LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza, sul ricorso n. 789/04 depositato il 9 aprile 2004 avverso Silenzio rifiuto istanza rimb. n. del 29 maggio 2002 IRAP 1998 contro Agenzia entrate, Ufficio Bologna 2 proposto dal ricorrente: Ecchia Simonetta via Ferruccio Magnani, 6, 40134 Bologna, difeso da: Federici dott. Massimo, viale Oriani n. 38/2, 40100 Bologna, avverso Silenzio rifiuto istanza rimb. n. del 29 maggio 2002 IRAP 1999, contro Agenzia entrate, Ufficio Bologna 2 proposto dal ricorrente Ecchia Simonetta, via Ferruccio Magnani, 6, 40134 Bologna, difeso da Federici dott. Massimo, viale Oriani n. 38/2, 40100 Bologna, avverso Silenzio rifiuto istanza rimb. n. del 29 maggio 2002 IRAP 2000, contro Agenzia entrate, Ufficio Bologna 2 proposto dal ricorrente: Ecchia Simonetta, via Ferruccio Magnani, 6, 40134 Bologna, difeso da: Federici dott. Massimo, viale Oriani n. 38/2, 40100, Bologna. Trattasi del ricorso avverso il silenzio rifiuto su istanza di rimborso IRAP per gli anni 1998-1999 e 2000, presentata per complessivi Euro 6.148,43 da ricorrente che, in quegli anni, esercitava l'attivita' di agente di commercio. Sostiene la parte ricorrente che l'art. 2, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, istitutivo dell'IRAP, individua il presupposto del tributo «nell'esercizio abituale di un'attivita' autonomamente organizzata, diretta alla produzione e allo scambio di beni o prestazioni di servizi». La interpretazione data nel ricorso e' quella che l'attivita', grazie all'organizzazione impressale, acquisti una propria autonomia, individualita', distinzione. Argomenta poi che la sentenza n. 156/2001 della Corte costituzionale ha rilevato che «mentre l'elemento organizzativo e' connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non puo' dirsi per quanto riguarda l'attivita' di lavoro autonomo, ancorche' svolta con carattere di abitualita', nel senso che e' possibile ipotizzare un'attivita' professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o di lavoro altrui. Ma e' evidente che nel caso di un'attivita' professionale svolta in assenza di elementi di organizzazione, risultera' mancante il presupposto stesso dell'imposta sulle attivita' produttive, per l'appunto rappresentato, secondo l'art. 2, dall'esercizio abituale di un'attivita' autonomamente organizzata e diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la conseguente inapplicabilita' dell'imposta stessa». La parte ricorrente sostiene quindi che, poiche' la Corte costituzionale ha, incidentalmente, ritenuto che la tassazione di un'attivita' di lavoro autonomo ex art. 2 e 3 del d.lgs.: n. 446/1997, e' costituzionale solo se si accerta, in fatto la sussistenza del presupposto d'imposta (ossia l'autonoma organizzazione di capitale e lavoro altrui); qualora se ne verifichi l'assenza si dovrebbe dedurne l'inapplicabilita' dell'IRAP, poiche' in caso contrario, si violerebbe sia l'art. 53 che l'art. 3 della Costituzione (si andrebbe a tassare chi non realizza un presupposto d'imposta, e si tratterebbero in modo uguale soggetti che si trovano in condizioni economiche obiettivamente diverse ossia i lavoratori autonomi e gli imprenditori muniti o privi di tale requisito). Nel merito il ricorrente dimostra di avere svolto l'attivita' di agente di commercio esclusivamente con la propria opera, non avvalendosi di dipendenti ne' di collaboratori coordinati e continuativi, e di aver utilizzato per lo svolgimento della propria attivita' limitati beni strumentali quali telefoni cellulari e un'autovettura, indici di un modesto capitale investito, allegando allo scopo copie delle dichiarazioni dei redditi degli anni per i quali ha richiesto il rimborso, documenti che confermano quanto asserito nel merito. Si e' costituita l'Agenzia delle entrate con propria memoria negandole argomentazioni contenute nel ricorso e sostenendo che presupposto dell'IRAP non e' l'attivita' esercitata in forma di impresa in quanto tale, ma qualunque attivita' autonomamente organizzata. Il caso del ricorrente, lavoratore autonomo, per sua natura e', secondo l'Agenzia, da considerarsi sempre - secondo quanto stabilito con la risoluzione del Ministero delle finanze n. 32 E del 31 gennaio 2002 - soggetto passivo del tributo, in quanto e' la stessa attivita' che ha come elemento caratteristico, ed essenziale, l'esistenza di una autonoma organizzazione che consiste, secondo l'Agenzia, nella autonoma capacita' decisionale di trattare con la clientela, di ricevere credito secondo modalita' intrinsecamente atte a produrre, di per se stesse, potenziale ricchezza. Osserva la commissione: la Corte costituzionale si e' occupata varie volte del problema della legittimita' della norma istitutiva dell'IRAP, cominciando dalla sentenza n. 156 del 10 maggio 2001 e recentemente, dalla ordinanza n. 309 del 13 ottobre 2004, dichiarando sempre la manifesta inammissibilita' delle questioni di illegittimita' affrontate. E' noto altresi' che anche la Corte di Giustizia Europea sta per pronunciare una sentenza di contrasto di quella norma con la normativa comunitaria, come preannunciato dalle relazioni degli Avvocati generali della Corte stessa. Ma senza entrare nel merito della normativa comunitaria, occorre ricordare che la sentenza base della Corte costituzionale n. 156/2001 e' stata oggetto di interpretazioni favorevoli alle tesi del ricorrente, cominciando dall'interrogazione parlamentare n. 700473 del 6 ottobre 2004. In quella sede - VI Commissione finanze della Camera dei deputati - venne fatto osservare che andavano estese ai piccoli imprenditori le considerazioni fatte per i lavoratori autonomi, in quanto e' la stessa norma civilistica ad attestare in capo ad essi l'assenza del requisito dell'autonoma organizzazione, ritenendo che, laddove la Corte costituzionale, nella citata sentenza n. 156/1991, ha affermato che «l'elemento organizzativo e' connaturato alla nozione stessa di impresa», il suo intento fosse quello di riferirsi solo agli imprenditori soggetti a registrazione ai sensi dell'art. 2195 del codice civile. Tali asserzioni ottennero, sempre in quella sede, la valutazione favorevole del Governo che non si tramuto', in seguito, in modifiche legislative adeguate. La parte della pronuncia della Corte citata che appare meno convincente e' quella che esclude le attivita' economiche non organizzate - circoscritte al solo ambito del lavoro autonomo derivante dall'esercizio di arti e professioni - dalla soggezione ad IRAP, secondo un accertamento delle condizioni e delle modalita' organizzative dell'attivita' che dovra' necessariamente avvenire caso per caso. Infatti l'esclusione dall'imposta delle attivita' professionali non organizzate e' contenuta solo nella motivazione della sentenza, peraltro non come opzione tra una pluralita' di ipotesi interpretative ma quale ricognizione di un dato normativo dal quale la Corte sembra non voler ricavare alcun'altra ipotesi di lettura. Non si tratta quindi di una decisione interpretativa. E' forse possibile un rilievo di fondo: la Corte ha in sostanza trascurato il fatto che, ancorche' la definizione dei presupposto sia propria della normativa sull'IRAP, con il riferimento all'esercizio di un'attivita' autonomamente organizzata - di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 446/1997 - le disposizioni successive che descrivono i soggetti passivi impiegano categorie (imprese, societa', imprese agricole, enti commerciali, enti non commerciali, enti pubblici, esercenti arti e professioni) mutuate dal sistema delle imposte sui redditi con molteplici conseguenze. Fra queste appare opinabile la prevalenza assegnata alla previsione generale dell'art. 2 (attivita' autonomamente organizzata) rispetto alle nozioni di professionista, imprenditore, ente commerciale, impiegate negli articoli di legge che, senza dare spazio ad articolazioni caso per caso, trasportano nella disciplina IRAP le definizioni soggettive proprie del sistema del testo unico delle imposte sui redditi. Per altro il criterio impiegato dalla Corte limita eccessivamente il rilievo della organizzazione, assegnando rilevanza alle sole ipotesi di eteroorganizzazione, come se l'imposta potesse applicarsi solo quando i fattori della produzione sono molteplici e non anche all'autoorganizzazione. Se poi si volesse, per ipotesi, individuarsi anche nell'IRAP l'esigenza (poi attuata in sede legislativa) con la scelta di tassare le sole attivita' espressive di organizzazione di fattori produttivi altrui, risulterebbe allora arbitraria e contraria al sistema di riferimento, la limitazione della verifica ai soli artisti e professionisti e non agli imprenditori. L'affermazione che si legge nella sentenza piu' volte citata, secondo la quale per l'impresa l'organizzazione e' in re ipsa, e' infatti smentita per effetto del rinvio che le disposizioni sui soggetti passivi IRAP effettuano alle disposizioni del TUIR: in altre parole non e' l'imprenditore commerciale - civilisticamente individuato - ad essere soggetto passivo IRAP, bensi' il soggetto che sia considerato dalle altre norme fiscali come titolare di reddito d'impresa. Nel sistema del TUIR e' noto peraltro che l'attivita' imprenditoriale, ove svolta nell'ambito delle attivita' previste dall'art. 2195 del codice civile, prescinde dal requisito dell'organizzazione, per cui ben puo' esservi un soggetto titolare di reddito d'impresa che non sia dotato di organizzazione autonoma, e non si comprende perche', alla stregua del criterio individuato dalla Corte, in tal caso non abbia rilevanza l'eventuale accertamento della carenza del requisito essenziale per l'applicazione dell'IRAP. Alla luce di quanto precede la Commissione ritiene che l'imposta IRAP, nella soggetta materia, contrasti innanzitutto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione; l'art. 2 del d.lgs. n. 446/1997 contrasta con l'art. 3 della Carta costituzionale per assenza di coerenza interna: la ratio dell'imposta e' individuabile nella tassazione di quella capacita' economica ritraibile dalla particolare nozione di organizzazione che il legislatore ha ipotizzato in sede di costruzione dei tributo. Il parametro che giustifica l'esistenza dell'IRAP altro non e' se non la organizzazione; ove questa manchi, non vi sono spazi per la applicazione del tributo. In caso contrario, il tributo tradirebbe proprio la ragione che ne ha giustificato la nascita. Cio' urta anche con l'art. 23 della Costituzione, alla luce delle norme dello Statuto dei diritti del contribuente che stabiliscono che vi siano chiarezza e specificazione nell'imposizione della prestazione patrimoniale assoggettata a tributo. E' pure fondata la questione relativa al contrasto con l'art. 53 della Costituzione in quanto non e' rinvenibile in modo specifico la capacita' contributiva da assoggettare all'IRAP, dal momento che non e' enucleata legislativamente la nozione di valore aggiunto ipotizzato in via teorica e generica, ma non calato nella singola realta' di ogni fattispecie. Infine e' possibile aggiungere il conflitto con l'art. 24 della Costituzione sul diritto di difesa del contribuente, il quale non e' in grado di conoscere quali siano gli obblighi propri e quale tipo di difesa possa svolgere di fronte a un tributo di cui manca quella doverosa specificazione. Alla luce di quanto dedotto, le osservate eccezioni, rilevanti ai fini della decisione di merito, appaiono non manifestamente infondate.