IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso in appello portante il n. 816/2005 R.G., proposto da Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, e Commissione per gli esami di avvocato presso la Corte di appello di Catania, in persona del Presidente, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici in via Alcide De Gasperi 81 sono per legge domiciliati; contro Buscemi Enrico Nicolo', rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Buscemi, ed elettivamente domiciliato in Palermo, via Domenico Trentacoste n. 89, presso lo studio dell'avv. Pietro Allotta, per l'annullamento della sentenza n. 1945/2004 del 15 luglio 2004, depositata il 23 luglio 2004 e non notificata, del Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, sez. III, che ha dichiarato improcedibile il ricorso per intervenuta cessazione della materia del contendere; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Enrico Nicolo' Buscemi; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore il Consigliere Antonino Corsaro; udito altresi' per la parte appellante l'avv. dello Stato Arnone; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: F a t t o Con ricorso portante il n. 1178/2003, Buscemi Enrico Nicolo' adiva il Tribunale amministrativo regionale Reggio Calabria per chiedere l'annullamento, previa sospensione, del provvedimento di non ammissione alla prova orale degli esami di avvocato, sessione 2002, e di ogni atto presupposto connesso e consequenziale. Il Tribunale amministrativo regionale Reggio Calabria, riteneva il ricorso assistito dal fumus boni iuris sotto il profilo del dedotto difetto di motivazione e con ordinanza n. 442/2003 accoglieva l'istanza di sospensione, con «conseguente rinnovazione del giudizio impugnato da parte di diversa sottocommissione e con adeguata motivazione». In esecuzione dell'ordinanza cautelare, la Commissione procedeva alla ricorrezione degli elaborati, ammettendo il Buscemi alle prove orali e dopo il superamento di queste, lo dichiarava idoneo. L'avvocatura dello Stato proponeva regolamento di competenza e gli atti venivano trasmessi al competente Tribunale amministrativo regionale, sezione staccata di Catania. Il Ministero della giustizia ha, nelle more del giudizio, proposto appello avverso l'ordinanza n. 442/2003 del Tribunale amministrativo regionale Reggio Calabria, e il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 5106/2003, rigettava l'eccezione di inammissibilita' per carenza di interesse sollevata da controparte, accoglieva il gravame, rigettava l'istanza cautelare proposta in primo grado, con «conseguente caducazione di tutti gli atti adottati a seguito della predetta ordinanza». Con sentenza n. 1945/2004, il Tribunale amministrativo regionale Catania dichiarava l'improcedibilita' del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, ritenendo che la Commissione non si fosse limitata a dare mera esecuzione all'ordinanza n. 442/2003 del Tribunale amministrativo regionale Reggio Calabria, ovvero, non si fosse limitata alla «rinnovazione del giudizio impugnato, da parte di diversa sottocommissione e con adeguata motivazione», come statuito dal provvedimento impugnato, ma avrebbe proceduto alla nuova valutazione positiva degli elaborati scritti, e poi ammesso il Buscemi alle prove orali, superate le quali e' stato dichiarato idoneo. Conseguentemente, il Tribunale amministrativo regionale Catania ha ritenuto che la Commissione non si era limitata ad eseguire la pronunzia cautelare, ma era andata oltre il dictum del giudice, avendo il provvedimento autonomamente assunto, carattere provvedimentale e definitivo. Con tale operato la Commissione avrebbe riaperto autonomamente il provvedimento, avrebbe adottato atti autonomi e definitivi che renderebbero privo di interesse il giudizio sugli atti adottati. Secondo il decidente cio' ha determinato l'improcedibilita' del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, essendo venuto a mancare il presupposto per la pronuncia nel merito del giudizio. Avverso la sentenza n. 1945/2004 del Tribunale amministrativo regionale Catania, propone appello il Ministero della giustizia, deducendo i seguenti motivi: Ha errato il Tribunale amministrativo regionale Catania a ritenere che le operazioni compiute non fossero in esecuzione dell' ordinanza poiche' l'Amministrazione, senza prestare acquiescenza al provvedimento cautelare, ha proposto appello e la nuova valutazione in esecuzione dell'ordinanza cautelare non si sostituiva al provvedimento, ma era destinata a regolare l'assetto dei rapporti unicamente in attesa dell'esito del giudizio di merito, ed il Consiglio di Stato, con ord. n. 5106/2003 ha accolto il ricorso in appello avverso il provvedimento cautelare e rigettato l'eccezione di inammissibilita' per carenza di interesse. Gli atti posti in essere dall'amministrazione, in quanto esecutivi della pronuncia cautelare, non determinano l'improcedibilita' del ricorso e quindi la prova orale sostenuta e' consequenziale al superamento delle prove scritte, mancando ovviamente la autonoma determinazione volitiva da parte dell'amministrazione rafforzata dal ricorso in appello avverso il provvedimento cautelare. Si costituisce l'appellato con memoria del 21 luglio 2005, deducendo, ai limitati effetti del giudizio cautelare e con riserva di ulteriori ed autonomi motivi, l'inesistenza di qualsiasi pregiudizio grave ed irreparabile, e che comunque, le affermazioni poste a sostegno si pongono in stridente contrasto con il positivo giudizio espresso in sede di rivalutazione delle prove scritte e con il superamento di quelle orali e conclude per il rigetto della domanda cautelare, e nel merito, del ricorso in appello. Con memoria depositata il 17 novembre 2005 ribadisce l'infondatezza dell'appello ed invoca il comma 2-bis del d.l. n. 115/2005, nel testo aggiunto dalla legge di conversione n. 168/2005, ai sensi del quale avrebbe legittimamente conseguito l'abilitazione professionale a seguito del provvedimento giurisdizionale, ed afferma che comunque, a seguito dell'ordinanza 442/2003 del Tribunale amministrativo regionale Reggio Calabria, ha visto rivalutate le prove scritte ed ha superato la prova orale e pertanto chiede dichiarare inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse e comunque rigettarlo perche' infondato sia in fatto che in diritto. D i r i t t o I) Ritenuto che: la cessazione della materia del contendere puo' essere dichiarata solo quando l'amministrazione annulli o riformi, in senso conforme all'interesse del ricorrente, il provvedimento da questi impugnato (C.d.S., sez. IV, 23 settembre 2004, n. 6225 e 19 ottobre 2004, n. 6747), mentre l'improcedibilita' per sopravvenuta carenza di interesse puo' derivare, o da un mutamento della situazione di fatto o di diritto presente al momento della presentazione del ricorso, che faccia venire meno l'effetto logico del provvedimento impugnato, ovvero dall'adozione, da parte dell'Amministrazione, di un provvedimento, che, idoneo a ridefinire l'assetto degli interessi in gioco, pur senza avere alcun effetto satisfattivo nei confronti del ricorrente, sia tale da rendere certa e definitiva l'inutilita' della sentenza (C.d.S., sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4397). il giudice amministrativo ha sospeso in sede cautelare gli effetti del provvedimento e conseguentemente la Commissione si adeguata al contenuto dell'ordinanza cautelare, procedendo alla rivalutazione. l'atto conseguenziale, con cui l'amministrazione ha dato esecuzione all'ordinanza di sospensione degli effetti del provvedimento, non comporta la revoca del precedente provvedimento sospeso ed ha una rilevanza provvisoria, in attesa che la sentenza di merito accerti se il provvedimento sospeso sia o meno legittimo. Non pare quindi possa configurarsi l'improcedibilita' del ricorso o la cessazione della materia del contendere. II) Ritenuto ancora che gli atti adottatati dalla Commissione per sostituire il provvedimento, non esprimono acquiescenza alla decisione del Tribunale amministrativo regionale Reggio Calabria, avendo, il Ministero della giustizia, proposto gravame innanzi il Consiglio di Stato. L'efficacia di tali atti dovrebbe quindi venire meno nel caso di eventuale riforma della decisione di primo grado all'esito del giudizio di merito. La giurisprudenza ritiene che non importa acquiescenza l'aver dato esecuzione, anche spontanea, ad una sentenza esecutiva (C.C. 20 agosto 2004, n. 16460; C.d.S., sez. VI, 24 settembre 2004, n. 6249). Atteso l'obbligo di conformarsi, l'esecuzione di una ordinanza cautelare di tipo propulsivo non costituisce attivita' di autotutela (annullamento o ritiro del provvedimento impugnato) e non puo' comportare il venir meno della res litigiosa (C.d.S., sez. IV, ord. 21 novembre 2003, n. 7630 e 7634; C.d.S., 6 maggio 2004, n. 2797). La rinnovata valutazione di una prova d'esame a seguito di ordinanza cautelare non puo' produrre altro effetto che quello provvisorio di impedire il protrarsi della lesione lamentata e che ogni ulteriore effetto a carattere definitivo cui aspira il ricorrente non puo' che conseguire dalla pronuncia definitiva di merito, passata in giudicato, che elimini del tutto dal mondo giuridico il provvedimento impugnato. Trattasi di provvedimento destinato a venire meno in virtu' del c.d. effetto espansivo esterno della riforma della sentenza, di cui al secondo comma dell'art. 336 c.p.c., espressione di un principio di carattere generale anche del processo amministrativo (Corte Cost. 22 aprile 1991, n. 175). Nel caso in esame, non puo' sussistere dubbio alcuno, a parere, del Collegio, sulla esatta qualificazione degli atti sopravvenuti come determinazioni meramente esecutive del provvedimento cautelare del giudice di primo grado, che non rivestono autonoma valenza sostanziale e non appaiono denotati da caratteri tali da poter condurre a considerare le rinnovate valutazioni dell'Amministrazione come un quid pluris rispetto alla doverosa esecuzione in sede cautelare del provvedimento medesimo anche esso cautelare. Ai fini in esame e' ininfluente la circostanza che, a seguito dell'esito positivo della rinnovata valutazione, l'appellato sia poi stato ammesso alle prove orali e che, superatele, abbia poi conseguito l'idoneita'. Invero che la misura cautelare, non configura comunque mai una radicale consumazione del potere amministrativo. E' vero che a seguito della pronuncia cautelare possono essere posti in essere dalla p.a. anche ulteriori atti che hanno come presupposto logico e giuridico il nuovo provvedimento adottato in esecuzione dell'ordinanza cautelare adottata in primo grado (C.d.S., A.P. n. 3/2003), che, temporaneamente, tiene luogo della valutazione positiva mancata e incide anche sulla efficacia dell'atto impugnato di produrre effetti giuridici (CC., s.u., 24 giugno 2004, n. 11750), ma e' altresi' vero che l'effetto caducante dell'eventuale decisione di riforma in appello si estende comunque a tutti gli ulteriori atti adottati dall'Amministrazione a seguito della sostituzione del provvedimento annullato in primo grado. Occorre inoltre considerare che nella specie l'Amministrazione non ha rinunciato al ricorso ed ha proposto appello perche' ha ritenuto di dovere tutelare la par condicio degli esaminandi che nella sua valutazione sarebbe stata illegittimamente violata se alcuni candidati venissero sottoposti a diverso trattamento, venissero sottratti alla propria commissione naturale, ed ottenessero una dilazione di tempi. La richiesta improcedibilita' per cessazione della materia del contendere o per sopravvenuta carenza di interesse pertanto non puo' essere accolta, di fronte alla chiara volonta' dell'Amministrazione di pervenire alla decisione nel merito. In definitiva, va escluso che in primo grado potesse ritenersi sopravvenuta la cessazione della materia del contendere tra le parti, o che in questo grado di giudizio possa ritenersi sussistente una qualche carenza di interesse del Ministero appellante alla decisione dell'appello. Va percio' accolto il motivo di appello, rivolto avverso la statuizione di cessazione della materia del contendere recata dalla sentenza impugnata e respinte le eccezioni di improcedibilita' o inanimissibilita' dell'appello per carenza di interesse. III) Ritenuto ancora che: l'appellato nella memoria del 17 novembre 2005 contesta le ragioni poste a base dell'avversario appello e eccepisce, in particolare, la improcedibilita' dello stesso, per il sopravvenire del d.l. 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, in legge 17 agosto 2005, n. 168 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalita' di settori della pubblica amministrazione), che all'articolo 4 (Elezioni degli organi degli ordini professionali e disposizioni in materia di abilitazione e di titolo professionale) cosi' statuisce: «1) Fatto salvo quanto previsto all'articolo 1-septies del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modficazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, al fine di consentire il rinnovo degli organi degli ordini professionali interessati secondo il sistema elettorale disciplinato dal regolamento previsto dall'articolo 4, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328, le elezioni degli enti territoriali sono indette alla data del 15 settembre 2005, mentre quelle per il rinnovo dei consigli nazionali si svolgono alla data del 15 novembre 2005. Ove il mandato non abbia piu' lunga durata, i consigli scadono al momento della proclamazione degli eletti. 2) Le elezioni per il rinnovo dei consigli dell'ordine degli psicologi sono indette entro trenta giorni dalla data di scadenza del termine stabilito dal terzo periodo del comma 1 dell'articolo 1-septies del citato decreto-legge n. 7 del 2005. Ove il mandato non abbia piu' lunga durata, i consigli scadono al momento della proclamazione degli eletti. 2-bis) Conseguono ad ogni effetto l'abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d'esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l'ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela». IV) Questo collegio ritiene di dover sollevare d'ufficio, ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23, commi 3 e 4, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questione di legittimita' costituzionale del comma 2-bis dell'art. 4 del d.l. 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, in legge 17 agosto 2005, n. 168, per la violazione degli artt. 3, 24, 25, 101 comma 2, 104 comma 1, 111 comma 2 e 113. Va osservato che: in punto di rilevanza, la questione di legittimita' costituzionale deve ravvisarsi influente, in quanto l'appellante ha chiesto non solo la riforma della sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere, ma anche l'accoglimento dell'appello nel merito e cioe' dichiararsi legittima la esclusione dell'appellato dalle prove orali; l'appellato dal canto suo ha chiesto non soltanto il rigetto dell'appello ma anche dichiararsi la sua infondatezza nel merito e cioe' che venga riconosciuta illegittima la sua mancata ammissione alle prove orali. In ogni caso, dal rigetto dell'appello, il ricorrente in primo grado potrebbe porre in esecuzione la sentenza, chiedendo la retrodatazione dell'iscrizione ovvero, in applicazione della norma - della cui legittimita' costituzionale si dubita -, all'appellato dovrebbe riconoscersi l'avvenuto conseguimento dell'abilitazione professionale, ancorche' per effetto di una nuova valutazione disposta a seguito di pronuncia giurisdizionale di carattere meramente cautelare. Invero sembra evidente dal tenore della norma in esame, che il legislatore abbia sancito, che se la Commissione si e' espressa positivamente sulle prove a seguito di un qualsiasi o non meglio precisato «provvedimento giurisdizionale», cio' sarebbe sufficiente per considerare superato l'esame o conseguita l'abilitazione professionale. La questione di legittimita' costituzionale appare percio' indubbiamente rilevante in quanto, ad avviso di questo collegio, l'espressione «provvedimenti giurisdizionali», appare ricomprendere, non solo i provvedimenti definitivi, ma anche quelli cautelari. La norma introduce cosi' una sostanziale equiparazione tra giudizio di merito e giudizio cautelare, principio peraltro assolutamente estraneo al giudizio amministrativo, come a quello civile e penale. Peraltro di fronte alla lettera della norma, non sarebbe possibile ricercare altra possibile diversa soluzione conforme a Costituzione. Non sembra cioe' possibile fare ricorso ai poteri interpretativi che la legge riconosce, specie in un contesto in cui, oltre alla ratio legis di consolidare comunque l'esito delle prove, si appalesa univoca alla lettura la frase «provvedimenti giurisdizionali». Infine, data la novita' della norma, neppure si possono ipotizzare problemi di scelta fra contrastanti indirizzi giurisprudenziali allo stato inesistenti. Per le suesposte considerazioni il Collegio ritiene sia chiara la rilevanza della norma de qua nel presente grado di giudizio. Invero, mentre la decisione del primo giudice assunta in epoca antecedente alla norma de qua, non e' confermabile per le ragioni dianzi esposte, la nuova normativa applicabile precluderebbe di per se' sola la possibilita' di pervenire ad una decisione di merito, in quanto il collegio dovrebbe prendere atto che per effetto della novella intervenuta nel corso dell'appello, l'effetto provvisorio del provvedimento cautelare si sarebbe, nel frattempo, definitivamente consolidato e dovrebbe di conseguenza dichiarare improcedibile l'appello per cessazione della materia del contendere. Premesso quanto sopra sul punto della rilevanza, va quindi sollevata la questione di legittimita' costituzionale sotto i seguenti profili. 1) Violazione dell'art. 3 Cost (principio di eguaglianza). Con legge cost. 23 novembre 1999, n. 2, e' stato inserito nell'art. 111 della Costituzione, il principio del giusto processo, stabilendo che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti a un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata». La norma tutela i diritti della persona umana e definisce il giudice come un organo del processo, inteso come strumento di giustizia. Infatti, le parti hanno il diritto di agire e di difendersi in ogni stato e grado dei giudizio, il giudice deve essere terzo e imparziale e deve giudicare nel contraddittorio delle parti, che non e', come si era pensato, una componente del diritto (delle parti) alla difesa, ma un limite al potere del giudice, piu' precisamente, uno «strumento operativo del giudice». La garanzia e' data dal processo, che deve essere «giusto» e deve comprendere le impugnazioni. Viene quindi in rilievo il pari interesse della parte ad ottenerne il controllo di effettiva rispondenza allo schema legale di riferimento, ad evitare che, ove il provvedimento sia in concreto adottato in difformita' da detto schema, si abbia una ingiustificata, e non altrimenti rimediabile, violazione dell'iter processuale: la misura cautelare, strumentale ad un'azione di merito avente un mero contenuto nella norma, se avulsa dal giudizio stesso di merito, comporta la violazione del principio di eguaglianza e del principio di ragionevolezza (art. 3 cost.). La Corte costituzionale ha affermato che e' manifestamente infondata l'eccezione di illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost., della inammissibilita' del ricorso straordinario per cassazione, a norma dell'art. 111 cost. avverso l'ordinanza cautelare poiche' essa riconosce la misura invocata e attribuisce a tale ordinanza i connotati di provvisorieta' e non decisorieta' propri del provvedimento cautelare, destinato a perdere efficacia a seguito della decisione di merito ed inidoneo a produrre effetti di diritto sostanziale e processuale con autorita' di giudicato, proprio per assicurare una maggiore garanzia a tutela degli interessi delle parti (Corte Costituzionale, 4 luglio 2002, n. 312; 6 dicembre 2002, n. 525). La norma sospettata di illegittimita', sicuramente viola tali parametri, ne' e' stato previsto, con la disciplina introdotta, alcuno strumento di controllo. Rientrerebbe nel potere discrezionale del legislatore valutare il livello di tutela da attribuire avverso i provvedimenti che non abbiano la forma di sentenza o che dal loro contenuto non possano ad essa essere assimilati per gli effetti di cui all'art. 111 Cost. Ne' la questione prospettata pone problemi di interpretazione del sistema normativo, la cui soluzione spetti alla giurisprudenza comune, inerendo invero ai principi di inviolabilita' del diritto costituzionale alla tutela giudiziaria e di parita' spettanti alle parti processuale che sono riconducibili agli artt. 3, 24, 113 Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. «Al fine di conciliare il carattere accentrato del controllo di costituzionalita' delle leggi con il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale, non puo' escludersi, quando gli interessi in gioco lo richiedano, una forma limitata di controllo diffuso che consenta la concessione del provvedimento di sospensione dell'atto impugnato, rinviando alla fase di merito, al quale il provvedimento cautelare e' strumentalmente collegato, il controllo della Corte costituzionale con effetti «erga omnes» (Corte costituzionale, 10 maggio 2002, n. 179). Infatti, seppur non sussiste alcun vincolo per il legislatore a regolarne il rapporto con il giudizio di merito e, in particolare, a limitarne la liberta' di variamente articolare il rapporto di strumentalita' dei provvedimenti interinali rispetto alla decisione nel merito, non puo' essere eliminata del tutto. Ne' il diverso criterio direttivo della rapidita' del procedimento cautelare, giustifica l'omogeneita' necessaria a rendere comparabili le rispettive discipline ai fini dello scrutinio di legittimita' costituzionale in relazione al principio di eguaglianza. La misura cautelare e' provvedimento esecutivo, ma non acquista quella particolare stabilita' che deriva dal giudicato e, quindi, non configura una radicale consumazione del potere amministrativo: la teorizzazione di una consumazione del potere amministrativo come conseguenza dell'ordinanza sarebbe logicamente contraddittoria con la riconosciuta e reciproca influenza tra procedimento e processo, in quanto farebbe venir meno in radice la stessa possibilita' di orientare, con l'ordinanza cautelare, una futura azione amministrativa che non sia interamente predeterminata nei contenuti. Il dovere di tutelare la par condicio degli esaminandi, verrebbe meno se alcuni candidati usufruissero di diverso trattamento, venissero sottratti alla propria commissione naturale, ed ottenessero una dilazione di tempi, attraverso la teorizzazione degli effetti irreversibili dell'ordinanza cautelare, violando cosi' il diritto di eguaglianza. 2)Violazione degli artt. 24 e 111 Cost. (principio dell'integrita' e tutela del contraddittorio). Deve essere assicurato il diritto di esercitare il contraddittorio, in modo da contemperare l'esigenza di celerita' con la garanzia dell'effettivita' del contraddittorio, che puo' essere assicurato solo attraverso lo schema del processo complessivamente considerato, e cio' sia nei confronti delle parti presenti in giudizio, sia di eventuali terzi controinteressati. Puo' anche configurarsi la dedotta violazione dell'art. 24 cost., cosi' come dell'art. 111 cost., in quanto l'applicazione senza eccezioni della norma, puo' causare lesione all'evocato principio della parita' delle parti, ne costituisce coerente attuazione, proprio al fine di impedire che il terzo possa trarre vantaggio dalla scelta di intervenire tardivamente, e dell'art. 3 cost., sotto il profilo della irragionevolezza della norma impugnata rispetto ai rimedi approntati dagli art. 274, 344 e 404 c.p.c., giacche' siffatti rimedi non si sostituiscono ma si aggiungono alla facolta' del terzo di tutelare il diritto in via ordinaria e la radicale eterogeneita' di presupposti e di effetti di essi (strutturalmente diversi tra loro e rispetto all'intervento volontario) rende irragionevole la disciplina. Nel caso di procedure a numero chiuso, dato che viene trascurata la posizione di quei concorrenti che, in quanto posposti al ricorrente stesso, non trovano posto nel novero dei vincitori pur essendo risultati abili, altrettanto chiare non sono le conseguenze processuali di questo «conseguimento ad ogni effetto» del titolo o dell'abilitazione del candidato che abbia ottenuto, per effetto della sospensiva, l'ammissione con riserva alle prove concorsuali successive. La Corte ha stabilito che il processo civile, informato all'operativita' del principio dispositivo, si svolge su un piano di parita' delle parti secondo il principio del contraddittorio e che il convincimento del giudice subisce di regola la mediazione dell'impulso delle parti (Corte costituzionale un. 326/1997, 51/1998, e ordinanza n. 356 del 1997). Tali principi, ripetutamente affermati in numerose pronunce, riguardano anche quello amministrativo (ordinanze nn. 126/1998, 304/1998, 168/2000, 220/2000, 167/2001) e si ritiene che vadano confermati anche nel caso in esame, perche' la norma non solo li viola apertamente, non essendovi identita' tra provvedimento cautelare e processo, ma viene mancare del tutto la cognizione piena del processo di merito e l'eventuale possibilita' di un'impugnazione, dal momento che il giudice del cautelare giudica in un processo non a cognizione piena. Va ricordato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 427 del 1999 ha ritenuto infondata la q.l.c. dell'art. 19 commi 2 e 3, d.l. 25 marzo 1997, n. 67, conv. nella legge 23 maggio 1997, n. 135, nella parte in cui dispone che il giudice amministrativo, puo' decidere immediatamente la controversia, ancorche' sia stato chiamato a pronunciarsi su domanda cautelare. In effetti l'art. 19 e' preordinato ad accelerare lo svolgimento dei processi amministrativi, in vista soprattutto dell'obbiettivo di ridurre la durata a volte eccessiva dei provvedimenti cautelari, mentre il processo poteva essere tempestivamente definito. Il giudice e' tenuto a verificare l'esistenza delle condizioni indefettibili per l'emanazione di una sentenza o decisione che definiscano il giudizio; tali condizioni sono l'integrita' del contraddittorio, la completezza delle prove necessarie, gli adempimenti processuali per la tutela del diritto di difesa di tutte le parti. La definizione della lite importa il superamento della domanda cautelare e postula un'effettiva completa tutela giurisdizionale,solo rispettando le superiori condizioni indefettibili che rispondono a fondamentali esigenze di rilievo costituzionale. Ma la norma in sospetto di illegittimita', pare introdurre un nuovo modello procedimentale di processo che porta ad una decisione con efficacia di giudicato non come esito di un giudizio a cognizione piena, nascente come variante di un procedimento cautelare e alla quale il legislatore ha avuto cura di imporre il rispetto delle condizioni indefettibili del processo. Il potere di operare la conversione del rito e' esercitabile ex officio, anche in caso di mancata prestazione dell'assenso o addirittura di manifestazione del dissenso delle parti, ovvero ove la definizione del giudizio sopravvenga prima dei termini previsti per la costituzione in giudizio e per la produzione dei documenti da parte della Aniministrazione, ma in presenza dei presupposti: 1) della fissazione della camera di consiglio per la decisione della domanda cautelare entro il termine non abbreviato; 2) della integrita' del contraddittorio; 3) della completezza dell'istruttoria; della audizione delle parti costituite (C.d.S., sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4487; sez. VI, 26 giugno 2001, n. 3463). Nulla di tutto cio' si verifica nel caso in specie, venendo attribuita valenza di «giudicato» ad un provvedimento, nella specie anche travolto dall'appello cautelare, che resta quindi privato della sua natura collocazione in un giudizio finale a cognizione piena. Sebbene la sentenza n 427 del 1999 non abbia riscontrato dubbi di costituzionalita' una volta rispettati i parametri di integrita' del contraddittorio, completezza dell'istruttoria e tutti gli adempimenti a carico delle parti non pare invece che identica affermazione possa essere fatta in riferimento alla norma in esame e pare invece possano sussistere dubbi in ordine alla conformita' di essa ai principi costituzionali di agli artt. 24 e 111 Cost., non essendo stato rispettato ne' l'inserimento in procedimento comunque a cognizione finale piena ne' assicurato il rispetto dei parametri indicati dalla Corte. La tutela ha il carattere della provvisorieta' dei provvedimenti cautelari anzi la stessa essenza caratterizza la efficacia sino ai provvedimento definitivo (merito), assicurando un assestamento provvisorio della lite, esaurendo i loro effetti con la emanazione della sentenza di merito. Ne deriva che necessariamente, attesa la strumentalita', il thema decidendum del processo cautelare si distingue dal processo di merito. Il ricorrente individua il contenuto del provvedimento potendo anche mancare la collaborazione di tutti i soggetti e attivita' degli stessi nella costruzione del processo inteso come rapporto e la valutazione del giudice puo' essere solo strumentale ai fini del cautelare altrimenti si attuerebbe una duplicazione di giudizio con l'anticipazione della fase del merito. Ed infatti i presupposti tipici della tutela cautelare sono il fumus boni iuris e il periculum in mora. Il giudice accerta la probabilita' dell'esistenza del diritto mentre la esistenza viene demandata al merito. Il periculum in mora consiste nella probabilita' del danno per la durata del giudizio di merito, e secondo la nuova norma, venuto meno il giudizio di merito verrebbe meno il presupposto. Probabilmente viene meno anche il processo, venuto meno il doppio binario, non puo' affermarsi un giustizialismo di tempestivita', giustificato da un percorso procedimentale che attribuisce effetti interinali-definitivi collegati agli atti del procedimento ma scollegati dal giudicato che sicuramente non e' sussumibile nel principio costituzionale di giusto processo (art. 111 Cost). Una giustizia senza giusto processo non porta ad una decisione giusta. La pronuncia estintiva del giudizio richiede comunque un'iniziativa di parte; ed in mancanza, non essendo configurabili poteri di ufficio in ordine all'esistenza dei requisiti richiesti dalla norma. 3) Violazione dell'art. 25 Cost. (Principio della precostituzione del giudice naturale). Pare anche attinente il parametro in riferimento all'art. 25 Cost., venendo in rilievo, la questione relativa alla precostituzione dei giudice. Infatti, il «giudice naturale precostituito per legge» e' quello competente in base agli ordinari criteri dettati dal codice di rito, tra i quali vi e' il foro stabilito per accordo delle parti ai sensi dell'art. 28 c.p.c., accordo che puo' realizzarsi anche successivamente all'instaurazione della lite, mediante un comportamento concludente, quale la mancata, intempestiva o incompleta proposizione dell'eccezione di incompetenza. Non puo' allora ritenersi costituzionalmente conforme al precetto dell'art. 25 Cost. la norma dell'art. 38 c.p.c., come vive nell'interpretazione consolidata della Corte di cassazione, in quanto rende sufficiente l'accordo di soltanto due delle parti in causa a radicare la competenza dinanzi a un giudice che non sarebbe competente in base agli ordinari criteri. Se l'art. 28 c.p.c. individua come «giudice precostituito per legge» anche quello adito su accordo delle parti, l'unico accordo, preventivo o successivo, non in contrasto con l'art. 25 Cost. e' quello tra tutte le parti in causa. Se una sola delle parti, o un terzo controinteressato subisce un processo dinanzi a un giudice diverso da quello individuato dalla legge, viene distolta dal «giudice naturale» e viene irragionevolmente limitata nel proprio diritto di difesa, in quanto non le e' consentito di esplicare attivita' difensiva volta ad ottenere che il processo sia trattato dal giudice competente in base agli ordinari criteri, si ha una irragionevolezza della compressione delle garanzie previste dagli artt. 24 e 25 Cost. Il precetto costituzionale implica che il giudice debba essere precostituito secondo criteri generali ed astratti stabiliti dalla legge, ma esclude che siffatti criteri possano essere formulati dal legislatore in relazione al contenuto della domanda che la parte, nella sua discrezionalita', decida di volta in volta di azionare. Il principio di precostituzione per legge del giudice naturale, di cui all'art. 25, comma, Cost., consente che la scelta del giudice resti rimessa ad una parte; in tema di riparto di giurisdizione il principio del giudice naturale, e' rispettato quando, la regola di competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della controversia. Nel caso di regolamento di competenza, il tribunale amministrativo, ove ritenga manifestamente fondata l'eccezione di incompetenza, non puo' accogliere l'istanza cautelare presentata dal ricorrente, essendo privo di potestas decidendi, essendo la causa trasmigrata davanti al giudice che fin dall'origine era competente in ordine alla controversia sia per la tutela cautelare, sia per quella di merito, competenze che - in linea di principio - devono ritenersi intimamente connesse, scindibili solo al fine di assicurare una tutela interinale immediata e provvisoria, idonea a salvaguardare gli effetti della futura pronuncia, cautelare o di merito, a seconda dei casi (Corte cost., 2 marzo 2005, n. 82). 4) Violazione degli artt. 24, 111 e 113 Cost., in riferimento all'impugnabilita' e al riesame. La norma non affronta neppure il delicato problema dell'impugnabilita' o del riesame del provvedimento giurisdizionale che sembrerebbe essere inimpugnabile una volta prodotti gli effetti del superamento delle prove. Si avrebbe una ordinanza sospensiva in un giudizio ancora in vita che non e' idonea a costituire il giudicato, ma produce effetti definitivi e quindi non e' impugnabile. Si avrebbe una situazione di immutabilita' definitiva non accompagnata dal giudicato perche' non effetto di sentenza e quindi insuscettibile di giudizio di ottemperanza. Ed infatti, il giudizio di ottemperanza concerne sentenze passate in giudicato, al fine di evitare che l'amministrazione possa arbitrariamente sottrarsi alle pronunce giurisdizionali (Corte costituzionale, 25 marzo 2005, n. 122). Viene a mancare alle parti la possibilita' del riesame, cioe' la loro impugnabilita', che sicuramente lascia il dubbio della correttezza costituzionale, essendo venuto meno il giudizio di merito che garantiva l'impugnabilita' garantito dall'art. 111 Cost. dal momento che l'efficacia era condizionata alla instaurazione della causa di merito, essa non e' fonte di una statuizione definitiva e decisoria e, dunque, non e' soggetta al ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. Ne' puo' ritenersi che il legislatore, nella sua discrezionalita', possa prevedere l'impugnabilita', ovvero escluderla, senza che tale scelta, oltre che irragionevole, possa comportare lesione dell'art. 24 Cost., dal momento che da essa discende, ove non fosse consentita l'impugnabilita', un potenzialmente grave ostacolo all'esercizio del diritto di azione garantito dal medesimo art. 24 Cost. (e in causa di irragionevole durata del processo: art. 111 comma 2 Cost.). Nell'ipotesi che la rivalutazione delle prove (riesame elaborati, interrogazione e formalita' conclusive) si concluda entro breve tempo, e' chiaro che non vi e' spazio per un appello avverso l'ordinanza cautelare. Ma, questa ipotesi contraddice il principio dell'appellabilita' dei provvedimenti cautelari e introduce sicuramente una disparita' di trattamento rispetto all' ipotesi in cui l'appello cautelare abbia bloccato in tempo la rivalutazione delle prove, non escludibile in via di principio. Diversamente opinando, si dovrebbe ritenere che l'appello stesso proposto dinanzi al Consiglio di Stato, debba essere rigettato, al fine di mantenere in vita il provvedimento di primo grado, verificandosi l'effetto estintivo, come per il giudizio di primo grado. Nel caso che non si concluda la procedura di rivalutazione, resterebbe da determinare il contenuto il giudizio di appello cautelare. Sembrerebbe scontato, secondo i principi generali, che il giudice di appello, debba accogliere tempestivamente l'appello e l'ordinanza cautelare impugnata ne risulterebbe caducata, con conseguente blocco delle operazioni concorsuali che fossero state nel frattempo avviate in forza dell'ordinanza stessa. La non garanzia del doppio grado di giurisdizione (111 e 113 Cost.), si porrebbe comunque in contrasto con i principi comunitari, che prevedono un doppio grado di giurisdizione, mirante a migliorare la tutela giurisdizionale dei singoli e a preservare la qualita' e l'efficacia della tutela giurisdizionale nell'ordinamento giuridico comunitario (Corte giustizia CE, 17 dicembre 1998, n. 185).