IL TRIBUNALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, legge
11 marzo 1953, n. 87, nell'ambito del procedimento penale;
    Contro  Soro  Gabriele,  nato  a  Cagliari  l'8  settembre 1983 e
Littera  Vincenzo,  nato  a  Sestu il 19 settembre 1969, imputati del
delitto  di  cui  agli  artt. 110  c.p. e 73, comma 1 e 1-bis, d.P.R.
n. 309/1990  perche'  in  concorso  tra loro e con Bullita Giancarlo,
senza  l'autorizzazione  di  cui  all'art. 17  e  fuori dalle ipotesi
previste  dall'art. 75 stesso d.P.R., anche in ragione del peso lordo
complessivo,  delle modalita' di detenzione, illecitamente detenevano
gr.  56,00 di hashsih diviso in n. 111 dosi, sostanza stupefacente di
cui  alla  tabella  I  prevista  dall'art. 14  e cedevano due dosi di
hashish  a  Pilia  Antonio  ed a persone rimaste sconosciute sostanza
stupefacente  per  un quantitativo corrispondente all'importo di Euro
896,10.
    In Sestu, il 1° aprile 2006.
    Littera  con la recidiva reiterata specifica infraquinquennale di
cui all'art. 99 c.p.;
    Soro  con  la  recidiva  reiterata  ed  infraquinquennale  di cui
all'art. 99 c.p.
    Nel  corso  di un servizio mirato volto alla repressione di reati
in  materia  di  stupefacenti, i Carabinieri della Stazione di Sestu,
nella  serata  del 1° aprile 2006 effettuarono un servizio nei pressi
dell'abitazione  di  Soro  Gabriele,  sita  in  quel centro nella via
Tintoretto  n. 24,  abitazione  nella quale nei giorni precedenti era
stato  notato un insolito viavai di giovani, tra cui anche alcuni non
abitanti in Sestu. In particolare, il servizio, che aveva preso avvio
alle  21.30,  venne articolato attraverso l'attivita' di osservazione
diretta  dell'ingresso  dell'abitazione del Soro compiuta da militari
in abiti civili e auto di copertura, ed il supporto operativo fornito
da  altra pattuglia in divisa impegnata nel pattugliamento della zona
circostante.
    Intorno   alle   21,50  i  militari  impegnati  nel  servizio  di
osservazione  dell'abitazione del Soro, furono allertati dai colleghi
in  perlustrazione  che  un  giovane  non  abitante a Sestu che, poco
prima,  era  stato  fermato e perquisito con esito negativo, si stava
dirigendo   verso  la  via  Tintoretto;  poco  dopo,  i  militari  in
osservazione  videro  un  giovane il quale, dopo aver parcheggiato il
proprio  ciclomotore  nei  pressi  dell'abitazione  del  Soro, si era
recato  all'interno  di  essa,  da  cui,  dopo essersi trattenuto per
qualche attimo, usciva,allontandosi a bordo del suo ciclomotore.
    Il  giovane,  identificato  in  seguito  in  Pilia Antonio, venne
subito  fermato,  rinvenendosi sulla sua persona due dosi di hashish;
in  quel  frangente,  i militari videro che si stava avvicinando alla
casa   del  Soro  un  altro  giovane,  che,  pero',  alla  vista  dei
Carabinieri,  si  era  dato  a  precipitosa  fuga. Era allora seguita
l'immediata perquisizione dell'abitazione del Soro nella quale, nella
stanza  da  bagno,  occultato  all'interno  di  un  armadietto  per i
medicinali,  si  rinveniva un contenitore in plastica dentro il quale
v'erano n. 111 dosi di sostanza stupefacente tipo hashish per un peso
complessivo lordo pari a grammi 56; la perquisizione era stata estesa
alle  persone  presenti  nell'abitazione  tra  cui oltre al Soro e ad
alcuni  suoi  familiari, erano anche un certo Piras Giuseppe, Littera
Vincenzo  e  Bullita Giancarlo. Addosso a quest'ultimo si rinvenne la
somma  di  euro  71, 10, addosso al Littera la somma di euro 825,00 e
una  dose  di  hashish,  addosso  al Soro ed al Piras non si rinvenne
alcunche'.
    Soro  Gabriele,  Littera  Vincenzo  e  Bullita  Giancarlo vennero
tratti  in arresto nella flagranza del delitto di illegale detenzione
in  concorso  di sostanza stupefacente tipo hashish e della pregressa
vendita  di  imprecisati  quantitativi  di  analoga  sostanza  per il
controvalore  di 896,00 euro e condotti in data 3 aprile 2006 davanti
al Tribunale di Cagliari in composizione monocratica per la convalida
dell'arresto ed il contestuale giudizio direttissimo.
    Convalidato  l'arresto  ed  applicata  al  Soro  ed  al  Littera,
entrambi  pluripregiudicati  - il Littera, in particolare con diversi
precedenti specifici per reati in materia di stupefacenti - la misura
cautelare  della  custodia  in  carcere,  ed al Bullita, incensurato,
quella  degli  arresti domicilari, la difesa dell'imputato ha chiesto
termine  a  difesa;  il processo e' stato quindi rinviato all'udienza
del  6  aprile  2006,  nella quale il solo Bullita ha chiesto, con il
consenso  del pubblico ministero, l'applicazione della pena, ritenuto
il  fatto  di  lieve  entita'  di  cui  all'art. 73,  comma 5, d.P.R.
n. 309/1990  e  con  le  attenuanti generiche, nella misura finale di
anni  uno  e  mesi  dieci  di  reclusione  e  1500,00  euro di multa,
subordinata alla sospensione condizionale della pena.
    Il    tribunale,    dichiarando   la   propria   incompatibilita'
sopravvenuta,  ha  disposto la separazione del processo nei confronti
del  Bullita,  definitosi con il rito alternativo indicato, da quello
nei  confronti  di  Littera  e  Soro, gli atti relativi al quale sono
stati   trasmessi   al   presidente   del   tribunale  per  la  nuova
assegnazione.
    Il  processo  a  carico  del Littera e del Soro e' stato, quindi,
assegnato  a  questo  giudice,  davanti  a cui le parti, a seguito di
regolare citazione, sono comparse all'udienza del 21 aprile 2006.
    Il  processo  a  carico del Littera e del Soro e' stato celebrato
nelle  forme  del  rito  ordinario  ed  istruito  mediante l'esame di
diversi  testimoni, dell'imputato di reato connesso Bullita Giancarlo
e mediante produzioni documentali.
    In   particolare,  sono  stati  acquisiti  al  fascicolo  per  il
dibattimento sull'accordo delle parti anche a fini di prova la C.n.r.
Carabinieri  di  Sestu  del  2  aprile 2006 ed il verbale di arresto.
Sommariamente va qui ricordato che, tra gli altri, e' stato esaminato
il  Pilia,  il  quale  ha riferito di essersi recato ad acquistare lo
stupefacente   rivenuto   sulla   sua   persona  in  occasione  della
perquisizione  cui  era stato sottoposto, nell'abitazione del Soro su
indicazione  del Bullita, che, materialmente, glielo aveva ceduto; e'
stato   anche  esaminato  Bullita,  il  quale  ha  sostenuto  che  lo
stupefacente   era  di  sua  esclusiva  proprieta',  che  egli  aveva
provveduto  ad  acquistarlo  nel  corso della serata portandolo in un
unico  pezzo  nella  casa  del Soro, dove, chiusosi in bagno e, a suo
dire,  all'insaputa dello stesso Soro e degli altri soggetti presenti
nella  casa, aveva provveduto a confezionare le dosi di stupefacente,
oltre  un  centinaio,  che  poi  aveva  occultato nell'armadietto dei
medicinali  posto  nel  bagno utilizzando un coltellino, peraltro non
rinvenuto  nel  corso della perquisizione ne' addosso al Bullita, ne'
all'interno  del bagno; infine, di aver egli personalmente provveduto
all'insaputa  del  Soro  e  del Littera, nonche' degli altri presenti
nella  casa,  dopo l'arrivo di Pilia, a prelevare due dosi di hashish
ed a cederle riservatamente all'acquirente Pilia.
    Sono  stati,  inoltre,  esclusi numerosi testimoni indicati dalla
difesa  ed  attraverso  cui  quest'ultima ha cercato di dimostrare la
provenienza  lecita  della  somma  detenuta dal Littera e la ragione,
connessa  ad un incontro di tipo convivale, della presenza di questi,
del  Bullita  e di diversi altri soggetti, tra cui anche la madre del
Soro, nell'abitazione di quest'ultimo all'atto della perquisizione.
    Nessuna  delle  parti  ha  esplicitamente domandato l'esame degli
imputati.  Conclusa  l'istruttoria, su istanza della difesa, e' stata
disposta  la  revoca della misura cautelare applicata al Littera, che
e' stata invece mantenuta per il Soro.
    Ad   esito   della  discussione  le  parti  hanno  rassegnato  le
rispettive  conclusioni,  chiedendo  il pubblico ministro la condanna
del  Soro  e  del  Littera  alla  pena  di  anni  sei di reclusione e
30.000,00  euro  di multa, la difesa dell'imputato in via principale,
l'assoluzione  per  entrambi  per  non  aver  commesso  il  fatto, in
subordine per il solo Soro la riqualificazione del reato in quello di
favoreggiamento  reale  con  la  condanna  al minimo della pena con i
benefici di legge se concedibili.
    Il processo e' stato rinviato per eventuali repliche.
    Ad esito della discussione, il tribunale ritiene che debba essere
sollevata la questione di legittimita' costituzionale, per violazione
degli  artt. 3,  25  e  27  Costituzione, dell'art. 69, quarto comma,
codice  penale,  come novellato dall'art. 3, legge 251 del 5 dicembre
2005   (nota  come  legge  «Cirielli»)  in  quanto  rilevante  e  non
manifestamente infondata.
    Quanto  alla  rilevanza,  si  deve  osservare  come  gli elementi
emergenti  dagli  atti  potrebbero  portare  nel  caso  di  specie ad
affermare  la  penale  responsabilita' degli imputati in relazione al
reato  loro  ascritto,  quantomeno in ordine alla contestata cessione
delle  due  dosi  di  stupefacente  al Pilia e di cessione di analoga
sostanza  per  controvalore pari a quella parte della somma di denaro
in  sequestro  rinvenuta  nella disponibilita' del Bullita (pari poco
piu' di 71 euro), nonche' alla illegale detenzione di grammi 56,00 di
hashsih,  detenzione  di  cui diversi elementi parrebbero contraddire
all'esclusiva destinazione ad uso personale.
    In  caso  di  condanna,  considerata  la  complessiva entita' del
fatto,  esso  andrebbe qualificato, per la sua oggettiva consistenza,
nell'ambito  della  fattispecie  attenuata di cui all'art. 73, quinto
comma,  d.P.R.  9  ottobre  1990,  n. 309, in tale senso deponendo le
circostanze  e  concrete  modalita'  del  fatto  nel  cui  ambito  va
considerato  anche  il  dato  assai  significativo,  del  complessivo
quantitativo  di  sostanza rinvenuto, pari a 56,00 grammi di hashish,
oltre  al  quantitativo  pari  a  0,98  grammi  di  analoga  sostanza
sequestrata  al  Pilia e del denaro costituente probabile provento di
una pregressa attivita' di spaccio (stimabile in 71 euro circa).
    Nell'ipotesi  di  fatto  di  lieve  entita', in base alla novella
dell'art. 73,  d.P.R.  n. 309/1990 introdotta con il d.l. 30 dicembre
2005, n. 272, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 27 febbraio 2006 ed
in vigore dal 28 febbraio 2006, e' ora prevista anche per le sostanze
del  tipo  di  quella in esame, la pena della reclusione da uno a sei
anni e della multa da 3.000,00 euro a 26.000,00 euro.
    In  relazione alla disposizione di cui all'art. 73, quinto comma,
d.P.R.  n. 309/1990  e' costantemente e pacificamente riconosciuta la
sua  natura  di  circostanza  attenuante  ad effetto speciale, con la
conseguenza  che quando essa concorre con una circostanza aggravante,
compresa  anche  la  recidiva,  deve  obbligatoriamente procedersi al
giudizio  di  comparazione  tra  circostanze  attenuanti e aggravanti
secondo  la  previsione  di cui all'art. 69 c.p. (tra le tante: Cass.
pen., sez.  VI,  15  ottobre  2002  n. 37016,  Cass.  pen, sez. IV, 2
febbraio 2001 n. 10771 e Cass. pen. sez. un, 21 giugno 2000 n. 17).
    Poiche'  nel  giudizio  a  quo  e'  stata  contestata la recidiva
reiterata  specifica  ed  infraquinquennale  al Littera ed al Soro la
recidiva  reiterata  e  infraquinquenale, viene in considerazione una
circostanza  aggravante  inerente  la  persona  del colpevole (tra le
tante:  Cass.  pen  5  marzo  1999  e  3 ottobre 2000), e sussistendo
l'attenuante  ad  effetto  speciale  del fatto di lieve entita', deve
procedersi  al  giudizio obbligatorio di comparazione tra circostanze
attenuanti e aggravanti.
    Nell'ambito  del giudizio volto alla determinazione della pena in
concreto  secondo  i  criteri  di  cui  agli  articoli 133  c.p. e 27
Costituzione  e,  in  particolare, allorquando concorrano circostanze
attenuanti  ed aggravanti e debba procedersi percio' all'obbligatorio
giudizio di comparazione, deve aversi ora riguardo al disposto di cui
all'art. 69, sesto comma c.p., come modificato dalla legge 5 dicembre
2005,  n. 251,  in  vigore  alla  data  del commesso reato per cui e'
processo.
    Tale nuova disciplina, a differenza di quanto avveniva nel regime
previgente,  in  caso  di  recidiva  reiterata vincola il giudice nel
bilanciamento  delle circostanze al solo giudizio di equivalenza o di
subvalenza   delle   attenuanti   rispetto   alle  aggravanti,  senza
introdurre  alcuna  eccezione,  neppure  in  relazione  a circostanze
attenuanti   ad   effetto  speciale,  come  e'  pacificamente  quella
dell'art. 73,  quinto comma, d.P.R. n. 309/1990, le quali introducono
una  ridefinizione  della cornice edittale in modo del tutto autonomo
rispetto alla fattispecie non attenuata.
    Ne consegue che nel caso in esame, applicando i criteri suddetti,
poiche'   non   e'   piu'   possibile   il   giudizio  di  prevalenza
dell'attenuante  del  fatto  di  lieve entita' di cui al comma cinque
dell'art. 73,  d.P.R.  n. 309/1990  sulla contestata aggravante della
recidiva reiterata, ma solo quello di equivalenza (o subvalenza delle
attenuanti  rispetto  alle  aggravanti), la pena da irrogare andrebbe
definita  nell'ambito  della  cornice  edittale di cui al nuovo testo
dell'art. 73  d.P.R.  citato  e,  quindi,  in  concreto,  secondo  la
disciplina  introdotta dall'art. 4-bis del citato decreto n. 272/2005
nella  cui  vigenza  e'  stato  posto  in  essere il fatto delittuoso
oggetto  del giudizio, a partire dalla pena di sei anni di reclusione
e 26.000,00 euro di multa e fino a quella di venti anni di reclusione
e 260.000,00 euro di multa.
    A  parere di questo giudicante, l'attuale disciplina dell'art. 69
c.p.  non  appare suscettibile, in punto di giudizio di comparazione,
di   altra  ragionevole  interpretazione  diversa  da  quella  teste'
esposta,  la  quale si impone sulla base del dato testuale, di quello
logicesistematico,   nonche'  storico,  costituendo  il  divieto  del
giudizio  di  prevalenza  delle circostanze attenuanti per i recidici
reiterati  il  risultato  che,  dichiaratamente, nel corso dei lavori
preparatori,  il  legislatore  ha  inteso  realizzare  con  la  nuova
disciplina dell'art. 69 c.p.
    L'attuale   testo   dell'art. 69,   sesto  comma  c.p.p.  appare,
pertanto,  in  contrasto  con  il  principio  di  eguaglianza  di cui
all'art. 3  Costituzione,  in  quanto,  irragionevolmente,  esso, con
riferimento  alla fattispecie concreta in esame, conduce a sottoporre
fatti  di  detenzione illegale di stupefacenti riconducili al caso di
lieve  entita',  ove  siano  commessi  da  un  recidivo reiterato, al
medesimo   trattamento   sanzionatorio  previsto  per  le  ipotesi  -
oggettivamente  diverse  e ben piu' gravi - riconducibili al fatto di
non  lieve  entita'; di converso, e altrettanto irragionevolmente, la
disposizione  in  parola  consente  di  sottoporre  ad un trattamento
sanzionatorio  notevolmente  diverso  casi  che, sul piano oggettivo,
appaiono in tutto analoghi.
    Cosi'   facendo   si  arriverebbe  alla  conseguenza,  del  tutto
irragionevole,  di  irrogare  nei  confronti di un recidivo reiterato
(magari,   come  e'  specificatamente  nel  caso  dell'imputato  Soro
Gabriele, per non gravi delitti e comunque per delitti non specifici)
per  il  reato  di  detenzione  illegale di un modesto o comunque non
elevato,  come  e' nel caso in esame, quantitativo di stupefacente la
pena  di  sei anni di reclusione e 26.000 euro di multa e, viceversa,
di  irrogare  una  pena  notevolmente piu' bassa a chi abbia commesso
fatti  oggettivamente  assai  piu'  gravi  e  indicativi  di  una ben
maggiore pericolosita', come nel caso di chi detenga, ad esempio, ben
piu'  consistenti  quantita' della medesima sostanza, ma abbia potuto
beneficiare  della  prevalenza  delle  attenuanti,  perche',  magari,
incensurato, o comunque, non recidivo reiterato.
    La  stessa  norma  conduce  anche a punire diversamente fatti tra
loro  oggettivamente  identici  e  che  si  differenziano solo per lo
status  personale  di  chi  li  abbia  commessi,  cioe'  solo  per la
circostanza  che l'autore sia oppure no un recidivo reiterato. Cosi',
nell'esempio  sopra  visto, un soggetto imputato di detenzione a fini
di  spaccio  di un modesto o non elevato quantitativo di stupefacente
che  non  sia  recidivo  reiterato vedrebbe la sua pena correttamente
determinata  in  misura  superiore al minimo edittale previsto per il
fatto  di  lieve  entita'  (un  anno  di reclusione e 3000,00 euro di
multa)  ma certamente molto al di sotto del massimo edittale previsto
per  lo  stesso  fatto di lieve entita' (sei anni e 26000,00), pur se
annovera  gia'  un  precedente,  anche  se specifico; di converso, un
recidivo reiterato vedrebbe la sua pena determinata nell'ambito della
cornice   edittale  della  fattispecie  non  attenuata  del  comma  1
dell'art. 73,  d.P.R.  n. 309/1990  e, quindi, in concreto, a partire
dalla  pena  di  sei  anni di reclusione e 26.000,00 euro di multa; e
cio', si osservi, anche se annovera precedenti non recenti o comunque
di  scarsissima  significativita' rispetto al reato oggetto del nuovo
giudizio  (si pensi, ad esempio al caso di un recidivo per ingiurie o
simili  o,  al caso del Soro che annovera due precedenti per furto ed
un   porto   illegale  d'armi  ai  sensi  di  cui  all'art. 4,  legge
n. 110/1975).
    Cio'  vale  oggi,  a  maggior  ragione,  a  seguito della recente
novella  dell'art. 73,  d.P.R.  n. 309/1990 introdotta con il d.l. 30
dicembre   2005,  n. 272,  pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  27
febbraio  2006 ed in vigore dal 28 febbraio 2006, che, equiparando il
trattamento  sanzionatorio tra le sostanze stupefacenti in precedenza
ricomprese  in tabelle diverse, fuori dalle ipotesi di lieve entita',
prevede  un  minimo  edittale notevolmente elevato (sei anni e 26.000
euro)  e addirittura pari, quanto all'hashish, alla pena che, secondo
la  disciplina  previgente  (vecchio art. 73, sesto comma sostanze di
cui  alla  tabelle  II  e  IV)  costituiva il limite edittale massimo
previsto per tal tipo di sostanza.
    Ne  deriva  un'irragionevole  ed  ingiustificata  disparita'  del
trattamento  penale  per  effetto  della  quale,  in dipendenza della
condizione   di   recidivo   reiterato   in   cui   versa   l'autore,
fattigettivamente   identici   o  analoghi  sono  sottoposti  a  pene
sensibilmente  diverse e fatti oggettivamente diversi sono sottoposti
alla medesima pena.
    Il  principio  della pari dignita' sociale e dell'eguaglianza dei
cittadini  di  fronte  alla  legge enunciato dall'art. 3, primo comma
della  Costituzione  vale  a  statuire  che  il  Legislatore non puo'
operare discriminazioni fra i soggetti dell'ordinamento a seconda del
loro  sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, ma neppure
in  ragione delle loro condizioni personali e sociali; e perche' tale
principio  possa trovare effettiva applicazione, occorre che la legge
tratti  in  maniera  eguale  situazioni  eguali  e in maniera diversa
situazioni diverse (tra le tante: Corte cost. sent. n. 217/1972).
    Orbene,  se  la  valutazione della diversita' delle situazioni e'
rimessa in linea di principio al Legislatore, tale valutazione non si
fonda su una discrezionalita' assoluta, trasfomandosi essa altrimenti
in   arbitrio,  ma,  secondo  quanto  costantemente  affermato  dalla
giurisprudenza  costituzionale, la discrezionalita' legislativa trova
un limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare
la  disparita'  di  trattamento tra i cittadini (Corte cost. sentenze
n. 62/1972,  n. 200/1972,  n. 370/1996);  affermazione,  questa,  che
conserva  la  sua validita' anche allorquando venga in considerazione
la  questione,  delicatissima,  del  sindacato  da  parte della Corte
costituzionale delle scelte legislative di politica criminale ( Corte
cost. sent. n. 362/2002).
    Nel  caso  di specie, non pare che la preclusione del giudizio di
prevalenza   per  i  recidivi  reiterati  possa  trovare  ragionevole
giustificazione  nella  diversa  condizione  in cui versa il recidivo
reiterato.  Come  e'  noto  e  come puo' constatarsi nella quotidiana
pratica  giudiziaria,  la  recidiva reiterata puo' non assumere alcun
significato  pregnante  sotto il profilo della pericolosita', potendo
venire  in  considerazione  precedenti  risalenti  nel  tempo, ovvero
riferentesi  a  delitti  che,  pur  dolosi,  non  sono tuttavia gravi
rispetto alla tavola dei valori costituzionali ed alla loro gerarchia
o   che,  comunque,  non  hanno  alcuna  significativita'  sui  piano
criminale rispetto ai fatti oggetto del nuovo giudizio.
    La   norma   in   esame,   precludendo  al  giudice  in  sede  di
bilanciamento   la   prevalenza   delle   attenuanti  sulla  recidiva
reiterata,  introduce  in  tal  modo  un'  ipotesi  di  pericolosita'
presunta,  uno  status  personale  che,  qualunque  sia il titolo dei
delitti  oggetto  delle  precedenti  condanne  e  l'epoca  della loro
commissione,  impone  di  per  se'  un'indiscriminata omologazione di
tutti   i   recidivi   reiterati,  di  cui  presume  in  assoluto  la
pericolosita'.
    La  disposizione dell'art. 69, sesto comma c.p. nella sua attuale
formulazione  pare  cosi'  porsi  in  contrasto  con  il principio di
eguaglianza,  perche'  essa  sottopone  a  trattamento  sanzionatorio
identico  casi  che  sono  oggettivamente  e  sensibilmente diversi e
sottopone  a  trattamento penale diverso casi che sono oggettivamente
identici,  in  dipendenza  di una condizione personale dell'autore di
cui,  irragionevolmente,  presume  in  assoluto  la  pericolosita', a
prescindere dalla situazione concreta e dalle circostanze del caso.
    Ma  la  norma  da  applicare al caso concreto, appare altresi' in
contrasto  con  i principi evincibili dagli artt. 25, secondo comma e
27, commi uno e tre Costituzione.
    Anzitutto,   essa,   introducendo  un  automatismo  sanzionatorio
ancorato   alla   sola   personalita'   del  colpevole  ed  alla  sua
pericolosita'   presunta   e   svincolando   del  tutto  la  concreta
determinazione  della  pena dalla oggettiva gravita' del fatto, viola
il  principio  di  legalita'  di cui all'art. 25, secondo comma della
Costituzione,  che  impone,  nell'ambito  delle  sanzioni  penali, di
irrogare queste ultime solo in presenza della commissione di un fatto
costituente reato e preclude, invece, di punire la sola pericolosita'
sociale.
    Ma  ancor piu' evidente appare il contrasto con i principi di cui
all'art. 27,  primo  e  terzo  comma  della  Costituzione, oltre che,
sott'altro   aspetto,   del   gia'   richiamato   articolo   3  della
Costituzione.
    Tali  principi,  infatti,  fissano  i  caratteri che delineano il
sistema  punitivo  secondo la Costituzione e rendono incostituzionali
le pene che da tali caratteri si discostano.
    Viene   qui   in   considerazione,  anzitutto,  il  principio  di
personalita'  della  responsabilita'  penale  insita  nella  funzione
retributiva  della  pena,  per  cui deve escludersi che la pena possa
essere aggravata solo per soddisfare esigenze generali di prevenzione
e   di   difesa  sociale  che  prescindono  dalla  valutazione  della
personalita'  del  condannato;  viene  poi  in  esame il principio di
proporzionalita'   della   pena,   insito   anch'esso   nel  concetto
retributivo, che impone un trattamento differenziato delle situazioni
diverse, ma anche la congruita' della pena, intesa quest'ultima quale
adeguatezza  della pena irrogata in concreto alla gravita' del fatto,
al  grado  dell'offesa,  al  tipo  di colpevolezza ed alle condizioni
personali dell'agente.
    Ma  viene,  soprattutto,  in  considerazione  il  principio della
finalita'   rieducativa   della   pena;  infatti,  secondo  la  Carta
costituzionale   la   pena,   oltre  che  un'  ineludibile  finalita'
retributiva  e  generalpreventiva,  deve  avere  anche  una finalita'
rieducativa  e  agevolare percio' la risocializzazione del reo, anche
ai  fini  di  combattere  la  recidiva,  si  afferma,  percio', nella
giurisprudenza  costituzionale e dalla piu' attenta dottrina, che nel
quadro   della   pena   edittalmente  fissata  secondo  il  principio
retributivo,  la  pena concretamente applicabile va determinata anche
in          funzione         delle         eventuali         esigenze
specialpreventivo-risocializzative  del  soggetto,  senza  che  l'una
funzione  possa  essere  obliterata  esclusivo  vantaggio  dell'altra
(Corte costituzionale sent. n. 306/1993).
    Si     delinea,     in     ultima    analisi,    la    necessita'
dell'individualizzazione  della  pena;  ed invero, solo l'adeguamento
del trattamento punitivo alla specificita' del caso concreto consente
di   assicurare   un'effettiva   eguaglianza  di  fronte  alle  pene,
contribuisce  a  rendere  «personale»  la responsabilita' penale ed a
finalizzare la pena stessa alla rieducazione del reo.
    Se   tali   sono  i  caratteri  che  deve  avere  il  trattamento
sanzionatorio  delineato  dalla  Costituzione,  l'attuale  disciplina
dell'art. 69,  quarto  comma c.p. non appare affatto conforme ad essi
ed,  anzi, se ne discosta nettamente. Precludendo in caso di recidiva
reiterata  il  giudizio  di prevalenza delle attenuanti, la norma non
realizza ne' la finalita' retributiva e generalpreventiva perche' non
consente  di  adeguare la pena alla specificita' del caso concreto e,
anzi,   impone,   come  dovrebbe  avvenire  nel  caso  in  esame,  un
trattamento sanzionatorio del tutto sproporzionato ed inadeguato alla
gravita'  del  caso,  ma  neppure  la  finalita'  specialpreventiva e
rieducativa  della  pena,  non  potendo  una pena siffatta, abnorme e
sproporzionata,   agevolare   il  reinserimento  sociale  del  reo  e
modificare la sua personalita'. Una pena quale quella che consegue al
nuovo  regime  di  comparazione  delle  circostanze  introdotto dalla
cosiddetta  legge  «Cirielli»  per  i recidivi reiterati, non produce
alcun  risultato  sotto  il  profilo generalpreventivo, perche' anche
socialmente   percepita   come   ingiusta   in   quanto   abnorme   e
sproporzionata,  non  realizza alcun risultato utile sotto il profilo
specialpreventivo  e  rieducativo, perche' imponendo l'irrogazione di
sanzioni sproporzionate ed irragionevoli, aggrava ingiustificatamente
lo  stigma  sociale  che  si  accompagna  alla condanna e preclude in
radice ogni speranza di riscatto e di emenda.