LA CORTE DEI CONTI

    Ha adottato la seguente ordinanza n. 49/A/2006/ORD sul ricorso in
appello  in materia di responsabilita', iscritto al n. 1845 Resp. del
registro    di   segreteria,   presentato   da   Marchese   Antonino,
elettivamente  domiciliato  in  Palermo  via Saverio Cavallari n. 34,
presso lo studio del suo procuratore avvocato Luigi Sciarrino, per la
riforma  della  sentenza  n. 2628/2005  del 29 settembre 2005, emessa
dalla  Sezione  giurisdizionale  della Corte dei conti per la Regione
Siciliana.
    Uditi  nella  camera di consiglio del 29 giugno 2006 il relatore,
consigliere   Mariano   Grillo,   l'avvocato   Luigi   Sciarrino  per
l'appellante  ed  il vice procuratore generale Diana Calaciura per il
pubblico ministero
    Visti tutti gli atti della causa.

                              F a t t o

    Con  sentenza  2628  del  2005  il signor Marchese Antonino, gia'
direttore  del  centro di meccanizzazione agricola di Agira, e' stato
condannato a titolo di responsabilita' contabile al pagamento di euro
25.758,38   in  favore  dell'ente  sviluppo  agricolo  della  Regione
Siciliana.
    Lo  stesso ha interposto appello, notificato il 28 dicembre 2005,
e censura la predetta sentenza sostenendo che il primo giudice non ha
tenuto  conto  della situazione oggettiva in cui versava il Centro da
lui  diretto  per non avere acquisito note di trasmissione facilmente
reperibili  in  archivio,  chiedendo  in conclusione la riforma della
sentenza appellata con rigetto delle domande proposte dal procuratore
regionale.
    Nelle  sue  conclusioni  la  Procura  generale  chiede il rigetto
dell'appello.
    Con  istanza  in  data  20 giugno 2006 l'appellante ha chiesto di
avvalersi  del  disposto di cui all'art. 1, comma 231, della legge 23
dicembre   2005,  n. 206,  offrendo  di  pagare,  a  definizione  del
procedimento, la somma di 3.000,00 euro.
    Il    Procuratore   generale   ha   espresso   parere   contrario
all'accoglimento   dell'istanza   formulata   ai  sensi  della  legge
suddetta.
    Tutte  le  parti  sono  intervenute alla discussione in camera di
consiglio  confermando le domande gia' avanzate con i rispettivi atti
conclusionali.

                            D i r i t t o

    Il  Collegio  preliminarmente  rileva  che  avverso  la  sentenza
n. 2628/2005 del 29 settembre 2005 l'interessato ha ritualmente ed in
termini  interposto  appello. In pendenza dello stesso e' intervenuta
la legge 23 dicembre 2005, n. 266, il cui articolo 1 prevede che «Con
riferimento  alle  sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi di
responsabilita'  dinanzi  alla  Corte  dei  conti  per fatti commessi
antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge,
i  soggetti  nei  cui  confronti  sia  stata  pronunciata sentenza di
condanna possono chiedere alla competente sezione di appello, in sede
di  impugnazione,  che  il  procedimento  venga  definito mediante il
pagamento  di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore
al  20  per cento del danno quantificato nella sentenza» (comma 231).
«La  sezione  di appello, con decreto in camera di consiglio, sentito
il  procuratore  competente,  delibera in merito alla richiesta e, in
caso  di  accoglimento,  determina  la  somma  dovuta  in  misura non
superiore  al  30  per cento del danno quantificato nella sentenza di
primo  grado,  stabilendo  il termine per il versamento» (comma 232).
Infine  che  « Il giudizio di appello si intende definito a decorrere
dalla  data  di  deposito  della  ricevuta  di  versamento  presso la
segreteria della sezione di appello» (comma 233).
    Tali   disposizioni,   in   sostanza,   introducono   nella  fase
dell'appello   un  procedimento  camerale  diretto  alla  definizione
agevolata del giudizio di responsabilita' amministrativa.
    La  sezione dubita della legittimita' costituzionale di un simile
sistema  di  regole, applicabili nella specie poiche' il mutamento di
diritto  sostanziale  e'  avvenuto prima dell'accertamento definitivo
della  responsabilita'  dei  soggetti  intimati,  in  relazione  agli
artt. 3, 97, 101 e 103 Cost.
    Dalla  giurisprudenza  costituzionale (sentt. nn. 68 del 1971, 63
del  1973  e 1032 del 1988) sembra desumersi che la concreta garanzia
dei  principi costituzionali di eguaglianza, del buon andamento e del
controllo  contabile,  i  quali ultimi sono legati dal comune fine di
assicurare l'efficienza e la regolarita' della gestione finanziaria e
patrimoniale  degli  enti pubblici, sia sostanzialmente affidata alla
legge   ordinaria.   Sono   riservate,   infatti,   al  discrezionale
apprezzamento  del  legislatore  non  solo  la  determinazione  e  la
graduazione  dei  tipi  e  dei  limiti  di  responsabilita'  che,  in
relazione   alle  varie  categorie  di  dipendenti  pubblici  o  alle
particolari situazioni regolate, appaiano come le forme piu' idonee a
garantire  l'attuazione  dei  predetti principi costituzionali (sent.
n. 411  del  1988;  ord.  n. 549  del  1988,  nonche',  in  relazione
all'art. 28  Cost.,  le  sentt. nn. 2 del 1968, 123 del 1972, 164 del
1982,  26  del 1987), ma anche la possibilita' di stabilire un limite
patrimoniale  della  responsabilita' amministrativa (sent. n. 340 del
2001). Cio' significa in ultima analisi, per un verso, che, ancorche'
non  sia  possibile  trarre dall'ordinamento (artt. 97 e 103, secondo
comma,  Cost.)  un  principio  di inderogabilita' delle comuni regole
della  responsabilita', si puo', tuttavia, da esso ricavare la regola
secondo  la  quale  la  discrezionalita'  del legislatore, per essere
correttamente  esercitata,  deve  determinare  e  graduare i tipi e i
limiti  della  responsabilita',  caso  per  caso, in riferimento alle
diverse  categorie  di  dipendenti  pubblici  ovvero alle particolari
situazioni,  stabilendo, per ciascuna di esse, le forme piu' idonee a
garantire  i  principi  del  buon andamento e del controllo contabile
(sent.  n. 371  del 1998) e, per l'altro, che, in sede di giudizio di
legittimita'    costituzionale,    le    leggi    disciplinanti    la
responsabilita'   dei   pubblici   dipendenti  sono  sindacabili,  in
riferimento  ai  parametri  invocati,  solo  sotto  il  profilo della
ragionevolezza  della  disciplina  adottata  e delle differenziazioni
introdotte (art. 3 Cost.).
    Pur  non  potendosi  negare,  dunque,  in  linea  di principio la
possibilita'   di   un'intervento  legislativo  del  tipo  di  quello
esaminato,   e',  tuttavia,  pur  sempre  necessario  che  esso  sia,
anzitutto,  strettamente  collegato  alle specifiche peculiarita' del
caso,   tali   da   escludere   che  possa  risultare  arbitraria  la
sostituzione  della disciplina generale - originariamente applicabile
-  con  quella  eccezionale  successivamente  emanata, tanto sotto il
profilo  del  rispetto  del  principio  costituzionale  di parita' di
trattamento,  quanto sotto il profilo della tutela del buon andamento
e  della  salvaguardia  da indebite interferenze dell'esercizio della
funzione  giurisdizionale.  Sennonche',  nella  specie  le previsioni
normative  denunciate  di  incostituzionalita' sono caratterizzate da
una indeterminatezza assoluta sullo scopo perseguito dal legislatore,
tale  da precludere definitivamente la ricerca di una qualsiasi ratio
normativa  che  non  sia  quella  della  limitazione patrimoniale del
risarcimento  per  se  stessa pertanto, esse, connotandosi unicamente
come  effetto premiale ingiustificato, si palesano come una negazione
illogica  e  ingiustificata  dei  principi  del  buon andamento e del
controllo contabile, che non puo' certamente rappresentare un termine
di comparazione con gli altri valori coinvolti ai fini della verifica
del rispetto dei principi di eguaglianza e' di buon andamento.
    Le  previsioni  in  questione  appaiono  viziate  in relazione ai
parametri  costituzionali  indicati anche per altro aspetto. Infatti,
nel  sistema  positivo  vigente  l'attenuazione della responsabilita'
amministrativa,  nei singoli casi, e' rimessa al potere riduttivo sul
quantum  affidato  al  giudice,  che  puo'  anche  tenere conto delle
capacita'   economiche  del  soggetto  responsabile,  oltre  che  del
comportamento,   al   livello   della  responsabilita'  e  del  danno
effettivamente   cagionato.   In   contrasto   con   questi  principi
dell'ordinamento  ed  assolutamente  irragionevole  e', pertanto, una
riduzione    predeterminata    e    pressoche'    automatica    della
responsabilita' amministrativa e della misura del risarcimento, senza
che possa soccorrere una valutazione sull'incidenza del comportamento
complessivo  e  sulle funzioni effettivamente svolte nella produzione
del  danno,  in  occasione  della  prestazione che ha dato luogo alla
responsabilita' (cfr. Corte cost. sent. n. 340 del 2001).
    Ugualmente  incostituzionale  appare,  infine,  l'affidamento  al
giudice  di  un  potere discrezionale illimitato nella individuazione
delle  ragioni  da porre a fondamento dell'accoglimento della domanda
di  riduzione  dell'addebito  e  della  concreta determinazione detta
misura del risarcimento, avendo il legislatore indicato solo i limiti
quantitativi  di  tale  potere  fra un minimo e un massimo risultanti
dalla  norma,  senza  fissare i criteri direttivi ai quali il giudice
stesso  debba attenersi. Le norme in esame, infatti, oltre a porsi in
diretto  contrasto con i principi di cui gli artt. 3, 97 e 103 Cost.,
essendo  dirette  ad  introdurre  una  disciplina limitativa in forma
generalizzata  della  responsabilita'  amministrativa con riferimento
indiscriminato  a  tutti i pubblici dipendenti e a tutte le possibili
situazioni,  confliggono  con  il principio secondo cui il giudice e'
soggetto  alla legge (art. 101 Cost.), con grave vulnus del principio
di separazione del potere legislativo dal potere giudiziario.
    La  questione  di  legittimita' costituzionale, non superabile in
via   interpretativa,   e'  rilevante.  Qualora,  infatti,  le  norme
denunciate  venissero dichiarate incostituzionali non potrebbero piu'
essere  applicate  nel presente giudizio che proseguirebbe secondo il
rito ordinario.