IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA Letti gli atti relativi al procedimento chiamato all'udienza del 15 febbraio 2006 e instaurato ai sensi degli artt. 69 e 14-ter legge n. 354/1975 e successive modificazioni in tema di reclamo in materia di lavoro nei confronti di Renna Pasquale, nato il 21 maggio 1961 a Salerno, attualmente ristretto nella Casa circondariale di Ascoli Piceno; Osserva in fatto e diritto Con dichiarazione pervenuta in data 12 ottobre 2005 Renna Pasquale presentava reclamo a questa a.g. ai sensi dell'art. 69, comma 6, lett. a) o.p., lamentando, in relazione all'attivita' lavorativa prestata all'interno dell'Istituto di pena, di essere stato retribuito in modo inferiore al dovuto, in quanto le mercedi dei detenuti lavoranti (che secondo l'art. 22 o.p. debbono essere determinate da un'apposita Commissione ministeriale, in relazione alla quantita' e qualita' del lavoro prestato e ad altri parametri, in misura non inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro) sono state aggiornate per l'ultima volta nel giugno 1993 (con effetto sul semestre 1° maggio 1993/31 ottobre 1993). In ordine ai diritti connessi all'attivita' lavorativa del detenuto, la giurisprudenza di merito (v. sentenza Corte appello Roma, Sezione lavoro, pronunciata all'udienza di discussione del 3 giugno 2004 nella causa civile n. 5215/2002 r.g. in grado di appello contro la sentenza del 22 ottobre 2001 del Tribunale di Roma) talvolta sostiene che oltre al magistrato di sorveglianza, l'interessato possa sempre adire il giudice del lavoro, per una tutela giurisdizionale piena e specifica. Per contro la Cassazione (Cass.; pen., sez. u., 21 luglio 1999, n. 490 e Cass. civ., sez. lavoro 7 giugno 1999, n. 5605; piu' recentemente; sentenza 23 aprile 2004 della Sez. lavoro, ric. Rodano e sentenza 14 ottobre 2004 della I Sez. penale, ric. Arcara) ha stabilito che la competenza del giudice del lavoro per le controversie relative al lavoro carcerario, prestato dal detenuto all'interno od all'esterno dello stabilimento detentivo a favore dell'amministrazione penitenziaria oppure all'esterno, alle dipendenze di altri datori di lavoro, pur se assimilabile all'ordinario lavoro subordinato, deve ritenersi derogata a favore del magistrato di sorveglianza, per effetto dell'attribuzione a quest'ultimo dei reclami dei detenuti concernenti l'attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede, la remunerazione, lo svolgimento delle attivita' di tirocinio e lavoro, le assicurazioni sociali. Pur consapevole quindi che l'interpretazione ormai pacifica attribuita all'art. 69, comma 6 o.p. costituisca oggi il «diritto vivente» cui far riferimento, questa a.g. dubita della legittimita' costituzionale della norma citata alla luce dell'orientamento, pur autorevolissimo, appena descritto, secondo cui la competenza del giudice del lavoro per le controversie relative al lavoro carcerario deve ritenersi derogata a favore del magistrato di sorveglianza, in quanto risulta evidente la notevole diversita' dei due rimedi, il che esclude che il rimedio dinanzi al magistrato di sorveglianza sia idoneo a «sostituire» il rimedio ex art. 409 c.p.c., avendo una struttura ed una funzione ben diversa ed essendo dotato di congegni processuali ben piu' riduttivi rispetto agli strumenti previsti per l'esplicazione del diritto di difesa dei lavoratori. Basti osservare che la procedura ex art. 14-ter o.p. non prevede la partecipazione del contraddittore necessario del rapporto di lavoro (cioe' del Ministero della giustizia), non prevede la partecipazione diretta dell'interessato (che non puo' essere sentito personalmente), non prevede la pubblicita' del procedimento. Va anche considerato che la procedura e' configurata come reclamo entro dieci giorni avverso un provvedimento dell'amministrazione, che non sempre e' riscontrabile nelle controversie lavorative e comunque limita l'oggetto del reclamo, e il magistrato di sorveglianza puo' solo pronunciarsi sulla fondatezza o meno del reclamo, ma non puo' emettere ad esempio provvedimenti di condanna; non vi e' dubbio che il procedimento in esame sia deteriore con riguardo al diritto di difesa rispetto al rito del lavoro, oltre che per i profili gia' accennati, anche ad esempio, per l'assenza di un doppio grado di giudizio di merito o, per l'assenza della norma relativa alla immediata esecutivita' delle pronunce di condanna (che in realta' neppure possono essere emesse). L' art. 69, comma 6 dell'ordinamento penitenziario, nell'interpretazione che ad esso da' la consolidata e pacifica giurisprudenza di legittimita' appare in contrasto con varie disposizioni costituzionali, inerenti i principi di eguaglianza e di parita' tra i soggetti processuali ed il diritto fondamentale alla difesa: con l'art. 3 della Carta costituzionale, perche' e' stridente e discriminatorio il raffronto tra il procedimento che viene posto a disposizione del detenuto-lavoratore e la diversa e ben piu' efficace tutela processuale che viene riconosciuta al lavoratore non detenuto nell'ambito del rito del lavoro; con l'art. 24, in quanto il contraddittorio tra le parti puo' avvenire solo in forma cartolare ed in quanto al detenuto e' sottratto il diritto di partecipare personalmente all'udienza e l'amministrazione penitenziaria si vede addirittura privata di qualsiasi tutela processuale rispetto al procedimento in corso e soprattutto rispetto all'ordinanza che lo concludera'; con l'art. 111 perche', come detto, se il detenuto lavoratore puo' comunque ricorrere, sia pure in Cassazione, contro l'ordinanza emessa dal magistrato di sorveglianza, all'amministrazione-datore di lavoro e' certamente negato tale diritto. Nel caso in esame, i principi enunciati sarebbero chiaramente violati, se si ritenesse la competenza esclusiva del magistrato di sorveglianza con riguardo ai rapporti di lavoro dei detenuti, mentre corretto sarebbe ricondurre anche la controversia oggetto del presente procedimento nell'ambito della generale competenza del giudice del lavoro. In subordine, si potrebbe operare il riconoscimento di tutele alternative, nel senso che il detenuto lavoratore, essendo in una condizione certamente deteriore rispetto al lavoratore «libero», a differenza di questo abbia facolta' di scelta tra una tutela «interna» alla organizzazione carceraria e l'ordinaria tutela prevista per tutti i lavoratori eventualmente nel rispetto della regola secondo cui electa una via non datur recursus ad alteram. Considerato che tale ultima interpretazione alternativa della norma in commento, corretta costituzionalmente, idonea a rimuovere la irragionevole disparita' di trattamento denunciata implicherebbe una contrapposizione con quanto indicato dall'orientamento ormai costante della suprema Corte e determinerebbe un'univoca sorte ai conflitti negativi di competenza che dovessero insorgere tra giudice del lavoro e magistrato di sorveglianza. Ritenuto che, nel caso di cui trattasi, i vizi denunciati si appalesano rilevanti in ordine all'oggetto del giudizio, poiche' in caso di assunzione di una determinazione conclusiva da parte di questa a.g. si andrebbe inevitabilmente a riservare al lavoratore ma anche all'amministrazione penitenziaria una forma di tutela sostanzialmente ridotta; specie con riferimento, all'impugnabilita' (limitata ai vizi di legittimita' per il lavoratore-detenuto; preclusa al datore di lavoratore-amministrazione).