ma si
affermo'  in  via meramente giurisprudenziale un orientamento secondo
cui  la  stessa  Corte  avrebbe  potuto  far  valere,  attraverso una
chiamata  in  giudizio  iussu  iudicis,  l'eventuale  responsabilita'
patrimoniale degli amministratori.
    La  citata giurisprudenza risulta superata alla luce dei principi
innovativi  introdotti  con l'art. 111 della Costituzione, per cui il
giudizio  deve  essere  limitato  alla sola pronuncia oggettiva sulla
affidabilita' dei risultato finanziario.
    Come  istituto  di  giurisdizione oggettiva, il giudizio di conto
puo'   essere  ritenuto  strumento  fondamentale  di  garanzia  della
certezza dei dati contabili e della correttezza delle gestione e anzi
che  interferire  con le funzioni della oggi denominata sezione delle
autonomie  verrebbe  a  costituire importante strumento di supporto e
completamento  della  sua funzione, in quanto il referto di questa si
baserebbe  su dati resi piu' affidabili dall'intervenuta pronuncia di
regolarita'  che,  auspicabilmente,  dovrebbe  avere luogo in termini
estremamente  ristretti. Del resto questa e' anche la chiara volonta'
espressa  dal  legislatore  che ha introdotto il termine quinquennale
per la relativa pronuncia (art. 1 della legge n. 20/1994).
    Alla   stregua  delle  predette  considerazioni,  questo  giudice
ritiene  che  si  possa riproporre, alla luce anche delle intervenute
riforme    federaliste    e    costituzionali,    la   questione   di
costituzionalita'  delle  norme  che hanno ristretto l'intervento del
giudice contabile nella materia alla sola gestione di cassa.
    lnfatti,   la   sottrazione  del  conto  consuntivo  al  giudizio
necessario  di  conto  appare  in contrasto anzitutto con l'art. 103,
secondo  la  lettura  a questo data dalla Corte costituzionale (nelle
sentenze   nn.    68/1971;  63/1973;  114/1974;  129/1981;  185/1982;
189/1984;  1007/1988)  e  dalla  Corte  di cassazione (per tutte cfr.
ss.uu.   sentenze  nn. 2616/1968;  3375/3384  del  19  luglio  1989);
entrambe, infatti, hanno affermato da un parte che la norma predetta,
nel  riservare  alla  Corte  dei  conti  le  materie  di contabilita'
pubblica,  sotto  l'aspetto  oggettivo,  ne  ha confermato la nozione
tradizionalmente accolta, comprensiva del giudizio di responsabilita'
e  del  giudizio  di'  conto,  e  dall'altra  che  questo costituisce
insopprimibile  momento  di garanzia della correttezza della gestione
degli amministratori degli enti locali a tutela dei contribuenti.
    In  particolare, nella citata sentenza n. 114/1974 si afferma che
e'   principio   generale   del   nostro  ordinamento  il  necessario
assoggettamento  del  pubblico  denaro (proveniente dalla generalita'
dei contribuenti e destinato al soddisfacimento dei pubblici bisogni)
al giudizio necessario di conto.
    Infatti,  come  e'  stato  opportunamente sottolineato, «a nessun
ente  gestore  di  mezzi  di  provenienza  pubblica e a nessun agente
contabile   che  abbia  comunque  maneggio  di  denaro  e  valori  di
proprieta'   dell'ente   e'   consentito   sottrarsi   alla  garanzia
costituzionale  della  correttezza  della  gestione,  garanzia che si
attua con lo strumento del rendiconto giudiziale».
    Tali   principi   sono  stati  confermati  con  l'altra  sentenza
n. 1007/1988  della  Corte costituzionale che ha ritenuto illegittimo
l'art. 122,  primo  comma,  del  d.l.  del  presidente  della regione
siciliana  del  29  ottobre 1955, n. 6, convalidato con l.r. 15 marzo
1963,  n. 16,  per  contrasto  con  l'art. 103, nella parte in cui si
attribuiva  al  consiglio  comunale  il potere di deliberare il conto
consuntivo  con  effetti  sostitutivi della decisione della Corte dei
conti: da tale sentenza sembra evincersi che deve essere sottoposto a
giudizio  non  solo  il  conto  di  cassa, ma il conto consuntivo, in
quanto  cio' corrisponde ad un «principio fondamentale dello Stato di
diritto», recepito dall'art. 103.
    Ritornando  alle  lettura delle argomentazioni svolte dal giudice
delle  leggi  nella  sentenza  n. 378  del  1996,  si  rileva  la non
manifesta  infondatezza  di un conflitto rinnovato tra i principi ivi
affermati  e  la  necessita'  di  limitare la cognizione al conto del
tesoriere:  se  e' vero oggi, come allora, che a legislazione vigente
non  vi sono altre opzioni adeguatamente praticabili per dare seguito
ai rilievi formulati con riferimento a profili che, appartenendo solo
per  riflesso  al  conto del tesoriere, impingono piu' specificamente
nel  conto  finanziario  dell'ente, quello che e' mutato e' il quadro
complessivo  della  disciplina e dei controlli per la finanza locale,
quale  si  e'  determinata  a seguito di interventi legislativi medio
tempore   intervenuti,   segretamente   quelli  connessi  alle  leggi
«Bassanini», non ultima la abolizione dei CO.RE.CO.
    Ne'  si  puo'  ignorare  che  l'evoluzione della giurisdizione di
responsabilita'  per  danno all'erario ha, con successivi interventi,
ridotto  la  propria  natura  ripristinatoria  delle finanze lese dal
comportamento  degli amministratori, non tanto con l'applicazione nei
giudizi  del  cd.  potere  riduttivo, quanto con l'introduzione delle
notevoli limitazioni (anche se per certi versi condivisibili) operate
con  la legge n. 639/1996 e con le ulteriori norme specifiche, fra le
quali  si segnalano i commi 231 - 233 dell'art. 1, legge n. 266/2005,
che  ha introdotto l'ipotesi di estinzione del giudizio con pagamento
di  una  ridotta  frazione  del  pregiudizio  economico arrecato alla
pubblica  amministrazione,  norme  tutte che, assieme alle precedenti
contenute  nel  T.U n. 383 del 1934 tuttavia abrogate (252 e segg.ti)
non  consentono  piu'  di  perseguire  i  danni  di  tipo finanziario
connessi agli squilibri di bilancio.
    Ne'  puo' trascurarsi che la medesima Corte costituzionale ha, in
date  successive  alla  pronuncia  della  quale  si  e'  dato  conto,
rimarcato  i  limiti oggettivi e soggettivi di tale giurisdizione (si
veda ad es. Corte cost. 22 ottobre 1999, n. 392).
    Ne'  la tutela della fondamentale regola di gestione del bilancio
negli ambiti della programmazione dei tetti generali di spesa e della
salvaguardia  degli  impegni  internazionali assunti dall'Italia puo'
essere   affidata   esclusivamente   all'iniziativa  del  procuratore
regionale  della  Corte,  che  puo' attivarsi, come lo stesso Giudice
delle  leggi  ha  affermato,  in  presenza di una specifica denuncia,
ipotesi  peraltro  non  frequente se la gestione, fuori dei limiti di
bilancio,  si  traduce  in  vantaggio  per  la  comunita'  locale pur
pregiudicando gli interessi generali.
    Ma  a  fronte  di  una  diminuita  estensione  e  intensita'  dei
controlli, si registra per adverso una acuita necessita' di tenere in
regola  i  conti  della  finanza  locale,  derivante  non tanto dalla
contingente  criticita'  della situazione economica nazionale, quanto
dall'assunzione del nostro Paese di vincoli e impegni particolarmente
rigorosi  a  livello  nazionale  e  in  sede  internazionale  o  piu'
propriamente  soprannazionale  in  relazione all'adesione dell'Italia
all'Unione Europea e alla Moneta Unica.
    Sotto  il  primo aspetto, non si puo' non richiamare alla memoria
la  portata  innovativa  della  disciplina  introdotta  con  la legge
costituzionale   n. 3   del  2001  nella  materia  finanziaria  e  la
successiva  normazione primaria in tale ambito. Basti considerare che
l'art.  29 della legge n. 289 del 27 dicembre 2002 ha disciplinato il
patto di stabilita' interno per gli enti territoriali. Tale normativa
ha  infatti  disposto che, ai fini della tutela dell'unita' economica
della  Repubblica,  ciascuna  regione  a  statuto ordinario, ciascuna
provincia e ciascun comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti
concorre  alla  realizzazione  degli obiettivi di finanza pubblica --
per  il  triennio  2003-2005  (adottati  con  l'adesione  al patto di
stabilita'  e  crescita,  nonche'  alla  condivisione  delle relative
responsabilita)  -  nel rispetto delle disposizioni normative emanate
in  virtu'  e per effetto dei principi fondamentali che sottendono il
coordinamento  della  finanza  pubblica ai sensi degli articoli 117 e
119, secondo comma, della Costituzione.
    Giova,  in  proposito,  considerare  anche che e' statuito che il
disavanzo  finanziario, di ciascuna provincia e di ciascun comune con
popolazione  superiore  a 5.000 abitanti, non puo' essere superiore a
quello  risultante  dall'applicazione,  al  corrispondente  disavanzo
finanziario  del  penultimo  anno  precedente,  di una percentuale di
variazione definita, per ciascuno degli anni considerati, dalla legge
finanziaria.  Ad  esempio,  in prima applicazione, per l'anno 2005 la
percentuale  era  fissata  nel 7,8 per cento rispetto al 2003. Questa
stringente  disciplina  affida  fondamentali  compiti  di verifica di
raggiungimento  di tali obiettivi, nell'ambito degli enti locali, non
ad organi esterni bensi' al Collegio dei Revisori. E' precisamente in
considerazione   delle  norme  ricavabili  dall'art.  119  Cost.  sul
raccordo della finanza statale con quella degli enti territoriali che
occorre  dimensionare  correttamente le funzioni attribuite ad organi
terzi  ed  esterni, quali la Corte dei conti, non solo e non tanto in
funzione   di  deterrente  verso  le  patologie  o  di  sanzione,  ma
specificamente  di  garanzia  (per  lo Stato e per gli Amministratori
locali)  della  veridicita'  e  dell'attendibilita'  delle  poste  in
bilancio,  in  assenza  delle  quali l'attuazione dell'art. 119 Cost.
appare impraticabile.
    Ma  la  riforma  del titolo V della Costituzione, se per un verso
riconosce  la piena autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle
regioni  e  degli  enti  locali,  per  l'altro,  attribuisce espresso
rilievo  ai  vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario,  che,
nell'ambito della politica di bilancio, sono costituiti da regole sui
saldi,  alle  quali  si  connette  anche la previsione di sanzioni. I
vincoli  derivanti  dalla appartenenza all'Unione economica monetaria
comportano  l'attribuzione a livello statale della responsabilita' in
ordine  sia alla determinazione degli obiettivi finanziari validi per
il  complesso  delle  amministrazioni pubbliche, sia al conseguimento
dei  saldi  prefissati  e  in  generale,  al  rispetto  delle  regole
stabilite dal Trattato CE e dal Patto di stabilita' e crescita.
    Il  rispetto  di  questi  vincoli,  in un quadro di potenziamento
delle   autonomie   territoriali   non  puo'  ragionevolmente  essere
realizzato  con una gestione accentrata, statale, di tipo imperativo.
A  conferma  di  cio' e' recentemente intervenuta la pronuncia con la
quale la Corte costituzionale ha fondatamente affermato (con sentenza
n. 417/2005)    l'illegittimita'   di   disposizioni   statuali   che
intervengano in un certo modo con «tagli» nella finanza locale, ma ha
riaffermato  l'esigenza della salvaguardia della politica complessiva
di  bilancio  e  quindi  degli  equilibri generali nell'ambito di una
programmazione  dei tetti complessivi che tutti gli Enti, compreso lo
Stato, sono tenuti a rispettare.
    Cio',   ad   avviso  del  Collegio,  comporta  la  necessita'  di
riespandere  alla  sua  fisiologica  area  di cognizione lo specifico
strumento del giudizio di conto, che appare strumento compatibile con
l'assetto delle autonomie sia sotto il profilo funzionale (provenendo
dal  potere giurisdizionale) sia sotto quello territoriale (grazie al
radicale  decentramento  attuato  dalla  Corte  dei conti nell'ultimo
decennio).  Ne'  puo' ritenersi equivalente l'attribuzione ex art. 7,
comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131, (recante disposizioni per
l'adeguamento    dell'ordinamento   della   Repubblica   alla   legge
costituzionale  18  ottobre  2001,  n. 3), alla Corte dei conti della
funzione   di   referto   al  Parlamento  in  ordine  agli  andamenti
complessivi della finanza locale, al rispetto del patto di stabilita'
e  dei vincoli comunitari. La diversa ratio della funzione di referto
induce  a  ritenere  tale  sede  inidonea all'attivita' di verifica e
certificazione della quale si e' invocato il ripristino.
    Anzi,  proprio  la  necessita' di dare pienezza ed efficacia alla
funzione  referente  attribuita  alla  Sezione delle Autonomie (anche
nelle nuove attribuzioni conferite con la legge finanziaria del 2006,
commi   166  e  seguenti)  fa  si'  che  risulti  necessario  che  le
valutazioni  della stessa possano basarsi su un'attivita' accertativa
svolta   in   tempi   il   piu'  ravvicinati  possibili  in  sede  di
giurisdizione  contabile, che giunga, se del caso, in contraddittorio
con  l'Amministrazione  in  attuazione  ai  principi  introdotti  dal
novellato   art. 111   della  Costituzione  secondo  quanto  e'  gia'
l'orientamento  di  questa  Corte,  alla  rettifica  del risultato di
amministrazione, confermando o meno le risultanze di bilancio.
    Pare,  peraltro,  evidente  che, alla luce del novellato art. 111
della   Costituzione,   devono   intendersi  incompatibili  le  norme
(art. 226 del reg. del 1911, peraltro abrogato) che consentivano alla
Corte  di  far  valere,  attraverso  una  chiamata  in giudizio iussu
iudicis,    una    eventuale   responsabilita'   patrimoniale   degli
amministratori,  come  giustamente  aveva  escluso  lo stesso giudice
delle  leggi  nella  sentenza  citata  n. 378/1996, dovendo essere il
giudizio  limitato  alla sola pronuncia oggettiva sulla affidabilita'
dei risultato finanziario.
    Come   istituto   di  giurisdizione  oggettiva,  il  giudizio  in
questione  puo'  essere  ritenuto  strumento fondamentale di garanzia
della certezza dei dati contabili e della correttezza delle gestioni.
    In  assenza  del  potere di cognizione sugli aspetti finanziari e
gestionali  implicati  nel conto del tesoriere questo Collegio non e'
in  grado  di  rispondere  alla  domanda  di controllo della corretta
gestione  del  denaro pubblico insita dell'instaurazione del giudizio
di  conto,  non potendo statuire sulla attendibilita' delle poste ivi
iscritte  e  non avendo gli strumenti per dar seguito alle istanze di
approfondimento  e  di  pronuncia anche costitutiva che provengono da
parti  qualificate,  come  sopra  esposto.  La  preclusione  di  tale
cognizione e' sicuramente rilevante nei presenti giudizi riuniti, non
essendo  per  essi  consentito di «dire giustizia» nella forma che il
giudizio di conto richiede.
    Riassumendo    le    suesposte    considerazioni,    non   appare
manifestamente  infondata  una  questione in ordine alla legittimita'
costituzionale delle norme limitative della giurisdizione della Corte
dei  conti  sui  conti giudiziali quale attualmente vigente a seguito
della   sostanziale   trasfusione   delle  disposizioni  della  legge
n. 142/1990  nel  T.U.  267  del 2000. Cio' risulta contrastare, come
gia'  sopra  illustrato,  con  il principio della non arbitrarieta' e
irragionevolezza  dell'operato  del  legislatore  ordinario  (art.  3
Cost.);  con  il  rispetto  degli impegni assunti nei confronti delle
organizzazioni sopranazionali alle quali lo Stato italiano ha aderito
(art. 11 Cost.); con il rispetto sostanziale del limite minimo, posto
al   legislatore   anche   nell'esercizio   di   una   sua  legittima
interpositio, nella modulazione delle attribuzioni costituzionalmente
attribuite  alla  Corte  dei  conti  (103  Cost.); con i principi del
raccordo  della  finanza  statale  con quella degli Enti territoriali
(art. 119 Cost.).