Ricorso della Regione Piemonte, in persona della Presidente della
Giunta  regionale  pro  tempore,  on. prof.ssa Mercedes Bresso giusta
d.g.r.  n. 1-5239  dell'8  febbraio  2007, rappresentata e difesa per
procura  speciale  a  margine  del  presente  atto dall'avv. Gabriele
Pafundi e presso il medesimo elettivamente domiciliata in Roma, viale
Giulio Cesare n. 14;

    Contro  lo Stato italiano in persona del Presidente del Consiglio
dei  ministri e nei confronti del Giudice per le indagini preliminari
(G.i.p.)  presso  il  Tribunale  di  Monza  dott. Ambrogio Ceron, del
Pubblico  Ministero  presso  il  Tribunale  di Monza dott. Alessandro
Pepe',  del  Giudice  per  le  indagini  preliminari  (G.i.p.) c/o il
Tribunale  di Monza dott. Alessandro Rossato, del Giudice monocratico
presso  il  Tribunale  di  Monza  -  Sez.  distaccata di Desio, dott.
Letizia  Anna Brambilla, con riguardo all'ordinanza del G.i.p. presso
il  Tribunale  di Monza dott. Ambrogio Ceron del 17 febbraio 2006 nel
procedimento    penale    n. 9174/2005   (gia'   4909/2002)   e   per
l'annullamento  della stessa, previa sospensione, nonche' occorrendo,
degli  atti  successivi  a  tale  ordinanza ed, in particolare, della
richiesta  di rinvio a giudizio del P.M. presso il Tribunale di Monza
dott.  A.  Pepe'  del  24 febbraio 2006, del decreto G.i.p. presso il
Tribunale  di  Monza  dott. A. Rossato del 31 maggio 2006 di rinvio a
giudizio  dell'on. Brigandi, dei verbali delle udienze del 31 gennaio
e  27  febbraio  2007  del Giudice monocratico presso il Tribunale di
Monza dott. L. Brambilla.

                              F a t t o

    L'on. Matteo  Brigandi', in allora membro del Consiglio regionale
del Piemonte e Presidente del Gruppo Lega Nord, Piemonte, Padania, e'
stato   fatto   oggetto   di  denuncia-querela  presentata  dall'Alto
Magistrato  dott.  Giancarlo Caselli in data 11 giugno 2002, nei suoi
confronti  e  di  un  giornalista  e del direttore del quotidiano «La
Padania», per i reati di diffamazione aggravata per l'attribuzione di
fatti  determinati  e ulteriormente aggravata perche' commessa con il
mezzo della stampa.
    Il  fatto  imputato  e'  costituito  da  un'intervista rilasciata
dall'on.  Brigandi  al  suddetto  quotidiano, ed avente ad oggetto un
ordine  del giorno dallo stesso presentato al Consiglio regionale del
Piemonte  con  il  quale  si  sollecitava  la  Giunta a richiedere al
Ministro  della  giustizia  d'iniziare  l'azione  disciplinare  e  al
Consiglio di denunciare al C.S.M. e al Presidente della Repubblica il
comportamento  del  dott.  Gian  Carlo  Caselli. Quest'ultimo avrebbe
partecipato a Rivoli ad una manifestazione di propaganda politica nel
gazebo  dell'Ulivo,  e  con  il  simbolo  dell'Ulivo, in posizione di
assoluto  rilievo e preminenza pur essendo in forza alla Magistratura
italiana.  In  tal  modo,  infatti,  avrebbe  delegittimato  l'intera
attivita'  dello Stato nella lotta alla mafia, facendola apparire una
lotta  politica,  violando altresi' le norme giuridiche che impongono
la  non  appartenenza  dei magistrati in servizio a forza e/o partiti
politici.
    La  Procura  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Monza,
investita  della  denunzia,  a conclusione delle indagini preliminari
riteneva  imputabile  il  consigliere  Brigandi',  non soltanto per i
reati  di cui alla denuncia-querela ma anche, in virtu' del combinato
disposto  degli  artt.  595,  comma  1,  2,  3  c.p.,  13 e 21, legge
n. 47/1948,  e  art.  81  c.p.,  per  reato continuato perche', quale
autore dell'ulteriore o.d.g. del 9 aprile 2002, aveva posto in essere
piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso.
    Il  Consiglio  regionale,  con d.c.r. 24-25579 del 5 agosto 2005,
comunicata   alla   stessa   Procura   della  Repubblica,  dichiarava
l'insindacabilita'  del  consigliere  on.  Matteo  Brigandi'  per  le
opinioni oggetto dei reati ascrittigli ai sensi dell'art. 122, quarto
comma, Cost. e della l.r. n. 32/2001.
    Il  Procuratore della Repubblica chiedeva quindi al G.i.p. presso
lo stesso Tribunale di Monza l'archiviazione.
    Quest'ultimo, invece, con ordinanza del 17 febbraio 2006, esclusa
la propria legittimazione a sollevare davanti la Corte costituzionale
conflitto  di  attribuzioni  nei  confronti  della  Regione Piemonte,
ignorando   la  delibera  regionale,  procedeva  autonomamente  nella
valutazione  del  presupposto dell'immunita' per le opinioni espresse
dal  consigliere  Brigandi'. Con argomenti, purtroppo, a senso unico,
l'immunita'  veniva  negata,  nonostante  la  «tipicita»  degli  atti
incriminati.
    Tale  comportamento  implica  pero'  un'inammissibile usurpazione
delle  funzioni  del  Consiglio  regionale  di cui si chiede a questa
ecc.ma   Corte  l'accertamento  con  conseguente  annullamento  della
suddetta ordinanza e di tutti gli atti successivi.
    Tale  usurpazione  e' stata infatti reiterata dai successivi atti
processuali  posti  in  essere  dal P.M. presso il Tribunale di Monza
dott.  Pepe'  in  quanto  richiedeva  il  rinvio  a giudizio dell'on.
Brigandi'  ai  sensi  degli  artt.  416  e  417  c.p.c.  e 130 d.lgs.
n. 271/1989.
    Sulla  base  di  tale  richiesta il G.i.p. presso il Tribunale di
Monza   dott.   Rossato,   ignorando   la   questione   pregiudiziale
dell'immunita' dell'imputato, disponeva il rinvio a giudizio dell'on.
Brigandi' con decreto del 31 maggio 2006.
    Con   successiva   ordinanza  del  13  ottobre  2006  il  Giudice
monocratico  presso  il  Tribunale  di  Monza - Sezione distaccata di
Desio  dott.  Pansini, innanzi alla quale il G.i.p. aveva rinviato le
parti  con  il provvedimento del 31 maggio 2006, si limitava invece a
dichiarare  la  propria  astensione  dal  procedimento  avendo emesso
sentenza assolutoria nei confronti del giornalista del quotidiano «La
Padania» autore dell' articolo incriminato.
    La  dott.ssa  Brambilla, innanzi alla quale il giudizio era stato
rimesso  con  il provvedimento da ultimo citato, disponeva, peraltro,
all'udienza  del  31 gennaio 2007, rinvio dell'esame della parte lesa
per   dichiarato   legittimo   impedimento  a  presenziare  da  parte
dell'imputato  on.  Brigandi',  mentre  la stessa, all'udienza del 27
febbraio 2007 disponeva un nuovo rinvio del processo al 19 marzo 2007
per  permettere all'imputato di documentare la eventuale proposizione
del  (presente)  ricorso  per  conflitto di attribuzione innanzi alla
Corte  costituzionale  da  parte  della  Regione  Piemonte.  Il  fine
dichiarato  di  tale  rinvio  era  quello di disporre, eventualmente,
valutata   la   tempestivita'   del   ricorso,   la  sospensione  del
procedimento penale.
    Anche  tali  provvedimenti,  tranne  l'ordinanza  della  dott.ssa
Pansini  del  13  ottobre  2006  che  si  e'  astenuta  da  qualunque
valutazione  relativa  al  giudizio  de  quo  in  quanto  considerati
autonomamente   e  singolarmente  lesivi  delle  prerogative  che  la
Costituzione  riserva  al  Consiglio  regionale del Piemonte e quindi
integranti  singoli  atti  di  conflitto fra regione e Stato, vengono
denunciati,  al  pari  dell!ordinanza  del  G.i.p. dott. Ceron del 17
febbraio  2006  per  gli  stessi  motivi  che,  di  seguito,  vengono
articolati nei confronti del provvedimento da ultimo citato.
    1. - Pregiudizialmente, si fa presente che l'ordinanza del G.i.p.
del  Tribunale  di Monza del 17 febbraio 2006 e' stata conosciuta dal
Consiglio  regionale piemontese, che non era parte in causa, soltanto
in  data  8  febbraio  2007 perche' comunicata dall'on. Brigandi' con
lettera  del  2  febbraio 2007. Per giurisprudenza costante di questa
Corte,  nei  giudizi  per  conflitto  di  attribuzione  tra  enti, la
conoscenza  del  provvedimento impugnato ai fini dalla decorrenza del
termine  di  60  gg.  di  cui all'art. 39, legge n. 87 del 1953, deve
intendersi  riferita  agli  organi legittimati a proporre il ricorso,
cioe',  per la regione, al Presidente della Giunta regionale (cfr. da
ultimo, Corte costituzionale sent. n. 2/2007).
    2.  -  L'istituto  dell'immunita'  giurisdizionale dei membri del
Parlamento  nazionale  e  di  quelli dei Consigli regionali, se ha un
significato,  non  puo'  che  essere  colto nell'esigenza di tutelare
questi ultimi dagli attacchi sferrati attraverso azioni giudiziarie.
    La  decisione  dell'organo legislativo relativa all'esistenza dei
presupposti  dell'immunita'  dei  propri  membri,  costituisce quindi
espressione  dell'autonomia  che allo stesso viene costituzionalmente
garantita.  Il  giudice,  pertanto, e' tenuto a rispettarla, salva la
possibilita',   allo  stesso  riconosciuta,  di  sollevare  conflitto
davanti  questa  Corte,  esclusivamente  nel  caso  in  cui  l'organo
legislativo  avesse  ecceduto  dalla  propria competenza, attribuendo
l'immunita'    ai   suoi   membri   al   di   fuori   delle   ipotesi
costituzionalmente previste.
    Nell'ipotesi  di  una delibera del Consiglio regionale con cui si
afferma  che  il  comportamento  di un proprio consigliere e' coperto
dall'immunita'  disposta  dall'art.  122  Cost.,  il giudice che vede
quest'ultimo  imputato  per gli stessi fatti che il Consiglio ritiene
coperti  da  immunita'  non  puo'  proseguire  il  processo: dovrebbe
affermarne  l'improcedibilita' oppure, convinto dell'eccesso commesso
dall'organo  legislativo,  sollevare  un  conflitto  davanti a questa
Corte.
    Nella  Regione Piemonte, il paradigma invocato risulta confermato
sia   dall'art.   18,   comma   3   dello   Statuto,   che  ribadisce
l'impossibilita'  di  chiamare  a  rispondere  i  consiglieri  per le
opinioni  espresse  e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni,
sia dalla disciplina dettata dall'art. 3 della l.r. 19 novembre 2001,
n. 32.  Quest'ultimo,  affida  la  valutazione d'insindacabilita' dei
consiglieri  per  le  opinioni  espresse e i voti dati nell'esercizio
delle  loro  funzioni  al  Consiglio  regionale,  cui  fa  carico  di
trasmettere  immediatamente  all'Autorita'  giudiziaria, titolare del
procedimento giudiziario, la delibera d'insindacabilita'.
    Nella  fattispecie  in esame, il giudice, ritenendo di non essere
legittimato a sollevare un conflitto davanti alla Corte nei confronti
della regione in quanto soltanto «potere» cui non poteva riconoscersi
la   capacita'  rappresentativa  dello  Stato,  invece  di  ritenersi
obbligato a rispettare la delibera d'immunita' adottata dal Consiglio
regionale,  ha  proseguito  il  processo  accertando,  direttamente e
negativamente,  la  sussistenza  dei  presupposti  per la concessione
dell'immunita'.
    3.  -  Il  presupposto  da  cui  muove il giudice non puo' essere
condiviso.
    In  primo  luogo,  va  contestato  l'assunto  secondo cui sarebbe
inammissibile  il conflitto sollevato dal giudice nei confronti delle
Regioni. Non si puo' infatti attribuire valore preclusivo al disposto
dell'art.  39,  l.r.  87/1953  laddove prevede che il ricorso, per lo
Stato,  e'  proposto  dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri.
Difatti,  anche  a voler ammettere che la proposizione del ricorso da
parte di qualsiasi «potere», e non soltanto di quello amministrativo,
debba  processualmente  «passare»  per una delibera del Governo, tale
prescrizione  bloccherebbe soltanto la legittimazione processuale del
singolo  «potere»  e  quindi la proponibilita' diretta del ricorso da
parte del giudice.
    Comunque,  ove  in  via interpretativa non si ritenesse possibile
limitare  la proponibilita' del ricorso da parte del Governo all'area
amministrativa,  il  giudice,  se  non  avesse  voluto  sottomettersi
all'onere  del placet governativo, avrebbe potuto sollevare davanti a
questa  stessa  Corte  la  quaestio  relativa alla legittimita' della
latitudine indiscriminata del disposto dell'art. 39 l.r. 87/1953.
    4.  -  Il  giudice,  inoltre,  valutando direttamente l'esistenza
delle condizioni per il riconoscimento dell'immunita' del consigliere
regionale  Brigandi',  ha  escluso  la riserva al Consiglio regionale
della decisione sulla immunita' dei propri componenti.
    Tale  convinzione e' affidata alla negazione del parallelismo tra
immunita'  dei  parlamentari,  ex  art.  68  Cost.,  e  immunita' dei
consiglieri  regionali  ex art. 122 Cost., in quanto soltanto i primi
apparterrebbero  ad  un  organo  sovrano,  mentre gli altri farebbero
parte di un organo soltanto «autonomo».
    L'affermazione  e'  apodittica  nella  parte  in cui fa capo alla
sovranita'  come  titolo di legittimazione dell'immunita' e non anche
alla   funzione   legislativa   e/o   politica   svolta   dall'organo
rappresentativo della collettivita' e, nel contempo, contraddittoria,
giacche'  se  l'immunita'  spetta  soltanto  agli  organi sovrani, ai
consigli   regionali,  in  quanto  organi  soltanto  «autonomi»,  non
dovrebbe  essere  mai  riconosciuta.  Ma  siffatta  convinzione  urta
palesemente  contro  l'art.  122  Cost.! In secondo luogo, il giudice
sottovaluta  la  pari  dignita'  costituzionale  che  oggi, a seguito
dell'avvento della legge cost. n. 3/2001, dev'essere riconosciuta, ex
art. 114 Cost., a tutti i soggetti della Repubblica.
    Inoltre,  lo  stesso  giudice  ha  del tutto ignorato il disposto
dell'art.  3  della l.r. 19 novembre 2001, n. 32, che ha riservato al
Consiglio  regionale  la  decisione  sull'immunita'  dei consiglieri,
quasi  che  lo  stesso  non  sia  tenuto  ad  applicare,  oltre  alla
Costituzione, anche la legge regionale.
    D'altro   canto,   qualora   avesse  ritenuto  tale  disposizione
illegittimamente ampliativa dell'immunita' dei consiglieri regionali,
avrebbe   dovuto  sollevare  un'ulteriore  quaestio  di  legittimita'
davanti questa Corte.
    5.   -   Nel  merito,  va  sottolineato  che  il  giudice  oppone
palesemente  resistenza  all'impiego  della  definizione  degli  atti
consiliari  incriminati come o.d.g., benche' in questa qualita' siano
stati  presentati  al  Consiglio  regionale  il 26 aprile 2001 e il 9
aprile 2002.
    L'intento   e'  chiaro  anche  se  poco  commendevole  in  chiave
d'imparzialita':   privare  formalmente  gli  atti  posti  in  essere
dall'on.   Brigandi'   del   nesso  funzionale  con  l'attivita'  del
Consiglio.
    Ma  la  presentazione  di  o.d.g. e' attivita' «tipica» di natura
«politica»   dei   consigli   regionali,   puntualmente  disciplinata
dall'art.   92  del  Regolamento  interno del Consiglio regionale del
Piemonte  che  la  definisce  come  «proposta diretta a promuovere un
pronunciamento  su  argomenti  di interesse generale, su questioni di
particolare interesse politico, oppure a manifestare orientamenti o a
definire indirizzi su specifici argomenti».
    L'on.  avv.  Matteo  Brigandi',  Presidente  del gruppo Lega Nord
Piemonte  Padania,  con  due diversi o.d.g. (26 aprile 2001, 9 aprile
2002,  n. 517;  24  maggio  2002, n. 567) ha invitato la Giunta ed il
Consiglio regionale del Piemonte ad un pronunciamento sulla questione
politico-giuridica  della propaganda politica per l'Ulivo cui avrebbe
partecipato  il  giudice  Giancarlo  Caselli con conseguente denuncia
dell'operato illegittimo di quest'ultimo al Ministro della giustizia,
al C.S.M. ed al Capo dello Stato.
    Sulla  prima  di  queste  iniziative  politico-consiliari (o.d.g.
n. 278 26 aprile 2001 calendarizzato nella convocazione del Consiglio
regionale  del 21 marzo 2002) lo stesso autore era stato intervistato
dal  giornale  «La  Padania»  che  ne pubblicava il testo il 18 marzo
2002.
    A  seguito  di  tale  pubblicazione  l'on. Brigandi' veniva fatto
oggetto  di  denuncia-querela  da parte dallo stesso dott. Gian Carlo
Caselli per diffamazione aggravata a causa dell'attribuzione di fatti
determinati e con il mezzo della stampa.
    Ma  la  Procura  della Repubblica presso il Tribunale di Monza, a
conclusione   delle  indagini  preliminari,  estendeva  l'imputazione
all'art.  81 c.p. invocando il reato continuato perche' lo stesso on.
Brigandi'  avrebbe  posto  in  essere  piu'  azioni  esecutive  di un
medesimo disegno criminoso in quanto autore del successivo ordine del
giorno  presentato  al  Consiglio  regionale del Piemonte il 9 aprile
2002,  con  il quale reiterava le accuse mosse al giudice Caselli con
il    precedente    o.d.g.    del    26   aprile   2001   e   oggetto
dell'articolo-intervista incriminato del giornale «La Padania» del 18
marzo 2002.
    6.  -  L'incriminazione diretta di un o.d.g. (quello del 9 aprile
2002),  ma  anche  quella  di  un atto legato da nesso funzionale con
altro  o.d.g.  (del  26  aprile  2001),  oggetto  di intervista su un
giornale,     costituiscono     inequivocabilmente    atti    coperti
dall'immunita'  disposta dall'art. 122, quarto comma Cost., oltre che
dalla  l.r.  Piemonte  n. 32/2001.  La  pronunzia  d'insindacabilita'
adottata  il  5  agosto  2005  dal  Consiglio  regionale del Piemonte
costituiva, pertanto, atto dovuto.
    La richiesta di archiviazione avanzata dalla stessa Procura della
Repubblica  presso il Tribunale di Monza e' stata respinta dal G.i.p.
del  Tribunale  di Monza con l'ordinanza del 17 febbraio 2006 oggetto
del presente conflitto.
    Con  questa, infatti, esclusa l'ipotesi del ricorso per conflitto
di  attribuzioni  promosso  dallo stesso giudice (anche attraverso un
atto   del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri),  ed  escluso,
altresi',  apoditticamente,  ogni  effetto  impeditivo della delibera
d'insindacabilita'   adottata   dal  Consiglio  regionale,  e'  stata
autonomamente  rivalutata  la  riconducibilita' dei fatti incriminati
nell'area dell'immunita', proponendo un'insolita lettura dello stesso
art.  122,  quarto  comma  Cost., secondo la quale non tutti gli atti
«tipici»  sarebbero  coperti  da  immunita',  ma  soltanto quelli che
coinvolgono materie di competenza regionale.
    L'affermazione invoca quale precedente la sentenza n. 379/2003 di
questa   ecc.ma   Corte  di  cui,  peraltro,  secondo  le  «migliori»
tradizioni defensionali, viene citata soltanto una frase, quella piu'
favorevole   alla   tesi   che  si  vuole  sostenere,  estrapolandola
dall'intero  contesto  motivazionale.  Citare dalla sentenza la frase
(oltretutto  mutilandola) secondo cui «non un qualsiasi testo scritto
presentato da un parlamentare come interrogazione ... (ma non ammesso
dalla  Presidenza,  quale  che  ne  sia il contenuto) ... costituisca
sempre,  di  per  se',  opinione da ritenersi espressa nell'esercizio
delle  funzioni parlamentari, come tale automaticamente coperta dalla
insindacabilita»,  finisce  per  manipolare  il significato effettivo
della  sentenza  evocata. In questa, infatti, contrariamente a quanto
il   G.i.p.   vuole   fare  apparire,  si  afferma  che  il  giudizio
d'inammissibilita' di un'interrogazione da parte del Presidente della
Camera,   non   e'   di   per   se'   sufficiente   ad  escludere  la
riconducibilita'    dello    scritto    all'esercizio   di   funzioni
parlamentari.  Occorre  dunque,  caso per caso, valutare il contenuto
dell'atto  e le ragioni della sua mancata ammissione. Soltanto la non
riconducibilita' «assoluta» dello scritto presentato all'esercizio di
funzioni  parlamentari  e  quindi la sua estraneita' alla sfera della
prerogativa  di  cui  all'art.  68, primo comma, Cost. fa venire meno
l'insindacabilita',   che,   secondo  la  citata  sentenza,  tende  a
proteggere  al  massimo  grado  la  liberta'  di  espressione di ogni
singolo  membro delle Camere. Conseguentemente, e' stata riconosciuta
la  spettanza  alla Camera dei deputati di decidere sull'immunita' da
attribuire   al   singolo   deputato   per   le   opinioni   espresse
nell'interrogazione, giacche' l'inammissibilita' di quest'ultima, per
ragioni  legate  alla  competenza  del Parlamento, non rileva ai fini
dell'esercizio    della   liberta'   di   espressione   del   singolo
parlamentare.
    La  decisione  invocata  contiene,  quindi, consistenti argomenti
contrari  sia  alla tesi, che alla soluzione in concreto adottata dal
G.i.p. del Tribunale di Monza. Nel caso di specie, infatti, non vi e'
stata  alcuna  pronunzia  d'inammissibilita'  da  parte del Consiglio
regionale   degli  o.d.g.  incriminati,  nonostante  tale  condizione
rappresenti,   alla  luce  della  sentenza  invocata,  la  condizione
necessaria  affinche'  il  giudice  possa  verificare direttamente la
carenza  di  potere  nel  comportamento  del  singolo consigliere. Lo
schermo  dell'atto  tipico  esclude l'intervento del giudice giacche'
tale  atto  rientra  tra  gli  interna  corporis  il cui sindacato e'
riservato al Consiglio regionale.
    In  assenza  di  un  giudizio  consiliare  d'inammissibilita', il
giudice  deve  rispettare  la politicita' dell'atto posto in essere e
con essa l'immunita' che ne deriva per il suo autore.
    Comunque,  alla  luce  della  decisione di questa Corte da ultimo
evocata,    anche    l'eventuale    giudizio    consiliare   negativo
sull'ammissibilita'  dell'atto  tipico,  non  abilita  il  giudice  a
sostituirsi   al  diverso  sindacato  sulla  immunita'  spettante  al
Consiglio,  ma  lo  legittima  ad  effettuare soltanto la valutazione
perimetrale  sulla  «assoluta»  carenza di potere e quindi, in ultima
analisi, ad accertare la politicita' o meno dell'atto incriminato.
    Il  bene  protetto  dall'insindacabilita', a differenza di quanto
ritenuto  dal  G.i.p.,  e riaffermato da questa Corte nella decisione
piu'  volte  da  ultimo  citata,  non e' la funzionalita' dell'organo
rappresentativo,  ma  l'autonomia  del singolo rappresentante, guarda
caso, proprio dalle indebite interferenze del potere giudiziario!
    Inoltre, escludere ogni potere delle regioni in tema di giustizia
o  di  responsabilita'  disciplinare  dei  magistrati, se puo' valere
quale   motivo  per  negare  l'ammissibilita'  dell'o.d.g.  (giudizio
peraltro  riservato  alla  competenza  del  Consiglio  regionale)  e'
irrilevante per affermare l'estraneita' dell'atto all'esercizio delle
funzioni  (politiche)  del  singolo  Consigliere  e della conseguente
immunita' di quest'ultimo ex art. 122, quarto comma Cost.
    Proprio   la  sentenza  n. 379/2003  di  questa  Corte,  invocata
nell'ordinanza   di   cui   si   discute,   afferma,   infatti,   che
l'inammissibilita'  dell'interrogazione  parlamentare  per  il motivo
legato alla competenza, qual e' quello dell'estraneita' della materia
trattata  all'ambito  della responsabilita' governativa, non comporta
l'estraneita'  del  relativo  atto  all'esercizio  delle funzioni del
parlamentare.
    In  secondo  luogo,  va sottolineato che con l'o.d.g. in esame il
presentatore  si  e'  limitato  a sollecitare gli organi regionali ad
esercitare la facolta' che e' riconosciuta a tutti di denunziare agli
organi  competenti  (C.S.M. e Ministro della giustizia) un magistrato
che   si   assume   aver  violato  i  propri  doveri  d'imparzialita'
parteggiando in fase di campagna elettorale per una determinata forza
politica.