LA CORTE DI APPELLO

    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento a carico di
Fazzari  Francesco,  nato  a  Mammola (Reggio Calabria) il 1° ottobre
1926 (contumace), Fazzari Filippo, nato a Genova il 20 settembre 1951
(contumace);  Casanova  Federico,  nato  a  Finale Ligure (Savona) il
16 ottobre  1940 (contumace); Bonorino Fiorenza, nata a Finale Ligure
(Savona) il 21 febbraio 1936 (contumace) e Accame Eligio, nato a Tovo
San  Giacomo  (Savona)  il  12 novembre 1948 (gia' presente); Fazzari
Francesco,  Fazzari  Filippo,  Casanova  Federico, Bonorino Fiorenza,
imputati:
        A)  del  delitto  di  cui agli artt. 61, n. 5, 81 cpv., 110 e
434, commi 1 e 2 c.p., perche', in concorso tra loro ed in esecuzione
del  medesimo  disegno  criminoso,  Casanova e Bonorino, agendo quale
intermediario   anche   a  mezzo  della  S.r.l.  Consorzio  Artigiano
Ecosistem   in   seguito   denominata   Fumeco,  per  l'attivita'  di
smaltimento   di   rifiuti   tossico-nocivi   (composti   da  elevate
concentrazioni  di  benzene,  toluene,  cilene,  cromo  esavalente  e
piombo) provenienti da varie imprese situate sul territorio nazionale
ed  estero;  Fazzari  Francesco  e  Fazzari Filippo gestendo una cava
abusiva  di  materiale  lapideo  in localita' Pattarello che di fatto
veniva  utilizzata,  sfruttando  i profondi scavi realizzati mediante
l'attivita'  di  estrazione, quale copertura di una discarica abusiva
di  circa 20.000 fusti metallici contenenti i rifiuti de quibus e per
un quantitativo complessivo pari a circa 13.000 tonnellate di rifiuti
speciali che venivano direttamente interrati senza alcuna precauzione
di  sorta),  nonche' adoperandosi per il materiale di occultamento di
ulteriore  analogo  materiale  tossico-nocivo,  che  veniva interrato
presso le discariche comunali site in localita' Casei, Zerbetti ed ex
Fumeco  e  per  un  consistente  ancorche'  imprecisato  quantitativo
complessivo;  con l'aggravante di aver approfittato di circostanze di
tempo  e di luogo tali da ostacolare la pubblica e privata difesa, in
parte agito di notte per i lavori materiali di interramento presso le
pubbliche discariche;
        B)  del  delitto  di  cui agli artt. 56, 81 cpv. e 110 e 439,
comma  1  c.p.,  perche',  in  concorso  tra  loro  in esecuzione del
medesimo  disegno  criminoso, ponendo in essere la condotta di cui al
capo  A),  compivano  atti  idonei  diretti  in  modo non equivoco ad
avvelenare  le acque dei rii Pattarello, Bottasano e Maremola nonche'
delle  relative  falde acquifere destinate, tramite i vicinari pozzi,
all'alimentazione umana (prima che le stesse venissero attinte per il
consumo)  e  non  riuscendo nell'intento per causa indipendente dalla
propria volonta', costituita dallo stato dei luoghi di interramento e
dalle    caratteristiche    dei   contenitori,   tali   da   arginare
temporaneamente  la  capacita' inquinante dei rifiuti tossico-nocivi,
nonche'  dalla  successiva scoperta dei medesimi da parte della p.g.;
con  la  recidiva  reiterata per Fazzari Francesco e quella specifica
per Fazzari Filippo.
    In  Borghetto  S.  Spirito, Magliolo Andora e Tovo S. Giacomo dal
1982 al 1991 e fatti accertati nell'aprile 1992.
    Accade, imputato:
        F)  del  delitto  di cui agli artt. 61, n. 2, 81 cpv. e 479 -
476  1  2 c.p., perche', in tempi diversi e con piu' azioni esecutive
del medesimo disegno criminoso, alfine d'eseguire il delitto di abuso
di  ufficio di cui al capo D) (stralciato) del decreto che dispone il
giudizio  del  2 marzo  1997,  attesa  la  sua  qualita'  di sindaco,
emettendo  due  ordinanze  sindacali contingibili e urgenti, ai sensi
dell'art. 12  del  d.P.R. n. 915/1982, attestava falsamente fatti dei
quali   i  detti  atti  erano  destinati  a  provare  la  verita'  e,
segnatamente,  nella  prima  (n. 2/1991)  la sussistenza di un parere
espressamente  qualificato  come  favorevole  dell'USL  n. 5  e nella
seconda (n. 1/1992) indirettamente qualificato tale.
    In Tovo S. Giacomo fino al 24 febbraio 1992.
    Il  Tribunale  di  Savona,  con  sentenza  in data 9 aprile 2001,
assolveva i predetti perche' il fatto non sussiste.
    Con  atto  di  appello  in  data 8 novembre 2001 il p.m., la P.C.
Ministero  dell'ambiente,  la  P.C.  Regione  Liguria,  la P.C. World
Wildlife Fund e la P.C. Associazione Italiana Legambiente impugnavano
la  sentenza  del  tribunale  di  Savona in data 9 aprile 2001 con la
quale Casanova Federico, Fazzari Francesco, Fazzari Filippo, Bonorino
Fiorenza   e  Accame  Eligio  erano  stati  assolti  dai  reati  loro
rispettivamente scritti perche' il fatto non sussiste.
    La  sentenza impugnata esaminava l'imputazione di cui al capo A),
premettendo   un   esame   del   concetto   di   disastro  inteso  in
giurisprudenza  come  un  evento  di  danno  che  espone  a  pericolo
collettivo   con   effetti   gravi  complessi  ed  estesi  un  numero
indeterminato  di  persone;  ritenendolo  un  delitto  a consumazione
anticipata  senza che sia necessario il prodursi dell'evento dannoso;
e  l'ipotesi  di  cui al capo B) per cui chi avveleni acque destinate
all'alimentazione e' punito anche prima che le stesse vengano attinte
senza  la prova di un effettivo pericolo per le persone. Il tribunale
quindi  non riteneva configurabile il tentativo, perche' l'univocita'
della  condotta  implica  che  all'agente puo' essere attribuito solo
l'evento  che  debba  considerarsi  previsto e voluto, e, nel caso in
esame,  il  dolo  indiretto desumibile dalla condotta contestata, era
incompatibile con la fattispecie di cui all'art. 56 c.p.
    La  sentenza  ricostruiva  quindi  i  fatti  in primo luogo sulla
scorta delle dichiarazioni di Fazzari Filippo che aveva detto di aver
ricevuto  da  Casanova  Federico  nel  1983  l'incarico  di prelevare
dall'area  sita in Andora, detta «ex Fumeco» e dall'area sita in Tovo
S.  Giacomo,  loc.  Zerbetti  circa 10.000 fusti provenienti da varie
imprese  che  vennero  trasportati  e  interrati nella cava Fazzari e
altri  nelle  discariche  di  Tovo,  Magliolo e ex Fumeco, per cui il
Fazzari ne avrebbe sotterrati circa 2 o 3000 a Magliolo, un centinaio
ad Andora e 10 o 15.000 a Tovo S. Giacomo. Cio' dietro compenso.
    La sentenza inoltre richiamava la deposizione del teste ispettore
Iberto  che  aveva  detto  di  aver rinvenuto nella cava di Borghetto
Santo  Spirito  un  lago  di  sostanza maleodorante fuori uscente dal
costone  di  roccia franato, sostanza che i tecnici della Usl avevano
indicato  come  tossico-nociva. Altresi' vennero rinvenuti dei sacchi
di  carta da 25 chili l'uno con la denominazione «cromato di piombo»,
e  circa  20.000 fusti dai quali fuoriusciva un odore nauseabondo che
aveva causato malori ai colleghi dell'ispettore.
    Per  quanto  riguarda  il  sito  di  Tovo San Giacomo il teste ha
parlato  di  1576  fusti contenenti metalli pesanti, cianuri, fenoli,
solventi clorurati, TBC, pesticidi e altro.
    Quanto  alla  cava  Fazzari,  il teste Causa Renato, che vi aveva
effettuato  dei  trasporti  di  circa 200-250 fusti, aveva parlato di
terre sporche di olio combustibile o gasolio e aveva detto che si era
poi rifiutato di proseguire nell'attivita'.
    Il consigliere di minoranza nel Comune di Tovo, Folco Nicolina ha
parlato  di  un  costante via vai di camion anche nelle ore notturne,
camion che perdevano liquami.
    Il  teste  Cesio  Gianni, membro del comitato ecologico della Val
Maremola  ha  ricordato  il  transito  di mezzi verso la discarica di
Zerbetti,  che  trasportavano  fusti  in  enorme quantita', del tutto
incompatibile  con  le  possibilita'  di  smaltimento  dei  forni che
funzionava anche 24 ore al giorno.
    Il teste Giustini Andrea operaio presso la Fumeco fino al 1986 ha
ricordato  di aver visto centinaia di fusti sul piazzale della Fumeco
e  ha  ricordato  che  era la ditta Fazzari a occuparsi dei lavori di
movimentazione  della  terra  all'interno  del piazzale e di caricare
questi  fusti  sui  camion,  cosi'  come  l'altro  dipendente Puglies
Crescenzo  dal 1984 ha detto di aver visto arrivare ad Andora qualche
centinaio di fusti da due quintali l'uno.
    Per  quanto  riguarda  la  discarica  di  Magliolo il teste Pesce
Ignazio  consigliere  comunale fino al 1983 ha detto di aver visto il
Casanova nel 1980 o 1981 scaricare con tre o quattro operai muniti di
maschera  liquami  da  un'autobotte versandoli in una buca e di avere
visto una ventina di fusti dentro la discarica.
    Il  teste  Aramini, che gesti la discarica fino al 1981, ha detto
di avere visto scaricare liquami che egli interrava.
    Roncelli  Giancarlo,  infermiere  ospedaliero,  ha  ricordato  di
essere  stato  chiamato  da  alcuni  abitanti  di  Magliolo,  che  si
lamentavano  di  fumi  acri  provenienti  dalla  discarica  e di aver
constatato che questi davano fastidio a respirare e di aver visto poi
sui  fusti  di  legno  l'immagine  di un grosso teschio nero su fondo
giallo  e di aver rinvenuto un enorme lago di 40 metri quadrati circa
ai  piedi della discarica e di averne portato un campione all'ufficio
igiene di Savona che rilevo' zinco rame e ferro.
    Il  teste Scaletta Gianpiero, palista escavatorista, ha ricordato
che  fra  il 1987 e il 1988 trovo' 4 5 fusti che contenevano una roba
giallastra  emanante  un  odore  che  gli  diede il vomito e che egli
ricevette l'ordine di sotterrare.
    La  sentenza quindi aveva preceduto a verificare se fossero state
eseguite  analisi chimiche sulle sostanze rinvenute all'interno delle
singole discariche e aveva preceduto ad esaminarne gli esiti.
    Pertanto  quanto  alla Cava Fazzari, ha detto che dalla relazione
del  16  aprile 1992 della Usl 5 Finalese, emergono dieci prelievi di
una  sostanza  rinvenuta  in  una  pozza  e  un  campione di sostanza
polverosa  color  antracite  prelevata  da  un  fusto  metallico e un
residuo  di materiale cartaceo imbevuto di sostanza sconosciuta color
giallo.  Ebbene,  rileva  il primo giudice, le analisi effettuate dai
c.t.  del  p.m. nella relazione del 9 maggio 1992 avevano evidenziato
che  in  soli  cinque  campioni  su  dieci  prelevati  erano presenti
sostanze  tossico nocive (benzene, toluene, piombo, cromo esavalente)
in  concentrazioni  superiori  al  limite di legge. Ancora effettuati
dalla  Usl  prelievi in alcuni pozzi posti a valle della discarica vi
sarebbe  stato un esito negativo quanto al pozzo 2 in localita' Orto,
come  nei  pozzi  e  5 e 7 di via Campo Sportivo, mentre dal pozzo 18
Ponte  Autostrada  il  tetracloroetilene  sarebbe  stato inferiore al
limite  di  legge  e  negativi  anche altri campioni prelevati da una
pozza vicino al piazzale silos di carico.
    In  data 29 maggio 1992 su incarico del Comune di Borghetto Santo
Spirito  nelle  discariche  venne trovato il tetracloroetilene, ma in
concentrazioni  inferiori  al  limite di legge e i tecnici incaricati
dissero  che  cio'  non  dipendeva  dalla  discarica,  altrimenti  si
sarebbero contaminate le falde anche con altre sostanze inquinanti.
    In  data  4 novembre 1992 il servizio igiene pubblica della Usl 5
affermava  che era stata trovata la presenza nei pozzi Boissano, loc.
Loree,  SLA  loc. Grascee e Loano nella valle Varatela dove sbocca il
rio Pattarello, di organo alogenati, in quantita' inferiore ai limiti
del   d.P.R.   n. 236/1981,   ma   comunque   indesiderabili  perche'
riconducibili  al  tetracloroetilene,  ma  riteneva  che la discarica
abusiva fosse il fattore potenziale massimamente inquinante.
    Il  primo  giudice  peraltro  affermava  che solo cinque campioni
relativi  alla  cava  Fazzari  erano stati positivi e soltanto per il
tetracoloroetilene.
    Quanto  alla  discarica  loc.  Zerbetti  a  Tovo  San Giacomo, la
sentenza  rilevava  come  l'argomentazione  fosse  scarsa, come il 17
luglio  1992 i tecnici della Usl 5 l'avessero rinvenuto fusti, che il
17  febbraio  1994  il  servizio igiene pubblica della Usl 2 savonese
avesse  rinvenuto  tre  campioni  classificati come rifiuti speciali,
n. 4232, 4233, 4234.
    Quanto  all'area  ex Fumeco di Andora il primo giudice parlava di
un  solo  documento  utile  relativo  al reinfustamento in 1532 nuovi
contenitori  del  contenuto  dei fusti rinvenuti a cielo aperto e del
rinvenimento  nelle  trincee  esplorative del piazzale teste di venti
fusti e quali la concentrazione degli inquinanti era sempre inferiore
ai  limiti  fatte  salve poche eccezioni relative a solventi organici
nello scavo T3 e a solventi clorurati rinvenuti dei fusti interrati.
    Circa  la  discarica di Magliolo la sentenza impugnata richiamava
la  perizia del 19 dicembre 1984 del pretore di Finale Ligure secondo
la  quale  il  sito era idoneo per la discarica essendo il sottosuolo
poco permeabile mentre il percolato della discarica metteva a rischio
la  presa acquedotto di Tovo sita in alveo Maremola a 1750 m. a valle
del  punto  di  immissione  nel  fiume  del  percolato, ma le analisi
chimiche erano negative.
    Dalla relazione 30 gennaio 1987 della Usl 5 finalese emergeva che
i rifiuti erano di provenienza domestica.
    Infine la perizia del G.i.p. del Tribunale di Savona e in data 11
febbraio  1997, depositata il 22 dicembre 1997 richiamava rilevazioni
eseguite  tra il 29 luglio 3 agosto dello stesso anno che non avevano
accertato  masse,  fusti  e  contenitori  come  in  altra  area della
discarica,  come  quella  dell'8/10  settembre  stesso anno, e quanto
all'esame    delle    acque    sotterranee    lungo   la   direttrice
discarica-risorgenza    Rue',   non   erano   emerse   concentrazioni
apprezzabili di ammoniaca, cloruri, solfati.
    Il  primo  giudice  quindi riteneva che non fosse emersa la prova
certa, in assenza di dati certi sulla presenza, la composizione delle
sostanze,  la  potenza  inquinante,  la  capacita'  di  penetrare nel
terreno,  la  velocita'  di infiltrazione; e quanto alla composizione
del  terreno  per  quanto attiene alla permeabilita', ne' certezza su
ciascun  componente  in relazione alle condizioni di occultamento, al
tipo  di recipienti utilizzati per lo stoccaggio e alle condizioni di
conservazione di tali recipienti. E cio' per la cava Magliolo.
    Ne  conseguiva  inoltre  che  per  la  cava  Fazzari  i risultati
positivi  su  soli  cinque  campioni  non  consentiva di affermare un
pericolo  per  l'aria,  il  terreno,  la  flora, la fauna, il sistema
ecologico.
    E ancora piu' il tentativo di avvelenamento delle falde acquifere
non  era  provato,  non  essendo  stata  accertata  la presenza degli
inquinanti  nelle acque monitorate per la discarica di Magliolo e per
quella di Zerbetti.
    Altresi'  il  decreto  del Pres. Cons. min. 28 maggio 1992 con il
quale  era  stato dichiarato lo stato d'emergenza per fronteggiare il
pericolo  del  rinvenimento in alcuni comuni della regione Liguria di
rilevanti  quantita' di rifiuti tossico nocivi in discariche abusive,
non essendo supportato da dati tecnici che individuassero le sostanze
inquinanti, il grado di tossicita', i rii interessati a tali sostanze
e  la  presenza  di  falde destinate all'alimentazione al disotto e a
valle  di  tali  discariche, nonche' dati certi di agenti inquinanti,
non era significativo per provare il fatto.
    Ne  discendeva  quindi, secondo primo giudice, il proscioglimento
di  Fazzari  Filippo  e  Francesco,  di  Bonorino Fiorenza e Casanova
Federico.
    Quanto  all'imputazione a carico di Accame Eligio, la sentenza ha
ritenuto  che  trattasi  di fattispecie multipla a condotta tipica, e
quella  in  esame  sarebbe  consistita  in  una  richiesta  di parere
preventivo ai fini della emissione di un provvedimento urgente per la
creazione  di  una  discarica temporanea per rifiuti speciali in loc.
Suia,  da  parte  del  Sindaco  di  Tovo San Giacomo al Direttore dei
servizi  di  igiene pubblica della Usl 5 finalese, e cio' nell'ambito
delle   sue   competenze,   dovendo   egli   emettere  una  ordinanza
contingibile   e  urgente  in  materia  di  smaltimento  dei  rifiuti
accompagnata  dal  parere  degli  organi  tecnici  locali. Ebbene, la
sentenza  rilevava  come  ha  Usl 5 avesse risposto in data 13 luglio
1990,  tenuto  conto  dei  rilievi  ispettivi  e della documentazione
fotografica  presentata,  e  affermava  che  sussisteva  lo  stato di
necessita'  della  raccolta  e  lo  smaltimento  di  questi  rifiuti,
cosicche'   il   20   luglio  1990  il  sindaco  metteva  l'ordinanza
n. 15/1990,  con  la  quale  richiamava il parere favorevole espresso
dall'Ufficio  sanitario,  e  disponeva  i  lavori  di approntamento e
gestione di questa discarica.
    Presentato  dal  Comune  di  Borgio  Verezzi ricorso al Tribunale
amministrativo   regionale   contro   tale  ordinanza,  il  Tribunale
amministrativo  regionale  la  sospendeva,  ma il 19 febbraio 1991 la
Commissione  lavori  pubblici  e ambiente del Comune di Tovo emetteva
una  seconda ordinanza per completare la detta discarica e cio' sulla
base  dei  risultati  di  uno  studio tecnico geologico della geologa
Bellini  e il sindaco emanava l'ordinanza n. 2/1991 con la quale dava
avvio  alla  gestione  della  discarica  in  oggetto «visto il parere
favorevole  della  Usl  5» e questa volta il Tribunale amministrativo
regionale  sul  ricorso  del  Comune  di  Borgio  Verezzi  negava  la
sospensione.
    Ebbene   l'ufficio   d'igiene  in  data  7  marzo  1991  invitava
l'imputato  a  modificare  la  sua  ordinanza  perche'  il parere che
l'imputato  aveva  richiamato  non  era  stato  favorevole,  ma aveva
attestato  soltanto  l'esistenza  dello  stato  di  necessita'  della
raccolta  dei  rifiuti.  Tuttavia  allo scadere dell'ordinanza 2/1991
imputato  nei  metteva  un'altra, n. 1/1992, in cui veniva richiamato
ancora il parere della Usl.
    Il  primo  giudice  quindi  rilevava  come  la  tesi  accusatoria
riguardasse  l'aver falsamente attestato nell'ordinanza 2/1991 che il
parere  della Usl fosse qualificato come favorevole, e nell'ordinanza
1/1992 lo fosse solo indirettamente, ma in entrambi i casi l'imputato
avesse  coscientemente  e  volutamente  a  richiamato  un presupposto
necessario per l'emanazione ma non sussistente, configurando cosi' il
falso ideologico.
    La  sentenza,  viceversa,  analizzando  la  risposta  della Usl 5
finalese aveva detto che in essa v'era una valutazione positiva circa
la   necessita'   di   adottare   soluzioni   immediate  al  problema
dell'abbandono sconsiderato sul territorio di rifiuti solidi urbani e
assimilabili per cui essa era qualificabile come parere favorevole.
    Non solo, ma la comunicazione della dirigenza del servizio igiene
pubblica  all'imputato  in  data 7 marzo 1991, sebbene affermasse che
quel  parere  non era favorevole, affermava anche che quella nota era
funzionale ad attestare l'esistenza di uno stato di necessita' per la
raccolta   e   lo  smaltimento  dei  rifiuti  e  quindi  in  sostanza
corrispondente  a  un  concetto  di  parere  favorevole,  talche'  il
richiamarsi a tale parere non integrando il reato contestato.
    Con   la   sua   impugnazione  il  procuratore  della  Repubblica
contestava  l'assunto del primo giudice per cui il delitto tentato di
cui al capo B) non sarebbe compatibile con l'elemento psicologico del
dolo  indiretto,  perche' il giudizio di pericolo risolvendosi in una
prognosi   ex  ante  attiene  alla  probabilita'  che  la  situazione
considerata  produca l'evento temuto. Ne consegue che l'avvelenamento
delle  acque si caratterizza per l'immissione di sostanze tossiche in
qualunque  cosa  qualora  sia  potenzialmente  nocivo alla salute. Ne
consegue  quindi  che la commissione del fatto, accettando il rischio
altamente  probabile  dell'evento, e' condotta volontaria compatibile
con il delitto tentato in termini di dolo diretto non intenzionale.
    Analogamente   nel   suo  atto  di  appello  agli  affetti  della
responsabilita'  civile  la Regione Liguria lamentava che la sentenza
non   avesse   indagato   di   dolo   diretto   non  intenzionale  in
considerazione  dell'imponenza  dello sversamento dei rifiuti tossici
nocivi  in  immediata  contiguita'  dei  torrenti  e  falde acquifere
suscettibili   di   contaminazione,   come  altresi'  emergeva  dalle
ordinanze  di numerosi Enti come il Comune di Borghetto Santo Spirito
che dopo apposite analisi avevano vietato il consumo alimentare delle
acque dei loro acquedotti.
    Quanto  al reato sub a) e pure per il reato sub b) il Procuratore
della  Repubblica  contestava  l'assunto  del  primo  giudice per cui
l'elemento  oggettivo  non  sarebbe  stato provato, e la parte civile
Regione Liguria richiamava Sez. I, 16 aprile 1987, n. 175744, per cui
la  inidoneita' degli atti, tale da configurare un reato impossibile,
deve  essere assoluta e cio' quando il mezzo strumentale non consenta
neppure una situazione eccezionale del proposito criminoso, mentre il
pericolo per la pubblica incolumita' deve essere considerato sotto il
profilo  potenziale  indipendentemente  da  ogni altro evento esterno
sopravvenuto.
    Sul  piano  fattuale,  piu'  esattamente,  il  Procuratore  della
Repubblica  lamentava  che  il  primo giudice non avesse esaminato la
numerosa  documentazione tra cui il verbale della Regione Liguria del
13 febbraio 1985 e il fatto che dall'istruttoria dibattimentale fosse
emerso  che  la Fumeco ex Ecosistem potesse smaltire soltanto le 1500
tonnellate   all'anno  di  rifiuti  tossico  nocivi  e  non  le  5000
dichiarate da Neerfeld e da Bonorino.
    Lamentava inoltre che il tribunale non avesse apprezzato il fatto
notorio  che  i  rifiuti  illecitamente smaltiti a causa del fenomeno
della  corrosione  termica  interna  dei recipienti di ferro, fossero
destinati a fuoriuscire inondando il sottosuolo.
    Rilevava  come il fenomeno non fosse stato contestato neppure dai
difensori degli imputati e d'altronde erano altamente significativi i
lavori  di bonifica costati 8 miliardi nella ex cava Fazzari, come il
contenuto  del  decreto  del Presidente del Consiglio dei ministri in
data  28  maggio  1992  con il quale era stato dichiarato lo stato di
emergenza  per fronteggiare il pericolo derivante dal rinvenimento in
alcuni comuni della Regione Liguria di rilevanti quantita' di rifiuti
tossico   nocivi  in  discariche  abusive  e  quanto  espresso  nella
relazione  25  maggio  1992  del  Ministro  dell'ambiente relativo al
contratto  di appalto con le ditte che procedettero alla bonifica per
la  messa  in sicurezza dei rifiuti tossico nocivi rinvenuti nel sito
di Borghetto Santo Spirito, nell'area ex Fumeco di Andora e in quella
di Tovo San Giacomo, loc. Zerbetti.
    Chiedeva  quindi  la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale
per  accertare  la natura e la pericolosita' delle sostanze ritrovate
mense  sicurezza  anche in relazione alle modalita' con quelle stesse
vennero stoccate ed interrate.
    Nel suo atto di impugnazione il Ministero dell'ambiente lamentava
che  il primo giudice avesse sottovalutato gli esiti dell'istruttoria
dibattimentale  e  a  rilevava  che  il  decreto della Presidenza del
Consiglio   dei   ministri   sopra  citato  fosse  un  mero  atto  di
amministrazione  attiva  emesso  a  seguito  dell'accertamento di una
situazione  di pericolo sulla base degli elementi tecnici e obiettivi
acquisiti,  privo  di  rilevanza  politica  e  tale da evidenziare la
necessita' di disporre d'ufficio le perizie necessarie a confermare o
meno  i  dati  risultanti  all'amministrazione  dell'ambiente  e alla
Protezione  civile, cioe' l'astratta idoneita' delle sostanze tossico
nocivi ritrovate a integrare la fattispecie criminosa del disastro di
cui all'art. 434 codice penale.
    Nel  suo  atto  di  appello  la  Regione  Liguria  richiamava  le
dichiarazioni  confessorie  e  accusatorie  dell'imputato  Fazzari  e
quanto   dichiarato  dal  teste  Iberto,  peraltro  richiamate  dalla
sentenza  impugnata,  che  contrastavano con la conclusione del primo
giudice che aveva svalutato l'esito delle analisi positive sui cinque
campioni  della  cava  Fazzari,  impropriamente  raffrontate  con  le
migliaia  di  fusti rinvenuti perche' le campionature furono soltanto
dieci,  talche'  l'esiguita'  dei  prelevamenti effettuati non poteva
escludere  la  rilevanza  dell'enorme  quantitativo  di  sacche fusti
interrati  e dell'apocalittica descrizione del luogo resa dalle teste
Iberto all'udienza del 26 maggio 2000.
    Quanto   alla  discarica  di  Magliolo  l'appello  richiamava  la
deposizione  dei  testi  Roncelli  e  Scaletta  resa  all'udienza del
5 ottobre  2000,  peraltro  richiamate  dalla sentenza impugnata, che
viceversa  rispetto  a  quanto  assunto  dal primo giudice, trovavano
riscontro  nel  d.P.C.m.  del  28  maggio  1992 e nella relazione del
Ministro  dell'ambiente  del  25 maggio 1992, l'equivalenza non e' di
natura politica ma tecnica.
    Richiamava quindi l'entita' degli interventi di bonifica per Lit.
8  miliardi  stipulati con la ATI Castaglia - Iritecnica e CO.GE.LI e
la  spesa  di  4  miliardi  e  mezzo  di lire sostenuta dalla regione
Liguria per i soli anni 1992-1994.
    Altresi'  venivano  richiamati gli altri dati acquisiti nel corso
dell'istruttoria dibattimentale.
    Quanto  poi  alla  ascrivibilita'  dei  reati  sub  a)  e b) agli
imputati  Fazzari  Francesco e Fazzari Filippo venivano richiamate le
deposizioni  del  teste  Pesce  Ignazio  all'udienza  5 ottobre  2000
(p. 16)  e  Aramini Mario (p. 40) e e' evidenziata la responsabilita'
del  secondo per la confessione e del primo che gestiva con il figlio
la   cava   essendo   necessariamente  consapevole  della  illiceita'
dell'interramento dei rifiuti tossici nocivi.
    Quanto al Casanova il teste Causa Renato all'udienza del 7 giugno
2000  lo  identificato  come  colui che agiva in concorso con Fazzari
Francesco,  e  per  la  chiamata  in  correita'  di  Fazzari Filippo,
avvalorata  dai  continui  contatti del Casanova latitante all'estero
per  fatti  analoghi  a  quelli  per  cui  e'  processo, e perche' il
Casanova in data 1° agosto 1983 stipulo' fra la Ecosistem e la Fumeco
un   contratto   di   affitto  di  aziende  utile  per  scaricare  le
responsabilita'  inerenti  ai  fatti  per cui e' processo sui pretesi
affittuari dell'azienda, cioe' sui coniugi Neerfeld/Bonorino.
    Analogamente  sarebbe  emersa  la  responsabilita' della Bonorino
Fiorenza  che  curava  la  gestione  amministrativa  della  Fumeco  e
intratteneva  tutti  i rapporti relativi allo smaltimento dei rifiuti
tossico  nocivi  che  i forni della Fumeco non riuscivano a smaltire,
anche  perche'  ex art. 2562 in relazione all'art. 2561 cod. civ., il
latitante  ha  poteri  di  controllo sull'azienda affittata, limitati
alla    destinazione   e   al   modo   di   conservare   l'efficienza
dell'organizzazione  degli impianti e le normali dotazioni di scorte,
senza potersi ingerire nella gestione dell'azienda medesima.
    Tuttavia, cio' nonostante, il Casanova anche dopo tale contratto,
come  ha  detto il teste De Benedetti all'udienza del 4 ottobre 2000,
continuo' a esercitare poteri sull'attivita' gestionale dell'azienda,
dicendo  che i coniugi Neerfeld-Bonorino, erano alquanto inesperti in
relazione  alla materia trattata dall'azienda e nonostante il formale
gestore dell'azienda per conto di Casanova Federico fu lui a rimanere
l'amministratore   della   Ecosistem,   interessandosi  di  tutte  le
attivita'    dell'azienda    sul    bene    assunto    dai    coniugi
Neerfeld-Bonorino,  con  il  compito di tenere contatti tra loro e il
Casanova  latitante  all'estero.  Ne consegue quindi che Casanova era
consapevole e si occupava dell'attivita' dell'azienda aspettata.
    E ancora la responsabilita' del Casanova sarebbe desumibile dalle
dichiarazioni dell'imputata Bonorio.
    Circa  il  capo  F)  il  Procuratore  della  Repubblica  eccepiva
l'errore  del  primo  giudice che non aveva neppure preso in esame la
pronuncia  giurisprudenziale  del Tribunale amministrativo regionale,
che aveva censurato i provvedimenti emessi dall'imputato Accade.
    Infatti  il  presupposto  delle  ordinanze  in  questione  era il
carattere  di  eccezionalita'  ed  urgenza,  mentre  l'imputato aveva
illecitamente  richiamato  i  pareri  necessari  per  emettere le sue
ordinanze  onde  sostenere  la  costruzione  di una mega discarica in
grado  di  raccogliere  gratuitamente per il comune di 1500 abitanti,
che  nulla  sapevano,  ma  con gran guadagno per le proprie societa',
fino  a  300.000  tonnellate di rifiuti speciali. Ebbene, rilevava il
procuratore nel suo atto di appello, la nota tecnica della Usl negava
la  situazione  di  urgenza e parlava solo della necessita', e negava
anche   il   presupposto  della  eccezionalita',  per  cui  il  primo
provvedimento  contestato richiamava un parere favorevole, in termini
di  urgenza  e di eccezionalita', che non era tale e cio' addirittura
in  violazione del provvedimento del giudice amministrativo in data 7
marzo  1991. E cio', nonostante la Usl avesse sollecitato l'imputato,
e  in  data  7 giugno 1991 lo avesse fatto il presidente della giunta
regionale,   ma  inutilmente  perche'  l'imputato  emise  la  seconda
ordinanza  con la quale aveva richiamato la sua precedente, lasciando
intendere che il parere richiamato fosse ancora favorevole.
    La  rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per accertare la
natura  e  la  pericolosita'  delle  sostanze era chiesta anche dalle
altre  due parti civili che avevano proposto, come si e' detto sopra,
appello incidentale.
    Nelle  more della trattazione di questo processo in secondo grado
e' entrata in vigore la legge 20 febbraio 2006, n. 46, che ha escluso
il potere della parte pubblica di impugnare con il mezzo dell'appello
le  sentenze  di  proscioglimento,  salvo  il caso qui non pertinente
della  prova  nuova  scoperta  nel periodo che va dalla deliberazione
della   sentenza  di  primo  grado  alla  scadenza  del  termine  per
impugnare, cosi' innovando l'art. 593 c.p.p.
    Tale   legge   ha   pure  espressamente  disciplinato  il  regime
transitorio,   differentemente   da   quanto   era  accaduto  con  la
provvisoria  modificazione  introdotta  allo  stesso  art. 593 c.p.p.
dall'art. 18,  legge  24 novembre  1999,  n. 468, prevedendo al primo
comma dell'art. 10 l'applicazione anche ai procedimenti in corso alla
data  della sua entrata in vigore, e quindi prevedendo ai commi 2 e 3
le  modalita'  della  dichiarazione di inammissibilita' degli appelli
avverso  le  sentenze di proscioglimento non definiti, e una sorta di
restituzione  nei  termini per proporre, in tali casi, il ricorso per
cassazione.
    Il  procuratore  generale,  all'udienza  del  28  aprile  2006 ha
sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 593,
secondo  comma  c.p.p.,  cosi'  come  modificato  dall'art. 1,  legge
20 febbraio  2006, n. 46 e 10 della stesa legge, in relazione con gli
artt. 3,  24, primo comma, 111, primo, secodo, sesto e settimo comma,
112  della  Costituzione  in quanto non consentono l'appello del p.m.
avverso le sentenze di proscioglimento.
    Le parti hanno concluso come in atti.
    All'esito della discussione la Corte osserva:
        Deve   aversi   riguardo,   in   primo  luogo,  al  principio
costituzionalmente fissato, per cui la Corte di cassazione e' giudice
di  legittimita' e non di merito, per cui lo sconfinamento nel merito
introdotto dalla legge n. 46/2006 che ha novellato l'art. 606 c.p.p.,
consente  solo  un limite di controllo dell'applicazione delle regole
legali   di   motivazione  e  di  giudizio  come  disciplinato  dagli
artt. 190,  192,  526  e  546,  comma 2  c.p.p., quanto ai criteri di
valutazione della correttezza di una razionale motivazione di fatto.
    Ne consegue che la Cassazione non puo' esercitare un controllo su
errori  di  giudizio  che  dipendano  da  profonda incomprensione del
valore  e  del  significato  delle  prove,  dall'appiattimento  sulle
risultanze  del  contraddittorio  tra  le  parti  in  violazione  del
principio  per  cui  nel  nostro  processo  il giudice ha comunque il
dovere  di  ricercare  la  verita'  e  di  stimolare ulteriormente il
contraddittorio  a  questi fini, da mancata estensione delle indagini
imposta  dai  risultati  della  prova,  dalla mancata esplorazione di
altri  percorsi  cognitivi  che  i  risultati  della  prova avrebbero
consentito,  dal  mancato  approfondimento  dell'attendibilita' della
prova,  al  di  la'  dei  consueti  schemi  di  valutazione  che  non
costituiscono  un  numero  chiuso,  e  cosi' via seguitando lungo una
casistica  amplissima.  E quindi la limitazione del potere di appello
del  p.m.  di cui all'art. 593 c.p.p. novellato e' limitazione che si
riverbera sul controllo degli errori di giudizio sopra indicati.
    Tanto  premesso,  in  secondo luogo, avendo riguardo al principio
costituzionalmente  garantito  del  contraddittorio  in condizioni di
parita'  di  cui  al  secondo comma dell'art. 111 Cost., che la Corte
costituzionale,   quanto   all'impugnazione,   non  ha  pero'  sempre
garantito simmetricamente al pubblico ministero rispetto al potere di
impugnazione  dell'imputato,  atteso  che  «La  diversita' dei poteri
spettanti   ai  fini  delle  impugnazioni,  all'imputato  e  pubblico
ministero,  e' giustificata dalla differente garanzia rispettivamente
loro  assicurata  dagli  artt. 24  e  112  della  Costituzione» (cfr.
sentenza  Corte  cost.  n. 98  del  1994), deve evidenziarsi che tale
principio   si  pone  in  relazione  con  quello,  costituzionalmente
garantito, che, di tale processo, «La Legge e assicura la ragionevole
durata».
    Ebbene,  deve  allora  evidenziarsi  come,  se,  da  un  lato, le
limitazioni   al   potere   di   appello   del  p.m.,  erano  imposte
dall'obiettivo  primario  di  una  rapida  e  completa definizione di
alcune  tipologie di processi svoltisi in primo grado, dall'altro, il
concetto  di «ragionevole» durata, e non di «breve» durata, impone di
chiarire  che  il  concetto  di «ragionevolezza», introdotto altresi'
nell'art. 533   c.p.p.   dall'art. 5,   legge   n. 46/2000,   attiene
strettamente  a quello di giustizia sostanziale, per cui la decisione
presa  dal  giudice  di  merito,  non  deve  solo essere «giusta», ma
«ragionevolmente»  giusta,  atteso  che  l'accertamento  del processo
penale   e'   sottoposto  a  logica  argomentativa  e  non  a  logica
dimostrativa,  per cui l'affermazione di responsabilita' non richiede
un'impossibile  certezza,  ma  soltanto  un'elevatissima probabilita'
della  fondatezza  dell'accusa,  talche',  e  proprio  per questo, e'
esposto agli errori sopraevidenziati.
    E  infatti il sistema costituzionale, come emerge dal concetto di
«ragionevole durata», non e' indifferente al risultato del processo.
    Ma  poiche' il risultato del processo e' tale da rispondere anche
alle  esigenze  di  equilibrio  degli  interessi  contrapposti  della
collettivita'  e  delle  vittime  del  reato,  qualora la sentenza di
proscioglimento  sia  il  frutto di uno dei detti errori sottratti al
controllo  della  Corte  di  cassazione, ne consegue che, nella nuova
formulazione  dell'art. 593  c.p.p.,  anche  la  collettivita'  e  le
vittime   del  reato  vedono  vanificati  i  poteri  loro  attribuiti
dall'art. 572  c.p.p.,  al  perseguimento di una decisione finale che
elida  il piu' possibile la forbice tra verita' processuale e verita'
sostanziale,  in  un contesto di ragionevole durata ed efficienza del
processo.
    Ne  consegue  che  l'introduzione  di  una  selezione  di  regime
giuridico   fondata  su  scelte  arbitrarie  che  turbano  il  canone
dell'uguaglianza  di  cui  all'art. 3  Cost.,  incide sul giudizio di
ragionevolezza, cosi' come ha affermato la Corte costituzionale nella
sentenza  n. 89  del  1996, per cui «la disamina della conformita' di
una  norma  a  quel  principio  deve  svilupparsi  secondo un modello
dinamico, incentrandosi sul perche' una determinata disciplina operi,
all'interno   del   tessuto   egualitario   dell'ordinamento,  quella
specifica distinzione, e quindi trarne le debite conclusioni in punto
di  corretto  uso  del  potere normativo. Il giudizio di eguaglianza,
pertanto,   e'   un  giudizio  di  ragionevolezza,  vale  a  dire  un
apprezzamento  di  conformita'  tra la regola introdotta e la "causa"
normativa  che  la  deve  assistere:  ove  la  disciplina positiva si
discosti  dalla  funzione  che  la  stessa e' chiamata a svolgere nel
sistema  e ometta di operare il doveroso bilanciamento dei valori che
in concreto risultano coinvolti».
    Paiono  quindi  violati anche gli artt. 3 e 24, primo comma della
Costituzione nella parte in cui le norme impugnate non consentono con
previsione  irragionevolmente  discriminatoria,  la  uguale difesa in
sede  penale  dei  diritti  della persona offesa dal reato, garantita
dalla disciplina di cui all'art. 572 c.p.p.
    Ne  consegue,  allora,  e  inoltre, che l'aver negato al pubblico
ministero  il  diritto di critica argomentata della decisione finale,
quando  la  decisione possa essere ex post considerata oggettivamente
errata  e  ingiusta,  viola  i principi codificati negli artt. 3, 24,
primo  comma,  111  primo,  secondo,  sesto  e  settimo  comma  della
Costituzione.