IL TRIBUNALE Provvedendo sull'eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 3, legge n. 251/2005 sollevata dai difensori di Aiello Calogero imputato, nell'ambito del procedimento n. 10315/2005 R.G. Dib, n. 7797/02 R.G.N.R., del reato previsto dagli artt. 56-317 c.p.; Preso atto che il dibattimento e' stato aperto all'udienza del 4 maggio 2005; Considerato che in base alla disciplina dettata dall'art. 157 c.p. nella formulazione anteriore all'entrata in vigore, della legge n 251/2005, i termini di prescrizione ordinaria e massima sono i seguenti: anni 10 e anni 15; Preso atto che, applicando la disciplina dettata dall'art. 6 legge n. 251/2005, il termine massimo di prescrizione piu' favorevole introdotto dallo jus superveniens sarebbero interamente decorso alla data del 25 marzo 2006 e dunque precedentemente alla odierna udienza; Considerato, inoltre, che la norma transitoria di cui all'art. 10, comma 3, legge n. 251/2005 e' ostativa all'applicazione dei piu' brevi termini di prescrizione, in quanto la stessa pone, come limite, quello della apertura del dibattimento; atteso che viene sollevata dalle difese degli imputati questione di illegittimita' costituzionale della predetta norma transitoria, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione; Ritenuto che il dato temporale suindicato rende rilevante la questione in relazione ai possibili esiti del procedimento, osserva quanto segue. L'art 25 Cost. non impone la retroattivita' di norme penali piu' favorevoli ma vieta esclusivamente la retroattivita' in malam partem. Si e' discusso sulla portata di tale norma e da piu' parti si e' ipotizzato che nonostante la mancata enunciazione espressa dell'obbligo di retroattivita' delle norme piu' favorevoli tale' principio possa ricavarsi da una valutazione complessiva del sistema. E' stato affermato che cio' potrebbe, se mai, dipendere da un mutamento della valutazione sociale del fatto tipico (Corte cost. 277/1990). Ne discende che, a fronte di quanto disposto dall'art. 2, comma 2 e 3 c.p., non vi e' l'obbligo di sancire la retroattivita' di norme che non traggano ragion d'essere dal mutato giudizio sul disvalore del fatto. Correlativamente puo' ammettersi che, nonostante la previsione generale contenuta nell'art. 2, comma 3 c.p. - relativa all'applicazione retroattiva di una disciplina che prevede un trattamento sostanziale piu' favorevole con il solo limite del giudicato - nondimeno il legislatore possa escluderla con riguardo a taluni reati o a talune norme. Ma, nell'avvalersi di tale facolta' il legislatore non puo' eludere il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. e deve dunque assicurare il pari trattamento dei cittadini. Cio' significa che quella esclusione deve avere una giustificazione razionale. In tale quadro va privilegiata la considerazione del tipo di reato e, dunque, una valutazione correlata al fatto, mentre non sembra consentita una esclusione che dipenda da fattori del tutto estrinseci, estranei alla logica del trattamento sanzionatorio e, piu' in generale della disciplina di carattere sostanziale. In particolare, mentre alcuni benefici potrebbero trarre giustificazione dallo specifico andamento del processo in quanto strettamente correlati ad esso per il fatto di postulare scelte processuali dell'imputato (come nel caso della citata sentenza n. 277/1990 che si occupo' del regime transitorio dei riti alternativi al dibattimento), non sembra possibile introdurre una disciplina transitoria riguardante la entrata in vigore di una disciplina sostanziale, quale quella della prescrizione, che faccia dipendere la esclusione della retroattivita' della norma piu' favorevole solo dall'evoluzione del processo e dallo stadio in cui esso sia pervenuto ad una certa data, costituendo tale evoluzione ed il relativo stadio processuale aspetti irrilevanti rispetto al decorso, uguale per tutti, del termine di prescrizione, che non trova la sua ragione d'essere nel processo ma che anzi, per certi profili, ad esso si contrappone. Nel caso in cui l'effetto retroattivo della disciplina sopravvenuta sia correlato al mero dato che il processo abbia o meno varcato una certa soglia, puo' prospettarsi una disparita' di trattamento tra coloro che hanno commesso il medesimo reato prima dell'entrata in vigore della nuova normativa, alcuni dei quali, solo perche' piu' rapidamente processati, si trovino ad essere giudicati in base alla disciplina previgente a differenza degli altri che, per cause piu' diverse, abbiano beneficiato di un iter processuale piu' lento. Non possono invocarsi, per giungere a valutazioni opposte, quelle situazioni correlate alla concessioni di amnistie o alla previsione di effetti estintivi lerivanti da condoni, in cui sia specificatamente individuato un dato temporale di riferimento che e' all'evidenza connaturato al tipo di beneficio e comunque ha riguardo alla data di commissione del reato. Cio' posto la scelta del legislatore consacrata dall'art. 10, comma 3, legge n. 251/2005 di rendere applicabile retroattivamente la nuova disciplina in tema di prescrizione di cui all'art. 6, legge n. 251/2005 solo nel caso in cui non sia stato ancora aperto il dibattimento sembra in contrasto con l'art. 3 Cost., perche' vale ad introdurre un differenziato regime a fronte di situazioni identiche, rispetto alle quali la linea demarcazione individuata, costituita dall'apertura del dibattimento, appare priva di concreta giustificazione. Ne' sembra possibile sostenere che le norme in tema di prescrizione abbiano natura processuale e siano dunque soggette al diverso principio «tempus regit actum», cosi' come sembra da escludere che abbia natura processuale la norma transitoria dettata dall'art. 10, legge n. 251/2005, la quale al contrario richiama al secondo comma, prima parte, l'art. 2 c.p. e prevede di seguito un regime transitorio differenziato solo per la norma che introduce la nuova disciplina in tema di prescrizione, di fatto erodendo parzialmente la sfera di applicazione di quest'ultima. Poiche' in base alla nuova disciplina il reato oggetto della imputazione sarebbe estinto per prescrizione, deve prendersi atto della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 comma 3, legge n. 251/05 per contrasto con l'art. 3 Cost.