IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

    ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso in appello
portante  il n. 816/2005 R.G., proposto da Ministero della giustizia,
in  persona  del Ministro pro tempore, e Commissione per gli esami di
avvocato  presso  la  Corte  di  appello  di  Catania, in persona del
Presidente, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello
Stato  di  Palermo,  presso  i cui uffici in via Alcide De Gasperi 81
sono per legge domiciliati;
    contro  Buscemi  Enrico Nicolo', rappresentato e difeso dall'avv.
Salvatore  Buscemi,  ed  elettivamente  domiciliato  in  Palermo, via
Domenico   Trentacoste  n. 89,  presso  lo  studio  dell'avv.  Pietro
Allotta, per l'annullamento della sentenza n. 1945/2004 del 15 luglio
2004,  depositata  il  23 luglio 2004 e non notificata, del Tribunale
Amministrativo  Regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania,
sez.  III, che ha dichiarato improcedibile il ricorso per intervenuta
cessazione della materia del contendere;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  di  Enrico Nicolo'
Buscemi;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore  il  Consigliere Antonino Corsaro; udito altresi' per la
parte appellante l'avv. dello Stato Arnone;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con  ricorso  portante  il  n. 1178/2003,  Buscemi Enrico Nicolo'
adiva  il  Tribunale  amministrativo  regionale  Reggio  Calabria per
chiedere l'annullamento, previa sospensione, del provvedimento di non
ammissione alla prova orale degli esami di avvocato, sessione 2002, e
di ogni atto presupposto connesso e consequenziale.
    Il  Tribunale  amministrativo regionale Reggio Calabria, riteneva
il  ricorso  assistito  dal  fumus  boni  iuris  sotto il profilo del
dedotto difetto di motivazione e con ordinanza n. 442/2003 accoglieva
l'istanza  di sospensione, con «conseguente rinnovazione del giudizio
impugnato  da  parte  di  diversa  sottocommissione  e  con  adeguata
motivazione».
    In  esecuzione dell'ordinanza cautelare, la Commissione procedeva
alla  ricorrezione  degli elaborati, ammettendo il Buscemi alle prove
orali e dopo il superamento di queste, lo dichiarava idoneo.
    L'avvocatura  dello  Stato  proponeva regolamento di competenza e
gli  atti  venivano  trasmessi al competente Tribunale amministrativo
regionale, sezione staccata di Catania.
    Il  Ministero  della  giustizia  ha,  nelle  more  del  giudizio,
proposto   appello  avverso  l'ordinanza  n. 442/2003  del  Tribunale
amministrativo  regionale  Reggio  Calabria, e il Consiglio di Stato,
con ordinanza n. 5106/2003, rigettava l'eccezione di inammissibilita'
per  carenza  di  interesse  sollevata  da controparte, accoglieva il
gravame,  rigettava  l'istanza cautelare proposta in primo grado, con
«conseguente  caducazione  di tutti gli atti adottati a seguito della
predetta ordinanza».
    Con  sentenza n. 1945/2004, il Tribunale amministrativo regionale
Catania  dichiarava  l'improcedibilita'  del ricorso per sopravvenuta
carenza  di  interesse,  ritenendo  che  la  Commissione non si fosse
limitata   a  dare  mera  esecuzione  all'ordinanza  n. 442/2003  del
Tribunale  amministrativo  regionale  Reggio Calabria, ovvero, non si
fosse limitata alla «rinnovazione del giudizio impugnato, da parte di
diversa  sottocommissione  e con adeguata motivazione», come statuito
dal   provvedimento   impugnato,  ma  avrebbe  proceduto  alla  nuova
valutazione  positiva  degli  elaborati  scritti,  e  poi  ammesso il
Buscemi  alle  prove  orali,  superate  le  quali e' stato dichiarato
idoneo.
    Conseguentemente,  il  Tribunale amministrativo regionale Catania
ha  ritenuto  che  la  Commissione non si era limitata ad eseguire la
pronunzia  cautelare,  ma  era  andata  oltre  il dictum del giudice,
avendo    il    provvedimento    autonomamente   assunto,   carattere
provvedimentale e definitivo. Con tale operato la Commissione avrebbe
riaperto   autonomamente  il  provvedimento,  avrebbe  adottato  atti
autonomi e definitivi che renderebbero privo di interesse il giudizio
sugli atti adottati.
    Secondo  il  decidente cio' ha determinato l'improcedibilita' del
ricorso  per  sopravvenuta  carenza  di  interesse,  essendo venuto a
mancare il presupposto per la pronuncia nel merito del giudizio.
    Avverso  la  sentenza  n. 1945/2004  del Tribunale amministrativo
regionale  Catania,  propone  appello  il  Ministero della giustizia,
deducendo i seguenti motivi:
    Ha   errato  il  Tribunale  amministrativo  regionale  Catania  a
ritenere  che  le operazioni compiute non fossero in esecuzione dell'
ordinanza  poiche'  l'Amministrazione, senza prestare acquiescenza al
provvedimento  cautelare,  ha proposto appello e la nuova valutazione
in   esecuzione   dell'ordinanza   cautelare  non  si  sostituiva  al
provvedimento,  ma  era  destinata  a regolare l'assetto dei rapporti
unicamente  in  attesa  dell'esito  del  giudizio  di  merito,  ed il
Consiglio  di  Stato,  con ord. n. 5106/2003 ha accolto il ricorso in
appello avverso il provvedimento cautelare e rigettato l'eccezione di
inammissibilita' per carenza di interesse.
    Gli   atti   posti  in  essere  dall'amministrazione,  in  quanto
esecutivi     della     pronuncia    cautelare,    non    determinano
l'improcedibilita'  del  ricorso e quindi la prova orale sostenuta e'
consequenziale   al   superamento   delle   prove  scritte,  mancando
ovviamente    la    autonoma   determinazione   volitiva   da   parte
dell'amministrazione  rafforzata  dal  ricorso  in appello avverso il
provvedimento cautelare.
    Si  costituisce  l'appellato  con  memoria  del  21 luglio  2005,
deducendo,  ai  limitati effetti del giudizio cautelare e con riserva
di   ulteriori   ed   autonomi  motivi,  l'inesistenza  di  qualsiasi
pregiudizio  grave  ed  irreparabile, e che comunque, le affermazioni
poste  a  sostegno  si pongono in stridente contrasto con il positivo
giudizio  espresso in sede di rivalutazione delle prove scritte e con
il  superamento  di  quelle  orali  e  conclude  per il rigetto della
domanda cautelare, e nel merito, del ricorso in appello.
    Con    memoria   depositata   il   17 novembre   2005   ribadisce
l'infondatezza  dell'appello  ed  invoca  il  comma  2-bis  del  d.l.
n. 115/2005,   nel   testo   aggiunto   dalla  legge  di  conversione
n. 168/2005,  ai  sensi  del  quale avrebbe legittimamente conseguito
l'abilitazione    professionale    a    seguito   del   provvedimento
giurisdizionale,  ed  afferma  che comunque, a seguito dell'ordinanza
442/2003  del  Tribunale amministrativo regionale Reggio Calabria, ha
visto  rivalutate  le  prove  scritte ed ha superato la prova orale e
pertanto  chiede dichiarare inammissibile il ricorso per sopravvenuta
carenza  di  interesse e comunque rigettarlo perche' infondato sia in
fatto che in diritto.

                            D i r i t t o

    I) Ritenuto che:
        la  cessazione  della  materia  del  contendere  puo'  essere
dichiarata  solo quando l'amministrazione annulli o riformi, in senso
conforme  all'interesse  del  ricorrente,  il provvedimento da questi
impugnato  (C.d.S.,  sez. IV, 23 settembre 2004, n. 6225 e 19 ottobre
2004, n. 6747), mentre l'improcedibilita' per sopravvenuta carenza di
interesse  puo' derivare, o da un mutamento della situazione di fatto
o di diritto presente al momento della presentazione del ricorso, che
faccia  venire  meno  l'effetto  logico  del provvedimento impugnato,
ovvero   dall'adozione,   da   parte   dell'Amministrazione,   di  un
provvedimento,  che, idoneo a ridefinire l'assetto degli interessi in
gioco,  pur  senza avere alcun effetto satisfattivo nei confronti del
ricorrente, sia tale da rendere certa e definitiva l'inutilita' della
sentenza (C.d.S., sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4397).
        il  giudice  amministrativo  ha sospeso in sede cautelare gli
effetti  del  provvedimento  e  conseguentemente  la  Commissione  si
adeguata  al  contenuto  dell'ordinanza  cautelare,  procedendo  alla
rivalutazione.
        l'atto  conseguenziale,  con  cui  l'amministrazione  ha dato
esecuzione   all'ordinanza   di   sospensione   degli   effetti   del
provvedimento,  non  comporta  la revoca del precedente provvedimento
sospeso ed ha una rilevanza provvisoria, in attesa che la sentenza di
merito accerti se il provvedimento sospeso sia o meno legittimo.
    Non pare quindi possa configurarsi l'improcedibilita' del ricorso
o la cessazione della materia del contendere.
    II) Ritenuto ancora che gli atti adottatati dalla Commissione per
sostituire   il   provvedimento,   non  esprimono  acquiescenza  alla
decisione  del  Tribunale  amministrativo  regionale Reggio Calabria,
avendo,  il  Ministero  della  giustizia, proposto gravame innanzi il
Consiglio di Stato.
    L'efficacia  di tali atti dovrebbe quindi venire meno nel caso di
eventuale  riforma  della  decisione  di  primo  grado  all'esito del
giudizio di merito.
    La  giurisprudenza  ritiene  che  non importa acquiescenza l'aver
dato  esecuzione, anche spontanea, ad una sentenza esecutiva (C.C. 20
agosto 2004, n. 16460; C.d.S., sez. VI, 24 settembre 2004, n. 6249).
    Atteso  l'obbligo  di  conformarsi, l'esecuzione di una ordinanza
cautelare  di tipo propulsivo non costituisce attivita' di autotutela
(annullamento  o  ritiro  del  provvedimento  impugnato)  e  non puo'
comportare  il  venir meno della res litigiosa (C.d.S., sez. IV, ord.
21 novembre 2003, n. 7630 e 7634; C.d.S., 6 maggio 2004, n. 2797).
    La  rinnovata  valutazione  di  una  prova  d'esame  a seguito di
ordinanza  cautelare  non  puo'  produrre  altro  effetto  che quello
provvisorio  di  impedire  il protrarsi della lesione lamentata e che
ogni   ulteriore   effetto  a  carattere  definitivo  cui  aspira  il
ricorrente  non  puo'  che  conseguire  dalla pronuncia definitiva di
merito,  passata  in  giudicato,  che  elimini  del  tutto  dal mondo
giuridico il provvedimento impugnato.
    Trattasi  di  provvedimento destinato a venire meno in virtu' del
c.d.  effetto  espansivo esterno della riforma della sentenza, di cui
al secondo comma dell'art. 336 c.p.c., espressione di un principio di
carattere  generale anche del processo amministrativo (Corte Cost. 22
aprile 1991, n. 175).
    Nel  caso  in esame, non puo' sussistere dubbio alcuno, a parere,
del  Collegio,  sulla  esatta  qualificazione degli atti sopravvenuti
come  determinazioni  meramente esecutive del provvedimento cautelare
del  giudice  di  primo  grado,  che  non  rivestono autonoma valenza
sostanziale  e  non  appaiono  denotati  da  caratteri  tali da poter
condurre  a considerare le rinnovate valutazioni dell'Amministrazione
come  un  quid  pluris  rispetto  alla  doverosa  esecuzione  in sede
cautelare del provvedimento medesimo anche esso cautelare.
    Ai  fini  in  esame  e' ininfluente la circostanza che, a seguito
dell'esito  positivo della rinnovata valutazione, l'appellato sia poi
stato   ammesso  alle  prove  orali  e  che,  superatele,  abbia  poi
conseguito l'idoneita'.
    Invero  che  la  misura cautelare, non configura comunque mai una
radicale consumazione del potere amministrativo.
    E'  vero  che  a seguito della pronuncia cautelare possono essere
posti  in  essere  dalla  p.a.  anche  ulteriori  atti che hanno come
presupposto  logico  e  giuridico  il nuovo provvedimento adottato in
esecuzione  dell'ordinanza cautelare adottata in primo grado (C.d.S.,
A.P.  n. 3/2003), che, temporaneamente, tiene luogo della valutazione
positiva  mancata  e incide anche sulla efficacia dell'atto impugnato
di  produrre effetti giuridici (CC., s.u., 24 giugno 2004, n. 11750),
ma  e' altresi' vero che l'effetto caducante dell'eventuale decisione
di  riforma in appello si estende comunque a tutti gli ulteriori atti
adottati   dall'Amministrazione  a  seguito  della  sostituzione  del
provvedimento annullato in primo grado.
    Occorre  inoltre  considerare  che nella specie l'Amministrazione
non  ha  rinunciato  al  ricorso  ed  ha  proposto appello perche' ha
ritenuto  di  dovere  tutelare  la  par condicio degli esaminandi che
nella  sua  valutazione  sarebbe  stata  illegittimamente  violata se
alcuni   candidati   venissero   sottoposti  a  diverso  trattamento,
venissero sottratti alla propria commissione naturale, ed ottenessero
una dilazione di tempi.
    La  richiesta  improcedibilita'  per cessazione della materia del
contendere  o per sopravvenuta carenza di interesse pertanto non puo'
essere  accolta,  di fronte alla chiara volonta' dell'Amministrazione
di pervenire alla decisione nel merito.
    In  definitiva,  va  escluso che in primo grado potesse ritenersi
sopravvenuta la cessazione della materia del contendere tra le parti,
o  che  in  questo  grado di giudizio possa ritenersi sussistente una
qualche  carenza di interesse del Ministero appellante alla decisione
dell'appello.  Va  percio'  accolto  il  motivo  di  appello, rivolto
avverso  la  statuizione  di  cessazione della materia del contendere
recata   dalla   sentenza   impugnata  e  respinte  le  eccezioni  di
improcedibilita'  o  inanimissibilita'  dell'appello  per  carenza di
interesse.
    III) Ritenuto ancora che:
        l'appellato  nella  memoria  del 17 novembre 2005 contesta le
ragioni   poste  a  base  dell'avversario  appello  e  eccepisce,  in
particolare,  la  improcedibilita'  dello stesso, per il sopravvenire
del  d.l.  30  giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, in
legge  17 agosto 2005, n. 168 (Disposizioni urgenti per assicurare la
funzionalita'   di   settori  della  pubblica  amministrazione),  che
all'articolo  4  (Elezioni  degli organi degli ordini professionali e
disposizioni  in  materia  di abilitazione e di titolo professionale)
cosi'   statuisce:  «1)  Fatto  salvo  quanto  previsto  all'articolo
1-septies  del  decreto-legge  31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con
modficazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, al fine di consentire
il  rinnovo  degli  organi  degli  ordini  professionali  interessati
secondo  il  sistema elettorale disciplinato dal regolamento previsto
dall'articolo  4,  comma  3,  del  regolamento  di cui al decreto del
Presidente  della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328, le elezioni degli
enti  territoriali  sono  indette  alla  data  del 15 settembre 2005,
mentre  quelle per il rinnovo dei consigli nazionali si svolgono alla
data  del  15  novembre  2005.  Ove  il  mandato non abbia piu' lunga
durata,  i  consigli  scadono  al  momento  della proclamazione degli
eletti.  2) Le elezioni per il rinnovo dei consigli dell'ordine degli
psicologi sono indette entro trenta giorni dalla data di scadenza del
termine  stabilito  dal  terzo  periodo  del  comma  1  dell'articolo
1-septies  del citato decreto-legge n. 7 del 2005. Ove il mandato non
abbia  piu'  lunga  durata,  i  consigli  scadono  al  momento  della
proclamazione   degli  eletti.  2-bis)  Conseguono  ad  ogni  effetto
l'abilitazione  professionale  o  il titolo per il quale concorrono i
candidati,  in  possesso  dei titoli per partecipare al concorso, che
abbiano  superato  le  prove  d'esame  scritte  ed orali previste dal
bando,  anche  se  l'ammissione  alle medesime o la ripetizione della
valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di
provvedimenti giurisdizionali o di autotutela».
    IV)  Questo  collegio  ritiene  di  dover sollevare d'ufficio, ai
sensi  dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e
dell'art. 23,  commi  3  e  4,  della  legge  11  marzo  1953, n. 87,
questione  di legittimita' costituzionale del comma 2-bis dell'art. 4
del  d.l.  30  giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, in
legge  17  agosto  2005, n. 168, per la violazione degli artt. 3, 24,
25, 101 comma 2, 104 comma 1, 111 comma 2 e 113.
    Va osservato che:
        in   punto   di   rilevanza,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  deve  ravvisarsi influente, in quanto l'appellante ha
chiesto  non  solo  la  riforma  della  sentenza  dichiarativa  della
cessazione  della  materia  del  contendere,  ma anche l'accoglimento
dell'appello  nel  merito e cioe' dichiararsi legittima la esclusione
dell'appellato  dalle  prove  orali;  l'appellato  dal  canto  suo ha
chiesto  non soltanto il rigetto dell'appello ma anche dichiararsi la
sua   infondatezza   nel   merito  e  cioe'  che  venga  riconosciuta
illegittima la sua mancata ammissione alle prove orali.
    In  ogni  caso,  dal rigetto dell'appello, il ricorrente in primo
grado   potrebbe  porre  in  esecuzione  la  sentenza,  chiedendo  la
retrodatazione  dell'iscrizione ovvero, in applicazione della norma -
della  cui  legittimita'  costituzionale  si  dubita -, all'appellato
dovrebbe   riconoscersi  l'avvenuto  conseguimento  dell'abilitazione
professionale,   ancorche'  per  effetto  di  una  nuova  valutazione
disposta   a   seguito  di  pronuncia  giurisdizionale  di  carattere
meramente cautelare.
    Invero  sembra  evidente  dal tenore della norma in esame, che il
legislatore  abbia  sancito,  che  se  la  Commissione si e' espressa
positivamente  sulle  prove  a  seguito  di un qualsiasi o non meglio
precisato  «provvedimento  giurisdizionale», cio' sarebbe sufficiente
per   considerare   superato   l'esame  o  conseguita  l'abilitazione
professionale.
    La   questione  di  legittimita'  costituzionale  appare  percio'
indubbiamente  rilevante  in  quanto,  ad  avviso di questo collegio,
l'espressione  «provvedimenti giurisdizionali», appare ricomprendere,
non solo i provvedimenti definitivi, ma anche quelli cautelari.
    La  norma  introduce  cosi'  una  sostanziale  equiparazione  tra
giudizio   di   merito   e  giudizio  cautelare,  principio  peraltro
assolutamente  estraneo  al  giudizio  amministrativo,  come a quello
civile  e  penale.  Peraltro  di fronte alla lettera della norma, non
sarebbe   possibile   ricercare  altra  possibile  diversa  soluzione
conforme  a  Costituzione. Non sembra cioe' possibile fare ricorso ai
poteri  interpretativi  che la legge riconosce, specie in un contesto
in  cui, oltre alla ratio legis di consolidare comunque l'esito delle
prove,  si  appalesa  univoca  alla  lettura  la frase «provvedimenti
giurisdizionali».  Infine,  data  la  novita' della norma, neppure si
possono  ipotizzare  problemi  di  scelta  fra contrastanti indirizzi
giurisprudenziali allo stato inesistenti.
    Per le suesposte considerazioni il Collegio ritiene sia chiara la
rilevanza  della norma de qua nel presente grado di giudizio. Invero,
mentre  la  decisione  del primo giudice assunta in epoca antecedente
alla norma de qua, non e' confermabile per le ragioni dianzi esposte,
la  nuova  normativa  applicabile  precluderebbe  di  per se' sola la
possibilita'  di  pervenire  ad una decisione di merito, in quanto il
collegio  dovrebbe  prendere  atto  che  per  effetto  della  novella
intervenuta   nel   corso  dell'appello,  l'effetto  provvisorio  del
provvedimento  cautelare  si  sarebbe, nel frattempo, definitivamente
consolidato   e  dovrebbe  di  conseguenza  dichiarare  improcedibile
l'appello per cessazione della materia del contendere.
    Premesso  quanto  sopra  sul  punto  della  rilevanza,  va quindi
sollevata   la  questione  di  legittimita'  costituzionale  sotto  i
seguenti profili.
    1) Violazione dell'art. 3 Cost (principio di eguaglianza).
    Con  legge  cost.  23  novembre  1999,  n. 2,  e'  stato inserito
nell'art. 111  della  Costituzione, il principio del giusto processo,
stabilendo che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo
regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra
le  parti,  in  condizioni  di  parita', davanti a un giudice terzo e
imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata».
    La  norma  tutela  i  diritti  della persona umana e definisce il
giudice  come  un  organo  del  processo,  inteso  come  strumento di
giustizia.  Infatti,  le  parti  hanno  il  diritto  di  agire  e  di
difendersi in ogni stato e grado dei giudizio, il giudice deve essere
terzo  e imparziale e deve giudicare nel contraddittorio delle parti,
che  non  e',  come si era pensato, una componente del diritto (delle
parti)  alla  difesa,  ma  un  limite  al  potere  del  giudice, piu'
precisamente,  uno  «strumento operativo del giudice». La garanzia e'
data  dal  processo,  che  deve essere «giusto» e deve comprendere le
impugnazioni.
    Viene  quindi  in  rilievo  il  pari  interesse  della  parte  ad
ottenerne il controllo di effettiva rispondenza allo schema legale di
riferimento,  ad  evitare  che,  ove il provvedimento sia in concreto
adottato in difformita' da detto schema, si abbia una ingiustificata,
e  non  altrimenti  rimediabile, violazione dell'iter processuale: la
misura  cautelare,  strumentale ad un'azione di merito avente un mero
contenuto  nella  norma,  se  avulsa  dal  giudizio stesso di merito,
comporta  la  violazione del principio di eguaglianza e del principio
di ragionevolezza (art. 3 cost.).
    La  Corte  costituzionale  ha  affermato  che  e'  manifestamente
infondata   l'eccezione   di   illegittimita'   costituzionale,   per
violazione  dell'art.  3  Cost.,  della  inammissibilita' del ricorso
straordinario  per  cassazione,  a  norma dell'art. 111 cost. avverso
l'ordinanza  cautelare  poiche'  essa  riconosce la misura invocata e
attribuisce  a  tale  ordinanza  i  connotati di provvisorieta' e non
decisorieta'  propri del provvedimento cautelare, destinato a perdere
efficacia  a seguito della decisione di merito ed inidoneo a produrre
effetti  di  diritto  sostanziale  e  processuale  con  autorita'  di
giudicato,  proprio  per  assicurare  una  maggiore garanzia a tutela
degli  interessi  delle  parti  (Corte Costituzionale, 4 luglio 2002,
n. 312; 6 dicembre 2002, n. 525).
    La  norma  sospettata  di  illegittimita', sicuramente viola tali
parametri,  ne'  e'  stato  previsto,  con  la disciplina introdotta,
alcuno strumento di controllo.
    Rientrerebbe nel potere discrezionale del legislatore valutare il
livello  di  tutela  da  attribuire  avverso  i provvedimenti che non
abbiano  la forma di sentenza o che dal loro contenuto non possano ad
essa essere assimilati per gli effetti di cui all'art. 111 Cost.
    Ne' la questione prospettata pone problemi di interpretazione del
sistema  normativo,  la  cui  soluzione  spetti  alla  giurisprudenza
comune,  inerendo  invero  ai  principi di inviolabilita' del diritto
costituzionale  alla  tutela  giudiziaria e di parita' spettanti alle
parti processuale che sono riconducibili agli artt. 3, 24, 113 Cost.,
in  relazione  agli  artt.  6  e  13 della Convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.
    «Al  fine  di conciliare il carattere accentrato del controllo di
costituzionalita'  delle leggi con il principio di effettivita' della
tutela  giurisdizionale, non puo' escludersi, quando gli interessi in
gioco  lo  richiedano,  una  forma  limitata di controllo diffuso che
consenta  la  concessione  del provvedimento di sospensione dell'atto
impugnato,  rinviando  alla fase di merito, al quale il provvedimento
cautelare  e'  strumentalmente  collegato,  il  controllo della Corte
costituzionale  con  effetti  «erga  omnes» (Corte costituzionale, 10
maggio 2002, n. 179).
    Infatti,  seppur  non sussiste alcun vincolo per il legislatore a
regolarne  il rapporto con il giudizio di merito e, in particolare, a
limitarne  la  liberta'  di  variamente  articolare  il  rapporto  di
strumentalita'  dei  provvedimenti interinali rispetto alla decisione
nel merito, non puo' essere eliminata del tutto.
    Ne'   il   diverso   criterio   direttivo   della  rapidita'  del
procedimento cautelare, giustifica l'omogeneita' necessaria a rendere
comparabili  le  rispettive  discipline  ai  fini  dello scrutinio di
legittimita' costituzionale in relazione al principio di eguaglianza.
    La  misura  cautelare e' provvedimento esecutivo, ma non acquista
quella particolare stabilita' che deriva dal giudicato e, quindi, non
configura  una  radicale  consumazione  del potere amministrativo: la
teorizzazione  di  una  consumazione  del  potere amministrativo come
conseguenza dell'ordinanza sarebbe logicamente contraddittoria con la
riconosciuta  e  reciproca  influenza tra procedimento e processo, in
quanto  farebbe  venir  meno  in  radice  la  stessa  possibilita' di
orientare,    con    l'ordinanza   cautelare,   una   futura   azione
amministrativa che non sia interamente predeterminata nei contenuti.
    Il  dovere di tutelare la par condicio degli esaminandi, verrebbe
meno   se  alcuni  candidati  usufruissero  di  diverso  trattamento,
venissero sottratti alla propria commissione naturale, ed ottenessero
una  dilazione  di  tempi,  attraverso la teorizzazione degli effetti
irreversibili  dell'ordinanza cautelare, violando cosi' il diritto di
eguaglianza.
    2)Violazione    degli   artt.   24   e   111   Cost.   (principio
dell'integrita' e tutela del contraddittorio).
    Deve    essere   assicurato   il   diritto   di   esercitare   il
contraddittorio,  in modo da contemperare l'esigenza di celerita' con
la  garanzia  dell'effettivita'  del contraddittorio, che puo' essere
assicurato  solo  attraverso  lo schema del processo complessivamente
considerato,  e  cio'  sia  nei  confronti  delle  parti  presenti in
giudizio, sia di eventuali terzi controinteressati.
    Puo' anche configurarsi la dedotta violazione dell'art. 24 cost.,
cosi'  come  dell'art. 111  cost.,  in  quanto  l'applicazione  senza
eccezioni  della  norma,  puo'  causare lesione all'evocato principio
della  parita'  delle  parti,  ne  costituisce  coerente  attuazione,
proprio al fine di impedire che il terzo possa trarre vantaggio dalla
scelta  di  intervenire  tardivamente,  e dell'art. 3 cost., sotto il
profilo  della  irragionevolezza  della  norma  impugnata rispetto ai
rimedi approntati dagli art. 274, 344 e 404 c.p.c., giacche' siffatti
rimedi  non si sostituiscono ma si aggiungono alla facolta' del terzo
di  tutelare  il diritto in via ordinaria e la radicale eterogeneita'
di presupposti e di effetti di essi (strutturalmente diversi tra loro
e   rispetto   all'intervento   volontario)  rende  irragionevole  la
disciplina.
    Nel  caso di procedure a numero chiuso, dato che viene trascurata
la   posizione  di  quei  concorrenti  che,  in  quanto  posposti  al
ricorrente  stesso,  non  trovano  posto nel novero dei vincitori pur
essendo  risultati  abili, altrettanto chiare non sono le conseguenze
processuali  di  questo  «conseguimento ad ogni effetto» del titolo o
dell'abilitazione del candidato che abbia ottenuto, per effetto della
sospensiva,   l'ammissione   con   riserva   alle  prove  concorsuali
successive.
    La   Corte   ha  stabilito  che  il  processo  civile,  informato
all'operativita'  del principio dispositivo, si svolge su un piano di
parita' delle parti secondo il principio del contraddittorio e che il
convincimento   del   giudice   subisce   di   regola  la  mediazione
dell'impulso delle parti (Corte costituzionale un. 326/1997, 51/1998,
e ordinanza n. 356 del 1997).
    Tali  principi,  ripetutamente  affermati  in  numerose pronunce,
riguardano  anche  quello  amministrativo  (ordinanze  nn.  126/1998,
304/1998,  168/2000,  220/2000,  167/2001)  e  si  ritiene che vadano
confermati  anche  nel  caso  in  esame, perche' la norma non solo li
viola   apertamente,   non   essendovi  identita'  tra  provvedimento
cautelare  e processo, ma viene mancare del tutto la cognizione piena
del processo di merito e l'eventuale possibilita' di un'impugnazione,
dal momento che il giudice del cautelare giudica in un processo non a
cognizione piena.
    Va ricordato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 427 del
1999  ha  ritenuto infondata la q.l.c. dell'art. 19 commi 2 e 3, d.l.
25 marzo 1997, n. 67, conv. nella legge 23 maggio 1997, n. 135, nella
parte  in  cui  dispone  che il giudice amministrativo, puo' decidere
immediatamente  la  controversia,  ancorche'  sia  stato  chiamato  a
pronunciarsi   su   domanda   cautelare.   In  effetti  l'art. 19  e'
preordinato ad accelerare lo svolgimento dei processi amministrativi,
in  vista  soprattutto  dell'obbiettivo  di ridurre la durata a volte
eccessiva  dei  provvedimenti  cautelari,  mentre  il processo poteva
essere  tempestivamente  definito.  Il giudice e' tenuto a verificare
l'esistenza  delle  condizioni  indefettibili per l'emanazione di una
sentenza  o  decisione  che  definiscano il giudizio; tali condizioni
sono  l'integrita'  del  contraddittorio,  la completezza delle prove
necessarie,  gli adempimenti processuali per la tutela del diritto di
difesa  di  tutte  le  parti.  La  definizione  della lite importa il
superamento  della  domanda cautelare e postula un'effettiva completa
tutela   giurisdizionale,solo  rispettando  le  superiori  condizioni
indefettibili  che  rispondono  a  fondamentali  esigenze  di rilievo
costituzionale.
    Ma  la  norma  in  sospetto di illegittimita', pare introdurre un
nuovo  modello  procedimentale di processo che porta ad una decisione
con efficacia di giudicato non come esito di un giudizio a cognizione
piena,  nascente  come  variante  di un procedimento cautelare e alla
quale  il  legislatore  ha  avuto  cura  di imporre il rispetto delle
condizioni indefettibili del processo.
    Il  potere  di operare la conversione del rito e' esercitabile ex
officio,   anche  in  caso  di  mancata  prestazione  dell'assenso  o
addirittura di manifestazione del dissenso delle parti, ovvero ove la
definizione  del  giudizio sopravvenga prima dei termini previsti per
la  costituzione  in  giudizio  e  per la produzione dei documenti da
parte  della  Aniministrazione,  ma  in  presenza dei presupposti: 1)
della  fissazione  della  camera  di consiglio per la decisione della
domanda   cautelare   entro  il  termine  non  abbreviato;  2)  della
integrita'     del     contraddittorio;    3)    della    completezza
dell'istruttoria;  della  audizione  delle  parti costituite (C.d.S.,
sez.  IV, 22 giugno 2004, n. 4487; sez. VI, 26 giugno 2001, n. 3463).
Nulla  di  tutto  cio'  si  verifica  nel  caso  in  specie,  venendo
attribuita  valenza  di «giudicato» ad un provvedimento, nella specie
anche travolto dall'appello cautelare, che resta quindi privato della
sua  natura  collocazione  in  un giudizio finale a cognizione piena.
Sebbene  la  sentenza  n  427 del 1999 non abbia riscontrato dubbi di
costituzionalita'  una volta rispettati i parametri di integrita' del
contraddittorio, completezza dell'istruttoria e tutti gli adempimenti
a  carico delle parti non pare invece che identica affermazione possa
essere fatta in riferimento alla norma in esame e pare invece possano
sussistere  dubbi  in  ordine  alla  conformita'  di essa ai principi
costituzionali  di  agli  artt. 24  e  111  Cost.,  non essendo stato
rispettato  ne'  l'inserimento  in procedimento comunque a cognizione
finale  piena ne' assicurato il rispetto dei parametri indicati dalla
Corte.
    La  tutela ha il carattere della provvisorieta' dei provvedimenti
cautelari  anzi  la  stessa essenza caratterizza la efficacia sino ai
provvedimento   definitivo   (merito),  assicurando  un  assestamento
provvisorio  della  lite,  esaurendo i loro effetti con la emanazione
della sentenza di merito.
    Ne deriva che necessariamente, attesa la strumentalita', il thema
decidendum  del  processo  cautelare  si  distingue  dal  processo di
merito.
    Il  ricorrente  individua  il contenuto del provvedimento potendo
anche mancare la collaborazione di tutti i soggetti e attivita' degli
stessi  nella  costruzione  del  processo  inteso  come rapporto e la
valutazione  del  giudice  puo'  essere  solo strumentale ai fini del
cautelare  altrimenti  si attuerebbe una duplicazione di giudizio con
l'anticipazione della fase del merito.
    Ed  infatti  i  presupposti tipici della tutela cautelare sono il
fumus  boni  iuris  e  il  periculum  in  mora. Il giudice accerta la
probabilita'  dell'esistenza  del  diritto  mentre la esistenza viene
demandata al merito.
    Il periculum in mora consiste nella probabilita' del danno per la
durata  del giudizio di merito, e secondo la nuova norma, venuto meno
il  giudizio  di  merito  verrebbe meno il presupposto. Probabilmente
viene meno anche il processo, venuto meno il doppio binario, non puo'
affermarsi  un  giustizialismo  di  tempestivita', giustificato da un
percorso procedimentale che attribuisce effetti interinali-definitivi
collegati  agli atti del procedimento ma scollegati dal giudicato che
sicuramente non e' sussumibile nel principio costituzionale di giusto
processo  (art.  111  Cost).  Una giustizia senza giusto processo non
porta ad una decisione giusta.
    La   pronuncia   estintiva   del   giudizio   richiede   comunque
un'iniziativa  di  parte;  ed  in mancanza, non essendo configurabili
poteri  di  ufficio  in  ordine all'esistenza dei requisiti richiesti
dalla norma.
    3) Violazione dell'art. 25 Cost. (Principio della precostituzione
del giudice naturale).
    Pare  anche  attinente  il  parametro  in riferimento all'art. 25
Cost., venendo in rilievo, la questione relativa alla precostituzione
dei giudice.
    Infatti,  il «giudice naturale precostituito per legge» e' quello
competente  in base agli ordinari criteri dettati dal codice di rito,
tra  i quali vi e' il foro stabilito per accordo delle parti ai sensi
dell'art. 28    c.p.c.,    accordo   che   puo'   realizzarsi   anche
successivamente    all'instaurazione    della   lite,   mediante   un
comportamento   concludente,   quale   la   mancata,  intempestiva  o
incompleta proposizione dell'eccezione di incompetenza.
    Non puo' allora ritenersi costituzionalmente conforme al precetto
dell'art. 25   Cost.   la   norma   dell'art. 38  c.p.c.,  come  vive
nell'interpretazione consolidata della Corte di cassazione, in quanto
rende  sufficiente  l'accordo  di soltanto due delle parti in causa a
radicare   la  competenza  dinanzi  a  un  giudice  che  non  sarebbe
competente  in  base  agli  ordinari  criteri.  Se  l'art. 28  c.p.c.
individua  come  «giudice precostituito per legge» anche quello adito
su accordo delle parti, l'unico accordo, preventivo o successivo, non
in  contrasto  con  l'art. 25  Cost.  e' quello tra tutte le parti in
causa.
    Se  una sola delle parti, o un terzo controinteressato subisce un
processo  dinanzi  a  un  giudice diverso da quello individuato dalla
legge,    viene    distolta    dal   «giudice   naturale»   e   viene
irragionevolmente  limitata  nel proprio diritto di difesa, in quanto
non  le  e'  consentito  di  esplicare  attivita'  difensiva volta ad
ottenere  che il processo sia trattato dal giudice competente in base
agli  ordinari criteri, si ha una irragionevolezza della compressione
delle garanzie previste dagli artt. 24 e 25 Cost.
    Il  precetto  costituzionale  implica che il giudice debba essere
precostituito  secondo  criteri  generali ed astratti stabiliti dalla
legge,  ma  esclude che siffatti criteri possano essere formulati dal
legislatore  in  relazione  al  contenuto della domanda che la parte,
nella sua discrezionalita', decida di volta in volta di azionare.
    Il  principio  di precostituzione per legge del giudice naturale,
di  cui all'art. 25, comma, Cost., consente che la scelta del giudice
resti  rimessa  ad  una parte; in tema di riparto di giurisdizione il
principio  del  giudice  naturale, e' rispettato quando, la regola di
competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della controversia.
    Nel   caso   di   regolamento   di   competenza,   il   tribunale
amministrativo,  ove  ritenga  manifestamente  fondata l'eccezione di
incompetenza,  non puo' accogliere l'istanza cautelare presentata dal
ricorrente,  essendo  privo  di  potestas decidendi, essendo la causa
trasmigrata davanti al giudice che fin dall'origine era competente in
ordine  alla controversia sia per la tutela cautelare, sia per quella
di  merito, competenze che - in linea di principio - devono ritenersi
intimamente  connesse,  scindibili  solo  al  fine  di assicurare una
tutela interinale immediata e provvisoria, idonea a salvaguardare gli
effetti  della futura pronuncia, cautelare o di merito, a seconda dei
casi (Corte cost., 2 marzo 2005, n. 82).
    4)  Violazione  degli  artt. 24,  111 e 113 Cost., in riferimento
all'impugnabilita' e al riesame.
    La    norma   non   affronta   neppure   il   delicato   problema
dell'impugnabilita'  o  del riesame del provvedimento giurisdizionale
che  sembrerebbe  essere inimpugnabile una volta prodotti gli effetti
del superamento delle prove.
    Si avrebbe una ordinanza sospensiva in un giudizio ancora in vita
che  non  e'  idonea  a  costituire  il giudicato, ma produce effetti
definitivi e quindi non e' impugnabile.
    Si   avrebbe  una  situazione  di  immutabilita'  definitiva  non
accompagnata  dal  giudicato perche' non effetto di sentenza e quindi
insuscettibile di giudizio di ottemperanza.
    Ed infatti, il giudizio di ottemperanza concerne sentenze passate
in   giudicato,  al  fine  di  evitare  che  l'amministrazione  possa
arbitrariamente   sottrarsi   alle  pronunce  giurisdizionali  (Corte
costituzionale, 25 marzo 2005, n. 122).
    Viene  a mancare alle parti la possibilita' del riesame, cioe' la
loro   impugnabilita',   che   sicuramente  lascia  il  dubbio  della
correttezza costituzionale, essendo venuto meno il giudizio di merito
che  garantiva  l'impugnabilita'  garantito  dall'art. 111  Cost. dal
momento  che  l'efficacia  era  condizionata alla instaurazione della
causa  di  merito,  essa non e' fonte di una statuizione definitiva e
decisoria  e,  dunque,  non  e' soggetta al ricorso straordinario per
cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.
    Ne'    puo'    ritenersi    che   il   legislatore,   nella   sua
discrezionalita',    possa    prevedere    l'impugnabilita',   ovvero
escluderla,  senza  che  tale  scelta, oltre che irragionevole, possa
comportare  lesione  dell'art. 24  Cost.,  dal  momento  che  da essa
discende,    ove    non   fosse   consentita   l'impugnabilita',   un
potenzialmente  grave  ostacolo  all'esercizio  del diritto di azione
garantito  dal  medesimo  art. 24  Cost. (e in causa di irragionevole
durata del processo: art. 111 comma 2 Cost.).
    Nell'ipotesi che la rivalutazione delle prove (riesame elaborati,
interrogazione  e  formalita'  conclusive)  si  concluda  entro breve
tempo,  e'  chiaro  che  non  vi  e'  spazio  per  un appello avverso
l'ordinanza cautelare.
    Ma,  questa  ipotesi contraddice il principio dell'appellabilita'
dei provvedimenti cautelari e introduce sicuramente una disparita' di
trattamento  rispetto  all'  ipotesi in cui l'appello cautelare abbia
bloccato  in  tempo  la rivalutazione delle prove, non escludibile in
via  di  principio.  Diversamente  opinando, si dovrebbe ritenere che
l'appello stesso proposto dinanzi al Consiglio di Stato, debba essere
rigettato,  al  fine  di  mantenere in vita il provvedimento di primo
grado,  verificandosi  l'effetto  estintivo,  come per il giudizio di
primo grado.
    Nel  caso  che  non  si  concluda  la procedura di rivalutazione,
resterebbe  da  determinare  il  contenuto  il  giudizio  di  appello
cautelare.
    Sembrerebbe scontato, secondo i principi generali, che il giudice
di  appello, debba accogliere tempestivamente l'appello e l'ordinanza
cautelare  impugnata ne risulterebbe caducata, con conseguente blocco
delle  operazioni concorsuali che fossero state nel frattempo avviate
in forza dell'ordinanza stessa.
    La  non  garanzia  del  doppio  grado di giurisdizione (111 e 113
Cost.),  si porrebbe comunque in contrasto con i principi comunitari,
che  prevedono un doppio grado di giurisdizione, mirante a migliorare
la  tutela  giurisdizionale  dei singoli e a preservare la qualita' e
l'efficacia  della  tutela giurisdizionale nell'ordinamento giuridico
comunitario (Corte giustizia CE, 17 dicembre 1998, n. 185).