IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma 2, legge n. 87/1953 sul regolamento di competenza proposto da Sicil Power S.p.A. nel ricorso n. 1557/2005 proposto da: Legambiente - Comitato regionale siciliano, rappresentato e difeso dagli avv. Salvatore Asero Milazzo, Nicola Giudice e Giuseppe Cicero, con domicilio eletto in Catania, via Vecchia Ognina, 142/B presso l'avv. Salvatore Asero Milazzo; Contro Commissario delegato per emergenza rifiuti e tutela acque, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato con domicilio eletto in Catania, via Vecchia Ognina n. 149, presso la sua sede; Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipart. protezione civile, non costituita in giudizio e nei confronti di Sicil Power S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv. Carmelo Briguglio e Andrea Abbamonte con domicilio eletto in segreteria presso l'avv. Carmelo Briguglio, Comune di Catania, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Patane', con domicilio eletto in Catania, via G. Oberdan, 141, presso la sua sede; Comune di Messina; Comune di Calatabiano; Comune di Rometta (ME); Comune di Caronia; Comune di Paterno'; Provincia regionale di Catania; Provincia regionale di Messina; ATO Catania 1 «Ionia Ambiente S.p.A.»; ATO Catania 2 «ACI Ambiente»; ATO Catania 3 «Simeto Ambiente S.p.A.»; ATO Messina 1; ATO Messina 2; ATO Messina 3; ATO Messina 4; D.G.I. Daneco Gestione Impianti S.p.A.; Waste Italia S.p.A.; Siemens S.p.A.; Technipitaly S.p.A.; non costituite in giudizio; L'Altecoen S.r.l. rappresentato e difeso dall'avv. Fulvia Fazzi con domicilio eletto in Catania, via Crociferi, 60, presso l'avv. Bianca Pellegrino D.B. Group S.p.A., non costituita in giudizio per l'annullamento dell'ordinanza del Commissario delegato per l'emergenza rifiuti 1° marzo 2005, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 15 dell'8 aprile 2005, con la quale il Commissario delegato per l'emergenza rifiuti e la tutela delle acque in Sicilia ha: 1) espresso il giudizio positivo di compatibilita' ambientale sul progetto presentato dalla societa' Sicil Power; 2) approvato il progetto presentato da detta societa' relativo al sistema di gestione integrato per l'utilizzazione della frazione residua dei rifiuti urbani al netto della raccolta differenziata sistema Messina Catania; 3) autorizzato la societa' alla realizzazione di un polo impiantistico nel Comune di Paterno', c.da Cannizzola; 4) autorizzato la medesima alla realizzazione degli impianti meglio indicati all'art. 2 dell'ordinanza impugnata; 5) autorizzato la societa' alla gestione degli impianti suddetti; 6) nonche' di ogni altro atto presupposto, collegato, consequenziale e connesso, ivi comprese le valutazioni di impatto ambientale di cui al parere 10 giugno 2004, n. 591, e l'avviso di annuncio di richiesta di pronuncia di compatibilita' ambientale pubblicato sul Giornale di Sicilia del 23 marzo 2004. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di L'Altecoen S.r.l., del Commissario delegato per l'emergenza rifiuti e la tutela delle acque in Sicilia, del Comune di Catania e della Sicil Power S.p.A.; Visto il regolamento di competenza proposto da Sicil Power S.p.A.; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore per la camera di consiglio del 12 gennaio 2006 il referendario Maria Stella Boscarino; Sentiti gli avvocati delle parti come da verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o e d i r i t t o Con atto notificato il 1° luglio 2005 e depositato il successivo 12 luglio la controinteressata Sicil Power ha proposto ricorso per regolamento di competenza, indicando quale autorita' giudiziaria competente il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, in quanto che l'atto impugnato sarebbe imputabile alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Con memoria depositata in data 12 gennaio 2006 la ricorrente si e' opposta all'accoglimento della suddetta domanda, sollevando anzitutto eccezione di inammissibilita' del regolamento per mancata notificazione ai controinteressati nei riguardi dei quali la ricorrente ha integrato il contraddittorio ed osservando comunque che l'ordinanza impugnata avrebbe giuridico vigore solo nel territorio delle provincie di Catania e Messina. Tanto premesso, va ricordato che in base al quinto comma dell'art. 31 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, cosi' come introdotto dall'art. 9, quarto comma della legge 21 luglio 2000, n. 205, il Collegio e' tenuto ad una sommaria deliberazione del regolamento di competenza proposto ed a respingere direttamente l'istanza, qualora ne rilevi, sentiti i difensori delle parti, la manifesta infondatezza. Nel quadro normativo anteriore alla data di entrata in vigore della legge n. 21/2006 la questione sarebbe stata decisa con sentenza di manifesta infondatezza, in quanto, ad avviso del collegio, gli atti impugnati non rientra(va)no tra quelli la cui cognizione e' riservata al Tribunale amministrativo regionale centrale. Ma la sopravvenienza normativa impone al collegio di tener conto della nuova ipotesi di competenza funzionale inderogabile introdotta con la citata legge n. 21/2006, nonostante di tale normativa non abbia ovviamente fatto menzione la controinteressata, essendo stato il regolamento di competenza introdotto in data ben anteriore. Venendo appunto al regolamento di competenza, anzitutto l'eccezione di inammissibilita' opposta dalla ricorrente Legambiente va disattesa, in quanto i controinteressati nei cui riguardi l'associazione ricorrente ha integrato il contraddittorio sono stati individuati con O.C.I. n. 288 del 6 luglio 2005, quindi in data successiva alla notificazione del regolamento di competenza, avvenuta nelle date del 29 giugno e 1° luglio 2005. Nel merito, il provvedimento impugnato ha efficacia limitata al territorio delle Province di Catania e Messina, in quanto concerne l'approvazione del progetto presentato dalla controinteressata finalizzato ad un sistema di gestione integrato dei rifiuti limitatamente alle Province di Messina e Catania, nonche' la realizzazione di un polo impiantistico la cui localizzazione e' individuata nel Comune di Paterno', Provincia di Catania. Risulta pertanto evidente che, pur promanando il provvedimento impugnato da soggetto, il Commissario delegato, facente capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri, alla quale sono riferibili i relativi atti, gli effetti dallo stesso prodotti sono territorialmente limitati. Pertanto, va smentita la tesi della controinteressata secondo la quale ai sensi dell'art. 3 della legge n. 1034 del 6 dicembre 1971 la cognizione della controversia apparterrebbe alla competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, in quanto, al contrario, in virtu' della limitazione territoriale dell'efficacia degli atti impugnati la questione appartiene (ai sensi del citato art. 3 della legge n. 1034 del 6 dicembre 1971) al Tribunale amministrativo regionale locale, (Cons. Stato, Ad. plen. 1° giugno 2000, n. 14). Ma il Collegio deve affrontare d'ufficio la questione relativa alla competenza inderogabile del Tribunale amministrativo regionale del Lazio a conoscere della vicenda introdotta dalla legge n. 21/2006 pubbl. nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio 2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone: ... omissis ... «2-bis. In tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, la competenza di primo grado a conoscere della legittimita' delle ordinanze adottate e dei consequenziali provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari, al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma. 2-ter. Le questioni di cui al comma 2-bis, sono rilevate d'ufficio. Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell'art. 26, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando applicazione i commi 2 e seguenti dell'art. 23-bis della stessa legge. 2-quater. Le norme di cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano anche ai processi in corso. L'efficacia delle misure cautelari adottate da un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al comma 2-bis permane fino alla loro modifica o revoca da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata puo' riproporre il ricorso». Osserva il Collegio che la fattispecie in esame e' attratta nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3. Il collegio, pertanto, ritenendola rilevante ai fini della decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio e non manifestamente infondata, solleva questione di legittimita' costituzionale del predetto art. 3, e segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni bis, ter, quater, come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come gia' fatto in ordine ad altra fattispecie per la cui decisione e' venuta in rilievo la medesima norma (Tribunale amministrativo regionale Sicilia, I, ord. n. 90 del 7 marzo 2006). I) La rilevanza della questione ai fini della decisione da assumere e' di tutta evidenza. Il collegio sarebbe tenuto, sulla base della normativa sopravvenuta - ove non dubitasse della incostituzionalita' di essa e quindi non ritenesse necessario investire il giudice delle leggi della relativa questione - a trasmettere gli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio, e cio' per espressa disposizione della nuova disciplina che ne prescrive l'applicazione ai procedimenti pendenti e quindi anche per il procedimento odierno. II) Circa la non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno sospettare le norme in esame di incostituzionalita', osserva il collegio che la normativa introdotta dal legislatore con l'art. 3, comma 2, da bis a quater, della legge n. 21/2006, contrasta innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa di primo grado ivi espressa («Nella regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica») che implica il rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di competenza dei singoli organi predetti. Non appaiono, all'evidenza, manifeste o comunque sufficienti ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera di competenze costituzionalmente garantita nella materia di cui trattasi quando, come nel caso in esame, le singole situazioni di emergenza hanno rilievo spiccatamente locale con conseguente efficacia locale dei relativi provvedimenti adottati dai soggetti delegati alla cura delle varie situazioni emergenziali, anche se (arg. ex art. 2, comma 1, lett. «c» della legge n. 225/1992, richiamato dall'art. 5, comma 1, legge cit.) essi sono adottati per fare fronte a situazioni che «per intensita' ed estensione debbono essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari». III) Anzi, sotto questo aspetto, la norma e' altresi' contraddittoria ed irrazionale in quanto sottopone al medesimo trattamento processuale situazioni disparate e differenti tra di loro. In questo quadro, l'art. 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione normativa, i casi in cui (ex art. 2, comma 1, lett. «c» della legge n. 225/1992) sia necessario fare fronte con mezzi e poteri straordinari alle calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi che richiedano tale intervento per intensita' ed estensione. La previsione di cui alla legge n. 21/2006 radica la competenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio in tutti i casi in cui sia dichiarato lo stato di emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5 appena citato e quindi con esclusione dei casi di intervento di protezione civile per gli eventi che possano essere affrontati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2, lett. «a») e di quelli che richiedano intervento coordinato di questi ultimi (art. 2, lett. «b»). Quindi, il sistema della Protezione civile e' articolato in vari livelli di intervento, contraddistinti dal corrispondente grado di ampiezza della situazione emergenziale. Quindi per ogni tipologia territoriale e «qualitativa» della situazione di emergenza e' chiamato ad intervenire in merito il «livello» di governo piu' vicino alla concreta dimensione delle comunita' colpite e della natura dell'emergenza, quindi secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e senza escludere - funzionalmente e residualmente - che determinate funzioni siano «trasversali» ossia comprendano le competenze di piu' amministrazioni o livelli di governo. A fronte di questa multiformita' possibile di manifestazioni concrete dell'esercizio del potere, la regola generale di ripartizione delle competenze delineata dagli artt. 2 e seguenti della legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente con l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della legge n. 21/2006, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex lege rilevanza nazionale a qualsiasi controversia insorga nell'esercizio del potere di protezione civile, facendo leva solo sulla necessita' che esso presupponga l'intervento extra ordinem e quindi a dispetto dell'articolazione del potere previsto dalla legge n. 225/1992, posto che assegna la competenza funzionale a conoscere delle relative questioni al Tribunale amministrativo regionale Lazio (e quindi spinge l'interprete a dover ritenere che il legislatore abbia cristallizzato una valutazione di rilevanza nazionale di qualsiasi questione inerente la Protezione civile, richieda interventi extra ordinem). Appare utile rilevare, in questa sede, come la giurisprudenza della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che: con l'art. 5 della legge n. 225 del 1992, e' attribuito al Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza in ipotesi di calamita' naturali, ed a seguito della dichiarazione di emergenza, e per fare fronte ad essa, lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, il Ministro dell'interno possano adottare ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico; l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta, chiarisce che tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che il riconoscimento di poteri straordinari e derogatori della legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale; queste ultime due previsioni, inoltre, sono gia' stata ritenute dalla Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come espressive di un principio fondamentale della materia della protezione civile, sicche' deve ritenersi che esse delimitino il potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze legislative delineato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione). Alla luce di quanto sopra ricordato, la corte ha dichiarato illegittimo l'art. 4, comma 4, della legge della Regione Campania n. 8 del 2004, nella misura in cui essa ha attribuito al Sindaco di Napoli i poteri commissariali dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del Ministro dell'interno, dopo la scadenza della emergenza alla cui soluzione tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. n. 82/2005). Tale ragionamento comporta che, in relazione alla legge n. 225/1992 ed all'art. 107, comma 1, lettere b e c, d.lgs. n. 112/1998, possiedono rilievo nazionale «solamente» il potere di dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure ad esso finalisticamente connesso, di derogare, a norme dell'ordinamento. Ne consegue dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame e' irragionevole per contraddittorieta' e disparita' di trattamento processuale, poiche' utilizza lo stesso trattamento per situazioni del tutto differenti quanto ad ambito territoriale e livello e qualita' degli interessi pubblici coinvolti, nonche' per contrasto con l'art. 117 della Costituzione, poiche' implicitamente, finisce per attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla competenza regionale. IV) Ancora, l'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una effettiva natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei provvedimenti sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale amministrativo regionale Lazio, comporta indubbia violazione dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di tutela dei propri diritti ed interessi enunciata al primo comma; detta tutela ne risulta minorata, per la evidente maggiore difficolta' di esercitare le relative azioni presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti. Cio' vale sia per la fase transitoria in cui i giudizi pendenti trasmigrano al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sia per le future nuove controversie che secondo la nuova normativa dovrebbero essere ab initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale La corte ha ritenuto, in un caso in cui il legislatore aveva disposto l'estinzione ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma primo, legge n. 425/1984), che siffatta disposizione, in quanto «preclude al giudice la decisione di merito imponendogli di dichiarare d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi stato e grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge sopravvenuta», percio' stesso «viola il valore costituzionale del diritto di agire, in quanto implicante il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte costituzionale, sentenza n. 123 del 1987). Sebbene la fattispecie in esame sia diversa da quella oggetto della citata pronuncia, il principio tuttavia, ad avviso del collegio, e' nello stesso modo applicabile. Accade infatti, nel caso presente, che chi abbia gia' un giudizio pendente davanti al Tribunale amministrativo regionale locale, ed addirittura abbia ottenuto una decisione cautelare, debba proseguire altrove nella propria iniziativa giudiziaria, addirittura (se ne parlera' piu' diffusamente infra) rimanendo esposto ad una seconda pronuncia cautelare sollecitata dalla parte soccombente davanti al giudice adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione. V) Altro profilo di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre, nella violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale ora citata, stabilendo che «nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge», esclude, come la stessa Corte costituzionale afferma, «che vi possa essere una designazione tanto da parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole generali, quanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»; il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti, richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002). Come la Corte ha insegnato, perche' tale principio possa considerarsi rispettato occorre che «... la regola di competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta scorrere le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia di principio del giudice naturale per rilevare che e' proprio la preesistenza della regola che individua la competenza rispetto al giudizio il criterio fondamentale in base al quale sono state valutate le questioni sollevate. Tale profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente, ad avviso del collegio, nella parte della disciplina in questione (comma 2-quater), che non solo ne dispone l'applicazione ai processi pendenti, ma addirittura consente una riforma dei provvedimenti assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera di un organo giurisdizionale pariordinato a quelli di provenienza (trattasi di giudici tutti di primo grado, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio non essendo un «super-Tribunale amministrativo regionale»). Cosi' facendo, in sostanza, il legislatore ha introdotto un rimedio inedito, che non e' di secondo grado e che finisce per costituire un doppione del gia' espletato giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna possibilita' di inquadramento tra i rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione, reclamo). Pertanto, anche l'art. 25 della Carta costituzionale risulta vulnerato dalla normativa denunciata dal collegio; e se ne trae conferma da una recente decisione della Corte costituzionale, che, sebbene in relazione a disciplina totalmente diversa, ha avuto modo di affermare un principio generale, che e' quello della appartenenza della competenza territoriale alla nozione del giudice naturale precostituito per legge. Precisamente, la sentenza n. 41 del 2006 afferma, anzi, ribadisce (come testualmente si esprime, citando sentenze precedenti in termini), che «alla nozione del giudice naturale precostituito per legge non e' affatto estranea "la ripartizione della competenza territoriale tra giudici, dettata da normativa nel tempo anteriore alla istituzione del giudizio" (sentenze n. 251 del 1986 e n. 410 del 2005)». Per altro, atteso che il principio del doppio grado di giudizio nella giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di merito, riceve garanzia costituzionale dall'art. 125 della Carta (cfr. Corte cost., sentenza n. 8 del 1982), si configura un ulteriore profilo di violazione di detta norma. Viene infatti ad essere introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso (su cui gia' il collegio ha poco prima espresso i propri dubbi di incostituzionalita) che stravolge l'ordinario iter giudiziario. La regola e' che ad un giudizio di primo grado segua, ove la parte soccombente appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti di giudizio cautelare, sia che si tratti di giudizio di merito; giammai e' prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato a riformare la decisione del primo giudice. Orbene, ad avviso del collegio, siffatta disciplina integra altresi' violazione del principio del «giusto processo», di cui all'art. 111, comma primo, della medesima Carta («La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge»). Sempre con riferimento ai processi pendenti, infatti, la parte soccombente nel giudizio cautelare verrebbe ad essere fornita di uno strumento giurisdizionale anomalo e atipico a tutela della propria (legittima, ma da esercitare in modi conformi ai principi costituzionali) aspirazione ad ottenere una pronuncia favorevole in secondo grado (che deve tuttavia essere un vero giudizio di secondo grado, e non, si ribadisce, un inedito duplicato del giudizio di primo grado). Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio del ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale principio del «giusto processo» teste' richiamato. VI) Da ultimo, secondo un aspetto diverso che si riconnette ancora al tema del giudice naturale, la norma in esame viola l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia (legge costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948) a norma del quale: «Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la regione. Le Sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti svolgeranno altresi' le funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e contabile. I magistrati della Corte dei conti sono nominati, di accordo, dai Governi dello Stato e della regione. I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della Regione sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e' stata «interpretata» dall'art. 5 del d.lgs. 6 maggio 1948, n. 654, contenente norme per l'esercizio delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato nella Regione Sicilia, il quale prevede che il Consiglio di giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e provvedimenti definitivi «dell'amministrazione regionale e delle altre autorita' amministrative aventi sede nel territorio della regione». Osserva il Collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost. in data 12 marzo 1975, n. 61, dichiarando l'illegittimita' costituzionale delle limitazioni poste dall'art. 40, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, alla competenza del Tribunale amministrativo regionale Sicilia, e' stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite tutte le controversie d'interesse regionale considerate tali dall'art. 23, comma 1, d.l. 15 maggio 1946, n. 455, comprendendosi in tale categoria le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale ovvero concernenti pubblici dipendenti in servizio nella regione siciliana» (Consiglio Stato, sez. VI, 26 luglio 1979, n. 595). Quindi la legge n. 21/2006, in esame, e' costituzionalmente illegittima anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23 dello statuto regionale, sia nella sua formulazione letterale, che nella interpretazione pacifica che di esso ha maturato la giurisprudenza, anche costituzionale, riserva al Consiglio di Giustizia amministrativa ed in primo grado al Tribunale amministrativo regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale. VII) Per tutte le esposte considerazioni, deve sollevarsi la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, comma 2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli artt. 3, 125, 24 e 25 della Costituzione e per contrasto con l'art. 23 dello statuto della Regione Sicilia. Deve pertanto essere disposta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della predetta questione di legittimita' costituzionale, sospendendosi il giudizio instaurato con il ricorso in epigrafe, fino alla restituzione degli atti da parte della medesima Corte.