IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, nell'ambito del procedimento penale; Contro Soro Gabriele, nato a Cagliari l'8 settembre 1983 e Littera Vincenzo, nato a Sestu il 19 settembre 1969, imputati del delitto di cui agli artt. 110 c.p. e 73, comma 1 e 1-bis, d.P.R. n. 309/1990 perche' in concorso tra loro e con Bullita Giancarlo, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 e fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75 stesso d.P.R., anche in ragione del peso lordo complessivo, delle modalita' di detenzione, illecitamente detenevano gr. 56,00 di hashsih diviso in n. 111 dosi, sostanza stupefacente di cui alla tabella I prevista dall'art. 14 e cedevano due dosi di hashish a Pilia Antonio ed a persone rimaste sconosciute sostanza stupefacente per un quantitativo corrispondente all'importo di Euro 896,10. In Sestu, il 1° aprile 2006. Littera con la recidiva reiterata specifica infraquinquennale di cui all'art. 99 c.p.; Soro con la recidiva reiterata ed infraquinquennale di cui all'art. 99 c.p. Nel corso di un servizio mirato volto alla repressione di reati in materia di stupefacenti, i Carabinieri della Stazione di Sestu, nella serata del 1° aprile 2006 effettuarono un servizio nei pressi dell'abitazione di Soro Gabriele, sita in quel centro nella via Tintoretto n. 24, abitazione nella quale nei giorni precedenti era stato notato un insolito viavai di giovani, tra cui anche alcuni non abitanti in Sestu. In particolare, il servizio, che aveva preso avvio alle 21.30, venne articolato attraverso l'attivita' di osservazione diretta dell'ingresso dell'abitazione del Soro compiuta da militari in abiti civili e auto di copertura, ed il supporto operativo fornito da altra pattuglia in divisa impegnata nel pattugliamento della zona circostante. Intorno alle 21,50 i militari impegnati nel servizio di osservazione dell'abitazione del Soro, furono allertati dai colleghi in perlustrazione che un giovane non abitante a Sestu che, poco prima, era stato fermato e perquisito con esito negativo, si stava dirigendo verso la via Tintoretto; poco dopo, i militari in osservazione videro un giovane il quale, dopo aver parcheggiato il proprio ciclomotore nei pressi dell'abitazione del Soro, si era recato all'interno di essa, da cui, dopo essersi trattenuto per qualche attimo, usciva,allontandosi a bordo del suo ciclomotore. Il giovane, identificato in seguito in Pilia Antonio, venne subito fermato, rinvenendosi sulla sua persona due dosi di hashish; in quel frangente, i militari videro che si stava avvicinando alla casa del Soro un altro giovane, che, pero', alla vista dei Carabinieri, si era dato a precipitosa fuga. Era allora seguita l'immediata perquisizione dell'abitazione del Soro nella quale, nella stanza da bagno, occultato all'interno di un armadietto per i medicinali, si rinveniva un contenitore in plastica dentro il quale v'erano n. 111 dosi di sostanza stupefacente tipo hashish per un peso complessivo lordo pari a grammi 56; la perquisizione era stata estesa alle persone presenti nell'abitazione tra cui oltre al Soro e ad alcuni suoi familiari, erano anche un certo Piras Giuseppe, Littera Vincenzo e Bullita Giancarlo. Addosso a quest'ultimo si rinvenne la somma di euro 71, 10, addosso al Littera la somma di euro 825,00 e una dose di hashish, addosso al Soro ed al Piras non si rinvenne alcunche'. Soro Gabriele, Littera Vincenzo e Bullita Giancarlo vennero tratti in arresto nella flagranza del delitto di illegale detenzione in concorso di sostanza stupefacente tipo hashish e della pregressa vendita di imprecisati quantitativi di analoga sostanza per il controvalore di 896,00 euro e condotti in data 3 aprile 2006 davanti al Tribunale di Cagliari in composizione monocratica per la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio direttissimo. Convalidato l'arresto ed applicata al Soro ed al Littera, entrambi pluripregiudicati - il Littera, in particolare con diversi precedenti specifici per reati in materia di stupefacenti - la misura cautelare della custodia in carcere, ed al Bullita, incensurato, quella degli arresti domicilari, la difesa dell'imputato ha chiesto termine a difesa; il processo e' stato quindi rinviato all'udienza del 6 aprile 2006, nella quale il solo Bullita ha chiesto, con il consenso del pubblico ministero, l'applicazione della pena, ritenuto il fatto di lieve entita' di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 e con le attenuanti generiche, nella misura finale di anni uno e mesi dieci di reclusione e 1500,00 euro di multa, subordinata alla sospensione condizionale della pena. Il tribunale, dichiarando la propria incompatibilita' sopravvenuta, ha disposto la separazione del processo nei confronti del Bullita, definitosi con il rito alternativo indicato, da quello nei confronti di Littera e Soro, gli atti relativi al quale sono stati trasmessi al presidente del tribunale per la nuova assegnazione. Il processo a carico del Littera e del Soro e' stato, quindi, assegnato a questo giudice, davanti a cui le parti, a seguito di regolare citazione, sono comparse all'udienza del 21 aprile 2006. Il processo a carico del Littera e del Soro e' stato celebrato nelle forme del rito ordinario ed istruito mediante l'esame di diversi testimoni, dell'imputato di reato connesso Bullita Giancarlo e mediante produzioni documentali. In particolare, sono stati acquisiti al fascicolo per il dibattimento sull'accordo delle parti anche a fini di prova la C.n.r. Carabinieri di Sestu del 2 aprile 2006 ed il verbale di arresto. Sommariamente va qui ricordato che, tra gli altri, e' stato esaminato il Pilia, il quale ha riferito di essersi recato ad acquistare lo stupefacente rivenuto sulla sua persona in occasione della perquisizione cui era stato sottoposto, nell'abitazione del Soro su indicazione del Bullita, che, materialmente, glielo aveva ceduto; e' stato anche esaminato Bullita, il quale ha sostenuto che lo stupefacente era di sua esclusiva proprieta', che egli aveva provveduto ad acquistarlo nel corso della serata portandolo in un unico pezzo nella casa del Soro, dove, chiusosi in bagno e, a suo dire, all'insaputa dello stesso Soro e degli altri soggetti presenti nella casa, aveva provveduto a confezionare le dosi di stupefacente, oltre un centinaio, che poi aveva occultato nell'armadietto dei medicinali posto nel bagno utilizzando un coltellino, peraltro non rinvenuto nel corso della perquisizione ne' addosso al Bullita, ne' all'interno del bagno; infine, di aver egli personalmente provveduto all'insaputa del Soro e del Littera, nonche' degli altri presenti nella casa, dopo l'arrivo di Pilia, a prelevare due dosi di hashish ed a cederle riservatamente all'acquirente Pilia. Sono stati, inoltre, esclusi numerosi testimoni indicati dalla difesa ed attraverso cui quest'ultima ha cercato di dimostrare la provenienza lecita della somma detenuta dal Littera e la ragione, connessa ad un incontro di tipo convivale, della presenza di questi, del Bullita e di diversi altri soggetti, tra cui anche la madre del Soro, nell'abitazione di quest'ultimo all'atto della perquisizione. Nessuna delle parti ha esplicitamente domandato l'esame degli imputati. Conclusa l'istruttoria, su istanza della difesa, e' stata disposta la revoca della misura cautelare applicata al Littera, che e' stata invece mantenuta per il Soro. Ad esito della discussione le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni, chiedendo il pubblico ministro la condanna del Soro e del Littera alla pena di anni sei di reclusione e 30.000,00 euro di multa, la difesa dell'imputato in via principale, l'assoluzione per entrambi per non aver commesso il fatto, in subordine per il solo Soro la riqualificazione del reato in quello di favoreggiamento reale con la condanna al minimo della pena con i benefici di legge se concedibili. Il processo e' stato rinviato per eventuali repliche. Ad esito della discussione, il tribunale ritiene che debba essere sollevata la questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3, 25 e 27 Costituzione, dell'art. 69, quarto comma, codice penale, come novellato dall'art. 3, legge 251 del 5 dicembre 2005 (nota come legge «Cirielli») in quanto rilevante e non manifestamente infondata. Quanto alla rilevanza, si deve osservare come gli elementi emergenti dagli atti potrebbero portare nel caso di specie ad affermare la penale responsabilita' degli imputati in relazione al reato loro ascritto, quantomeno in ordine alla contestata cessione delle due dosi di stupefacente al Pilia e di cessione di analoga sostanza per controvalore pari a quella parte della somma di denaro in sequestro rinvenuta nella disponibilita' del Bullita (pari poco piu' di 71 euro), nonche' alla illegale detenzione di grammi 56,00 di hashsih, detenzione di cui diversi elementi parrebbero contraddire all'esclusiva destinazione ad uso personale. In caso di condanna, considerata la complessiva entita' del fatto, esso andrebbe qualificato, per la sua oggettiva consistenza, nell'ambito della fattispecie attenuata di cui all'art. 73, quinto comma, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in tale senso deponendo le circostanze e concrete modalita' del fatto nel cui ambito va considerato anche il dato assai significativo, del complessivo quantitativo di sostanza rinvenuto, pari a 56,00 grammi di hashish, oltre al quantitativo pari a 0,98 grammi di analoga sostanza sequestrata al Pilia e del denaro costituente probabile provento di una pregressa attivita' di spaccio (stimabile in 71 euro circa). Nell'ipotesi di fatto di lieve entita', in base alla novella dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 introdotta con il d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 27 febbraio 2006 ed in vigore dal 28 febbraio 2006, e' ora prevista anche per le sostanze del tipo di quella in esame, la pena della reclusione da uno a sei anni e della multa da 3.000,00 euro a 26.000,00 euro. In relazione alla disposizione di cui all'art. 73, quinto comma, d.P.R. n. 309/1990 e' costantemente e pacificamente riconosciuta la sua natura di circostanza attenuante ad effetto speciale, con la conseguenza che quando essa concorre con una circostanza aggravante, compresa anche la recidiva, deve obbligatoriamente procedersi al giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti e aggravanti secondo la previsione di cui all'art. 69 c.p. (tra le tante: Cass. pen., sez. VI, 15 ottobre 2002 n. 37016, Cass. pen, sez. IV, 2 febbraio 2001 n. 10771 e Cass. pen. sez. un, 21 giugno 2000 n. 17). Poiche' nel giudizio a quo e' stata contestata la recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale al Littera ed al Soro la recidiva reiterata e infraquinquenale, viene in considerazione una circostanza aggravante inerente la persona del colpevole (tra le tante: Cass. pen 5 marzo 1999 e 3 ottobre 2000), e sussistendo l'attenuante ad effetto speciale del fatto di lieve entita', deve procedersi al giudizio obbligatorio di comparazione tra circostanze attenuanti e aggravanti. Nell'ambito del giudizio volto alla determinazione della pena in concreto secondo i criteri di cui agli articoli 133 c.p. e 27 Costituzione e, in particolare, allorquando concorrano circostanze attenuanti ed aggravanti e debba procedersi percio' all'obbligatorio giudizio di comparazione, deve aversi ora riguardo al disposto di cui all'art. 69, sesto comma c.p., come modificato dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, in vigore alla data del commesso reato per cui e' processo. Tale nuova disciplina, a differenza di quanto avveniva nel regime previgente, in caso di recidiva reiterata vincola il giudice nel bilanciamento delle circostanze al solo giudizio di equivalenza o di subvalenza delle attenuanti rispetto alle aggravanti, senza introdurre alcuna eccezione, neppure in relazione a circostanze attenuanti ad effetto speciale, come e' pacificamente quella dell'art. 73, quinto comma, d.P.R. n. 309/1990, le quali introducono una ridefinizione della cornice edittale in modo del tutto autonomo rispetto alla fattispecie non attenuata. Ne consegue che nel caso in esame, applicando i criteri suddetti, poiche' non e' piu' possibile il giudizio di prevalenza dell'attenuante del fatto di lieve entita' di cui al comma cinque dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 sulla contestata aggravante della recidiva reiterata, ma solo quello di equivalenza (o subvalenza delle attenuanti rispetto alle aggravanti), la pena da irrogare andrebbe definita nell'ambito della cornice edittale di cui al nuovo testo dell'art. 73 d.P.R. citato e, quindi, in concreto, secondo la disciplina introdotta dall'art. 4-bis del citato decreto n. 272/2005 nella cui vigenza e' stato posto in essere il fatto delittuoso oggetto del giudizio, a partire dalla pena di sei anni di reclusione e 26.000,00 euro di multa e fino a quella di venti anni di reclusione e 260.000,00 euro di multa. A parere di questo giudicante, l'attuale disciplina dell'art. 69 c.p. non appare suscettibile, in punto di giudizio di comparazione, di altra ragionevole interpretazione diversa da quella teste' esposta, la quale si impone sulla base del dato testuale, di quello logicesistematico, nonche' storico, costituendo il divieto del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti per i recidici reiterati il risultato che, dichiaratamente, nel corso dei lavori preparatori, il legislatore ha inteso realizzare con la nuova disciplina dell'art. 69 c.p. L'attuale testo dell'art. 69, sesto comma c.p.p. appare, pertanto, in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Costituzione, in quanto, irragionevolmente, esso, con riferimento alla fattispecie concreta in esame, conduce a sottoporre fatti di detenzione illegale di stupefacenti riconducili al caso di lieve entita', ove siano commessi da un recidivo reiterato, al medesimo trattamento sanzionatorio previsto per le ipotesi - oggettivamente diverse e ben piu' gravi - riconducibili al fatto di non lieve entita'; di converso, e altrettanto irragionevolmente, la disposizione in parola consente di sottoporre ad un trattamento sanzionatorio notevolmente diverso casi che, sul piano oggettivo, appaiono in tutto analoghi. Cosi' facendo si arriverebbe alla conseguenza, del tutto irragionevole, di irrogare nei confronti di un recidivo reiterato (magari, come e' specificatamente nel caso dell'imputato Soro Gabriele, per non gravi delitti e comunque per delitti non specifici) per il reato di detenzione illegale di un modesto o comunque non elevato, come e' nel caso in esame, quantitativo di stupefacente la pena di sei anni di reclusione e 26.000 euro di multa e, viceversa, di irrogare una pena notevolmente piu' bassa a chi abbia commesso fatti oggettivamente assai piu' gravi e indicativi di una ben maggiore pericolosita', come nel caso di chi detenga, ad esempio, ben piu' consistenti quantita' della medesima sostanza, ma abbia potuto beneficiare della prevalenza delle attenuanti, perche', magari, incensurato, o comunque, non recidivo reiterato. La stessa norma conduce anche a punire diversamente fatti tra loro oggettivamente identici e che si differenziano solo per lo status personale di chi li abbia commessi, cioe' solo per la circostanza che l'autore sia oppure no un recidivo reiterato. Cosi', nell'esempio sopra visto, un soggetto imputato di detenzione a fini di spaccio di un modesto o non elevato quantitativo di stupefacente che non sia recidivo reiterato vedrebbe la sua pena correttamente determinata in misura superiore al minimo edittale previsto per il fatto di lieve entita' (un anno di reclusione e 3000,00 euro di multa) ma certamente molto al di sotto del massimo edittale previsto per lo stesso fatto di lieve entita' (sei anni e 26000,00), pur se annovera gia' un precedente, anche se specifico; di converso, un recidivo reiterato vedrebbe la sua pena determinata nell'ambito della cornice edittale della fattispecie non attenuata del comma 1 dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 e, quindi, in concreto, a partire dalla pena di sei anni di reclusione e 26.000,00 euro di multa; e cio', si osservi, anche se annovera precedenti non recenti o comunque di scarsissima significativita' rispetto al reato oggetto del nuovo giudizio (si pensi, ad esempio al caso di un recidivo per ingiurie o simili o, al caso del Soro che annovera due precedenti per furto ed un porto illegale d'armi ai sensi di cui all'art. 4, legge n. 110/1975). Cio' vale oggi, a maggior ragione, a seguito della recente novella dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 introdotta con il d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 27 febbraio 2006 ed in vigore dal 28 febbraio 2006, che, equiparando il trattamento sanzionatorio tra le sostanze stupefacenti in precedenza ricomprese in tabelle diverse, fuori dalle ipotesi di lieve entita', prevede un minimo edittale notevolmente elevato (sei anni e 26.000 euro) e addirittura pari, quanto all'hashish, alla pena che, secondo la disciplina previgente (vecchio art. 73, sesto comma sostanze di cui alla tabelle II e IV) costituiva il limite edittale massimo previsto per tal tipo di sostanza. Ne deriva un'irragionevole ed ingiustificata disparita' del trattamento penale per effetto della quale, in dipendenza della condizione di recidivo reiterato in cui versa l'autore, fattigettivamente identici o analoghi sono sottoposti a pene sensibilmente diverse e fatti oggettivamente diversi sono sottoposti alla medesima pena. Il principio della pari dignita' sociale e dell'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge enunciato dall'art. 3, primo comma della Costituzione vale a statuire che il Legislatore non puo' operare discriminazioni fra i soggetti dell'ordinamento a seconda del loro sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, ma neppure in ragione delle loro condizioni personali e sociali; e perche' tale principio possa trovare effettiva applicazione, occorre che la legge tratti in maniera eguale situazioni eguali e in maniera diversa situazioni diverse (tra le tante: Corte cost. sent. n. 217/1972). Orbene, se la valutazione della diversita' delle situazioni e' rimessa in linea di principio al Legislatore, tale valutazione non si fonda su una discrezionalita' assoluta, trasfomandosi essa altrimenti in arbitrio, ma, secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, la discrezionalita' legislativa trova un limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la disparita' di trattamento tra i cittadini (Corte cost. sentenze n. 62/1972, n. 200/1972, n. 370/1996); affermazione, questa, che conserva la sua validita' anche allorquando venga in considerazione la questione, delicatissima, del sindacato da parte della Corte costituzionale delle scelte legislative di politica criminale ( Corte cost. sent. n. 362/2002). Nel caso di specie, non pare che la preclusione del giudizio di prevalenza per i recidivi reiterati possa trovare ragionevole giustificazione nella diversa condizione in cui versa il recidivo reiterato. Come e' noto e come puo' constatarsi nella quotidiana pratica giudiziaria, la recidiva reiterata puo' non assumere alcun significato pregnante sotto il profilo della pericolosita', potendo venire in considerazione precedenti risalenti nel tempo, ovvero riferentesi a delitti che, pur dolosi, non sono tuttavia gravi rispetto alla tavola dei valori costituzionali ed alla loro gerarchia o che, comunque, non hanno alcuna significativita' sui piano criminale rispetto ai fatti oggetto del nuovo giudizio. La norma in esame, precludendo al giudice in sede di bilanciamento la prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata, introduce in tal modo un' ipotesi di pericolosita' presunta, uno status personale che, qualunque sia il titolo dei delitti oggetto delle precedenti condanne e l'epoca della loro commissione, impone di per se' un'indiscriminata omologazione di tutti i recidivi reiterati, di cui presume in assoluto la pericolosita'. La disposizione dell'art. 69, sesto comma c.p. nella sua attuale formulazione pare cosi' porsi in contrasto con il principio di eguaglianza, perche' essa sottopone a trattamento sanzionatorio identico casi che sono oggettivamente e sensibilmente diversi e sottopone a trattamento penale diverso casi che sono oggettivamente identici, in dipendenza di una condizione personale dell'autore di cui, irragionevolmente, presume in assoluto la pericolosita', a prescindere dalla situazione concreta e dalle circostanze del caso. Ma la norma da applicare al caso concreto, appare altresi' in contrasto con i principi evincibili dagli artt. 25, secondo comma e 27, commi uno e tre Costituzione. Anzitutto, essa, introducendo un automatismo sanzionatorio ancorato alla sola personalita' del colpevole ed alla sua pericolosita' presunta e svincolando del tutto la concreta determinazione della pena dalla oggettiva gravita' del fatto, viola il principio di legalita' di cui all'art. 25, secondo comma della Costituzione, che impone, nell'ambito delle sanzioni penali, di irrogare queste ultime solo in presenza della commissione di un fatto costituente reato e preclude, invece, di punire la sola pericolosita' sociale. Ma ancor piu' evidente appare il contrasto con i principi di cui all'art. 27, primo e terzo comma della Costituzione, oltre che, sott'altro aspetto, del gia' richiamato articolo 3 della Costituzione. Tali principi, infatti, fissano i caratteri che delineano il sistema punitivo secondo la Costituzione e rendono incostituzionali le pene che da tali caratteri si discostano. Viene qui in considerazione, anzitutto, il principio di personalita' della responsabilita' penale insita nella funzione retributiva della pena, per cui deve escludersi che la pena possa essere aggravata solo per soddisfare esigenze generali di prevenzione e di difesa sociale che prescindono dalla valutazione della personalita' del condannato; viene poi in esame il principio di proporzionalita' della pena, insito anch'esso nel concetto retributivo, che impone un trattamento differenziato delle situazioni diverse, ma anche la congruita' della pena, intesa quest'ultima quale adeguatezza della pena irrogata in concreto alla gravita' del fatto, al grado dell'offesa, al tipo di colpevolezza ed alle condizioni personali dell'agente. Ma viene, soprattutto, in considerazione il principio della finalita' rieducativa della pena; infatti, secondo la Carta costituzionale la pena, oltre che un' ineludibile finalita' retributiva e generalpreventiva, deve avere anche una finalita' rieducativa e agevolare percio' la risocializzazione del reo, anche ai fini di combattere la recidiva, si afferma, percio', nella giurisprudenza costituzionale e dalla piu' attenta dottrina, che nel quadro della pena edittalmente fissata secondo il principio retributivo, la pena concretamente applicabile va determinata anche in funzione delle eventuali esigenze specialpreventivo-risocializzative del soggetto, senza che l'una funzione possa essere obliterata esclusivo vantaggio dell'altra (Corte costituzionale sent. n. 306/1993). Si delinea, in ultima analisi, la necessita' dell'individualizzazione della pena; ed invero, solo l'adeguamento del trattamento punitivo alla specificita' del caso concreto consente di assicurare un'effettiva eguaglianza di fronte alle pene, contribuisce a rendere «personale» la responsabilita' penale ed a finalizzare la pena stessa alla rieducazione del reo. Se tali sono i caratteri che deve avere il trattamento sanzionatorio delineato dalla Costituzione, l'attuale disciplina dell'art. 69, quarto comma c.p. non appare affatto conforme ad essi ed, anzi, se ne discosta nettamente. Precludendo in caso di recidiva reiterata il giudizio di prevalenza delle attenuanti, la norma non realizza ne' la finalita' retributiva e generalpreventiva perche' non consente di adeguare la pena alla specificita' del caso concreto e, anzi, impone, come dovrebbe avvenire nel caso in esame, un trattamento sanzionatorio del tutto sproporzionato ed inadeguato alla gravita' del caso, ma neppure la finalita' specialpreventiva e rieducativa della pena, non potendo una pena siffatta, abnorme e sproporzionata, agevolare il reinserimento sociale del reo e modificare la sua personalita'. Una pena quale quella che consegue al nuovo regime di comparazione delle circostanze introdotto dalla cosiddetta legge «Cirielli» per i recidivi reiterati, non produce alcun risultato sotto il profilo generalpreventivo, perche' anche socialmente percepita come ingiusta in quanto abnorme e sproporzionata, non realizza alcun risultato utile sotto il profilo specialpreventivo e rieducativo, perche' imponendo l'irrogazione di sanzioni sproporzionate ed irragionevoli, aggrava ingiustificatamente lo stigma sociale che si accompagna alla condanna e preclude in radice ogni speranza di riscatto e di emenda.