IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma
2,  legge  n. 87/1953 sul regolamento di competenza proposto da Sicil
Power  S.p.A.  nel  ricorso  n. 1557/2005  proposto da: Legambiente -
Comitato  regionale  siciliano,  rappresentato  e  difeso  dagli avv.
Salvatore  Asero  Milazzo,  Nicola  Giudice  e  Giuseppe  Cicero, con
domicilio  eletto in Catania, via Vecchia Ognina, 142/B presso l'avv.
Salvatore Asero Milazzo;
    Contro Commissario delegato per emergenza rifiuti e tutela acque,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  dello  Stato con domicilio
eletto  in  Catania,  via  Vecchia Ognina n. 149, presso la sua sede;
Presidenza  del  Consiglio  dei ministri - Dipart. protezione civile,
non  costituita  in  giudizio  e nei confronti di Sicil Power S.p.A.,
rappresentato   e  difeso  dagli  avv.  Carmelo  Briguglio  e  Andrea
Abbamonte  con  domicilio  eletto in segreteria presso l'avv. Carmelo
Briguglio,  Comune di Catania, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo
Patane', con domicilio eletto in Catania, via G. Oberdan, 141, presso
la  sua  sede;  Comune  di  Messina; Comune di Calatabiano; Comune di
Rometta  (ME);  Comune  di  Caronia;  Comune  di  Paterno'; Provincia
regionale  di  Catania; Provincia regionale di Messina; ATO Catania 1
«Ionia  Ambiente S.p.A.»; ATO Catania 2 «ACI Ambiente»; ATO Catania 3
«Simeto  Ambiente  S.p.A.»; ATO Messina 1; ATO Messina 2; ATO Messina
3;  ATO  Messina  4;  D.G.I.  Daneco  Gestione Impianti S.p.A.; Waste
Italia S.p.A.; Siemens S.p.A.; Technipitaly S.p.A.; non costituite in
giudizio;  L'Altecoen  S.r.l. rappresentato e difeso dall'avv. Fulvia
Fazzi  con  domicilio  eletto  in  Catania, via Crociferi, 60, presso
l'avv. Bianca   Pellegrino  D.B.  Group  S.p.A.,  non  costituita  in
giudizio  per  l'annullamento dell'ordinanza del Commissario delegato
per  l'emergenza  rifiuti  1°  marzo  2005,  pubblicata  in  Gazzetta
Ufficiale  n. 15  dell'8  aprile  2005,  con  la quale il Commissario
delegato  per  l'emergenza rifiuti e la tutela delle acque in Sicilia
ha:
        1) espresso il giudizio positivo di compatibilita' ambientale
sul progetto presentato dalla societa' Sicil Power;
        2)   approvato  il  progetto  presentato  da  detta  societa'
relativo  al  sistema di gestione integrato per l'utilizzazione della
frazione   residua   dei  rifiuti  urbani  al  netto  della  raccolta
differenziata sistema Messina Catania;
        3)  autorizzato  la  societa'  alla  realizzazione di un polo
impiantistico nel Comune di Paterno', c.da Cannizzola;
        4)  autorizzato la medesima alla realizzazione degli impianti
meglio indicati all'art. 2 dell'ordinanza impugnata;
        5)  autorizzato  la  societa'  alla  gestione  degli impianti
suddetti;
        6)   nonche'  di  ogni  altro  atto  presupposto,  collegato,
consequenziale  e  connesso,  ivi  comprese le valutazioni di impatto
ambientale  di  cui  al  parere 10 giugno 2004, n. 591, e l'avviso di
annuncio  di  richiesta  di  pronuncia  di  compatibilita' ambientale
pubblicato sul Giornale di Sicilia del 23 marzo 2004.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti  gli atti di costituzione in giudizio di L'Altecoen S.r.l.,
del  Commissario  delegato  per l'emergenza rifiuti e la tutela delle
acque in Sicilia, del Comune di Catania e della Sicil Power S.p.A.;
    Visto  il  regolamento  di  competenza  proposto  da  Sicil Power
S.p.A.;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato relatore per la camera di consiglio del 12 gennaio 2006
il referendario Maria Stella Boscarino;
    Sentiti gli avvocati delle parti come da verbale;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                      F a t t o e d i r i t t o
    Con  atto notificato il 1° luglio 2005 e depositato il successivo
12  luglio  la  controinteressata Sicil Power ha proposto ricorso per
regolamento  di  competenza,  indicando  quale  autorita' giudiziaria
competente  il  Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di
Roma,   in  quanto  che  l'atto  impugnato  sarebbe  imputabile  alla
Presidenza del Consiglio dei ministri.
    Con  memoria  depositata in data 12 gennaio 2006 la ricorrente si
e'   opposta  all'accoglimento  della  suddetta  domanda,  sollevando
anzitutto  eccezione  di inammissibilita' del regolamento per mancata
notificazione   ai   controinteressati  nei  riguardi  dei  quali  la
ricorrente ha integrato il contraddittorio ed osservando comunque che
l'ordinanza  impugnata  avrebbe  giuridico vigore solo nel territorio
delle provincie di Catania e Messina.
    Tanto  premesso,  va  ricordato  che  in  base  al  quinto  comma
dell'art. 31  della  legge  6  dicembre  1971,  n. 1034,  cosi'  come
introdotto  dall'art. 9,  quarto  comma  della  legge 21 luglio 2000,
n. 205,  il  Collegio  e'  tenuto  ad  una sommaria deliberazione del
regolamento  di  competenza  proposto  ed  a  respingere direttamente
l'istanza,  qualora  ne  rilevi,  sentiti i difensori delle parti, la
manifesta infondatezza.
    Nel  quadro  normativo  anteriore  alla data di entrata in vigore
della legge n. 21/2006 la questione sarebbe stata decisa con sentenza
di  manifesta  infondatezza,  in  quanto, ad avviso del collegio, gli
atti  impugnati  non  rientra(va)no  tra  quelli la cui cognizione e'
riservata al Tribunale amministrativo regionale centrale.
    Ma  la sopravvenienza normativa impone al collegio di tener conto
della  nuova ipotesi di competenza funzionale inderogabile introdotta
con  la  citata  legge  n. 21/2006,  nonostante di tale normativa non
abbia  ovviamente  fatto menzione la controinteressata, essendo stato
il regolamento di competenza introdotto in data ben anteriore.
    Venendo   appunto   al   regolamento   di  competenza,  anzitutto
l'eccezione  di inammissibilita' opposta dalla ricorrente Legambiente
va   disattesa,  in  quanto  i  controinteressati  nei  cui  riguardi
l'associazione  ricorrente ha integrato il contraddittorio sono stati
individuati  con  O.C.I.  n. 288  del  6  luglio 2005, quindi in data
successiva alla notificazione del regolamento di competenza, avvenuta
nelle date del 29 giugno e 1° luglio 2005.
    Nel  merito,  il provvedimento impugnato ha efficacia limitata al
territorio  delle  Province  di Catania e Messina, in quanto concerne
l'approvazione   del   progetto  presentato  dalla  controinteressata
finalizzato   ad   un  sistema  di  gestione  integrato  dei  rifiuti
limitatamente   alle  Province  di  Messina  e  Catania,  nonche'  la
realizzazione  di  un  polo  impiantistico  la  cui localizzazione e'
individuata nel Comune di Paterno', Provincia di Catania.
    Risulta  pertanto  evidente  che, pur promanando il provvedimento
impugnato  da  soggetto,  il  Commissario delegato, facente capo alla
Presidenza  del  Consiglio dei ministri, alla quale sono riferibili i
relativi    atti,    gli   effetti   dallo   stesso   prodotti   sono
territorialmente limitati.
    Pertanto,  va smentita la tesi della controinteressata secondo la
quale ai sensi dell'art. 3 della legge n. 1034 del 6 dicembre 1971 la
cognizione  della  controversia  apparterrebbe  alla  competenza  del
Tribunale   amministrativo   regionale   del  Lazio,  in  quanto,  al
contrario,  in  virtu'  della limitazione territoriale dell'efficacia
degli  atti  impugnati  la  questione appartiene (ai sensi del citato
art.  3  della  legge  n. 1034  del  6  dicembre  1971)  al Tribunale
amministrativo  regionale  locale,  (Cons. Stato, Ad. plen. 1° giugno
2000, n. 14).
    Ma  il  Collegio  deve affrontare d'ufficio la questione relativa
alla  competenza  inderogabile del Tribunale amministrativo regionale
del Lazio a conoscere della vicenda introdotta dalla legge n. 21/2006
pubbl.  nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 23  del  28 gennaio 2006, che,
all'art. 3,  per quel che qui rileva dispone: ... omissis ... «2-bis.
In  tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5,
comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, la competenza di primo
grado  a  conoscere della legittimita' delle ordinanze adottate e dei
consequenziali  provvedimenti  commissariali spetta in via esclusiva,
anche   per   l'emanazione   di   misure   cautelari,   al  Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma.
    2-ter.  Le  questioni  di  cui  al  comma  2-bis,  sono  rilevate
d'ufficio.  Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito
con  sentenza  succintamente  motivata  ai  sensi dell'art. 26, della
legge  6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando
applicazione  i  commi  2  e  seguenti  dell'art. 23-bis della stessa
legge.
    2-quater.  Le  norme  di  cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano
anche  ai  processi  in  corso.  L'efficacia  delle  misure cautelari
adottate  da  un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al
comma  2-bis  permane  fino  alla loro modifica o revoca da parte del
Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio, con sede in Roma, cui
la parte interessata puo' riproporre il ricorso».
    Osserva  il  Collegio  che  la  fattispecie  in esame e' attratta
nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3.
    Il  collegio,  pertanto,  ritenendola  rilevante  ai  fini  della
decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti
al  Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  e non manifestamente
infondata,  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
predetto  art. 3,  e  segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni
bis,  ter,  quater,  come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come
gia'  fatto  in  ordine  ad altra fattispecie per la cui decisione e'
venuta   in  rilievo  la  medesima  norma  (Tribunale  amministrativo
regionale Sicilia, I, ord. n. 90 del 7 marzo 2006).
    I)  La  rilevanza  della  questione  ai  fini  della decisione da
assumere e' di tutta evidenza. Il collegio sarebbe tenuto, sulla base
della    normativa   sopravvenuta   -   ove   non   dubitasse   della
incostituzionalita'   di  essa  e  quindi  non  ritenesse  necessario
investire  il  giudice  delle  leggi  della  relativa  questione  - a
trasmettere  gli  atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio, e
cio'   per  espressa  disposizione  della  nuova  disciplina  che  ne
prescrive  l'applicazione ai procedimenti pendenti e quindi anche per
il procedimento odierno.
    II)  Circa  la  non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno
sospettare  le  norme  in  esame  di  incostituzionalita', osserva il
collegio  che  la  normativa introdotta dal legislatore con l'art. 3,
comma   2,  da  bis  a  quater,  della  legge  n. 21/2006,  contrasta
innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il
principio  della articolazione su base regionale degli organi statali
di  giustizia  amministrativa  di  primo  grado  ivi espressa («Nella
regione  sono  istituiti  organi di giustizia amministrativa di primo
grado,  secondo  l'ordinamento  stabilito da legge della Repubblica»)
che  implica  il  rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di
competenza dei singoli organi predetti.
    Non  appaiono,  all'evidenza,  manifeste  o  comunque sufficienti
ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera
di  competenze  costituzionalmente  garantita  nella  materia  di cui
trattasi  quando,  come  nel  caso in esame, le singole situazioni di
emergenza   hanno   rilievo   spiccatamente  locale  con  conseguente
efficacia  locale  dei  relativi  provvedimenti adottati dai soggetti
delegati  alla  cura  delle  varie  situazioni emergenziali, anche se
(arg.  ex  art. 2,  comma  1,  lett.  «c»  della  legge  n. 225/1992,
richiamato  dall'art. 5,  comma 1, legge cit.) essi sono adottati per
fare  fronte  a  situazioni che «per intensita' ed estensione debbono
essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari».
    III)   Anzi,   sotto   questo   aspetto,  la  norma  e'  altresi'
contraddittoria  ed  irrazionale  in  quanto  sottopone  al  medesimo
trattamento  processuale  situazioni  disparate  e  differenti tra di
loro.
    In questo quadro, l'art. 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992,
n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione
normativa,  i  casi in cui (ex art. 2, comma 1, lett. «c» della legge
n. 225/1992)   sia   necessario   fare  fronte  con  mezzi  e  poteri
straordinari  alle  calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi
che  richiedano  tale  intervento  per  intensita'  ed estensione. La
previsione  di  cui  alla  legge  n. 21/2006 radica la competenza del
Tribunale  amministrativo  regionale Lazio in tutti i casi in cui sia
dichiarato  lo  stato  di  emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5
appena  citato  e  quindi  con  esclusione  dei casi di intervento di
protezione  civile  per  gli  eventi  che  possano  essere affrontati
mediante  interventi  attuabili  dai  singoli  enti e amministrazioni
competenti  in  via  ordinaria  (art. 2,  lett.  «a») e di quelli che
richiedano  intervento  coordinato  di  questi  ultimi (art. 2, lett.
«b»).
    Quindi,  il sistema della Protezione civile e' articolato in vari
livelli  di  intervento,  contraddistinti dal corrispondente grado di
ampiezza  della  situazione  emergenziale.  Quindi per ogni tipologia
territoriale   e  «qualitativa»  della  situazione  di  emergenza  e'
chiamato ad intervenire in merito il «livello» di governo piu' vicino
alla  concreta  dimensione  delle  comunita'  colpite  e della natura
dell'emergenza, quindi secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e
senza  escludere  -  funzionalmente e residualmente - che determinate
funzioni  siano «trasversali» ossia comprendano le competenze di piu'
amministrazioni o livelli di governo.
    A  fronte  di  questa  multiformita'  possibile di manifestazioni
concrete   dell'esercizio   del   potere,   la   regola  generale  di
ripartizione  delle  competenze  delineata  dagli  artt. 2 e seguenti
della  legge  Tribunale  amministrativo regionale appresta una tutela
coerente  con  l'art. 125  della  Costituzione:  derogando  ad  essa,
l'art. 3    della    legge    n. 21/2006,   contraddittoriamente   ed
immotivatamente  assegna  ex  lege  rilevanza  nazionale  a qualsiasi
controversia  insorga nell'esercizio del potere di protezione civile,
facendo  leva solo sulla necessita' che esso presupponga l'intervento
extra  ordinem  e  quindi  a  dispetto  dell'articolazione del potere
previsto  dalla  legge  n. 225/1992,  posto che assegna la competenza
funzionale   a   conoscere  delle  relative  questioni  al  Tribunale
amministrativo  regionale Lazio (e quindi spinge l'interprete a dover
ritenere  che  il legislatore abbia cristallizzato una valutazione di
rilevanza  nazionale  di  qualsiasi  questione inerente la Protezione
civile, richieda interventi extra ordinem).
    Appare  utile  rilevare,  in  questa sede, come la giurisprudenza
della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che:
        con  l'art.  5  della legge n. 225 del 1992, e' attribuito al
Consiglio  dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza
in ipotesi di calamita' naturali, ed a seguito della dichiarazione di
emergenza,  e  per  fare  fronte  ad  essa,  lo stesso Presidente del
Consiglio  dei  ministri  o,  su sua delega, il Ministro dell'interno
possano  adottare  ordinanze  in deroga ad ogni disposizione vigente,
nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico;
        l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo
31   marzo   1998,   n. 112   (Conferimento  di  funzioni  e  compiti
amministrativi  dello  Stato  alle  regioni  ed  agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta,
chiarisce  che  tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che
il   riconoscimento   di   poteri  straordinari  e  derogatori  della
legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale;
        queste  ultime  due  previsioni,  inoltre,  sono  gia'  stata
ritenute  dalla  Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come
espressive   di   un   principio  fondamentale  della  materia  della
protezione  civile,  sicche'  deve  ritenersi  che esse delimitino il
potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze
legislative  delineato  dalla  legge  costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione).
    Alla  luce  di  quanto  sopra  ricordato,  la corte ha dichiarato
illegittimo  l'art.  4,  comma  4, della legge della Regione Campania
n. 8  del  2004, nella misura in cui essa ha attribuito al Sindaco di
Napoli  i  poteri  commissariali  dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del
Ministro  dell'interno,  dopo  la  scadenza  della emergenza alla cui
soluzione  tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto con
l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. n. 82/2005).
    Tale   ragionamento   comporta   che,  in  relazione  alla  legge
n. 225/1992   ed  all'art. 107,  comma  1,  lettere  b  e  c,  d.lgs.
n. 112/1998,  possiedono  rilievo  nazionale «solamente» il potere di
dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure
ad   esso   finalisticamente   connesso,   di   derogare,   a   norme
dell'ordinamento.
    Ne  consegue  dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame
e'  irragionevole  per contraddittorieta' e disparita' di trattamento
processuale,  poiche'  utilizza  lo stesso trattamento per situazioni
del  tutto  differenti  quanto  ad  ambito  territoriale  e livello e
qualita'  degli  interessi  pubblici coinvolti, nonche' per contrasto
con  l'art. 117  della  Costituzione, poiche' implicitamente, finisce
per  attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla
competenza regionale.
    IV)  Ancora, l'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto
ove,  come  nella  specie, esso non sia giustificato da una effettiva
natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei
provvedimenti  sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale
amministrativo   regionale   Lazio,   comporta   indubbia  violazione
dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di
tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi enunciata al primo comma;
detta   tutela   ne   risulta  minorata,  per  la  evidente  maggiore
difficolta'  di  esercitare  le  relative  azioni presso il Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio piuttosto che presso gli organi
giurisdizionali  localmente  istituiti.  Cio'  vale  sia  per la fase
transitoria  in  cui  i  giudizi  pendenti  trasmigrano  al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio,  sia  per  le  future  nuove
controversie  che  secondo  la  nuova  normativa dovrebbero essere ab
initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale
    La  corte  ha  ritenuto,  in  un caso in cui il legislatore aveva
disposto  l'estinzione  ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma
primo,  legge  n. 425/1984),  che  siffatta  disposizione,  in quanto
«preclude   al   giudice  la  decisione  di  merito  imponendogli  di
dichiarare  d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi
stato  e  grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge
sopravvenuta»,  percio'  stesso  «viola  il valore costituzionale del
diritto  di  agire,  in quanto implicante il diritto del cittadino ad
ottenere  una  decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte
costituzionale, sentenza n. 123 del 1987).
    Sebbene  la  fattispecie  in  esame sia diversa da quella oggetto
della   citata  pronuncia,  il  principio  tuttavia,  ad  avviso  del
collegio,  e' nello stesso modo applicabile. Accade infatti, nel caso
presente,  che  chi  abbia  gia'  un  giudizio  pendente  davanti  al
Tribunale  amministrativo  regionale  locale,  ed  addirittura  abbia
ottenuto  una  decisione  cautelare,  debba  proseguire altrove nella
propria  iniziativa  giudiziaria,  addirittura  (se  ne parlera' piu'
diffusamente  infra)  rimanendo  esposto  ad  una  seconda  pronuncia
cautelare  sollecitata  dalla  parte  soccombente  davanti al giudice
adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione.
    V)  Altro  profilo  di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre,
nella violazione del principio del giudice naturale precostituito per
legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale
ora  citata, stabilendo che «nessuno puo' essere distolto dal giudice
naturale  precostituito  per  legge»,  esclude,  come la stessa Corte
costituzionale  afferma,  «che vi possa essere una designazione tanto
da  parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole
generali,  quanto  da  altri  soggetti,  dopo che la controversia sia
insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»;
il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti,
richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002). Come la Corte
ha  insegnato,  perche'  tale principio possa considerarsi rispettato
occorre  che  «...  la  regola  di competenza sia prefissata rispetto
all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta
scorrere  le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia
di  principio  del  giudice  naturale  per rilevare che e' proprio la
preesistenza  della  regola  che  individua la competenza rispetto al
giudizio  il  criterio  fondamentale  in  base  al  quale  sono state
valutate le questioni sollevate.
    Tale  profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente,
ad  avviso  del  collegio,  nella parte della disciplina in questione
(comma  2-quater), che non solo ne dispone l'applicazione ai processi
pendenti,  ma  addirittura  consente  una  riforma  dei provvedimenti
assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera
di  un  organo  giurisdizionale  pariordinato a quelli di provenienza
(trattasi   di   giudici   tutti   di   primo   grado,  il  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio non essendo un «super-Tribunale
amministrativo   regionale»).   Cosi'   facendo,   in   sostanza,  il
legislatore  ha  introdotto un rimedio inedito, che non e' di secondo
grado  e  che  finisce  per costituire un doppione del gia' espletato
giudizio  (cautelare)  di  primo  grado, senza alcuna possibilita' di
inquadramento  tra  i  rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione,
reclamo).
    Pertanto,  anche  l'art. 25  della  Carta  costituzionale risulta
vulnerato  dalla  normativa  denunciata  dal  collegio;  e se ne trae
conferma  da  una  recente decisione della Corte costituzionale, che,
sebbene  in  relazione a disciplina totalmente diversa, ha avuto modo
di  affermare un principio generale, che e' quello della appartenenza
della  competenza  territoriale  alla  nozione  del  giudice naturale
precostituito  per  legge.  Precisamente,  la sentenza n. 41 del 2006
afferma,  anzi,  ribadisce  (come  testualmente  si  esprime, citando
sentenze  precedenti  in  termini),  che  «alla  nozione  del giudice
naturale   precostituito  per  legge  non  e'  affatto  estranea  "la
ripartizione  della  competenza  territoriale tra giudici, dettata da
normativa   nel   tempo  anteriore  alla  istituzione  del  giudizio"
(sentenze n. 251 del 1986 e n. 410 del 2005)».
    Per  altro,  atteso che il principio del doppio grado di giudizio
nella  giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di
merito,  riceve  garanzia  costituzionale  dall'art. 125  della Carta
(cfr. Corte cost., sentenza n. 8 del 1982), si configura un ulteriore
profilo  di  violazione  di  detta  norma.  Viene  infatti  ad essere
introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso (su cui
gia'   il   collegio  ha  poco  prima  espresso  i  propri  dubbi  di
incostituzionalita) che stravolge l'ordinario iter giudiziario.
    La  regola  e'  che  ad  un giudizio di primo grado segua, ove la
parte  soccombente  appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si
tratti  di  giudizio  cautelare,  sia  che  si  tratti di giudizio di
merito; giammai e' prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia
da  parte  di  due  diversi  giudici  di  primo  grado, uno dei quali
abilitato a riformare la decisione del primo giudice.
    Orbene,  ad  avviso  del  collegio,  siffatta  disciplina integra
altresi'  violazione  del  principio  del  «giusto  processo», di cui
all'art. 111, comma primo, della medesima Carta («La giurisdizione si
attua mediante il giusto processo regolato dalla legge»).
    Sempre  con  riferimento  ai processi pendenti, infatti, la parte
soccombente  nel giudizio cautelare verrebbe ad essere fornita di uno
strumento  giurisdizionale  anomalo  e atipico a tutela della propria
(legittima,   ma   da   esercitare   in  modi  conformi  ai  principi
costituzionali)  aspirazione  ad ottenere una pronuncia favorevole in
secondo  grado  (che deve tuttavia essere un vero giudizio di secondo
grado,  e  non,  si  ribadisce,  un inedito duplicato del giudizio di
primo grado).
    Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio
del  ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla
Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale
principio del «giusto processo» teste' richiamato.
    VI)  Da  ultimo,  secondo  un  aspetto  diverso che si riconnette
ancora  al  tema  del  giudice  naturale,  la  norma  in  esame viola
l'art. 23  dello  Statuto della Regione Sicilia (legge costituzionale
n. 2   del   26  febbraio  1948)  a  norma  del  quale:  «Gli  organi
giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per
gli  affari concernenti la regione. Le Sezioni del Consiglio di Stato
e   della   Corte   dei   conti  svolgeranno  altresi'  le  funzioni,
rispettivamente,   consultive   e   di   controllo  amministrativo  e
contabile.  I  magistrati  della  Corte  dei  conti sono nominati, di
accordo,   dai  Governi  dello  Stato  e  della  regione.  I  ricorsi
amministrativi,   avanzati   in   linea   straordinaria  contro  atti
amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della Regione
sentite  le  Sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e'
stata  «interpretata»  dall'art. 5  del d.lgs. 6 maggio 1948, n. 654,
contenente   norme   per  l'esercizio  delle  funzioni  spettanti  al
Consiglio  di  Stato  nella  Regione Sicilia, il quale prevede che il
Consiglio  di giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge
al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e
provvedimenti  definitivi  «dell'amministrazione  regionale  e  delle
altre  autorita'  amministrative  aventi  sede  nel  territorio della
regione».
    Osserva  il  Collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost.
in   data   12   marzo   1975,  n. 61,  dichiarando  l'illegittimita'
costituzionale delle limitazioni poste dall'art. 40, legge 6 dicembre
1971, n. 1034, alla competenza del Tribunale amministrativo regionale
Sicilia,  e'  stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite
tutte   le   controversie   d'interesse  regionale  considerate  tali
dall'art. 23, comma 1, d.l. 15 maggio 1946, n. 455, comprendendosi in
tale   categoria  le  controversie  sorte  da  impugnazione  di  atti
amministrativi  di  autorita'  centrali  aventi  effetti  limitati al
territorio   regionale  ovvero  concernenti  pubblici  dipendenti  in
servizio  nella  regione  siciliana»  (Consiglio  Stato,  sez. VI, 26
luglio 1979, n. 595).
    Quindi  la  legge  n. 21/2006,  in  esame,  e' costituzionalmente
illegittima  anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23
dello  statuto  regionale,  sia nella sua formulazione letterale, che
nella   interpretazione   pacifica   che   di  esso  ha  maturato  la
giurisprudenza,   anche   costituzionale,  riserva  al  Consiglio  di
Giustizia   amministrativa   ed   in   primo   grado   al   Tribunale
amministrativo  regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le
controversie   sorte   da  impugnazione  di  atti  amministrativi  di
autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale.
    VII)  Per  tutte  le  esposte  considerazioni, deve sollevarsi la
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis,
comma  2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli
artt. 3,  125,  24  e  25  della  Costituzione  e  per  contrasto con
l'art. 23 dello statuto della Regione Sicilia.
    Deve  pertanto  essere  disposta  la trasmissione degli atti alla
Corte  costituzionale  per  la  decisione della predetta questione di
legittimita' costituzionale, sospendendosi il giudizio instaurato con
il  ricorso  in  epigrafe, fino alla restituzione degli atti da parte
della medesima Corte.