IL TRIBUNALE

    Letta  la richiesta di archiviazione per intervenuta prescrizione
del p.m. datata 6 febbraio 2006;
    Letti  gli  atti di opposizione a tale richiesta presentati dalle
persone offese e le memorie successivamente depositate;
    Sentite  le parti nella camera di consiglio fissata ex art. 410 e
409,  secondo  comma  c.p.p.  ed  a  scioglimento  della  riserva ivi
pronunciata;
    Ritenuto  che in via principale il p.m. ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale della legge 5 dicembre 2005, n. 251;
    Premesso  che la richiesta di archiviazione e' stata proposta nei
confronti  degli  indagati:  Marangoni  Luigi, Colucci Eugenio, Picco
Renato, Scaroni Paolo in relazione ai seguenti fatti-reato.
    Marangoni e Colucci:
        A)  per  il reato p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv., 479, 476,
secondo  comma,  61 nn. 2 e 7 c.p. perche', con piu' azioni esecutive
del  medesimo  disegno  criminoso,  il  Marangoni  nella  qualita' di
commissario  straordinario del Gruppo Saccarifero Veneto (G.S.V.), il
Colucci nella qualita' di amministratore dell'«Arthur Andersen & Co.»
S.a.s,  in  concorso  tra  loro  formavano rendiconti - presentati al
Ministro  dell'industria  sotto  forma di bilanci redatti dal primo e
accompagnati  da  una  relazione  del secondo - nei quali attestavano
falsamente  fatti dei quali l'atto era destinato a provare la verita'
ed  in  particolare  evidenziando,  per quel che riguarda la S.I.I.Z.
S.p.A. negli esercizi 1984 e 1985 un margine operativo di Lit. 36,347
mld  ed  un  utile  di gestione di Lit. 8,747 mld, e per la Cavarzere
P.I. S.p.A. un margine operativo di Lit. 11,248 mld ed una perdita di
gestione  di  Lit. 3,415 mld dati incompatibili con le risultanze del
rendiconto  redatto  dal  successivo  commissario  straordinario  del
G.S.V.  dott.  Bisaglia,  depositato  in  data  27 febbraio 2003, che
riportano  per  la S.I.I.Z S.p.A. un margine operativo di Lit. 84,186
ed  un  utile  di gestione pari a Lit. 41,977 mld, e per la Cavarzere
P.I. S.p.A. un margine operativo di Lit. 25,148 mld ed una perdita di
gestione di Lit. 4,405 mld per una complessiva differenza, rapportata
all'utile  di  gestione,  relativo  alla S.I.I.Z. S.p.A. ammontante a
Lit. 33,230 circa mld.
    Reato aggravato ex art. 61 n. 2 c.p. per essere stato commesso al
fine  di  eseguire i successivi reati di presa di interesse aggravata
di  cui  all'art. 228  legge  fall., ed ex art. 61 n. 7 c.p. per aver
cagionato alle societa' commissariate, agli azionisti delle stesse ed
ai  creditori  un danno di rilevante gravita' consistito nell'offrire
agli  aspiranti  acquirenti ed al Ministro dell'industria un'immagine
economica  delle  societa' peggiore rispetto a quanto non fosse nella
realta',   disincentivando   quindi   gli  aspiranti  acquirenti  dal
presentare    offerte   piu'   elevate   per   l'acquisizione   degli
zuccherifici,  con  grave  perdita  patrimoniale  per  Cavarzere P.I.
S.p.A.  e S.I.I.Z. S.p.A. nonche' per i creditori e per gli azionisti
delle medesime societa'.
    In Padova il 17 luglio 1986.
        B)  per il reato p. e p. dagli artt. 110, 48, 479, 476, primo
comma,  61  n. 2  c.p.  per avere, in concorso tra loro, il Marangoni
quale  Commissario  istante  e  il Colucci quale socio accomandatario
della  «Arthur  Andersen & Co.» S.a.s. di Treviso, impresa stimatrice
degli  zuccherifici,  indotto  in  errore il Comitato di sorveglianza
onde  fargli  rendere  il  parere  favorevole  alla  vendita dei nove
zuccherfici  del  Centro  Nord  del  Gruppo  Saccarifero  Veneto alla
Societa'  I.S.I.  S.p.A.  del  13 febbraio  1986,  e  in  particolare
convincendo   l'organo   consultivo   sulla  rispondenza  del  prezzo
convenuto  di  Lit.  63  miliardi  ai  parametri di legge, e per aver
conseguentemente  determinato  il medesimo Comitato di sorveglianza a
rendere,  in  detto  verbale, la oggettivamente falsa attestazione in
base  alla  quale le stime redatte dall'«Arthur Andersen & Co.» S.a.s
ed  il  conseguente  prezzo  offerto  da  IS.I.  S.p.A. sarebbe stato
conforme ai parametri previsti dalla legge Prodi.
    Reato aggravato ai sensi dell'art. 61, n. 2 c.p. per essere stato
commesso  al  fine  di  eseguire i successivi reati ex art. 228 legge
fall.
    In Roma il 13 febbraio 1986.
        C) per il reato p. e p. dagli art. 81 cpv., 479, 476, secondo
comma,  61  n. 2 c.p. perche', con piu' azioni esecutive del medesimo
disegno criminoso, in concorso tra loro formavano, il Marangoni nella
qualita'  di  Commissario  straordinario delle Societa' facenti parte
del   Gruppo   Saccarifero  Veneto,  il  Colucci  nella  qualita'  di
amministratore  dell'«Arthur  Andersen  &  Co.»  S.a.s.  di  Treviso,
impresa  stimatrice  degli  zuccherifici,  rendiconti,  redatti nella
forma di:
          1)   Fascicolo   di   «bilancio»   contenente   lo   «stato
patrimoniale al 31 dicembre 1986» di Cavarzere ed il «conto economico
per  il  periodo  dal  1° gennaio al 31 dicembre 1986» con annesse le
«note   illustrative»   e   la   «relazione  dei  revisori  contabili
indipendenti» redatta da Arthur Andersen; (vedasi Doc. I 21.5);
          2)   Fascicolo   di   «bilancio»   contenente   lo   «stato
patrimoniale  al  31 dicembre 1986, di S.I.I.Z ed il «conto economico
per  il  periodo  dal 1° gennaio al 31 dicembre 1986», con annesse le
«note   illustrative»   e   la   «relazione  dei  revisori  contabili
indipendenti» redatta da Arthur Andersen; (vedasi Doc. I 21.14);
    Attestando  falsamente  fatti  dei  quali  l'atto era destinato a
provare la verita' ed in particolare indicando come avvenuto entro il
1987  il  rimborso,  da  parte  di  I.S.I.  S.p.A.,  delle  spese  di
preparazione  degli  impianti  per la campagna saccarfera 1986, 1987,
anticipate  da Caverzere P.I. S.p.A. e S.I.I.Z S.p.A, nella misura di
Lit. 31,8 miliardi.
    Reato  aggravato  ai  sensi  dell'art.  61, n. 2 per essere stato
commesso al fine di commettere il reato di cui al successivo Capo D).
    In Padova, sino al 26 novembre 1987.
        D)  per  il  reato p. e p. dagli artt. 110, 314, 61 n. 7 c.p.
perche', il Marangoni nella qualita' di Commissario straordinario del
Gruppo  Saccarifero  Veneto  si  appropriava  a profitto proprio o di
terzi di 31,8 miliardi di Lit., somma corrispondente al rimborso alle
Societa'  Caverzere P.I. S.p.A. e S.I.I.Z. S.p.A., da parte di I.S.I.
S.p.A.,  delle  spese  per l'approntamento della campagna saccarifera
1986-1987   relativa   ai  nove  stabilimenti:  Argelato,  Bottrighe,
Pontelongo, Finale Emilia, Casei Gerola, Fano, Porto Tolle, Mirandola
e  Crevalcore,  con  il  concorso  del  Colucci, amministratore della
«Arthur  Andersen & Co.» S.a.s, il quale redigeva i rendiconti di cui
al  capo  C)  ben  sapendo  che  tali somme non erano (ne' sarebbero)
transitate nei conti societari.
    Reato  aggravato  ex art. 61 n. 7 per aver cagionato alle imprese
commissariate un danno patrimoniale di rilevante entita'.
    In Padova sino al dicembre 1987.
    Marangoni:
        E)  per  il  reato  p.  e  p.  dagli artt. 81 cpv., 479, 476,
secondo  comma,  61  n. 2 c.p. perche', nella qualita' di Commissario
straordinario  del Gruppo Saccarifero Veneto, indicava nel «Riepilogo
vendite  per  singole  societa»,  allegato sub B, alla lettera da lui
inviata al Ministero dell'industria in data 23 maggio 1989 (vedi Doc.
I  25.l)  quali  proventi  realizzati  da  vendite  di  cespiti delle
societa' commissariate importi non rispondenti al vero sulla base del
confronto con i seguenti documenti:
          «Progetto  delle  somme  disponibili  e progetto di riparto
parziale»  della  Cavarzere P.I. S.p.A. depositato il 17 luglio 1996;
(vedasi Doc. n. 1);
          «Rendiconti al 31 dicembre 2002», depositati il 27 febbraio
2003,  delle  Societa':  S.I.I.Z.  S.p.A.,  Saccarifera  del  Rendina
S.p.A.,  Cavarzere  Produzioni  Industriali  S.p.A.  e Pagana S.r.l.;
(vedasi Doc. I 24.2, I 24.4, I 24.6, I 24.10);
          «Progetto di riparto parziale» della Pagana S.r.l.; (vedasi
Doc. n. 3);
          «Progetto  delle  somme  disponibili  e progetto di riparto
parziale» della Saccarifera del Rendina S.p.A.; (vedasi Doc. n. 2);
          tutti  redatti  dal  successivo  Commissario dott. Fernando
Bisaglia secondo la seguente tabella comparativa:

Cavarzere Produzionali Industriali S.p.A.

=====================================================================
                      |  Valore di incasso   |   Valore di incasso
                      |esposto nel "documento|esposto nei "rendiconti
    "Bene ceduto"     |      Marangoni"      |       Bisaglia"
=====================================================================
Stabilimenti          |                      |
saccariferi           |          39.773      |           39.091
---------------------------------------------------------------------
Autovetture           |              34,8    |               43,3
---------------------------------------------------------------------
Macchine agricole     |              31,9    |                -
---------------------------------------------------------------------
C.E.D.                |             716,5    |            1.091
---------------------------------------------------------------------
Mobili e Macchine     |                      |
Ufficio               |             116,3    |                -
---------------------------------------------------------------------
Parti di ricambio e   |                      |
scorte                |           3.943,4    |            2.035,6
---------------------------------------------------------------------
  Totale . . .        |          44.615,9    |           42.260,9
---------------------------------------------------------------------
  Differenza . . .    |               -      |            2.355

Societa' italiana industria Zuccheri S.p.A.

=====================================================================
                      |  Valore di incasso   |   Valore di incasso
                      |esposto nel "documento|esposto nei "rendiconti
    "Bene ceduto"     |      Marangoni"      |       Bisaglia"
=====================================================================
Stabilimenti          |                      |
saccariferi           |          34.584,5    |           33.908,5
---------------------------------------------------------------------
Autovetture           |           1.434,6    |              132
---------------------------------------------------------------------
Macchine agricole     |               3,7    |                -
---------------------------------------------------------------------
Laboratorio           |              98,8    |              422,9
---------------------------------------------------------------------
Mobili e Macchine     |                      |
Ufficio               |             165      |                -
---------------------------------------------------------------------
Parti di ricambio e   |                      |
scorte                |          14.938,3    |            7.541,4
---------------------------------------------------------------------
Terreno Fraz.         |                      |
Granzette-Rovigo      |             209      |                -
---------------------------------------------------------------------
Azioni n. 1800/Aurora |                      |
S.p.A.                |             612      |                -
---------------------------------------------------------------------
  Totale . . .        |          52.045,9    |           42.004,8
---------------------------------------------------------------------
  Differenza . . .    |               -      |           10.041,1

Saccarifera del Rendina S.p.A.

=====================================================================
                      |  Valore di incasso   |   Valore di incasso
                      |esposto nel "documento|esposto nei "rendiconti
    "Bene ceduto"     |      Marangoni"      |       Bisaglia"
=====================================================================
Azioni n. 1040/Aurora |                      |
S.p.A.                |             353,6    |                -
---------------------------------------------------------------------
  Totale . . .        |             353,6    |                -
---------------------------------------------------------------------
  Differenza . . .    |               -      |              353,6

Pagana S.r.l.

=====================================================================
                      |  Valore di incasso   |   Valore di incasso
                      |esposto nel "documento|esposto nei "rendiconti
    "Bene ceduto"     |      Marangoni"      |       Bisaglia"
=====================================================================
Azioni                |                      |
n. 20000/Edilcentro   |             550      |              150
---------------------------------------------------------------------
  Totale . . .        |             550      |              150
---------------------------------------------------------------------
  Differenza . . .    |               -      |              400

    Per un ammontare complessivo di 13.149,7 milioni di Lit.
    Reato aggravato ex art. 61 n. 2 per essere stato commesso al fine
di eseguire il reato di cui al capo f).
    In Padova il 23 maggio 1989.
    F)  per  il  reato  p.  e  p. dagli artt. 110, 314, 61, n. 7 c.p.
perche',  nella  qualita'  di  Commissario straordinario di Cavarzere
P.I. S.p.A., S.I.I.Z. S.p.A., Pagana S.r.l. e Saccarifera del Rendina
S.p.A.  si  appropriava  a profitto proprio o di terzi della somma di
Lit.  13.149,71  milioni  quale differenza tra gli importi risultanti
dal  «Riepilogo  vendite  per  singole  societa» allegato sub b) alla
lettera   datata   23   maggio  1989  da  lui  inviata  al  Ministero
dell'industria,  organo di vigilanza della procedura commissariale, e
quelli   indicati  dal  successivo  Commissario  dott.  Bisaglia  nei
rendiconti  di  gestione  al 31 dicembre 2002 nonche' il «Progetto di
riparto  parziale»  della  Pagana  S.r.l.  e il «Progetto delle somme
disponibili  e  progetto  di  riparto parziale» della Saccarifera del
Rendina S.p.A. cosi' come emergono dalle tabelle comparative indicate
nel capo E).
    Reato  aggravato  ex  art.  61  n. 7 c.p. per aver cagionato alle
imprese commissariate un danno patrimoniale di rilevante entita'.
    In Padova sino al maggio 1989.
    Marangoni, Colucci, Picco:
        G)  per  il  reato p. e p. dagli artt. 110, 479, 476, secondo
comma,  61 n. 2 c.p. perche', Marangoni nella qualita' di Commissario
straordinario  del  G.S.V.,  Colucci nella qualita' di amministratore
della  «Arthur  Andersen  &  Co.»  S.a.s.,  Picco  nella  qualita' di
amministratore   delegato   di   «Eridania»   S.p.A.   ed   effettivo
organizzatore  di  tutte  le fasi che hanno condotto alla vendita dei
nove  zuccherifici  del  Centro  Nord da parte del Gruppo Saccarifero
Veneto  ad  I.S.I. S.p.A., nell'atto di vendita degli stabilimenti di
Cavarzere  P.I.  S.p.A.  e  S.I.I.Z.  S.p.A.,  redatto  con scrittura
privata  autenticata il 23 luglio 1986, il Marangoni, in concorso con
gli  altri  due,  dichiarava  falsamente  di  agire  in  presenza dei
presupposti  stabiliti  dalla  legge  Prodi all'art. 6-bis al fine di
poter   effertuare   la   cessione   delle   societa'  sottoposte  ad
amministrazione  straordinaria,  sorretto  in tale falsa attestazione
dalle  stime  redatte  dalla  «Arthur  Andersen  &  Co.» S.a.s. ed in
particolare  del  parere, favorevole del Comitato di sorveglianza del
13 febbraio  1986,  che  in  realta'  era stato sospeso a seguito dei
successivi  pareri  del  Comitato  stesso  resi rispettivamente il 27
febbraio  1986  e  il  23  luglio  1986  - e che quindi difettava dei
requisiti richiesti.
    Reato aggravato ex art. 61 n. 2 c.p. per essere stato commesso al
fine  di  eseguire  i  successivi  reati di presa di interesse di cui
all'art.  228 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nonche' i reati di cui agli
artt. 323, secondo comma, 61 n. 7 e/o 232 r.d. 16 marzo 1942, n. 267,
nel frattempo prescritti.
    In Genova il 23 luglio 1986.
    Picco e Scaroni:
        H)  per il reato p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv., 61 nn. 2 e
7  c.p.,  228  legge  fall.,  per  avere,  Picco  nella  qualita'  di
amministratore  di  «Eridania»  S.p.A.,  Scaroni  nella  qualita'  di
vicepresidente  di «Techint» S.p.A., societa' sottoscrittrice in data
24  gennaio  1986  dell'offerta  di acquisto del G.S.V. unitamente ad
altri  soggetti per conto della costituenda societa' «I.S.I.» S.p.A.,
con  piu'  azioni  esecutive del medesimo disegno criminoso, concorso
con  il  Commissario straordinario del G.S.V. Marangoni Luigi (la cui
posizione   e'   stata   definita  con  sentenza  di  proscioglimento
pronunciata dalla Corte di cassazione il 4 marzo 2003):
          nel  boicottaggio dell'ipotesi del concordato di cui si era
fatto  promotore  il  P.A.I.Z. consistito nel non fornire allo stesso
Patronato   i   dati   economici  relativi  all'esercizio  chiuso  al
31 dicembre  1985,  nel  non  effettuare  le  obbligatorie  relazioni
semestrali   al   Ministero   dell'industria   e   nell'impedire   le
deliberazioni assembleari in ordine alla proposta di concordato;
          nella     sottoscrizione     dell'accordo     intercampagna
pregiudizievole  per  le societa' commissariate e nella effettuazione
della   campagna  saccarifera  con  cospicuo  danno  per  le  imprese
commissariate e correlativo vantaggio per la I.S.I. S.p.A. In merito,
pur  conoscendo  sia  essi  che il Marangoni le favorevoli previsioni
della  Campagna  saccarifera 1986-1987, il Marangoni sottoscriveva ed
il Picco faceva redigere dall'avvocato di Eridania Mauro De Andre' un
contratto,  firmato  anche  dal responsabile dell'Ufficio agricolo di
Eridania  e  amministratore  delegato  dell'I.S.I. S.p.A. ing. Adelmo
Mantovani, nel quale il Commissario straordinario del G.S.V. lasciava
liberi  i futuri acquirenti di scegliere il momento piu' propizio per
stipulare   gli   atti  di  compravendita  senza  riservarsi  analoga
facolta',  accettando  il  rischio  di  far  addossare  alle societa'
commissariate  l'eventuale  esito negativo della Campagna saccarifera
dipeso  da eventi meteorologici dell'ultima ora, ancorche' abnormi ed
imprevedibili; cio' anche alla luce delle modifiche che l'ing. Adelmo
Mantovani  fece effettuare agli impianti degli zuccherifici prima del
23 luglio  1986,  introducendo criteri di produzione del tutto nuovi,
che  non  avrebbero potuto essere gestiti autonomamente dalle imprese
commissariate  qualora  le  stesse  avessero  dovuto  occuparsi della
Campagna  saccarifera.  Tale  Campagna,  per  la cui effettuazione in
favore  dell'uno  o  dell'altro  dei  contraenti  venne  lasciata dal
Commissario   Marangoni,   su  ideazione  del  Picco,  quale  arbitra
esclusiva  la Societa' I.S.I. S.p.A., frutto' a quest'ultima un utile
lordo  di circa 60 miliardi di Lit. nella svendita degli zuccherifici
in violazione dei dettami della legge Prodi ad un importo di circa 63
miliardi  di  Lit.:  applicando  i parametri di legge il valore dei 9
zuccherifici  sarebbe  stato  invece di Lit. 164.767.000.000 oltre ad
una  plusvalenza  da  calcolarsi per gli stabilimenti di Crevalcore e
Mirandola nella misura di 3 miliardi di Lit.
          nel   trasferimento  della  quota  zucchero  relativa  agli
zuccherifici  di  Mirandola  e Porto Tolle senza considerare in alcun
modo il suo valore (Lit. 57.330.000.000) e la sua rilevanza.
    Reato  aggravato ai sensi dell'art. 61 n. 2 c.p. per essere stato
commesso ai fine di assicurare la presa di interesse consistita nella
vendita  degli  zuccherifici nonche' al fine di commettere i reati di
cui  agli  artt. 323 c.p. e/o 232 r.d.). 16 marzo 1942, n. 267, ormai
prescritti,  aggravato  inoltre  ai  sensi dell'art. 61 n. 7 c.p. per
aver cagionato alle societa' commissariate, ai creditori delle stesse
e agli azionisti, un danno di rilevante gravita' consistito nell'aver
impedito  il  perfezionamento  del concordato, nell'aver ceduto senza
contropartita  all'I.S.I.  S.p.A.  la  quota  zucchero afferente agli
stabilimenti  di  Mirandola  e Porto Tolle (che secondo il Consulente
ing.   Rocchetti   ammontava   a   Lit. 57.330.000.000)  e  nell'aver
consentito  all'I.S.I.  S.p.A.  di  poter  lucrare  (senza  rischi) i
proventi della Campagna saccarifera del 1986, i quali portarono ad un
utile  lordo di circa Lit. 60 miliardi, importo quasi pari alla somma
sborsata   dall'I.S.I.  S.p.A.  per  l'acquisto  degli  stabilimenti,
nonche'  nell'aver  lucrato  la  differenza tra il prezzo di circa 63
miliardi  di  Lit.  e  il  valore  (Lit. 164.767.000.000 oltre ad una
plusvalenza  da  calcolarsi  per  gli  stabilimenti  di  Crevalcore e
Mirandola  nella  misura  di  3  miliardi di Lit.) che avrebbe dovuto
essere  attribuito  ai  nove  zuccherifici  applicando i parametri di
legge.

                          O s s e r v a t o
    Che  nel  caso concreto la questione appare di indubbia rilevanza
atteso   che  solo  per  effetto  delle  modifiche  al  regime  della
prescrizione  introdotte dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, tutti i
reati sarebbero in ipotesi prescritti.
    Infatti,  contrariamente  a  quanto  dedotto  dai difensori degli
indagati,  i  quali  hanno  sostenuto  che  comunque  tutti  i  reati
ipotizzati   sarebbero   comunque   prescritti   secondo   la   legge
pre-vigente,  nel  precedente  processo nei confronti dell'avv. Luigi
Marangoni  per  il  reato  ex  art. 228  legge fall. sono intervenuti
diversi fatti interruttivi.
    In  particolare,  e per sintesi, l'originario procedimento penale
instaurato   nei  confronti  dell'avv. Luigi  Marangoni,  Commissario
straordinario   delle   societa'   del   Gruppo  Saccarifero  Veneto,
procedimento  contrassegnato  con  il  n. 2774/1997 R.G.N.R. Padova e
n. 573/98  R.G.  G.i.p. Padova, conclusosi in data 12 luglio 2000 con
sentenza  di  incompetenza  territoriale  pronunciata  dal  G.u.p. di
Padova,  successivamente perveniva alla Procura di Genova, ove veniva
rubricato  con  il  n. 15131/00  R.G.N.R.  Veniva quindi richiesto al
G.u.p.  di  Genova  l'emissione,  nei  confronti  dell'imputato,  del
decreto  dispone  il  giudizio  per  i  reati  a  lui  contestati. In
proposito  la  Procura  di  Genova  modificava leggermente il capo A)
della  rubrica  rispetto  all'originaria  imputazione formulata dalla
Procura  di  Padova. Per comodita' espositiva si ritrascrivono qui di
seguito  il testo dei due atti, dalla comparazione dei quali emergono
le lievi modifiche introdotte dal pubblico ministero genovese.
        A)  del reato di cui agli artt. 228 e 237 r.d. 16 marzo 1942,
n. 267  (L.F.),  in relazione all'art. 1, legge 3 aprile 1979, n. 95,
61   n. 2   e  7  c.p.  per  avere,  nella  qualita'  di  Commissario
straordinario delle societa' Cavarzere Produzioni Industriali S.p.A.,
Societa'   Italiana  per  l'Industria  degli  Zuccheri  (S.I.I.Z.)  e
comunque  del  Gruppo Saccarfero Veneto (G.S.V.), dichiarato in stato
di  insolvenza con sentenza 21 dicembre 1983 del Tribunale di Padova,
preso  un  interesse  privato nell'ambito della procedura, da un lato
ostacolando  l'iter di formazione della proposta di concordato di cui
si  era  fatto  promotore  il  Patronato  Piccoli Azionisti Industria
Zuccheri  (P.A.I.Z.),  sia  non fornendo al medesimo Patronato i dati
economici  relativi all'esercizio chiuso al 31 dicembre 1985, sia non
effettuando  le  obbligatorie  relazioni  semestrali  al Ministro per
l'industria,  sia  impedendo le deliberazioni assembleari in ordine a
tale  proposta  con  la  stipulazione  degli  atti  di  vendita degli
zuccherifici di Argelato, Bottrighe, Pontelongo, Finale Emilia, Casei
Gerola,  Fatto,  Porto  Tolle,  Mirandola e Crevalcore - a condizioni
pregiudizievoli per le societa' commissariate ed in palese violazione
dei  dettami di cui al combinato disposto degli artt. 1 e 6-bis della
legge  3  aprile 1979, n. 95, cosi' come modificati dall'art. 2 della
legge 8 giugno 1984, n. 212 - e, dall'altro, favorendo in tal modo la
societa'  acquirente  Industria  Saccarifera Italiana Agroindustriale
S.p.A.  (I.S.I.),  che  acquistava i sopra citati zuccherifici con un
vantaggio  di  L.  161.597.000.000 (di cui L. 57.330.000.000 relativi
alla  cessione  a titolo gratuito della quota zucchero afferente agli
zuccherifici   di   Mirandola  e  Porto  Tolle)  rispetto  al  valore
determinato  seguendo  i  criteri dagli artt. 1 e 6-bis della legge 3
aprile  1979,  n. 95,  cosi'  come modificati dall'art. 2 della legge
8 giugno  1984,  anche  mediante  opera  di  pressione sulla societa'
Stimatrice  Arthur  Andersen  &  Co.  S.a.s.  affinche' comprimesse i
valori  della  stima  e  nei  confronti del CIPI affinche' approvasse
sollecitamente con delibera la vendita degli zuccherifici.
    Reato  aggravato ai sensi dellart. 61 n. 2 per essere stato posto
in  essere  al fine di commettere reato di cui al capo B) ed ai sensi
dell'art. 61  n. 7 per aver cagionato alle persone offese un danno di
rilevante gravita'.
    Commesso in Padova il 25 luglio 1986.
        A)  Del  reato p. e p. dagli artt. 228, 237 del r.d. 16 marzo
1942,  n. 267,  con riferimento all'art. 1 della legge 3 aprile 1979,
n. 95,  61 n. 2) e 7) c.p. perche', nella sua qualita' di commissario
straordinario  di  Cavarzere  Produzioni Industriali S.p.A., S.I.M. -
Societa'  Italiana  per  l'Industrla  degli  Zuccheri,  e comunque di
G.S.V. - Gruppo Saccarifero Veneto, dichiarato in stato di insolvenza
con  sentenza  del  Tribunale  di  Padova  in  data 21 dicembre 1983,
prendeva interesse privato nella procedura, in particolare:
          1)  ostacolava  l'iter  di  formazione  della  proposta  di
concordato   promossa   dal  Patronato  Piccoli  Azionisti  Industria
Zuccheri  (P.A.I.Z.),  non  fornendo  allo  stesso  i  dati economici
relativi all'esercizio chiuso al 31 dicembre 1985, non effettuando le
obbligatorie  relazioni  semestrali  al  Ministero  per  l'industria,
impedendo  le  deliberazioni  assembleari  in ordine alla proposta di
concordato   mediante  la  stipulazione  di  atti  di  vendita  degli
zuccherifici di Argelato, Bottrighe, Pontelongo, Finale Emilia, Casei
Gerola,  Fano,  Porto  Tolle,  Mirandola  e  Crevalcore  a condizioni
pregiudizievoli  per le societa' commissariate ed in violazione delle
disposizioni  di  cui agli artt. 1 e 6-bis della legge 3 aprile 1979,
n. 95, modificati dall'art. 2 della legge 8 giugno 1984, n. 212;
        2)  favoriva la societa' acquirente degli zuccherifici I.S.I.
S.p.A.   -   Industria   Saccarifera  Italiana  Agroindustriale,  che
acquisiva  la  proprieta'  degli  stessi con un vantaggio pari a lire
161.597.000.000  (di  cui  lire 57.330.000.000 relativi alla cessione
gratuita   della   quota  zucchero  afferente  agli  zuccherifici  di
Mirandola  e  Porto  Tolle) rispetto al valore determinato in base ai
criteri  di  cui agli artt. 1 e 6-bis sopra citati, anche esercitando
pressioni  sulla  societa'  stimatrice  Arthur  Andersen & Co. S.a.s.
affinche'  comprimesse  i  valori  di  stima  e  sul  CIPI  affinche'
approvasse sollecitamenie la vendita degli zuccherifici;
    Fatto  aggravato  perche'  finalizzato alla commissione del reato
sub b) e per aver cagionato alle persone offese un danno patrimoniale
di rilevante gravita'.
    In Genova il 23 luglio 1986.
    All'udienza del 10 maggio 2001, il pubblico ministero chiedeva la
assoluzione  del  Marangoni  dal reato di bancarotta per dissipazione
(non  ritenendo  ipotizzabile  tale  delitto  in  capo al Commissario
straordinario  ex  legge  Prodi)  e chiedeva il rinvio a giudizio del
medesimo  per  il  solo  reato  ex art. 228 legge fall., aggravato ex
art. 61 n. 7 c.p., dovendosi ritenere decaduta quella ex art. 61 n. 2
c.p. poiche' intimamente legata all'ipotesi di bancarotta. Il g.u.p.,
non  accogliendo  la  tesi  del  pubblico  ministero,  pronunciava il
decreto  che dispone il giudizio per tutte le originarie imputazioni,
fissando  l'udienza  del  10  luglio  2001  innanzi  la  II  sez. del
Tribunale di Genova.
    All'udienza  del  10  luglio 2001 il procedimento veniva rinviato
all'udienza del 30 ottobre 2001.
    Il  rinvio  produceva  l'effetto,  secondo  la  tesi del pubblico
ministero,  di  far spirare il termine prescrizionale per il reato di
cui  all'art. 228  c.p.,  privato  dell'aggravante di cui all'art. 61
n. 2  c.p.,  tra  le  due  udienze - e precisamente in data 23 luglio
2001.
    All'udienza del 30 ottobre 2001 il tribunale rinviava il processo
per l'ordinanza di cui all'art. 495 c.p. all'udienza dell'11 dicembre
2001.  A tale udienza il tribunale pronunciava ordinanza con la quale
non ammetteva le prove perche' risultavano manifestamente irrilevanti
e  superflue  ex  art. 190,  comma.  1, c.p.p. e rinviava il processo
all'udienza del 9 gennaio 2002 per le conclusioni delle parti.
    All'udienza del 9 gennaio 2002, il tribunale pronunciava sentenza
con  la quale assolveva il Marangoni dalla bancarotta fraudolenta per
dissipazione  perche'  il fatto non sussiste e dichiarava non doversi
procedere   nei   confronti   del   medesimo  per  il  reato  di  cui
all'art. 228,  legge fall., per essere il reato, esclusa l'aggravante
di cui all'art. 61 n. 2 c.p., estinto per intervenuta prescrizione.
    Contro  tale  sentenza  proponevano  ricorso  per  cassazione per
saltum  le  parti  civili;  ne'  la  Procura  generale di Genova, ne'
l'imputato  impugnavano  invece  la  sentenza,  che diveniva pertanto
definitiva quanto agli effetti penali.
    Va  quindi evidenziato e ribadito che nel precedente processo nei
confronti  dell'avv. Luigi  Marangoni per il reato ex art. 228, legge
fall. sono intervenuti diversi fatti interruttivi e precisamente:
        1)  il  25  ottobre  1989  il  P.M.  di  Padova  inoltrava la
richiesta di rinvio a giudizio;
        2)   il   19   gennaio   1996  il  P.M.  di  Genova  chiedeva
l'archiviazione dell'esposto presentato dal P.A.I.Z.;
        3)  in  data  4 febbraio 1999 il G.i.p. di Padova revocava la
sentenza di proscioglimento e disponeva la riapertura delle indagini;
        4)  in data 15 ottobre 1999 il P.M. di Padova emetteva invito
a presentarsi per la contestazione dell'art. 228 aggravato secondo il
disposto dell'art. 61 nn. 2 e 7;
        5)  in  data  14  marzo  2000  il  P.M.  di Padova presentava
richiesta  di  rinvio  a giudizio per il reato di cui agli artt. 228,
237  del  r.d.  16  marzo  1942, n. 267, 61 nn. 2 e 7; nonche' per il
reato  di  cui agli artt. 216, 223 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, ha
efficacia lo stesso atto interruttivo di cui sopra;
        6)  in  data  12  agosto  2000  il  P.M. di Genova presentava
richiesta di rinvio a giudizio;
        7)  in  data  10 maggio 2001 il G.u.p. presso il Tribunale di
Genova emetteva il decreto che dispone il giudizio.
    Occorre ora approfondire se tali fatti interruttivi dispieghino i
loro  effetti  anche  nel  presente  procedimento.  Come  ottimamente
sostenuto   nella  memoria  4  maggio  2006  dell'avv.  Fasce,  nella
fattispecie  risultano  applicabili sia l'art. 161, comma 1 c.p., sia
il  comma  2  del medesimo articolo, seppur con riferimento a diversi
capi  di  imputazione. In primo luogo occorre soffermare l'attenzione
sopra  il  capo  h)  della  rubrica, ascritto al dott. Renato Picco e
all'ing.  Paolo  Scaroni.  Si  tratta  del medesimo reato a suo tempo
contestato  all'avv. Luigi  Marangoni.  Con  riferimento a tale reato
vertiamo  pacificamente  nell'ambito  del  comma 1 dell'art. 161 c.p.
Infatti,  art.  161,  comma  1  c.p.  recita:  «La  sospensione  e la
interruzione  della  prescrizione  hanno effetto per tutti coloro che
hanno  commesso  il  reato».  Giurisprudenza  e dottrina hanno, negli
anni,   sviluppato   interpretazioni   parzialmente   divergenti  sul
significato  letterale e sistematico di questa disposizione. Un primo
orientamento  giurisprudenziale,  in  sintonia  con  una  parte della
dottrina,  privilegiava  una  interpretazione  in  chiave soggettiva,
enunciando  che  «Gli  atti  interruttivi  della  prescrizione  in un
processo  a  carico di chi sia stato assolto per non aver commesso il
fatto  non  sono produttivi di effetti nei riguardi di colui al quale
sia stata estesa l'imputazione quando gia' si era compiuto il termine
di  prescrizione».  Con questa pronuncia la S.C. poneva l'accento sul
profilo  sostanziale  del  concorso  di persone nel reato e su quello
processuale    di   coimputazione,   fornendo   una   interpretazione
restrittiva del dettato normativo «tutti coloro che hanno commesso il
fatto».  Tale orientamento e' stato ben presto abbandonato dalla S.C.
che,  a  distanza  di pochi anni, torno' sui propri passi, proponendo
una  ben  diversa  lettura  di  tale  espressione, sottolineandone il
carattere  eminentemente oggettivo e proponendone una interpretazione
in  chiave  sistematica, alla luce dell'intera disciplina penalistica
in  materia  di  prescrizione e dei lavori preparatori del codice. In
particolare,  la  S.C.,  confutando  il  precedente  orientamento, ha
sottolineato  che  «Gli  atti interrutivi della prescrizione compiuti
contro  un  imputato,  anche  se  assolto,  hanno effetto per il loro
carattere  oggettivo  anche  nei  confronti  di  colui  che sia stato
successivamente  imputato  dello  stesso reato». La Corte ha motivato
nei  seguenti  termini  la  propria decisione: «Invero, l'espressione
"tutti coloro che hanno commesso il reato" [...] non equivale, stando
alla  terminologia  del  codice  penale,  a  "tutti  coloro che hanno
effettivamente  commesso  il  reato"».  Poiche' il codice stesso, per
ragioni  di  tecnica  giuridica  ignora  il  termine  processuale  di
"imputato",   come   e'   costretto   ad   usare   il  termine  "reo"
nell'art. 150,  invece  di imputato, cosi' nell'art. 161 e' costretto
ad  adoperare  una locuzione diversa dalla parola imputato». Inoltre,
sempre  in tema di interpretazione sistematica, va ricordato, in sede
di  lavori preparatori, il passo della Relazione al Guardasigilli (p.
199)  -  menzionato  anche  dalla  S.C. nella pronuncia de qua -, che
recita:  «Il progetto adoperando la parola reo prescinde da qualsiasi
affermazione   di   colpevolezza   o   da  qualsiasi  presunzione  di
colpevolezza.  Poiche'  la  reita'  e  la condanna costituiscono mere
previsioni  ipotetiche».  Secondo  la  S.C.:  «Lo  stesso criterio e'
quindi  da  ritenere  applicabile  anche  nella indicazione di "tutti
coloro  che  hanno  commesso  il reato"» di cui all'art. 151, comma 1
c.p.
    Pertanto,   alla   luce   di   tale  interpretazione,  prevalente
tutt'oggi,  appare  chiaro  come unico presupposto per l'applicazione
dell'art. 161,  comma 1 c.p. sia che il reato sia il medesimo, comune
a  tutti  coloro  che  l'hanno commesso, senza che necessariamente si
evochi  la  dimensione  soggettiva  dell'istituto  processuale  della
coimputazione.  Alla  luce di tali argomentazioni non sussiste dubbio
alcuno  circa  l'efficacia degli atti interruttivi con riferimento al
capo  H) della rubrica, anche tenendo conto della giurisprudenza piu'
restrittiva,    essendo   stato   l'avv. Marangoni   prosciolto   per
prescrizione  -  e  non  gia' assolto - dal reato di cui all'art. 228
legge fall.
    Restano ora da esaminare tutti gli altri capi di imputazione: per
gli  stessi  vale  il  disposto  del  comma 2 dell'art. 161 c.p. Tale
disposizione  recita:  «Quando  per  piu'  reati  connessi si procede
congiuntamente,  la  sospensione o la interruzione della prescrizione
per  taluno  di essi ha effetto anche per gli altri». Anche in questo
caso  non sono mancate differenti interpretazioni in giurisprudenza e
in  dottrina  circa  l'interpretazione piu' corretta da attribuire al
testo della norma. In particolare, cio' che e' risultato maggiormente
controverso   attiene   alla   natura   della  connessione  che  deve
interessare   i  reati  de  quibus:  deve  trattarsi  di  connessione
sostanziale   (nei   termini   di   cui  all'art. 61,  n. 2  c.p.)  o
procedimentale  (ex  art. 12 c.p.p.)? Pare, innanzitutto, di primaria
importanza  enunciare  una definizione di connessione di reati, ancor
prima  di distinguere quella sostanziale da quella procedimentale. Da
autorevole  dottrina  la connessione di reati e' stata definita «come
quell'istituto  giuridico per il quale e' assunta come giuridicamente
rilevante   la  comunanza  di  qualche  elemento  a  piu'  reati»,  a
prescindere  dalla  natura  oggettiva  o soggettiva degli elementi de
quibus.  La connessione tra reati, poi, puo' avere natura sostanziale
o  procedimentale,  a  seconda  degli effetti giuridici che la stessa
spiega  «a  seconda, cioe' che la comunanza a qualche elemento a piu'
reati  sia  assunta  come  rilevante  per  il  diritto sostanziale o,
piuttosto, per quello processuale».
    Tornando  al  significato  dell'art. 161,  comma  2 c.p., la tesi
espressa   dalla   giurisprudenza   piu'   recente   opta   per   una
interpretazione  in  senso  restrittivo  della norma de qua, a favore
della  sola  connessione sostanziale (a prescindere dal fatto che sia
oggettiva o soggettiva, dal momento che da tempo la giurisprudenza ha
chiarito  che «La connessione di reati di cui all'art. 161 cod. pen.,
non e' solo quella oggettiva, ma anche quella soggettiva»), mentre la
dottrina   prevalente   suggerisce   una  interpretazione  piu'  lata
dell'assunto normativo, adducendo ragioni interpretative di carattere
sistematico.
    A  prescindere  da tali profili interpretativi, la ravvisabilita'
della  connessione tal quale la intende l'art. 161, comma 2 c.p., nel
presente  procedimento, sussiste anche alla luce della giurisprudenza
piu'  rigoristica  che  limita  la  connessione  sostanziale  ai soli
profili soggettivi ed oggettivi e non anche a quelli procedimentali.
        1) Quanto al profilo soggettivo, e' sufficiente ricordare che
i capi a), b), c), d), e), f), g) della rubrica vedono quali indagati
sempre  l'avv. Luigi  Marangoni  -  e  nel capo g) risultano indagati
anche  il dott. Renato Picco e l'ing. Paolo Scaroni -, di tal che' la
connessione soggettiva non pare contestabile;
        2)  quanto al profilo oggettivo e' sufficiente ricordare come
tutti  i  comportamenti  contestati  al Marangoni siano collegati tra
loro  nella  medesimezza del disegno criminoso, volti, da un lato, ad
ottenere la spoliazione del Gruppo Saccarifero Veneto, e, dall'altro,
a favorire la societa' I.S.I. S.p.A.;
        3) quanto alla connessione c.d. procedimentale e' sufficiente
osservare  che,  nel presente procedimento, si procede congiuntamente
per  tutte  le  imputazioni, che sono tutte connesse al capo H) della
rubrica  e  che  sussiste tra tale reato e tutti gli altri contestati
sia  la  connessione oggettiva, sia quella soggettiva, di tal che' e'
presente  anche il requisito della contestualita' del procedimento in
cui spiegano la loro efficacia gli intervenuti atti interruttivi.
    Non  sussiste,  pertanto, dubbio alcuno, in ordine alla efficacia
degli  atti interruttivi anche con riferimento ai capi di imputazione
sopra specificati, conseguentemente le eccezioni sono tutte rilevanti
e  renderebbero prescrivibili tutti i reati in anni ventidue e mezzo,
senza  contare  la  continuaione  esistente  tra  i  medesimi - e che
forzatamente rileva ai fini della data della commissione dei reati -.
Pertanto  nessun reato sarebbe prescritto ove la Corte costituzionale
accogliesse  le  questioni  che  sono  state  sollevate  nel presente
procedimento.

                          O s s e r v a t o
    Che   effettivamente   appaiono   emergere  alcune  questioni  di
costituzionalita'   a   seguito   delle  modifiche  al  regime  della
prescrizione   introdotte   dalla   legge  5 dicembre  2005,  n. 251,
confliggenti con il principio di ragionevolezza.
 Questioni di costituzionalita' della legge 5 dicembre 2005, n. 251
    La legge n. 251/2005, meglio conosciuta come «legge ex Cirielli»,
manifesta  in  piu'  punti  -  e  sotto  diversi aspetti - la propria
incostituzionalita', come ottimamente evidenziato nella richiesta del
p.m.
    Prima   di   procedere   ad   un'analitica  individuazione  delle
violazioni  che si assumono compiute in tal senso, e al fine di poter
affrontare  in maniera corretta le questioni di costituzionalita' che
verranno  sollevate,  occorre  premettere  alcune  considerazioni  di
carattere generale in materia di sindacato di ragionevolezza da parte
della Corte costituzionale.
    La  materia  e'  stata  oggetto di ampia trattazione da parte sia
della  dottrina costituzionale, sia della giurisprudenza. Nell'ottica
del  caso  in esame e' necessario delineare sinteticamente i passaggi
interpretativi salienti.
    Dopo  un  primo  periodo  in  cui  il principio di ragionevolezza
veniva  identificato con il principio di eguaglianza, nel corso degli
ultimi   decenni  esso  ha  invece  acquisito  una  propria  autonoma
connotazione; il che ha consentito di poter pervenire, da parte della
Corte  costituzionale,  ad  un piu' pregnante controllo sul contenuto
delle  norme.  Il  limite  del potere di sindacato della Consulta, da
sempre  nelle materie penalistiche individuato nell'impossibilita' di
interloquire  sulle  scelte  di  politica  criminale che competono al
Legislatore,  cessava  cosi' di essere totalmente granitico. Tuttavia
la   giurisprudenza   costituzionale   raggiungeva   tale   obiettivo
enunciando   principi  ermeneutici  di  carattere  generale,  che  si
prestano  a  differenti  interpretazioni  in  ordine  ai  limiti  del
medesimo potere di sindacato.
    Si  riportano qui di seguito i principali criteri enunciati dalla
giurisprudenza  -  e  dalla  dottrina  - costituzionale in materia di
ragionevolezza.
    La  Consulta modificava il proprio precedente orientamento con la
pronuncia  n. 15/1960,  laddove,  affermando  la propria cognizione a
valutare  le ragioni della legge, introduceva, per la prima volta, il
criterio  di  ragionevolezza  quale  parametro di interpretazione del
diritto.  La  ragionevolezza  secondo  la  Corte trovava la sua fonte
esclusivamente  nel principio di eguaglianza ex art. 3 Cost.; in tale
ottica  la legge poteva definirsi irragionevole solo nel caso in cui,
senza  un  plausibile  motivo,  creasse disparita' di trattamento tra
situazioni identiche.
    Dopo   tale   prima  pronuncia,  la  giurisprudenza  procedeva  a
successive evoluzioni interpretative del concetto in esame.
    Si  e' infatti argomentato nel senso che la ragionevolezza, quale
canone  generale  di  interpretazione del diritto, non potesse essere
strettamente  collegata  al solo principio di eguaglianza, ma dovesse
trovare  applicazione  anche  con  riferimento  agli  altri  principi
fondamentali contenuti nella Carta costituzionale. Di conseguenza, la
maggiore   ampiezza   concettuale  del  principio  di  ragionevolezza
richiede  un  criterio  applicativo  che forzatamente puo' finire per
discostarsi dallo schema trilaterale - che fa riferimento alla regola
generale  del  tertium comparationis, in base alla quale ravvisare la
disparita'  -  previsto  per verificare se una fattispecie rispetti o
meno il principio di eguaglianza.
    La  dottrina costituzionale, seguendo l'evoluzione interpretativa
della  Consulta,  si  soffermava  su nuovi corollari del principio di
ragionevoiezza,  quali  l'irrazionalita'  e  l'ingiustizia:  in  tale
ottica  la  ragionevolezza  veniva considerata quale parametro di non
contraddittorieta'  interna  del  sistema  giuridico.  Rientrerebbero
pertanto   nel  controllo  di  costituzionalita'  sia  l'esame  sulla
contraddittorieta'  della norma rispetto ai principi dell'ordinamento
giuridico,   sia   l'incompatibilita'   da   norma   a   norma,   sia
l'incongruita'  dei  mezzi  rispetto  ai  fini,  sia l'inesistenza di
qualunque  giustificazione  dell'eccezione  rispetto  alla regola. Il
giudizio  di  ragionevolezza che ne scaturisce soddisfa l'esigenza di
coerenza interna del sistema, che va sempre salvaguardata dai diversi
possibili    casi    in   cui   si   puo'   manifestare   un'evidente
contraddittorieta'.
    Esiste  tuttavia un terzo modo di concepire la ragionevolezza, ed
e'  quello di considerarla un imperativo di giustizia. La legge viene
sottoposta  ad una verifica intrinseca, che non ammette altri termini
di  paragone o confronto, bensi' un esclusivo rapporto con i principi
contenuti  nella  Carta costituzionale. La ragionevolezza intesa come
verifica  intrinseca  della  legge  rispetto ai valori costituzionali
conduce  a  ritenere  che,  quando  una legge posta a disciplinare un
determinato  fenomeno  non  consente  di  pervenire  ad una soluzione
interpretativa  ragionevole,  bisogna  affermare  l'invalidita' della
stessa.
    Un'ulteriore  applicazione del principio di ragionevolezza veniva
indicata  da  Roberto  Romboli,  il  quale,  oltre  a  considerare la
ragionevolezza  come  sinonimo  di  razionalita',  logica,  coerenza,
congruita',  attribuiva  al  termine un significato di bilanciamento,
equilibrio, contemperamento tra i valori costituzionali coinvolti. In
questa  ulteriore accezione la ragionevolezza troverebbe applicazione
risolutiva  nei  casi  in  cui  sono interessati due diversi principi
costituzionali,  non congiuntamente realizzabili nella fattispecie in
esame.
    Da  quanto  precede  emerge  come  la  ragionevolezza,  nelle sue
molteplici  definizioni  e  applicazioni,  richieda,  per  sua stessa
natura,   ampi   margini   di   elasticita'   nell'interpretazione  e
nell'applicazione   dei   diversi  parametri  costituzionali  che  si
assumono  violati e che, per tale ragione, si tratta di uno strumento
di   interpretazione   non   rigidamente   circoscritto   in   canoni
pre-definiti,  ma  suscettibile  di  adattamento  - e di verifica - a
seconda dei possibili casi in esame.
    Occorre  ora  esaminare  la  legge  n. 251/2005 ed in particolare
l'art. 6,  al  fine  di  stabilire  se  il  meccanismo introdotto dal
Legislatore in tema di termini prescrizionali sia conforme ai criteri
di  ragionevolezza,  se  si  verta in materia in cui e' consentito il
sindacato  di  costituzionalita'  da  parte della Consulta, ovvero si
tratti   di  scelte  insindacabili  riservate  in  via  esclusiva  al
Legislatore.
    Al  fine di poter apprezzare la ratio delle nuove norme e poterne
cogliere  la  non  conformita' al principio di ragionevolezza occorre
approfondire  i  valori  costituzionali  che  sottendono al permanere
della pretesa punitiva da parte dell'ordinamento giuridico.
    L'interesse  dello  Stato  a  prevenire e a punire alcuni tipi di
condotte  umane  nasce dalla necessita' di dare attuazione - e quindi
anche   protezione   -   ai   diritti   fondamentali   che  la  Carta
costituzionale  riconosce  e  attribuisce  ad ogni singolo individuo.
L'intensita' di tale protezione varia in relazione a due elementi, il
valore  che sottende al bene giuridico tutelato e la lesione a questo
inferta,  e  ad  essi  deve essere necessariamente correlata. Da cio'
consegue  che  le  norme  del  diritto  penale  sostanziale e formale
attraverso cui lo Stato attua la sua pretesa punitiva debbano formare
un  modello  astratto  conforme ai medesimi valori costituzionali che
giustificano la pretesa punitiva stessa.
    L'esigenza  di  coerenza  interna  del sistema viene garantita, a
livello  costituzionale,  attraverso  la  previsione  di  due  regole
fondamentali di immediata e diretta precettivita', quali il principio
di eguaglianza ex art. 3 Cost. ed il principio del giusto processo ex
art. 111  Cost. Pare evidente che il combinato disposto da queste due
norme  imponga  al  Legislatore  un'attenta analisi valutativa tra le
garanzie  ricollegate,  da  un  lato,  alla  ragionevole  durata  del
processo  e  ai diritti riconosciuti all'imputato e, dall'altro, alla
coerenza  e alla razionalita' interna del sistema, cosi' come sancito
dal principio di eguaglianza.
    In  particolare, la legge n. 251/2005, ridisegnando la disciplina
di alcuni meccanismi del diritto penale sostanziale, quale il computo
dei  termini  prescrizionati  del  reato, non puo' non considerare le
esigenze collegate alla pretesa punitiva dello Stato.
    Tuttavia,  come  gia'  evidenziato,  l'interesse  dello  Stato  a
reprimere  tali  condotte  criminose  non  e'  costante,  ma varia in
relazione  alla  gravita'  del  fatto-reato  e  all'intensita' e alla
natura  della lesione causata al bene giuridico tutelato, e, per tale
ragione,  le  regole  del  processo  penale  devono essere idonee, in
astratto,  ad  evidenziare  tali  differenze  per poter adeguatamente
stabilire  i  criteri  atti  a determinare il permanere della pretesa
punitiva dell'ordinamento.
    Tale  premessa appare necessaria in quanto un modello di processo
penale  coerente con i canoni dettati dall'art. 111 Cost. (tendenti a
pervenire  al  concetto  di  giusto processo) e con l'esigenza di una
corretta  amministrazione  della  giustizia,  deve  essere  capace di
soddisfare  l'interesse dello Stato a reprimere le condotte criminose
in  un  periodo  di  tempo certamente definito ragionevole, ma non in
termini  assoluti,  bensi'  in  relazione  alla  complessita'  e alla
gravita' del fatto-reato per cui si procede.
    Se   e'   vero   che   le   modifiche  del  calcolo  dei  termini
prescrizionali  incidono  direttamente  sulla  pretesa punitiva dello
Stato,  aumentando  o  limitando il tempo in cui lo Stato stesso puo'
far  valere  tale interesse, appare necessario che i criteri adottati
per pervenire a tali cambiamenti non confliggano con gli altri valori
primari coinvolti.
    A  riguardo,  sia  la  Corte  costituzionale,  sia  la  Corte  di
Giustizia  europea riconoscono, gia' da tempo, la ragionevolezza come
criterio    di    bilanciamento    degli   interessi   costituzionali
potenzialmente   configgenti,  individuando  espressamente  un  altro
aspetto che il Legislatore ha l'obbligo di considerare: la gravita' e
la  conseguente  complessita'  del  caso,  tale  per  sua  natura  da
richiedere  un  maggiore  interesse  dello Stato nel perseguimento di
tale  condotta  e - tale da non consentire un rapido accertamento dei
fatti.
    Nella sentenza n. 317 del 20 luglio 1999, la Corte costituzionale
affermava  che:  «  ... l'effetto  estintivo della prescrizione trova
ragione  nell'interesse  generale  di  non  piu'  perseguire  i reati
rispetto  ai  quali  il  lungo decorso dopo la loro commissione abbia
fatto  venir  meno,  o  notevolmente attenuato, [...] l'allarme della
coscienza  comune e che pertanto non puo' ritenersi ingiustificata la
scelta  del  Legislatore di rapportare i termini entro cui si produce
tale  effetto estintivo alla concreta gravita' del fatto-reato, quale
risulta a seguito del riconoscimento delle attenuanti generiche e del
bilanciamento delle circostanze».
    Analogamente, la Corte costituzionale, in una precedente sentenza
(n. 275  del  31  maggio  1990),  enunciava  il medesimo principio: «
... E'  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte quella per cui e'
compito  del  Legislatore  approntare i mezzi diretti ad impedire che
nel  momento applicativo si vanifichi quel bilanciamento di interessi
idoneo, in astratto, a giustificare la previsione normativa».
    Da tali sentenze emerge con assoluta chiarezza come il compito di
individuare   il   tempo   necessario  a  prescrivere  una  specifica
fattispecie di reato rientri esclusivamente tra le scelte di politica
criminale  che  competono al Legislatore, scelte che, in quanto tali,
sono  insindacabili  in sede di legittimita' costituzionale. Tuttavia
occorre  che lo stesso Legislatore predisponga un criterio di computo
dei  termini  prescrizionali idoneo a diversificare la gravita' delle
condotte integranti tutte il medesimo reato. Tale esigenza e' proprio
quella  a  cui  le sentenze sopra citate fanno riferimento, e cio' al
fine di calibrare l'interesse generale dello Stato a perseguire fatti
che,  per  la modalita' di esecuzione e per la gravita' della lesione
inferta al bene tutelato, esigono differenti termini prescrizionali.
    Appare difficilmente contestabile che dai principi costituzionali
e  dalle  numerose  pronunce  della  Consulta  emerga  l'esigenza  di
ancorare il permanere della pretesa punitiva a criteri oggettivi, che
non  possono  essere  disgiunti  dalla gravita' del fatto-reato. E la
gravita'  del  medesimo non puo' che esaminarsi attraverso un modello
astratto  ed  uniforme  che prescinde da una valutazione in concreto,
che  compete invece in un momento successivo al giudice. Tale modello
astratto  non  puo'  che  prevedere  la  considerazione  di  tutte le
aggravanti   nonche'  delle  attenuanti  ma  in  guisa  tale  da  non
anticipare,   nel  modello  astratto,  valutazioni  in  concreto  che
presuppongono  l'effettuazione  di un giudizio di bilanciamento delle
circostanze    che   attengono   all'esame   del   merito,   esulando
concettualmente dalla ratio del termine prescrizionale in astratto.
    Anche  ove  si volesse impedire che la valutazione in concreto da
parte  dei  giudici  potesse  incidere  sul  termine  prescrizionale,
occorrerebbe  comunque  prevedere  tutte le aggravanti e non solo una
parte  delle  stesse, nonche' le attenuanti, dando in questa fase - e
per questi fini - rilievo diverso alle une rispetto alle altre.
    Se  tali premesse sono corrette, come si ritiene, ne discende che
la  normativa  in  esame  presenta  plurimi profili di violazione del
principio di ragionevolezza.
    In  primo  luogo vale la pena soffermare l'attenzione sull'art. 6
n. 1  nella  parte  in  cui  prevede, ai fini del calcolo dei termini
prescrizionali,  di prendere in considerazione solo le aggravanti che
prevedono  un tipo di pena diverso ovvero quelle ad effetto speciale,
non  contemplando  anche  le aggravanti comuni e le attenuanti. In un
modello   astratto   ed   oggettivo   tal   quale   quello   relativo
all'individuazione  dei criteri atti a stabilire il permanere in vita
della pretesa punitiva dello Stato, il considerare le sole aggravanti
ad  effetto  speciale  costituisce  di  per  se'  la  violazione  del
principio  di eguaglianza e trascende dalle potesta' riservate in via
esclusiva  al Legislatore. A questo si aggiunga l'assoluta abnormita'
ed   irragionevolezza   di  operare  un  sindacato  ex  ante  tra  le
circostanze  aggravanti,  ritenendone  alcune  non idonee ad influire
sulla  determinazione  del  permanere della pretesa punitiva. In cio'
contraddicendo   un   criterio   oggettivo  desumibile  dai  principi
costituzionali,  vale  a dire che l'interesse dello Stato a punire un
determinato  fatto-reato sia direttamente collegato alla gravita' del
medesimo.   Non  solo.  Che  sia  collegato  anche  alla  presumibile
complessita'   dell'accertamento.   Balza   evidente   che,   sia  le
aggravanti,  sia  le  attenuanti  debbano  essere  considerate  nella
totalita'  (ma  con  conseguenze  diversificate)  al  fine  di  poter
effettuare  una  prognosi  astratta ex ante, tal quale deve essere il
calcolo del termine prescrizionale.
    L'intrinseca  incoerenza  della  disciplina delineata dall'art. 6
n. 1,  comma 2 si palesa in maniera evidente se ci si riferisce ad un
possibile  caso  concreto.  Secondo le norma in esame non esisterebbe
alcuna  differenza  tra  un  peculato commesso dal pubblico ufficiale
sulla  somma  di un euro, tra un peculato relativo a diecimila euro e
il  medesimo  reato  commesso  dallo  stesso pubblico ufficiale sulla
somma  di  cento  milioni  di  euro.  Appare  di solare evidenza come
nessuna  delle tre condotte sia equiparabile quanto agli effetti: nel
primo  caso  infatti  si  tratta  di  peculato  relativo  a  somme di
particolare  tenuita',  mentre  nel  terzo caso si tratta di peculato
idoneo a cagionare un danno rilevante.
    Da   cio'  discende  che  in  tale  ultimo  caso  e'  ragionevole
ipotizzare  una  maggiore  difficolta'  e  complicatezza del processo
(nonche'  della fase delle indagini preliminari) tale da giustificare
un  tempo  piu'  lungo a prescrivere, collegata alla maggior gravita'
del  fatto  - reato per cui si procede. La valutazione della gravita'
di  una  specifica  condotta  delittuosa  infatti  non sempre si puo'
effettuare  attraverso  l'individuazione  del bene giuridico tutelato
dalla  norma  penale,  poiche'  spesso,  come  poco sopra dimostrato,
differenti  azioni od omissioni che integrano la medesima fattispecie
penale    cagionano   conseguenze   differenti   sotto   il   profilo
dell'intensita' della lesione apportata.
    Ne  discende  l'incostituzionalita' dell'art. 6 n. 1, comma 2 per
violazione  dei dettami di cui all'art. 3 Cost. in relazione all'art.
111,  secondo comma Cost. nella parte in cui non prevede che, ai fini
del calcolo dei termini prescrizionali, debbano considerarsi anche le
circostanze  aggravanti  comuni  e  le  attenuanti  e cio' al fine di
determinare  un  modello  di calcolo prescrizionale che differenzi la
durata  della  pretesa  punitiva  dello Stato in relazione ai diversi
fatti-reato per cui si procede.
    Si  prende  ora  in  considerazione  l'art. 6  n. 5  al  fine  di
esaminare  la  ritualita' dei termini massimi prescrizionali nel caso
di interruzione della prescrizione. Rientra nella sfera esclusiva del
Legislatore  la  valutazione dei termini prescrizionali; tuttavia ove
la  stessa  valutazione  poggi sopra criteri diversificati, e' sempre
consentito,  da  parte  della  Corte costituzionale, l'esame circa la
compatibilita' dei criteri adottati con i principi costituzionali. Il
Legislatore  ha  abbandonato  nella  specie  il criterio oggettivo da
sempre  previsto  nel  nostro  ordinamento  per  sostituirlo  con  un
criterio  meramente  soggettivo.  Gia'  questo  stride con i principi
costituzionali.  A questo si aggiunga che il Legislatore ha deciso di
collegare  i  maggiori  termini  prescrizionali  ancorandoli  ad  una
aggravante   nella   quasi   totalita'   dei   casi  a  contestazione
facoltativa.  Non  solo. Non ha previsto nulla in ordine agli effetti
delle  sentenze di patteggiamento, ma soprattutto non ha tenuto conto
degli  effetti  nel  caso di procedimento riguardante piu' imputati e
nel caso di procedimento relativo alle medesime imputazioni celebrato
separatamente - e successivamente - nei confronti del coimputato.
    In  tale  ottica  si  consideri  inoltre  che  il Legislatore, in
relazione  al calcolo dei termini prescrizionali per i reati previsti
dall'art. 51, comma 30-bis e 30-quater c.p.p., ha posto in essere una
normativa  assolutamente  lacunosa. Il Legislatore infatti, dopo aver
stabilito  che  i  termini  necessari  a  prescrivere tali reati sono
raddoppiati  rispetto  a  quelli indicati nell'art. 6 n. 1, dimentica
clamorosamente  -  all'art.  6  n. 5,  comma 2 - di indicare per tali
reati   l'aumento  prescrizionale  massimo  conseguente  ad  un  atto
interruttivo della prescrizione.
    Il  meccanismo  ideato  dalla  legge  e'  del tutto irrazionale e
comporta  una  diversificazione  del  tutto  arbitraria di situazioni
identiche;   tale  meccanismo  si  appalesa  contrario  non  solo  al
principio  di  ragionevolezza,  ma anche a quello di eguaglianza. Non
esistono principi costituzionali che giustifichino una scelta operata
sulla base di meri criteri soggettivi senza essere ancorata a criteri
di ordine oggettivo.
    Ne  consegue  la  illegittimita' costituzionale dell'art. 6 n. 5,
comma  2  per  violazione  dei  dettami  di  cui  all'art. 3 Cost. in
relazione  all'art.  111,  secondo  comma  Cost.,  nella parte in cui
prevede  che  l'aumento dei termini prescrizionali, conseguente ad un
atto  interruttivo,  sia  determinato  attraverso  criteri  meramente
soggettivi.
    Occorre  inoltre  sottoporre al vaglio di costituzionalita' anche
il  secondo  comma  dell'art. 161  c.p. Il testo novellato dall'art 6
n. 5 della presente legge ha abrogato il precedente, dettato in guisa
tale da omettere qualsiasi riferimento agli effetti dell'interruzione
della  prescrizione  sui reati connessi. Cosi' facendo il Legislatore
ha ritenuto di non prevedere alcuna influenza degli eventi intercorsi
nel  procedimento  relativo ad un determinato reato rispetto ai reati
connessi  al  medesimo.  I  principi  ai  quali occorre ispirarsi nel
dettare   i  criteri  in  base  ai  quali  determinare  il  permanere
dell'interesse  a  perseguire  un determinato fatto-reato non possono
non far riferimento al fatto inteso come costellazione di condotte di
cui  spesso  il medesimo fatto-reato in esame ne rappresenta solo una
parte.  Se  questi  sono  i principi ispiratori, appare irrazionale -
nonche'  irragionevole  - non aver previsto che gli atti interruttivi
dispieghino la loro efficacia anche nel caso di connessione di reati.
E'  di tutta evidenza che non tutti i fatti connessi siano meritevoli
dell'estensione   degli  effetti  degli  atti  interruttivi:  occorre
infatti,   come   acutamente   ha   osservato  la  giurisprudenza  di
legittimita',  che si tratti di connessione sostanziale, sia sotto il
profilo oggettivo, sia soggettivo.
    L'art. 6 n. 5 appare pertanto violare i dettami di cui all'art. 3
Cost.  nella  parte  in  cui  non  prevede  che gli atti interruttivi
dispieghino i loro effetti anche con riferimento ai reati connessi.
    Merita  attenzione  anche  l'art. 6 n. 2, che modifica l'art. 158
c.p.  in  relazione  al  reato  continuato.  Il  Legislatore mantiene
immutata   la   disciplina   sulla   decorrenza   del  termine  della
prescrizione  per  il  reato  consumato, tentato e permanente, mentre
sopprime  qualsiasi riferimento al reato continuato, ponendo cosi' in
essere  una  palese  contraddizione rispetto alla natura stessa della
continuazione.  La  continuazione  cosi'  come  prevista dall'art. 81
c.p.,  2  cpv.,  impone di considerare come facenti parte di un unico
reato  piu'  azioni  esecutive  di un medesimo disegno criminoso che,
anche  in  tempi differenti, violino la stessa o diverse disposizioni
di  legge.  Il  vincolo  che rende unite le differenti condotte nella
continuazione  e'  l'unicita'  del  disegno  criminoso  e,  per  tale
ragione,  il  Legislatore  ha  deciso  di  punire  non  ogni  singolo
fatto-reato  commesso,  ma il solo reato continuato nella sua unita':
la  pena  stabilita  per  il  reato  continuato  e'  infatti  unica e
corrisponde  alla sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione
piu'  grave  aumentata  fino al triplo, con l'ulteriore limite di non
irrogare  una  pena che superi quella che sarebbe applicabile in base
alle disposizioni relative al concorso formale di reati.
    Se  tali  premesse sono pacificamente riconosciute dalla costante
giurisprudenza  e  dalla  dottrina, non sembra logico, ne' tanto meno
coerente,  che  la  disciplina  che  regola la decorrenza dei termini
prescrizionali  possa  dettare regole che presuppongono l'inesistenza
del  reato continuato. Il che produce la paradossale conseguenza che,
ai  fini  della consumazione, il reato continuato farebbe riferimento
al  momento  della consumazione dell'ultimo reato; per contro, per la
prescrizione  si applicherebbe la disciplina prevista per il concorso
formale di reati.
    La  giurisprudenza costituzionale e' costante (sentenze n. 217 de
1972  e  n. 108  del  1973)  nel ritenere che il reato continuato non
costituisca un tipico istituto ispirato al favor rei, nell'intento di
mitigare  l'eccessiva  severita'  del  concorso  materiale  di reati,
bensi'   una  autonoma  figura  di  reato  che  trova  la  sua  ratio
nell'unicita'  del disegno criminoso. Gli unici eccessi rigoristici a
cui  si  e'  voluto  ovviare  con la figura del reato continuato sono
quelli  attinenti  alla  determinazione  della  pena, che, come sopra
ricordato,  non  puo'  essere  superiore  a  quella che sarebbe stata
applicata nel caso di concorso materiale dei medesimi fatti.
    Come correttamente precisato dalla Corte costituzionale (sentenza
n. 254   del  4  novembre  1985),  ricollegare  la  decorrenza  della
prescrizione  al  cessare  della continuazione, significa tener conto
dell'elemento   essenziale   che  caratterizza  il  reato  continuato
rispetto  al  concorso  formale  di  reati:  l'unicita'  del  disegno
criminoso.  E  cio' appare necessario in quanto, a differenza di piu'
reati   collegati   dal   concorso   materiale,   la   piu'   recente
manifestazione  dell'unicita'  del disegno criminoso mantiene fermo o
addirittura acuisce l'allarme sociale su cui anche si basa la pretesa
punitiva dello Stato.
    La  Corte  in conclusione affermava che: «Non puo', dunque, dirsi
irrazionale  la  norma  che,  in  piu'  fatti uniti dal vincolo della
continuazione,  ricollega il decorrere del termine della prescrizione
alla  piu'  recente  manifestazione  del  disegno criminoso in cui si
sostanzia  tale  vincolo.  Ne'  basta  certo  a  smentire la suddetta
conclusione  il  fatto  che nel 1971 vi sia stata da parte del Senato
l'approvazione di un progetto di riforma del codice penale contenente
una  nuova  versione  dell'art. 158, senza alcun riferimento al reato
continuato».
    E' evidente come l'art. 6 n. 2 della presente legge introduca una
disciplina del reato continuato che si pone in palese contrasto con i
principi  delineati dalla giurisprudenza costituzionale di cui sopra,
e  per  tale  ragione  il  novellato  art. 158  c.p.  e' da ritenersi
incostituzionale  per  evidente  irrazionalita'  intrinseca  rispetto
all'istituto  del reato continuato e per violazione dell'art. 3 Cost.
nella  parte  in  cui,  non  prevedendo  che  il  computo dei termini
prescrizionali    debba   decorrere   dal   momento   della   cessata
continuazione,  sottopone  ad una medesima disciplina due istituti di
diritto  sostanziale, quali il reato continuato e il concorso formale
di   reati,  che  corrisnondono  a  due  situazioni  fattuali,  e  di
conseguenza anche giuridiche, del tutto diverse tra loro.
    Il  Legislatore, all'art. 6, n. 1, ha previsto l'allungamento dei
termini  prescrizionali  per  alcuni  reati,  operando una scelta del
tutto  irrazionale, arbitraria e addirittura non comprensibile quanto
ai criteri ispiratori.
    Per maggiore chiarezza, si legga la tabella di seguito riportata:

=====================================================================
Reati richiamati|                |                 |
  dall'art. 6,  |                |                 |
n. 1, legge c.d.|                |  Prescrizioni   |  Prescrizioni
 {ex Cirielli}  |      Pena      |     (prima)     |      (ora)
=====================================================================
Delitti colposi |                |                 |
di danno (art.  |da 1 a 5 anni (I|                 |
449 c.p.)       |comma)          |15 anni          |15 anni
---------------------------------------------------------------------
                |da 2 a 10 anni  |                 |
                |(II comma)      |22,5 anni        |25 anni
---------------------------------------------------------------------
                |da 1 a 5 anni   |                 |
                |(II comma)      |15 anni          |15 anni
---------------------------------------------------------------------
                |max 12 anni (III|                 |
                |comma)          |22,5 anni        |30 anni
---------------------------------------------------------------------
Reati contro la |                |                 |
P.A. (per       |                |                 |
esempli-        |                |                 |
ficazione)      |                |                 |
---------------------------------------------------------------------
Peculato (art.  |                |                 |
314, comma 1    |                |                 |
c.p.)           |da 3 a 10 anni  |22,5 anni        |12,5 anni
---------------------------------------------------------------------
Concussione     |                |                 |
(art. 317 c.p.) |da 4 a 12 anni  |22,5 anni        |15 anni
---------------------------------------------------------------------
Corruzione per  |                |                 |
atti contrari ai|                |                 |
doveri d'ufficio|                |                 |
(art. 319 c.p)  |da 2 a 5 anni   |15 anni          |7,5 anni
---------------------------------------------------------------------
Corruzione in   |                |                 |
atti giudiziari |                |                 |
(art. 319-ter   |da 3 a 8 anni (I|                 |
c.p.)           |comma)          |15 anni          |10 anni
---------------------------------------------------------------------
                |da 4 a 12 anni  |                 |
                |(II comma, I    |                 |
                |per.)           |22,5 anni        |15 anni
---------------------------------------------------------------------
                |da 6 a 20 anni  |                 |
                |(II comma, II   |                 |
                |per.)           |22,5 anni        |25 anni
---------------------------------------------------------------------
Interruzione    |                |                 |
d'un servizio   |                |                 |
pubblico o di   |                |                 |
pubblica        |                |                 |
utilita' (art.  |da 6 mesi a 1   |                 |
331 c.p.)       |anno (I comma)  |7,5 anni         |7,5 anni
---------------------------------------------------------------------
                |da 3 a 7 anni   |                 |
                |(II comma)      |l5 anni          |8 anni e 9 mesi
---------------------------------------------------------------------
Violenza o      |                |                 |
minaccia a un   |                |                 |
pubblico        |                |                 |
ufficiale (art. |da 6 mesi a 5   |                 |
336 c.p)        |anni (I comma)  |15 anni          |7,5 anni
---------------------------------------------------------------------
                |fino a 3 anni   |                 |
                |(II comma)      |7,5 anni         |7,5 anni
---------------------------------------------------------------------
Resistenza a un |                |                 |
pubblico        |                |                 |
ufficiale       |da 6 mesi a 5   |                 |
(art. 337 c.p.) |anni            |15 anni          |7,5 anni
---------------------------------------------------------------------
Millantato      |                |                 |
credito (art.   |da 1 a 5 anni (I|                 |
346 c.p.)       |comma)          |15 anni          |7,5 anni
---------------------------------------------------------------------
                |da 2 a 6 anni   |                 |
                |(II comma)      |l5 anni          |7,5 anni
---------------------------------------------------------------------
Turbata liberta'|                |                 |
degli incanti   |fino a 2 anni (I|                 |
(art. 353 c.p.) |comma)          |7,5 anni         |7,5 anni
---------------------------------------------------------------------
                |da 1 a 5 anni   |                 |
                |(II comma)      |15 anni          |7,5 anni
---------------------------------------------------------------------
Delitti contro  |                |                 |
la fede pubblica|                |                 |
(esempli-       |                |                 |
ficazione)      |                |                 |
---------------------------------------------------------------------
Falsita'        |                |                 |
materiale       |                |                 |
commessa dal    |                |                 |
pubblico        |                |                 |
ufficiale in    |                |                 |
atti pubblici   |da 1 a 6 anni (I|                 |
(art. 476 c.p.) |comma)          |15 anni          |7,5 anni
---------------------------------------------------------------------
                |da 3 a 10 anni  |                 |
                |(II comma)      |22,5 anni        |12,5 anni
---------------------------------------------------------------------
Falsita'        |                |                 |
ideologica      |                |                 |
commessa dal    |                |                 |
pubblico        |                |                 |
ufficiale in    |                |                 |
atti pubblici   |da 1 a 6 anni (I|                 |
(art. 479 c.p.) |comma)          |15 anni          |7,5 anni
---------------------------------------------------------------------
                |da 3 a 10 anni  |                 |
                |(II comma)      |22,5 anni        |12,5 anni
---------------------------------------------------------------------
Delitti contro  |                |                 |
il patrimonio   |                |                 |
---------------------------------------------------------------------
Truffa (art. 640|da 6 mesi a 3   |                 |
c.p.)           |anni (I comma)  |7,5 anni         |7,5 anni
---------------------------------------------------------------------
                |da 1 a 5 anni   |                 |
                |(II comma)      |15 anni          |7,5 anni
---------------------------------------------------------------------
Truffa aggravata|                |                 |
per il          |                |                 |
conseguimento di|                |                 |
erogazioni      |                |                 |
pubbliche (art. |                |                 |
640 - bisc.p.)  |da 1 a 6 anni   |15 anni          |7,5 anni
---------------------------------------------------------------------
Ricettazione    |                |                 |
(art. 648 c.p.) |da 2 a 8 anni   |15 anni          |10 anni
---------------------------------------------------------------------
                |fino a 6 anni   |15 anni          |7,5 anni

    Dall'esame  della  tabella  sopra  riportata  si  evince  come il
Legislatore,  decidendo  di  contenere  l'estensione  dei  termini di
prescrizione  per i soli reati di cui agli artt. 449 e 589, commi 2 e
3,   c.p.,  abbia  leso  ancora  una  volta  tanto  il  principio  di
ragionevolezza  quanto  quello  di  uguaglianza,  sia  accorciando in
maniera   del   tutto   illogica   ed   incomprensibile   i   termini
prescrizionali  relativi  a  reati  piu' gravi, sia con riferimento a
ipotesi  di reato altrettanto gravi rispetto a quelle per le quali e'
stato previsto un termine prescrizionale differente. Anche sotto tale
profilo  si  evidenzia  ancora una volta la incostituzionalita' della
novellazione normativa in materia di prescrizione.
    L'art.  10  n. 3 della legge - peraltro suscettibile anch'esso di
sindacato  di  costituzionalita'  da parte della Consulta -, non pone
alcun  rimedio alle violazioni di cui agli artt. e 111, secondo comma
Cost., gia' precedentemente evidenziate:
        vuoi   per   quel  che  concerne  la  irragionevolezza  delle
soluzioni  adottate dall'art. 6 n. 1 che, in relazione al calcolo dei
termini  prescrizionali,  prende in considerazione le sole aggravanti
ad   effetto  speciale,  e  non  anche  le  aggravanti  comuni  e  le
attenuanti,  ed  introduce  cosi'  un  modello  astratto  incapace di
diversificare  la  durata  della  pretesa  punitiva  dello  Stato  in
relazione alla gravita' del singolo fatto-reato per cui si procede;
        vuoi  per  le  violazioni  dell'art. 3,  per la disparita' di
trattamento  introdotte  dall'art. 6 n. 5 che, laddove stabilendo che
l'aumento   dei   termini  prescrizionali,  conseguente  ad  un  atto
interruttivo,    sia   determinato   attraverso   criteri   meramente
soggettivi,  individuati  dal  Legislatore  nella contestazione della
recidiva,  introduce  un  meccanismo  del  tutto  irrazionale  e  una
disparita' di trattamento del medesimo fatto-reato a cui inoltre puo'
conseguire  una  grave  situazione  di  incertezza nel caso in cui la
recidiva - nella maggior parte dei casi a contestazione facoltativa -
non venga contestata;
        vuoi  con  riferimento  alla disciplina contenuta nell'art. 6
n. 2  sulla  decorrenza  dei  termini  prescrizionali nell'ipotesi di
reato  continuato  in quanto, non prevedendo che tali termini debbano
decorrere dal momento in cui viene a cessare il vincolo continuativo,
si  pone  in  evidente  contraddittorieta'  con una precedente scelta
legislativa  operata  nell'art. 81  c.p.,  ove si prescrive che debba
venir  punito  non  ogni  singolo  fatto-reato,  bensi' il solo reato
continuato nella sua unicita' e, di conseguenza, in palese violazione
del  principio di uguaglianza, viene applicata al reato continuato la
medesima  disciplina  prevista per un istituto profondamente diverso,
quale e' il concorso materiale di reati;
        vuoi,  infine,  con  riferimento  alla scelta dei reati per i
quali prevedere un termine prescrizionale piu' lungo.
    Si  e'  sostenuto  che  l'art. 10  n. 3  della legge sanerebbe la
violazione  di cui all'art. 79 Cost. con riferimento all'approvazione
di  una  presunta  amnistia  in  forma  mascherata. A ben vedere tale
violazione   esiste   comunque  perche'  anche  le  amnistie  normali
prevedono  delle  esclusioni,  di tal che' averne limitato la portata
non  ne  inficia  la  natura  di  provvedimento  equiparabile  ad una
amnistia.
    Nel  sindacato  di  costituzionalita', dovrebbero essere presi in
considerazione,  non  solo  quegli  elementi  di palese violazione ai
principi   costituzionali  che  sono  contenuti  in  una  determinata
disposizione  di  legge, ma anche quelli sottaciuti - e mediati - che
possono  portare  sia  ad  ingiustizie  sostanziali nell'applicazione
della  medesima  legge,  sia  a  situazioni  di paralisi di un intero
settore  ovvero  di  un  organo,  e  sia  infine alle ricadute che un
determinato provvedimento puo' creare nel substrato sociale in cui lo
stesso viene applicato. Esistono infatti provvedimenti che in ipotesi
possono  anche  apparire  non  esageratamente  contrari  ai  principi
costituzionali  (ma  non  e' certamente questo il caso in esame), che
tuttavia  possono  dar  luogo a distorsioni - e a distonie - evidenti
nella loro applicazione.
    Nel  corso  del  dibattito  che ha preceduto l'approvazione della
norma  nell'attuale  formulazione,  si e' fatto ricorso, da parte dei
propugnatori della ritualita' della stessa formulazione approvata, ad
alcune considerazioni che giova a questo punto affrontare.
    Si  e' detto che gia' in passato la Corte costituzionale ha avuto
occasione  di  esprimersi  con  riferimento  a  norme che prevedevano
l'entrata   in  vigore  delle  medesime  solo  in  favore  di  alcune
situazioni   e  che  la  Corte  costituzionale  si  sarebbe  espressa
favorevolmente   circa   la  ritualita'  di  una  tale  impostazione,
asserendo  che si tratterebbe di materie devolute in via esclusiva al
Legislatore  nell'ambito  della  sua discrezionalita' nelle scelte di
politica  criminale,  di  tal  che'  sul punto sarebbe sottratto ogni
possibile giudizio di sindacato da parte della Consulta.
    I   riferimenti  tuttavia  riguardavano  la  materia  processuale
penale,   in   cui  effettivamente  (purche'  non  ricada  in  palesi
violazioni del criterio della ragionevolezza) il Legislatore ha piena
facolta'    di    derogare,    anche   parzialmente,   al   principio
processualpenalistico del tempus regit actum.
    La   prescrizione,   pur   attenendo   a  conseguenze  di  natura
processuale,  ha  natura  sostanziale, essendo stata disciplinata dal
Legislatore  all'interno  del  codice  penale.  La  suprema  Corte di
legittimita' ha piu' volte affrontato il tema, sottolineando come «le
norme  sulla  prescrizione  dei  reati  costituiscono l'espediente di
carattere  formale  escogitato  dal nostro Legislatore per realizzare
quella  finalita'  di  carattere sostanziale, costituita dalla durata
ragionevole  del  processo»  del  processo  penale,  che  e' tutelata
dall'art. 6  della  convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo  [e
recepita  dal nostro Legislatore costituzionale all'art. 111 Cost.] e
che  e'  da  tale  norma  riconosciuta all'imputato quale suo diritto
soggettivo perfetto» (Cass. pen., sez. I, 21 aprile 1986, Colussi; in
senso  conforme,  a  titolo  esemplificativo:  Cass.  pen.,  sez.  I,
8 maggio 1998, Negri).
    Sul  punto  sono  recentemente intervenute anche le sezioni unite
penali  della  Corte  di  cassazione  a  ribadire ancora una volta la
natura  della prescrizione quale istituto di diritto sostanziale: «la
prescrzione  [...]  e'  costruita  non  come  un  istituto di diritto
processuale,  ma  di diritto sostanziale», paragrafando - in merito -
esplicitamente la Relazione del Guardasigilli sul codice penale, che,
unitamente  alla voce unanime della dottrina, dichiara esplicitamente
che,  prima  di  esplicare  i  suoi effetti sul piano processuale, la
prescrizione  nasce  proprio come istituto di diritto sostanziale. Ad
ulteriore conferma della tesi ivi esposta, si pone anche la Consulta,
che,  in  occasione  di  una  pronuncia  in  merito alla legittimita'
dell'art. 2947   c.c.,   relativo   ai   termini  prescrizionali  per
l'esperimento  dell'azione  di  danno  nell'ipotesi  in cui lo stesso
derivi  da  fatto  illecito  costituente  reato,  ha  avuto  modo  di
sottolineare  come «la prescrizione opera sul terreno sostanziale del
diritto  e  non  su  quello  della sua protezione processuale» (Corte
cost.,   30 giugno   1988,   n. 732),   ferma   restando   l'assoluta
interdipendenza  tra  diritto  penale  sostanziale  e  diritto penale
processuale, specialmente quando la dimensione preventiva della legge
sostanziale non ha raggiunto il proprio scopo.
    L'aver  disciplinato  la  prescrizione  quale istituto di diritto
sostanziale  discende  dalla  natura  intrinseca  della  prescrizione
stessa,  ontologicamnente  connessa  alle  «ragioni  sostanziali  del
punire  o  non  punire», il che fa si' che la stessa abbia una natura
duplice   e   che   debba   essere   esaminata  in  entrambe  le  sue
caratteristiche:   in   primo  luogo  e'  un  istituto  di  carattere
pubblicistico  attraverso il quale l'ordinamento giuridico stabilisce
dei  criteri  (sulla base di considerazioni morali, sociali di scelte
di  politica criminale e anche di opportunita) per misurare nel tempo
la  pretesa  dello  Stato  a  vedere  puniti  comportamenti  devianti
costituenti  reato  (a);  in  secondo  luogo,  essendo un Istituto di
diritto  sostanziale,  la prescrizione e' in parallelo un diritto che
si  concede  a  tutti  i  soggetti giuridici a non vedersi processare
allorquando   sia  decaduto  quell'interesse  dello  Stato  a  punire
determinati  comportamenti  (b), nonche' (c) il diritto concesso alle
persone  offese  di  poter  far riferimento ad un termine preciso per
poter iniziare l'azione civile di danno.
    Per  cogliere  la palese incostituzionalita' della norma in esame
e'  sufficiente  notare come una norma che disciplini la prescrizione
debba  essere  al  contempo  idonea  a non confliggere con il diritto
dello  Stato di cui al punto (a) e con i diritti del cittadino di cui
ai punti (b) e (c). Ove cosi' non fosse, avrebbe ragione chi sostiene
la  discrezionalita' del Legislatore sulla base di scelte di politica
criminale  che  competono al medesimo. Se la normativa che disciplina
la  prescrizione fosse stata inserita nel codice di procedura penale,
tali  osservazioni  sarebbero  corrette  e  il Legislatore, a proprio
piacimento,  potrebbe  creare  un  differente destino processuale per
reati identici a seconda di insindacabili criteri di opportunita'.
    Ma non e' cosi'. Il Legislatore nel disciplinare l'istituto della
prescrizione lo ha inserito nel codice penale, creando, come sopra si
e'  detto, un parallelo diritto al cittadino di non essere processato
oltre  determinati  termini,  diritto che e' sostanziale, quindi deve
soddisfare  a  tutti  i  principi di natura sostanziale dettati dalla
Costituzione.
    In tale ottica si dimostra la evidente incostituzionalita' di cui
e'  affetto  l'art. 10  n. 3  della legge, soprattutto se correlata a
tutti gli altri profili di incostituzionalita' sopra evidenziati.
    Se   la   discrezionalita'   del  Legislatore  appare  condizione
necessaria perche' lo stesso possa efficacemente svolgere la funzione
di  creatore  del  diritto  che  la  Costituzione  gli  riserva, tale
discrezionalita',  tuttavia,  non  puo'  non riconoscere quali limiti
l'irrazionalita',  l'arbitrarieta'  e l'irragionevolezza delle scelte
legislative,  direttamente contrastanti con il dettato costituzionale
della  norma  in esame che bandisce ogni genere di contraddittorieta'
all'interno  del  nostro  ordinamento  giuridico.  In particolare, la
Corte  costituzionale  ha in proposito affermato che, pur non potendo
la  stessa  sostituirsi al Legislatore pronunciando sentenze additive
in  malam  partem,  ad ogni buon conto ad essa compete uno «scrutinio
nel  merito  sotto  il  profilo  della  non arbitrarieta' e della non
irragionevolezza» dell'esercizio discrezionale del potere legislativo
(Corte  cost.,  18 gennaio  2005,  Deutsche  Bank  Capital  Markets e
altro).   Inoltre,   proprio   con   riferimento  al  diritto  penale
sostanziale,  la  giurisprudenza  costituzionale  ha sottolineato che
«rientra  nella  discrezionalila  del  Legislatore  la determinazione
delle  condotte punibili, e che lo scrutinio sul merito delle scelte,
sanzionatorie   e'   ammissibile  soltanto  ove  l'opzione  normativa
contrasti  in  modo  manifesto  con  il  canone della ragionevolezza»
(Corte cost., 26 giugno 2002, Pres. Cons.; negli stessi termini anche
Corte cost. 9 luglio 1999, Pres. Cons.).
    In  particolare,  va affrontato il problema posto dal divieto, da
parte  della  Corte  costituzionale, di pronunciare sentenze in malam
partem.  Ove  la prescrizione, quale istituto di diritto sostanziale,
si  atteggiasse  in  maniera non dissimile dalle norme incriminatici,
per  le  quali  e'  inammissibile una retroattivita' delle norme piu'
sfavorevoli   per  il  reo,  le  questioni  sollevate,  pur  fondate,
troverebbero  un  ostacolo insormontabile nel divieto, da parte della
Corte  costituzionale, di intervenire modificando in peggio il regime
disciplinato dall'attuale legge sulla prescrizione.
    Al   fine   di  pervenire  a  una  corretta  soluzione,  occorre,
nell'ambito  degli istituti di diritto sostanziale, scindere le norme
incriminatici   dagli  altri  istituti  che,  pur  rientrando  sempre
nell'ambito  del diritto sostanziale, se ne differenziano tuttavia in
maniera  essenziale,  non prevedendo un particolare tipo di sanzione.
In  tale  ottica,  nel mentre non e' certamente possibile pronunciare
una   sentenza   in   malam   partem   con   riferimento  alle  norme
incriminatrici,  diversa  e'  la  disciplina relativamente alle altre
norme  di  diritto  sostanziale  contenute  nel  codice  penale.  Ove
pertanto  la  Corte  costituzionale  dovesse  accogliere le questioni
sollevate,  con  il  ritorno  in  vita delle norme previgenti, non si
attuerebbe  certamente  un  danno nei confronti degli indagati, posto
che  gli  stessi  si  troverebbero  a  dover  rispondere sempre delle
medesime norme incriminatici contestate, che non sarebbero certamente
state  nel  frattempo per nulla modificate. E' in tale senso che deve
interpretarsi  la  massima  espositiva  che  si  ritrascrive  qui  di
seguito: «L'art. 25 cpv. Cose, secondo cui nessuno puo' essere punito
se  non  in  forza  di  una  legge  entrata in vigore prima del fatto
commesso,  non  esclude che una norma contenente la previsione di una
causa   estintiva   del   reato   o  della  pena  entrata  in  vigore
successivamente   al  fatto  commesso,  possa  essere  sottoposta  al
controllo di costituzionalita', poiche' la eventuale dichiarazione di
illegittimita' costituzionale non sottoporrebbe il fatto-reato ad una
sanzione  non  prevista  nel  momento in cui esso fu commesso» (Corte
cost., 20 ottobre 1983, n. 321).
    La  seconda  obiezione,  che  si potrebbe porre alle questioni di
costituzionalita'  sollevate  nel  presente procedimento, riguarda il
delicato  tema  della  discrezionalita'  del Legislatore. Si potrebbe
obiettare   che,   pur   trattandosi   di  legge  pessima,  illogica,
irragionevole  ed  intrinsecamente contraddittoria, la stessa sarebbe
la  risultante  comunque di una potesta' che compete in via esclusiva
al Legislatore. Tuttavia, la sfera di potesta' del Legislatore non e'
del tutto assoluta. Occorre che lo stesso Legislatore, nell'applicare
i criteri decisionali nell'ambito della sfera di discrezionalita' che
gli compete, non confligga con i criteri di logicita', ragionevolezza
e   di   giustizia  sostanziale.  In  altre  parole  il  Legislatore,
nell'ambito  delle  scelte  di  politica criminale, puo' ispirarsi ai
criteri  che  ritiene  piu'  consoni  al  fine  di  disciplinare  una
determinata  materia di diritto sostanziale, ma deve licenziare norme
che  siano  logiche  e ragionevoli. Ove cio' non faccia, sara' sempre
ammesso  il  sindacato  di  costituzionalita'  da  parte  della Corte
costituzionale.
    Se   si   valutano  le  singole  eccezioni  di  costituzionalita'
sollevate,  ci  si  rende  conto  che  le  norme coinvolte sanciscono
principi illogici, arbitrari ed irragionevoli.
    Cio'  accade nel caso della decisione di non considerare, ai fini
della   prescrizione,   le   aggravanti  comuni,  ponendo  in  essere
situazioni  paradossali,  quali  quelle indicate nell'esempio dei tre
peculati (rispettivamente da 1 euro, 10 mila euro e da 100 milioni di
euro)  che,  con  la  nuova  legge,  avrebbero un identico termine di
prescrizione.
    Cio'  accade  per il reato continuato, laddove la legge ha creato
un  dissidio  insanabile  tra  la disciplina del medesimo istituto ai
fini  della  configurabilita' del reato e ai fini della prescrizione.
Tale  distonia  e'  cosi'  evidente  che  e'  gia'  stata  oggetto di
eccezione  di  costituzionalita' sollevata dal Tribunale di Salerno -
Sezione distaccata di Cava de' Tirreni, in data 24 gennaio 2006.
    Cio' vale per la scelta, del tutto irragionevole, dei reati per i
quali  e'  previsto  un  aumento  dei termini prescrizionali (pari al
doppio rispetto a quelli ordinari), in deroga al criterio previsto in
via d'ordine generale dal nuovo art. 157 c.p.
    Non si puo' sottacere inoltre la assoluta irragionevolezza di non
consentire  che  le  interruzioni  relative  al  procedimento  penale
possano  riverberare i loro effetti nei confronti dei reati connessi.
Senza  dimenticare  infine  la  assoluta arbitrarieta', anche ai fini
della  pretesa  civile delle persone offese, (che, di colpo, non solo
si  sono  viste  ridurre il termine da ventidue anni e mezzo a dodici
anni  e  mezzo,  ma anche modificare la data di commissione del reato
continuato)   di   considerare  la  nuova  normativa  applicabile  ai
procedimenti per i quali non sia stato ancora aperto il dibattimento.
    Da  quanto  precede,  emerge  con  evidenza che l'intero impianto
costruito  dalla  legge  in  esame  poggia  sopra  i  pilastri  della
irrazionalita',  della  irragionevolezza e della arbitrarieta'. Tutte
le   eccezioni   sopra   evidenziate  hanno  rilevanza  nel  presente
procedimento,    poiche',   ove   venissero   accolte   dalla   Corte
costituzionale,  il  risultato  sarebbe  che  per  nessuno  dei reati
ipotizzati sarebbe maturato il corso della prescrizione.