IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale sul ricorso n. 2347/2006, proposto da Badiali Antonietta, Bellini Raffaella, Bianchi Mastella Rita, Casamatta Augusta, Cornacchiola Pina, Di Toro Rossella, D'Alena Giovanna, De Santis Enrico, Del Fante Laura, Fabietti Luciano, Leo Maria Luisa, Palombo Mirella, Puca Carmine, Rinaldi Franca, Vitaletti Bianchini Vitaliana, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Gennaro Terracciano, presso il cui studio sono elettivamente domiciliati, in Roma, piazza di Spagna n. 35; Contro I.N.P.S., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Pietro Collina e Gaetano De Ruvo, e domiciliato presso l'Avvocatura centrale dell'Ente, in Roma, via della Frezza, n. 17; S.C.I.P., societa' per la cartolarizzazione degli immobili pubblici, in persona del legale rappresentante in carica, per l'esecuzione del giudicato formatosi in relazione alla decisione del Consiglio di Stato, sez. VI, 26 ottobre 2005, n. 5961; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'I.N.P.S.; Visti tutti gli atti di causa; Relatore all'udienza in camera di consiglio del 6 giugno 2006 il consigliere Roberto Chieppa; uditi l'avvocato Di Bonito per delega dell'avv. Terracciano per i ricorrenti e l'avvocato Collina per l'I.N.P.S.; Considerato in fatto e in diritto quanto segue. F a t t o e d i r i t t o 1. - Con la decisione in epigrafe il Consiglio di Stato ha confermato, con diversa motivazione, la sentenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio - Roma, sez. II, 4 agosto 2004, n. 7696, con cui e' stato accolto il ricorso proposto dai conduttori dello stabile I.N.P.S. sito in Roma, via Monte Oppio n. 12, avverso il decreto del 1° aprile 2003, del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 87 del 14 aprile 2003, avente ad oggetto «Individuazione di immobili di pregio», nella parte in cui inserisce fra gli immobili di pregio anche l'immobile concesso agli stessi in locazione. I ricorrenti avevano in precedenza manifestato il proprio interesse ad acquistare le unita' immobiliari concesse in locazione. Il Consiglio di Stato ha affermato che l'immobile sito in Roma, via Monte Oppio n. 12, pur essendo situato nel centro storico di Roma, non puo' essere qualificato di pregio. Il decreto ministeriale e' stato annullato dal Consiglio di Stato sulla base dell'accertamento in giudizio, a mezzo di verificazione, che l'immobile in questione e' in stato di degrado e necessita di interventi di restauro e risanamento conservativo. Da tale situazione di fatto il Consiglio di Stato ha tratto la conseguenza che l'amministrazione ha l'obbligo «di applicare le modalita' di vendita degli immobili pubblici previste per gli edifici non di pregio». La decisione, pubblicata in data 26 ottobre 2005, e' stata notificata dagli interessati all'amministrazione in data 21 novembre 2005. Formatosi il giudicato, gli interessati, previa diffida all'amministrazione, e perdurando l'inesecuzione, hanno proposto il presente ricorso per ottemperanza, lamentando che: con nota del 24 agosto 1998 l'I.N.P.S., tramite la I.G.E.I. S.p.a., ha comunicato ai ricorrenti la volonta' di procedere alla dismissione dell'immobile in questione, chiedendo loro di esprimere l'interesse ad acquistare le unita' immobiliari condotte in locazione; con delibera del 3 luglio 2001 l'I.N.P.S. ha incluso nel piano ordinario di vendita l'immobile di via Monte Oppio n. 12, per il quale «e' stata accertata una totale disponibilita' all'acquisto»; con lettera del 31 marzo 2003 l'I.N.P.S. ha comunicato ai ricorrenti le modalita' di vendita delle unita' immobiliari concesse in locazione; successivamente, con d.m. 1° aprile 2003, l'immobile e' stato inserito nell'elenco degli immobili da dismettere, con la qualificazione come immobile di pregio; in pendenza del giudizio innanzi al Tribunale amministrativo regionale Lazio avverso tale d.m., l'I.N.P.S. ha invitato i ricorrenti ad esercitare il diritto di opzione, attribuito ex lege dall'art. 3, d.l. n. 351 del 2001; il procedimento di dismissione si era gia' completato con la lettera dell'I.N.P.S., restando solo da concludere la fase di determinazione del prezzo; il subprocedimento di determinazione del prezzo si sarebbe concluso in virtu' del giudicato del Consiglio di Stato, che ha sostituito con effetto ex tunc la determinazione illegittima; dal giudicato discende l'obbligo per l'amministrazione di applicare le modalita' di vendita degli immobili pubblici, previste per gli edifici non di pregio; il giudicato non potrebbe essere vanificato dal sopravvenuto art. 11-quinquies, d.l. n. 203 del 2005, inserito dalla legge di conversione n. 248 del 2005, che ha sottratto alla vendita l'immobile di via Monte Oppio n. 12; in subordine, il citato jus superveniens sarebbe costituzionalmente illegittimo, avendo tutti i connotati di una legge provvedimento, priva di ragionevolezza, e volta a vanificare gli effetti di una decisione giurisdizionale. 2. - Il Collegio osserva che il giudicato di cui si chiede l'esecuzione si inserisce in una procedura di dismissione di immobile pubblico in cui era gia' stata manifestata la volonta' di vendita da parte dell'Ente proprietario e la volonta' di acquisto da parte dei conduttori degli appartamenti ubicati nell'immobile di via Monte Oppio n. 12. Il contenzioso giudiziario ha avuto per oggetto solo l'esatta qualificazione dell'immobile, come di pregio o non di pregio, al fine di determinare la conseguente misura del prezzo. Il giudicato ha ritenuto, sulla base di un accertamento di fatto condotto con verifica giudiziale, che l'immobile fosse da qualificare come non di pregio, e ha conseguentemente affermato l'obbligo dell'amministrazione di applicare le modalita' di vendita previste per gli edifici non di pregio. L'amministrazione non ha sinora dato esecuzione a tale giudicato, a causa del jus superveniens, costituito dall'art. 11-quinquies, d.l n. 203/2005, che ha espressamente e nominativamente sottratto alla dismissione l'immobile di via Monte Oppio n. 12, Roma. Va rilevato che il principio di intangibilita' del giudicato rispetto al jus superveniens non puo', nel caso di specie, trovare applicazione, in quanto alla data in cui e' entrato in vigore il citato art. 11-quinquies, in relazione alla decisione del Consiglio di Stato della cui esecuzione si discute non si era ancora formato il giudicato formale, essendo pendente il termine per il ricorso in Cassazione; termine poi scaduto senza che tale ricorso fosse effettivamente proposto. Infatti, la decisione risulta notificata in data 21 novembre 2005, e, in difetto di impugnazione, e' passata in giudicato quando l'art. 11-quinquies, inserito dalla legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 2 dicembre 2005, era gia' entrato in vigore (v. art. 1, legge n. 248 del 2005). Pertanto, alla data di entrata in vigore del jus superveniens, 3 dicembre 2005, non si era formato il giudicato in senso formale, anche se si era in presenza di una decisione giurisdizionale, definitiva ed esecutiva, suscettibile di essere portata ad esecuzione attraverso il giudizio di ottemperanza, (come ogni decisione esecutiva del giudice amministrativo dopo l'entrata in vigore dell'art. 10 della legge n. 205/2000). In ogni caso, lo jus superveniens dovrebbe trovare applicazione al caso di specie, impedendo l'esecuzione della decisione. L'amministrazione, infatti non puo' procedere alla vendita dell'immobile con il criterio di prezzo indicato in sentenza, atteso che l'immobile e' stato per legge escluso in radice dalla procedura di dismissione. 3. - Ritiene tuttavia il Collegio che sia rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11-quinquies, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, inserito dalla legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248, a tenore del quale «gli immobili siti in Roma, via Nicola Salvi n. 68 e via Monte Oppio n. 12, gia' inseriti nelle procedure di vendita di cui al decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, sono esclusi da dette procedure di vendita». La questione e' rilevante in quanto l'esistenza di tale norma impedisce di dare esecuzione al giudicato, esecuzione alla quale non vi sarebbero ostacoli di sorta se tale norma non fosse sopravvenuta. 4. - La questione appare non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3, 24, 81, 97, 103, 113 Cost. 4.1. - La norma in commento, che ha tutti i connotati di una legge-provvedimento, si pone in contrasto con gli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione. Come affermato dalla Corte costituzionale, l'ammissibilita' di leggi aventi un contenuto concreto e particolare (c.d. leggi-provvedimento) - leggi che, in quanto tali, la Corte ha piu' volte riconosciuto di per se' non illegittime - incontra tuttavia un limite specifico nel rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso, nonche' il limite generale costituito dal principio di ragionevolezza (ex plurimis, sentenze n. 492 del 1995, n. 346 del 1991 e n. 143 del 1989). Nel caso di specie, risulta evidente dalla stessa successione cronologica degli eventi che la norma e' stata dettata per eludere l'esecuzione della decisione del Consiglio di Stato n. 5960 del 2005. A fronte dell'obbligo, sancito dal Consiglio di Stato, di alienare l'immobile applicando il prezzo previsto per gli immobili non di pregio, il legislatore ha ritenuto che fosse preferibile ritirare l'immobile dalle procedure di vendita. La legge non solo ha compiuto una valutazione discrezionale ordinariamente riservata ai provvedimenti amministrativi, ma lo ha fatto all'evidente fine di incidere sulla funzione giurisdizionale e, in particolare, con riguardo ad una controversia, che non poteva neanche considerarsi in corso essendo gia' stata pronunciata la sentenza di ultimo grado della giustizia amministrativa ed essendo solo formalmente pendente il termine per il ricorso per Cassazione per motivi di giurisdizione, poi non proposto. La legge e' stata approvata allo scopo di eludere l'obbligo di dare esecuzione ad una decisione giurisdizionale, rispetto alla quale gia' alla data di entrata in vigore della norma sussisteva l'obbligo per l'amministrazione di dare esecuzione alla pronuncia ed era azionabile il giudizio di ottemperanza, come chiarito in precedenza. Risultano violati gli artt. 3, 24, 103, e 113 Cost., vale a dire il diritto di difesa giurisdizionale, il principio secondo cui contro gli atti amministrativi e' ammessa tutela giurisdizionale davanti al giudice ordinario o amministrativo, e, in definitiva, il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale. Invero, il diritto di difesa, esercitato dai ricorrenti con l'azione davanti al giudice amministrativo, e soddisfatto con la decisione poi passata in giudicato, e' stato vanificato, e dunque reso non effettivo, dalla legge provvedimento, che ha alterato la regolazione degli interessi in gioco, dettata da una sentenza, ormai definitiva, oltre che esecutiva. 4.2. - La violazione dell'art. 3 Cost. sussiste anche sotto un ulteriore profilo. La Corte costituzionale ha anche affermato che le leggi con destinatari ben determinati, quale quella di specie che riguarda gli inquilini di due immobili, hanno i caratteri della legge-provvedimento, che deve essere necessariamente sottoposta ad un rigoroso scrutinio di legittimita' costituzionale per il pericolo di disparita' di trattamento insito in previsioni di tipo particolare e derogatorio (Corte cost., n. 153 del 1997, n. 2 del 1997 e n. 205 del 1996). Nella sostanza, alcune leggi provvedimento hanno superato sia le obiezioni di fondo collegate al principio di separazione dei poteri sia quelle legate al sistema di garanzie, in quanto - si e' detto - il diritto di difesa del cittadino non viene annullato, ma si connota secondo il regime tipico dell'atto legislativo adottato, trasferendosi dall'ambito della giustizia amministrativa a quello proprio della giustizia costituzionale (Corte cost., n. 62 del 1993). Il sindacato di costituzionalita' sotto il profilo della non-arbitrarieta' e ragionevolezza delle scelte deve essere tanto piu' rigoroso quanto piu' marcata e' la natura provvedimentale dell'atto legislativo sottoposto a controllo. Nel caso di specie, la disposizione impugnata rappresenta un modo surrettizio per sottrarre alla procedura di dismissione due soli immobili gia' inseriti nel programma di alienazione, dopo che l'Ente pubblico ha manifestato l'intento di vendere e gli inquilini hanno manifestato, gia' da un certo numero di anni, la volonta' di acquistare. Una legge che interviene in una procedura in corso da anni, in cui si e' ingenerato un legittimo affidamento dei cittadini, e in cui e' gia' intervenuta una sentenza di ultimo grado favorevole agli interessati, e che provvede per casi singoli anziche' in via generale ed astratta, dovrebbe fondarsi su gravi e ragionevoli esigenze, pena l'arbitrarieta' della stessa. La Corte costituzionale ha piu' volte affermato che la legge e' sempre soggetta al controllo di conformita' al canone generale di ragionevolezza, particolarmente stringente in quanto riferito alla carenza dei rapporti preferiti ed al legittimo affidamento dei soggetti interessati (Corte cost. 23 dicembre 1997, n. 432; Corte cost. 26 gennaio 1994, n. 6). La scelta del legislatore appare, invece, del tutto priva di ragionevolezza, oltre che palesemente arbitraria. Si deve anche tenere conto che sinora la legge-provvedimento, ritenuta costituzionalmente legittima, non e' mai giunta al punto da incidere su un numero determinato e limitato di persone, ma ha riguardato: un piano territoriale di coordinamento (sent. n. 226 del 1999), un piano urbanistico territoriale (sent. n. 529 del 1995) o provinciale (sent. n. 143 del 1989); il territorio perimetrato a fini faunistici (sent. n. 248 del 1995), la classificazione di un territorio regionale come area di bonifica (sent. n. 66 del 1992); la copertura legislativa ad atti dei procedimenti espropriativi e la realizzazione di una pluralita' di opere pubbliche in «particolari condizioni di urgenza» (sent. n. 62 del 1993). 4.3. - L'art. 3 Cost. appare, infine violato anche in relazione al principio di eguaglianza dei cittadini, determinando una irragionevole discriminazione in danno degli inquilini di via Monte Oppio n. 12, rispetto agli altri inquilini di immobili pubblici inseriti nelle procedure di dismissione in base alla stessa fonte normativa. Infatti gli inquilini degli immobili inseriti all'interno della prima e della seconda operazione di cartolarizzazione hanno potuto acquistare gli immobili di pertinenza a seguito dell'inserimento nei d.m. 31 luglio 2002 e 1° aprile 2003. Diversamente i ricorrenti, pur essendo stato inserito il loro immobile nel d.m. 1° aprile 2003 e pur versando nelle medesime condizioni degli altri inquilini, si vedrebbero esclusi dalla procedura di vendita, nonostante una decisione di ultimo grado ad essi favorevole. Tale discriminazione non e' sorretta da una plausibile ragione, in quanto non si comprende, ed anzi resta esclusa ogni ragione giuridicamente rilevante del motivo per cui l'immobile, gia' inserito tra quelli da dismettere, viene sottratto alla procedura di vendita. 4.4. - Risulta violato anche l'art. 97 Cost., che impone l'imparzialita' e il buon andamento dell'amministrazione, in quanto da tali canoni discende che l'amministrazione deve operare secondo legge e rispettare le decisioni giurisdizionali. Con la legge provvedimento, finalizzata nel caso specifico a non dare esecuzione a una decisione giurisdizionale (definitiva ed esecutiva), si minano l'imparzialita' e il buon andamento dell'amministrazione, e si attenta al principio del legittimo affidamento del cittadino, che deriva dai canoni costituzionali di cui agli artt. 3 e 97 Cost. 4.5. - La disposizione appare, infine, porsi in contrasto con l'art. 81 Cost. perche' priva di copertura finanziaria. La procedura di dismissione degli immobili pubblici ha principalmente il fine di reperire risorse economiche per lo Stato e l'utilizzo di societa-veicolo, come la Scip, non determina il venir meno della riferibilita' diretta allo Stato dell'intera procedura e dei suoi effetti economici, come peraltro riconosciuto da questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, IV, n. 308/2006). E' evidente che la sottrazione di un immobile dalla procedura di vendita determina una minore entrata per lo Stato e quindi un onere economico, per il quale la stessa legge doveva indicare la relativa copertura, mentre cio' non e' avvenuto. Pur essendo vero che la decisione di vendere i singoli immobili e' avvenuta con provvedimento amministrativo (ma in base ad una legge utilizzata per assicurare copertura di bilancio), una volta che, come nel caso di specie, viene scelta la strada (impropria) di sottrarre l'immobile alla vendita non con provvedimento amministrativo, ma con atto legislativo, la legge deve anche indicare le risorse per fare fronte alla maggiore spesa (o minore entrata), senza che queste possano essere individuate successivamente attraverso la via (quella amministrativa) che si e' deciso di non seguire. 5. - Per quanto esposto appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11-quinquies, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, inserito dalla legge di conversione 22 dicembre 2005, n. 248, in relazione agli articoli 3, 24, 81, 97, 101, 103, 113, Cost. Per l'effetto, il giudizio va sospeso e gli atti vanno trasmessi alla Corte costituzionale.