ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo 20 del
decreto  legislativo  del  28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla
competenza  penale  del  giudice  di pace, a norma dell'art. 14 della
legge   24 novembre   1999,   n. 468),  promosso  con  ordinanza  del
27 dicembre  2004  dal  Giudice  di  pace  di Ortona nel procedimento
penale  a  carico  di V.T., iscritta al n. 245 del registro ordinanze
2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, 1ª
serie speciale, dell'anno 2005;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 10 gennaio 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick;
    Ritenuto  che con l'ordinanza in epigrafe, emessa nel corso di un
processo  penale  nei  confronti di persona imputata del reato di cui
all'art. 186, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285
(Nuovo  codice  della  strada),  il  Giudice  di  pace  di  Ortona ha
sollevato,  su  eccezione  della  difesa,  questione  di legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo
comma,  e  97,  primo  comma,  della  Costituzione,  dell'art. 20 del
decreto   legislativo  28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni  sulla
competenza  penale  del  giudice  di pace, a norma dell'art. 14 della
legge  24 novembre  1999, n. 468), nella parte in cui non prevede che
la  citazione  a  giudizio davanti al giudice di pace debba contenere
l'avviso della facolta' dell'imputato di accedere ai riti alternativi
-  e,  in  particolare,  della  facolta'  di  presentare  domanda  di
oblazione  ai  sensi  dell'art. 162-bis  del  codice  penale - ne' le
sanzioni processuali conseguenti all'omissione di tale avviso;
        che  il  rimettente  osserva  come  l'istituto dell'oblazione
cosiddetta  «discrezionale», di cui al citato art. 162-bis cod. pen.,
debba    ritenersi   applicabile   anche   in   relazione   a   reati
contravvenzionali, quale quello oggetto del giudizio a quo, che, gia'
puniti  con  le pene congiunte dell'arresto e dell'ammenda, risultino
attualmente  repressi  -  per  effetto  della  modifica  dell'assetto
sanzionatorio  dei  reati  di competenza del giudice di pace, operata
dall'art. 52  del  d.lgs.  n. 274 del 2000 - con la pena dell'ammenda
alternativa  alla  permanenza  domiciliare  o  al  lavoro di pubblica
utilita':  pene,  queste ultime, equiparate dall'art. 58 del medesimo
decreto legislativo alla pena detentiva;
        che,  su  tale premessa, il giudice a quo assume che la norma
denunciata  si  porrebbe  in contrasto sia con l'art. 3, primo comma,
Cost.,  per  l'ingiustificata disparita' di trattamento rispetto agli
imputati  citati  a giudizio davanti al tribunale, cui l'avviso della
facolta'  di  presentare domanda di oblazione deve essere dato a pena
di  nullita',  ai sensi dell'art. 552 del codice di procedura penale;
sia  con  l'art. 24,  secondo  comma,  Cost.,  per  la violazione del
diritto  di  difesa  dell'imputato  che  conseguirebbe  alla  mancata
conoscenza della predetta facolta'; sia, infine, con l'art. 97, primo
comma, Cost., giacche' l'omessa incentivazione del «rito alternativo»
si tradurrebbe in un vulnus «dei criteri di efficienza a cui dovrebbe
essere improntata l'attivita' pubblica»;
        che  il rimettente rileva, altresi', come questa Corte si sia
gia'  pronunciata  su un «caso analogo», dichiarando l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 552  cod.  proc. pen. (recte: dell'art. 555
cod.  proc.  pen.,  nel  testo  precedente la legge 16 dicembre 1999,
n. 479),  nella parte in cui non prevedeva la nullita' del decreto di
citazione  a  giudizio,  ove  mancante dell'avviso all'imputato della
facolta' di accedere ai riti alternativi;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione   sia   dichiarata   inammissibile   -   stante  l'assenza,
nell'ordinanza  di  rimessione,  di ogni riferimento alla fattispecie
concreta  oggetto  di  giudizio  e  della  motivazione in ordine alla
rilevanza - e comunque manifestamente infondata.
    Considerato  che  l'eccezione di inammissibilita' della questione
sollevata dall'Avvocatura dello Stato non e' fondata;
        che   il   giudice  a  quo  ha  riferito,  infatti,  sia  pur
sinteticamente,  di procedere nei confronti di persona imputata di un
reato  (guida  in  stato  di ebbrezza) reso suscettibile di oblazione
cosiddetta  «discrezionale»,  ai  sensi  dell'art. 162-bis cod. pen.,
dalla  nuova  configurazione  dell'assetto sanzionatorio dei reati di
competenza  del  giudice  di  pace  stabilita dall'art. 52 del d.lgs.
n. 274 del 2000;
        che,  in  tal modo, il rimettente ha assolto anche l'onere di
motivazione   sulla  rilevanza  della  questione,  la  quale  risulta
implicita   nel   fatto  che  l'eventuale  accoglimento  del  petitum
determinerebbe l'insorgenza di un vizio di nullita' della citazione a
giudizio dell'imputato, altrimenti non ravvisabile;
        che,  quanto  al  merito, questa Corte si e' gia' pronunciata
piu'  volte  su  identiche  questioni di legittimita' costituzionale,
dichiarandole   manifestamente  infondate  (ordinanze  n. 10,  n. 11,
n. 55, n. 56 e n. 57 del 2004; n. 231 del 2003);
        che, con riferimento alla supposta violazione degli artt. 3 e
24,  secondo  comma, Cost., questa Corte ha rilevato, in specie, come
non   possano   trarsi  argomenti  a  sostegno  della  illegittimita'
costituzionale  della  disciplina censurata dalla sentenza n. 497 del
1995,  che  ha  dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 555,
comma 2,  cod.  proc.  pen., nel testo precedente la legge n. 479 del
1999,  nella  parte  in  cui non prevedeva la nullita' del decreto di
citazione  a  giudizio davanti al pretore per mancata o insufficiente
indicazione  del  requisito  previsto  dal comma 1, lettera e), dello
stesso articolo: e, cioe', dell'avviso all'imputato della facolta' di
chiedere  il  giudizio abbreviato o l'applicazione della pena, ovvero
di presentare domanda di oblazione;
        che  detta  declaratoria  di  incostituzionalita' si fondava,
infatti,  sulla  constatazione della «diminuzione delle potenzialita'
difensive»,   conseguente   alla  possibilita'  che,  in  difetto  di
tempestiva  conoscenza,  l'imputato venisse a trovarsi decaduto dalla
facolta'  di  chiedere  il giudizio abbreviato: evenienza che avrebbe
potuto  verificarsi,  malgrado  la  garanzia  della  difesa  tecnica,
qualora  l'imputato  avesse  preso  contatto con il difensore dopo la
scadenza del termine di quindici giorni dalla notifica del decreto di
citazione,  previsto  a  pena  decadenza  per  la presentazione della
richiesta del rito alternativo;
        che   nell'ipotesi   in   esame,   per   contro,  l'omissione
dell'avviso  della facolta' di presentare domanda di oblazione non e'
atta a provocare la perdita irrimediabile di tale facolta';
        che  nel  procedimento davanti al giudice di pace, la domanda
di  oblazione  puo' essere infatti presentata, ai sensi dell'art. 29,
comma 6,  del  d.lgs.  n. 274  del  2000,  nel  corso dell'udienza di
comparizione, prima dell'apertura del dibattimento;
        che,  d'altro  canto, nell'udienza di comparizione l'imputato
e'   obbligatoriamente  assistito,  a  norma  dell'art. 20,  comma 2,
lettera e),  del  citato  decreto  legislativo,  da  un difensore, di
fiducia  o  d'ufficio:  onde risultano pienamente garantite la difesa
tecnica  e  l'informazione  circa  le  varie forme di definizione del
procedimento,  anche alternative al giudizio di merito (conciliazione
tra   le   parti,   oblazione,   risarcimento   del  danno,  condotte
riparatorie);
        che, inoltre, l'udienza di comparizione, ove avviene il primo
contatto  tra  le  parti  ed  il  giudice  di  pace  -  al  quale  e'
istituzionalmente  assegnato  il  compito  di  «favorire,  per quanto
possibile,  la  conciliazione  tra  le  parti»  (art. 2, comma 2, del
d.lgs.   n. 274  del  2000)  e,  comunque,  di  propiziare  forme  di
definizione  del  procedimento  alternative  al  giudizio di merito -
risulta   sede   idonea  per  verificare  anche  la  possibilita'  di
estinguere  il  reato  mediante oblazione, ai sensi degli artt. 162 e
162-bis cod. pen;
        che  con  riguardo,  poi,  al principio di buon andamento dei
pubblici  uffici,  enunciato  dall'art. 97, primo comma, Cost., esso,
per    costante    giurisprudenza    della   Corte,   e'   riferibile
all'amministrazione    della    giustizia    per    quanto    attiene
all'organizzazione  ed  al  funzionamento degli uffici giudiziari, ma
non anche all'attivita' giurisdizionale in senso stretto;
        che,  non  essendo  stati  dedotti  profili  nuovi rispetto a
quelli  gia' valutati con le pronunce dianzi richiamate, la questione
va dichiarata manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.