IL TRIBUNALE Decidendo in ordine alla richiesta di emissione di sentenza ex art. 129 c.p.p., avanzata dalle difese, ed in particolare dalla difesa di Urbani Paolo e Urbani Bruno; O s s e r v a Con particolare riferimento ai reati fiscali contestati ai predetti imputati, quali legali rappresentanti della ditta «Urbani Tartufi di Paolo e Bruno Urbani S.n.c.», inerenti l'evasione IVA e quella delle II.DD. per gli anni di imposta 1998 (capi F, H, I3, L3, M3, L4), 1999 (capi E, H, H3, I3, A4, C4, M4), 2000 (capi F, H, I, L, D3, E3, H3, I3, T3, Z3, A4, B4, 14, M4, N4) non coperti da prescrizione, i difensori hanno chiesto emettersi immediata declaratoria di non doversi procedere in forza di intervenuta definizione, ex art. 15, legge 27 dicembre 2002, n. 289, del processo verbale di constatazione della G.d.F. Comando nucleo provinciale della Polizia tributaria di Perugia, n. 107 del 16 settembre 2002. In proposito, la competente amministrazione finanziaria ha attestato l'avvenuto versamento dell'importo di legge per la definizione (nota 7 dicembre 2004 in atti) e l'assenza di carichi pendenti risultanti al sistema informativo dell'anagrafe tributaria (nota 1° luglio 2003, protocollo n. 10608 in atti). L'esame da parte del collegio del processo verbale di constatazione 16 settembre 2002 non ha evidenziato elementi (assenza di corrispondenza con i dati contenuti nel processo verbale) per far ritenere non perfezionata la definizione. La proponenda questione dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 15, legge 27 dicembre 2002, n. 289, fermo restando il potere dell'adita Corte (ai sensi dell'art. 27, legge n. 87/1953) di declaratoria dell'illegittimita' conseguenziale di parte o dell'intera ulteriore normativa in tema di condono, si palesa, quindi, rilevante ai fini della decisione da emettere nel presente procedimento. Sulla non manifesta infondatezza della questione valgano le seguenti considerazioni. Violazione dell'art. 79 Cost. A questo tribunale non sfugge che l'adita Corte (sent. n. 369/1988), pronunziando in materia di condono edilizio, ha evidenziato che i «moderni condoni penali», sostanziandosi in una complessa fattispecie estintiva (che si compone della domanda di condono, del pagamento delle rate di legge, della verifica amministrativa della definizione) non possono essere ricondotti ai «tradizionali (forse arcaici) istituti di clemenza o, comunque, estintivi del reato», perche' presuppongono una propria particolare ragion d'essere e, in particolare, «una netta distinzione, se non una separazione, tra reato e punibilita», utilizzando quest'ultima quale «mezzo per orientare condotte susseguenti all'illecito», utili a fini spesso estranei alla tutela del bene offeso dal reato, «sotto il miraggio del premio dell'estinzione del reato». Non sfugge, parimenti, che (sent. n. 427/1995) «esiste nell'ordinamento vigente tutta una serie di atti legislativi che determinano lo stesso effetto estintivo del reato prodotto dal condono edilizio, e per i quali, a differenza di quanto accade nel caso dell'amnistia, non sono previste procedure legislative diverse da quelle ordinarie» (es. oblazione ex artt. 162 e 162-bis c.p.; oblazioni introdotte dalla legge n. 689/1981; previsione di estinzione di reati collegata ad adempimenti richiesti agli autori degli stessi). Occorre tuttavia evidenziare che i condoni penali, a differenza delle altre fattispecie estintive da ultimo citate (che concernono limitatissime ipotesi di reati contravvenzionali con comminatoria di una sanzione anticipata o, semmai, ipotesi, generali e speciali, di ravvedimento operoso, rigorosamente delimitate, dal punto di vista spaziale e temporale, dal legislatore), appaiono essere gli unici casi di procedimento estintivo (ovvero di rinunzia all'esercizio della potesta' punitiva nei confronti) di tutti i reati riconducibili a determinate fattispecie astratte, commessi sino ad una data prefissata, subordinato al pagamento di somme e/o ad altre condotte del reo. Al di la' di qualsiasi espediente definitorio, ed al di la' dell'esistenza o meno di una mediazione fattuale tra norma ed effetto estintivo, non e' dato, dunque, distinguere alcuna diversita' tra gli effetti concretamente determinati da un'amnistia condizionata e quelli a sua volta determinati da un condono penale: in entrambi i casi viene in rilievo un generale effetto estintivo (o di rinunzia all'esercizio della potesta' punitiva), limitato ad una determinata «finestra temporale», connesso al pagamento di somme e/o altre condotte del reo. E tuttavia, la Costituzione ha previsto che la produzione concreta di un siffatto generale effetto, comportando una eclatante eccezione al principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ed al principio di obbligatorieta' dell'azione penale, sia affidata ad un (solo) istituto, appunto l'amnistia, in forza di una particolare procedura deliberativa parlamentare, richiedente una maggioranza qualificata. Nel caso di specie, l'avvenuta previsione, a maggioranza parlamentare semplice, della rinunzia alla punibilita' di un numero impressionante di condotte penalmente rilevanti, sanzionate con pene edittali elevate, suscettibili finanche dell'applicazione di misure cautelari personali detentive, mai prima nella storia della Repubblica attuata da un qualsiasi provvedimento cd. «di condono», si pone pacificamente al di fuori dei rigorosi confini che la Carta fondamentale, con l'art. 79, ha, in concreto, posto all'esercizio di tale rinunzia. Violazione degli artt. 3 (sotto il profilo della irragionevolezza e della disparita' di trattamento tra cittadini), 53, 54 e 112 Cost. Ferma restando la questione di cui al punto precedente, osserva questo Collegio che, la stessa Corte costituzionale, pur operando una (non condivisibile alla luce di quanto in precedenza esposto) netta distinzione tra le figure dell'amnistia e del condono penale, ha, in ogni caso, ritenuto dette figure come «specie» di una generale nozione di «misura di clemenza», che, comportando la rinunzia al potere punitivo dello Stato, e' comunque soggetta a precisi vincoli costituzionali. La Corte ha, quindi, evidenziato con chiarezza che «tutte le volte in cui si rompe il nesso costante tra reato e punibilita' e quest'ultima viene utilizzata per fini estranei a quelli relativi alla difesa dei beni tutelati attraverso l'incriminazione penale, tale uso, nell'incidere negativamente sul principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., deve trovare la sua giustificazione nel quadro costituzionale, che determina il fondamento ed i limiti dell'intervento punitivo dello Stato. La non punibilita' o la non procedibilita', dovuta a situazioni successive al commesso reato deve comunque essere valutata in funzione delle finalita' proprie della pena: ove l'estinzione della punibilita' irrazionalmente contrastasse con tali finalita', ove risultasse variante arbitraria, tale... da svilire il senso stesso della comminatoria edittale e della punizione, non potrebbe considerarsi costituzionalmente legittima». Ne consegue l'eccezionalita' dei provvedimenti di clemenza e la «necessita' di contenere nei piu' ristretti limiti l'esercizio della relativa potesta», tanto piu' «quando l'effetto estintivo debba spiegarsi nei confronti di reati che, direttamente o indirettamente, violano precetti, costituzionalmente sanciti, posti a tutela di fondamentali esigenze della comunita». Cio' posto, sulla totale non corrispondenza del c.d. condono fiscale di cui alla legge n. 289/2002 ai parametri sopra evidenziati, giova evidenziare quanto segue: 1. - Il condono di cui alla legge n. 289/2002 presenta le seguenti caratteristiche (art. 15, ma non dissimili sono i meccanismi previsti dall'art. 9): il perfezionamento della definizione delle varie ipotesi di accertamento fiscale comporta l'esclusione, ad ogni effetto, della punibilita' per i reati tributari di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, nonche' per i reati previsti dagli articoli 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491-bis e 492 del codice penale, nonche' dagli articoli 2621, 2622 e 2623 del codice civile, quando tali reati siano stati commessi per eseguire od occultare i citati reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria; trattasi, dunque, della «sanatoria» di un numero oggettivamente elevato di condotte penalmente rilevanti, sanzionate con pene edittali elevate, suscettibili finanche dell'applicazione di misure cautelari personali detentive (da ricordare che nel giudizio a quo si contestano reati relativi anche all'anno di imposta 2000); non sono previsti limiti oggettivi di evasione, di tal che possono essere sanate evasioni per miliardi di lire ovvero milioni di euro; la definizione si sostanzia nel pagamento di una frazione dell'imposta (massimo il 35% delle maggiori imposte e contributi complessivamente accertati ovvero indicati negli inviti al contraddittorio, superiori a 50.000 euro; ovvero applicando un aliquota del 20% alla somma dei maggiori componenti positivi e minori componenti negativi complessivamente risultanti dal verbale medesimo o riducendo del 50 per cento l'aliquota applicabile alle operazioni risultanti dal verbale stesso); qualora gli importi da versare complessivamente per la definizione eccedano, per le persone fisiche, la somma di 2.000 euro e, per gli altri soggetti, la somma di 5.000 euro, gli importi eccedenti possono essere versati in due rate successive, ma l'omesso versamento delle predette eccedenze non determina l'inefficacia della definizione (con la conseguenza che evasioni miliardarie diventano immediatamente non punibili pagando poche migliaia di euro). Si e' dunque in presenza di una «sanatoria» la cui portata non trova il minimo riscontro nei precedenti provvedimenti cd. «di condono» emessi nella storia recente, in quanto: a) i condoni edilizi di cui alle leggi n. 47/1985 e n. 724/1994 e lo stesso condono edilizio di cui al d.l. n. 369/2000, infatti, da un lato hanno riguardato reati esclusivamente contravvenzionali dall'altro hanno tutti previsto dei limiti oggettivi ben precisi ed assai stringenti alla sanabilita' degli abusi edilizi; b) il condono fiscale di cui al d.lgs. n. 218/1997 ha escluso la punibilita' per i reati previsti dal decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, limitatamente ai fatti oggetto dell'accertamento, ad eccezione dei reati di cui agli art. 2, comma 3, e 4 del medesimo decreto-legge. La non punibilita' ha coperto, dunque, nella quasi totalita', reati contravvenzionali, non e' stata estesa alla frode fiscale ed e' stata comunque subordinata al pagamento dell'intera imposta accertata e, sia pure in misura ridotta, delle sanzioni tributarie normativamente previste; c) la delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per i reati tributari di cui all'art. 67, legge n. 413/1991 non ha escluso dal novero dei reati sanabili la frode fiscale (ma era un'amnistia), ma ha comunque subordinato l'efficacia dell'estinzione dei reati in essa previsti all'integrale pagamento di imposte, interessi e sopratasse; 2. - Operato, dunque, un confronto con tutti i «condoni» precedenti e valutato il trattamento di assoluto favore concesso (come mai prima) dal condono di cui alla legge n. 289/2002 al cittadino/contribuente disonesto, appare francamente difficoltoso ipotizzare un vulnus ai principi di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, di eguale concorrenza dei cittadini alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva, di rispetto della Costituzione e delle leggi, di obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale maggiore di quello posto in essere dalla citata legge n. 289/2002. Una deroga cosi' ampia di principi costituzionali di rango assolutamente primario puo' trovare, dunque, una (comunque ardua) giustificazione, solo nella misura in cui si valuti la presenza di una situazione di assoluta eccezionalita'. da intendersi, evidentemente, come «unicita» e/o «inevitabilita' altrimenti», ovvero un adeguato bilanciamento di contrapposti interessi di eguale rilevanza. 3. - Orbene, con riferimento al condono ex legge n. 47/1985, la Corte costituzionale ha osservato che «il legislatore... ha inteso chiudere un passato di illegalita' di massa, alla quale aveva anche contribuito la non sempre perfetta efficienza delle competenti autorita' amministrative ed ha mirato a porre sicure basi normative per la repressione futura difatti che violano fondamentali esigenze sottese al governo del territorio, come la sicurezza dell'esercizio dell'iniziativa economica privata, il suo coordinamento a fini sociali la funzione sociale della proprieta', la tutela del paesaggi o e del patrimonio storico ed artistico ecc... E questi beni, secondo la discrezionale, ed incensurabile in questa sede, valutazione del legislatore del 1985, non potevano essere validamente difesi per il futuro, se non con la cancellazione del notevole, ingombrante carico pendente relativo alle passate illegalita' di massa» (sent. n. 369/1988). Successivamente, con riferimento all'art. 39, legge n. 724/1994, la Corte ha osservato che «... il carattere dell'art. 39 e' sicuramente quello di norma del tutto eccezionale in relazione anche a ragioni contingenti e straordinarie di natura finanziaria. Ne' a tale configurazione si oppone... la considerazione del lungo intervallo trascorso dalla concessione del condono di cui alla legge n. 47 del 1985... l'entita' del fenomeno di applicazione ed utilizzazione della norma impugnata nelle varie regioni induce a ritenere la persistenza dell `abusivismo, anche successivamente alle disposizioni di cui alla legge n. 47/1985... e, pertanto, la necessita' di un recupero della legalita' attraverso la regolamentazione dell'assetto del territorio, onde procedere ad un definitivo riordino della materia (anche attraverso la normativa collegata richiamata di seguito). Certamente, una tale soluzione, ove fosse reiterata, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento dei termini, riferiti all'epoca dell'abuso sanabile, non troverebbe giustificazione sul piano della ragionevolezza, in quanto finirebbe col vanificare del tutto le norme repressive di quei comportamenti che il legislatore ha considerato illegali perche' contrastanti con la tutela del territorio... Per le medesime ragioni, non puo' ritenersi la sussistenza di quel contrasto della norma sulla estinzione della punibilita' con le finalita' proprie della pena, cioe' con la difesa degli stessi beni tutelati attraverso l'incriminazione, che rappresenta un ulteriore limite costituzionale al potere di clemenza, sempre sotto il profilo della irragionevolezza. La normativa sul condono presenta, infatti, aspetti che sono direttamente volti al ripristino della tutela del controllo del territorio, come dimostrano, tra l'altro, le previsioni... di limiti di cubatura per l'ammissione della sanatoria e, in materia di abusi in aree vincolate, l'affermazione della necessita' dell'acquisizione dei pareri favorevoli delle amministrazioni preposte alla tutela dei vincoli ritenuti prioritari dal legislatore... (sent. n. 427/1995)». 4. - E tuttavia, se quelli esposti sono i parametri di valutazione del rispetto dei vincoli costituzionali del potere di clemenza, e, in definitiva, dell'eccezionalita' giustificante la rinunzia al potere punitivo dello Stato per un numero indeterminato di reati commessi in un definito periodo di tempo, mediante un atto di legislazione ordinaria approvato da una contingente maggioranza parlamentare, dette condizioni, nel caso di specie, non possono dirsi realizzate, in quanto: a) Ben due provvedimenti di clemenza in materia tributaria sono gia' intervenuti nel corso degli ultimi quindici anni, prima dell'odierno condono, cosi' che il terzo provvedimento, di cui alla legge n. 289/2002, che ha, tra l'altro, significativamente ampliato il trattamento di favore rispetto ai precedenti, non puo' ritenersi intervento di chiusura con un passato di illegalita' di massa, ma ciclica manifestazione di impotenza dello Stato a reperire adeguate risorse finanziarie e/o a porre in essere un'adeguata azione di contrasto all'evasione; b) il riordino del diritto penale tributario e' gia' avvenuto con la legge n. 516/1982 («manette agli evasori»), mentre il d.lgs. n. 74/2000, promulgato peraltro ben due anni prima del condono oggetto di trattazione, si e' limitato a restringere le fattispecie di reato in materia e ad introdurre soglie di punibilita' estremamente elevate, cosi' che anche sotto tali profili si palesa inesistente l'esigenza di chiudere con un passato di illegalita' di massa, in realta' non piu' ipotizzabile in forza della suesposta nuova disciplina introdotta dal d.lgs. n. 74/2000 cit.; c) Unico «limite» previsto dalla legge n. 289/2002 e' l'esclusione dalle ipotesi non punibili della fattispecie di cui all'art. 8, d.lgs. n. 74/2000; esclusione che appare di per se' irragionevole, tenuto conto della prevista non punibilita' dei reati di cui agli artt. 2 e 3 (non si punisce chi froda, ma si punisce chi si limita a fornire gli strumenti elusivi al frodatore); Al contrario, come in precedenza gia' evidenziato, si rinunzia alla punibilita' di un numero impressionante di reati di elevata gravita', non si prevedono limiti all'entita' dell'evasione, si pretende il pagamento di una modesta quota-parte delle imposte evase, senza sanzioni ulteriori e, cio' che e' piu' grave, in caso di importi da versare complessivamente per la definizione eccedenti, per le persone fisiche, la somma di 2.000 euro e, per gli altri soggetti, la somma di 5.000 euro, si consente a che l'effetto estintivo della punibilita' scatti indipendentemente dal versamento delle somme eccedenti i suesposti (invero irrisori) limiti. Qualora, poi, dette somme non siano versate, si procede con l'ordinaria iscrizione a ruolo e l'applicazione di una sanzione amministrativa (!); E' da chiedersi, quindi, in qual modo la forte riduzione delle somme da pagare, l'immediato recupero di poche migliaia di euro, e l'affidarsi, in caso di mancato versamento delle somme ulteriori, all'aleatorieta' delle ordinarie procedure di recupero coattivo, sia idoneo a tutelare i medesimi beni-interessi presidiati dalle fattispecie penali disapplicate e giustifichi la deroga a principi aventi rango costituzionale primario, quali quelli di cui agli artt. 3, 53, 54 e 112 Cost.; d) Appare, poi, opportuno evidenziare, in particolare, che la definizione di cui all'art. 15 cit. non discende minimamente da un»'autodenuncia», ne' sostanzia l'emersione di evasioni nascoste, trattandosi di condono in presenza di gia' emessi avvisi di accertamento, inviti al contraddittorio o processi verbali di constatazione, con cio' venendo in gran parte meno anche la connotazione del condono come strumento volto ad orientare la condotta del reo susseguente al reato, per il raggiungimento, in ogni caso, di fini di cortissimo respiro secondo quanto gia' evidenziato nel precedente punto c); e) La conclusione, evidentemente, non puo' che essere che contingenti «esigenze di cassa», costituenti risultante ciclica della persistente insufficienza dell'azione di contrasto all'evasione e per il perseguimento delle quali potevano senz'altro prevedersi altri interventi tutti pacificamente non lesivi (o meno lesivi) di principi fondamentali dell'ordinamento Repubblicano (tenuto conto che numerose manovre finanziarie della medesima entita', se non di entita' maggiore, di quella prevista dalla legge finanziaria 2003 non hanno previsto l'utilizzo dello strumento del condono fiscale), non possono in alcun modo giustificare, nel caso concreto, tutti gli effetti dirompenti (sin qui descritti) prodotti dalla disciplina posta dall'art. 15, legge n. 289/2002 e, piu' in generale, dall'intera normativa di condono fiscale introdotta dalla citata legge finanziaria 2003. Occorre, infine, evidenziare come non possa che disporsi la sospensione dell'intero procedimento, attesa la pacifica strettissima connessione probatoria tra tutte le fattispecie concretamente contestate, risultando, infatti, contrastante con evidenti esigenze di economia processuale la separazione delle fattispecie non direttamente interessate dalla soluzione della presente questione di costituzionalita', cio' comportando l'irragionevole duplicazione di attivita' istruttorie dibattimentali comuni a tutti i reati.