Ricorso della Regione Piemonte, in persona della Presidente della Giunta regionale pro tempore, on. prof.ssa Mercedes Bresso giusta d.g.r. n. 1-5239 dell'8 febbraio 2007, rappresentata e difesa per procura speciale a margine del presente atto dall'avv. Gabriele Pafundi e presso il medesimo elettivamente domiciliata in Roma, viale Giulio Cesare n. 14; Contro lo Stato italiano in persona del Presidente del Consiglio dei ministri e nei confronti del Giudice per le indagini preliminari (G.i.p.) presso il Tribunale di Monza dott. Ambrogio Ceron, del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Monza dott. Alessandro Pepe', del Giudice per le indagini preliminari (G.i.p.) c/o il Tribunale di Monza dott. Alessandro Rossato, del Giudice monocratico presso il Tribunale di Monza - Sez. distaccata di Desio, dott. Letizia Anna Brambilla, con riguardo all'ordinanza del G.i.p. presso il Tribunale di Monza dott. Ambrogio Ceron del 17 febbraio 2006 nel procedimento penale n. 9174/2005 (gia' 4909/2002) e per l'annullamento della stessa, previa sospensione, nonche' occorrendo, degli atti successivi a tale ordinanza ed, in particolare, della richiesta di rinvio a giudizio del P.M. presso il Tribunale di Monza dott. A. Pepe' del 24 febbraio 2006, del decreto G.i.p. presso il Tribunale di Monza dott. A. Rossato del 31 maggio 2006 di rinvio a giudizio dell'on. Brigandi, dei verbali delle udienze del 31 gennaio e 27 febbraio 2007 del Giudice monocratico presso il Tribunale di Monza dott. L. Brambilla. F a t t o L'on. Matteo Brigandi', in allora membro del Consiglio regionale del Piemonte e Presidente del Gruppo Lega Nord, Piemonte, Padania, e' stato fatto oggetto di denuncia-querela presentata dall'Alto Magistrato dott. Giancarlo Caselli in data 11 giugno 2002, nei suoi confronti e di un giornalista e del direttore del quotidiano «La Padania», per i reati di diffamazione aggravata per l'attribuzione di fatti determinati e ulteriormente aggravata perche' commessa con il mezzo della stampa. Il fatto imputato e' costituito da un'intervista rilasciata dall'on. Brigandi al suddetto quotidiano, ed avente ad oggetto un ordine del giorno dallo stesso presentato al Consiglio regionale del Piemonte con il quale si sollecitava la Giunta a richiedere al Ministro della giustizia d'iniziare l'azione disciplinare e al Consiglio di denunciare al C.S.M. e al Presidente della Repubblica il comportamento del dott. Gian Carlo Caselli. Quest'ultimo avrebbe partecipato a Rivoli ad una manifestazione di propaganda politica nel gazebo dell'Ulivo, e con il simbolo dell'Ulivo, in posizione di assoluto rilievo e preminenza pur essendo in forza alla Magistratura italiana. In tal modo, infatti, avrebbe delegittimato l'intera attivita' dello Stato nella lotta alla mafia, facendola apparire una lotta politica, violando altresi' le norme giuridiche che impongono la non appartenenza dei magistrati in servizio a forza e/o partiti politici. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Monza, investita della denunzia, a conclusione delle indagini preliminari riteneva imputabile il consigliere Brigandi', non soltanto per i reati di cui alla denuncia-querela ma anche, in virtu' del combinato disposto degli artt. 595, comma 1, 2, 3 c.p., 13 e 21, legge n. 47/1948, e art. 81 c.p., per reato continuato perche', quale autore dell'ulteriore o.d.g. del 9 aprile 2002, aveva posto in essere piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso. Il Consiglio regionale, con d.c.r. 24-25579 del 5 agosto 2005, comunicata alla stessa Procura della Repubblica, dichiarava l'insindacabilita' del consigliere on. Matteo Brigandi' per le opinioni oggetto dei reati ascrittigli ai sensi dell'art. 122, quarto comma, Cost. e della l.r. n. 32/2001. Il Procuratore della Repubblica chiedeva quindi al G.i.p. presso lo stesso Tribunale di Monza l'archiviazione. Quest'ultimo, invece, con ordinanza del 17 febbraio 2006, esclusa la propria legittimazione a sollevare davanti la Corte costituzionale conflitto di attribuzioni nei confronti della Regione Piemonte, ignorando la delibera regionale, procedeva autonomamente nella valutazione del presupposto dell'immunita' per le opinioni espresse dal consigliere Brigandi'. Con argomenti, purtroppo, a senso unico, l'immunita' veniva negata, nonostante la «tipicita» degli atti incriminati. Tale comportamento implica pero' un'inammissibile usurpazione delle funzioni del Consiglio regionale di cui si chiede a questa ecc.ma Corte l'accertamento con conseguente annullamento della suddetta ordinanza e di tutti gli atti successivi. Tale usurpazione e' stata infatti reiterata dai successivi atti processuali posti in essere dal P.M. presso il Tribunale di Monza dott. Pepe' in quanto richiedeva il rinvio a giudizio dell'on. Brigandi' ai sensi degli artt. 416 e 417 c.p.c. e 130 d.lgs. n. 271/1989. Sulla base di tale richiesta il G.i.p. presso il Tribunale di Monza dott. Rossato, ignorando la questione pregiudiziale dell'immunita' dell'imputato, disponeva il rinvio a giudizio dell'on. Brigandi' con decreto del 31 maggio 2006. Con successiva ordinanza del 13 ottobre 2006 il Giudice monocratico presso il Tribunale di Monza - Sezione distaccata di Desio dott. Pansini, innanzi alla quale il G.i.p. aveva rinviato le parti con il provvedimento del 31 maggio 2006, si limitava invece a dichiarare la propria astensione dal procedimento avendo emesso sentenza assolutoria nei confronti del giornalista del quotidiano «La Padania» autore dell' articolo incriminato. La dott.ssa Brambilla, innanzi alla quale il giudizio era stato rimesso con il provvedimento da ultimo citato, disponeva, peraltro, all'udienza del 31 gennaio 2007, rinvio dell'esame della parte lesa per dichiarato legittimo impedimento a presenziare da parte dell'imputato on. Brigandi', mentre la stessa, all'udienza del 27 febbraio 2007 disponeva un nuovo rinvio del processo al 19 marzo 2007 per permettere all'imputato di documentare la eventuale proposizione del (presente) ricorso per conflitto di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale da parte della Regione Piemonte. Il fine dichiarato di tale rinvio era quello di disporre, eventualmente, valutata la tempestivita' del ricorso, la sospensione del procedimento penale. Anche tali provvedimenti, tranne l'ordinanza della dott.ssa Pansini del 13 ottobre 2006 che si e' astenuta da qualunque valutazione relativa al giudizio de quo in quanto considerati autonomamente e singolarmente lesivi delle prerogative che la Costituzione riserva al Consiglio regionale del Piemonte e quindi integranti singoli atti di conflitto fra regione e Stato, vengono denunciati, al pari dell!ordinanza del G.i.p. dott. Ceron del 17 febbraio 2006 per gli stessi motivi che, di seguito, vengono articolati nei confronti del provvedimento da ultimo citato. 1. - Pregiudizialmente, si fa presente che l'ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Monza del 17 febbraio 2006 e' stata conosciuta dal Consiglio regionale piemontese, che non era parte in causa, soltanto in data 8 febbraio 2007 perche' comunicata dall'on. Brigandi' con lettera del 2 febbraio 2007. Per giurisprudenza costante di questa Corte, nei giudizi per conflitto di attribuzione tra enti, la conoscenza del provvedimento impugnato ai fini dalla decorrenza del termine di 60 gg. di cui all'art. 39, legge n. 87 del 1953, deve intendersi riferita agli organi legittimati a proporre il ricorso, cioe', per la regione, al Presidente della Giunta regionale (cfr. da ultimo, Corte costituzionale sent. n. 2/2007). 2. - L'istituto dell'immunita' giurisdizionale dei membri del Parlamento nazionale e di quelli dei Consigli regionali, se ha un significato, non puo' che essere colto nell'esigenza di tutelare questi ultimi dagli attacchi sferrati attraverso azioni giudiziarie. La decisione dell'organo legislativo relativa all'esistenza dei presupposti dell'immunita' dei propri membri, costituisce quindi espressione dell'autonomia che allo stesso viene costituzionalmente garantita. Il giudice, pertanto, e' tenuto a rispettarla, salva la possibilita', allo stesso riconosciuta, di sollevare conflitto davanti questa Corte, esclusivamente nel caso in cui l'organo legislativo avesse ecceduto dalla propria competenza, attribuendo l'immunita' ai suoi membri al di fuori delle ipotesi costituzionalmente previste. Nell'ipotesi di una delibera del Consiglio regionale con cui si afferma che il comportamento di un proprio consigliere e' coperto dall'immunita' disposta dall'art. 122 Cost., il giudice che vede quest'ultimo imputato per gli stessi fatti che il Consiglio ritiene coperti da immunita' non puo' proseguire il processo: dovrebbe affermarne l'improcedibilita' oppure, convinto dell'eccesso commesso dall'organo legislativo, sollevare un conflitto davanti a questa Corte. Nella Regione Piemonte, il paradigma invocato risulta confermato sia dall'art. 18, comma 3 dello Statuto, che ribadisce l'impossibilita' di chiamare a rispondere i consiglieri per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni, sia dalla disciplina dettata dall'art. 3 della l.r. 19 novembre 2001, n. 32. Quest'ultimo, affida la valutazione d'insindacabilita' dei consiglieri per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni al Consiglio regionale, cui fa carico di trasmettere immediatamente all'Autorita' giudiziaria, titolare del procedimento giudiziario, la delibera d'insindacabilita'. Nella fattispecie in esame, il giudice, ritenendo di non essere legittimato a sollevare un conflitto davanti alla Corte nei confronti della regione in quanto soltanto «potere» cui non poteva riconoscersi la capacita' rappresentativa dello Stato, invece di ritenersi obbligato a rispettare la delibera d'immunita' adottata dal Consiglio regionale, ha proseguito il processo accertando, direttamente e negativamente, la sussistenza dei presupposti per la concessione dell'immunita'. 3. - Il presupposto da cui muove il giudice non puo' essere condiviso. In primo luogo, va contestato l'assunto secondo cui sarebbe inammissibile il conflitto sollevato dal giudice nei confronti delle Regioni. Non si puo' infatti attribuire valore preclusivo al disposto dell'art. 39, l.r. 87/1953 laddove prevede che il ricorso, per lo Stato, e' proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri. Difatti, anche a voler ammettere che la proposizione del ricorso da parte di qualsiasi «potere», e non soltanto di quello amministrativo, debba processualmente «passare» per una delibera del Governo, tale prescrizione bloccherebbe soltanto la legittimazione processuale del singolo «potere» e quindi la proponibilita' diretta del ricorso da parte del giudice. Comunque, ove in via interpretativa non si ritenesse possibile limitare la proponibilita' del ricorso da parte del Governo all'area amministrativa, il giudice, se non avesse voluto sottomettersi all'onere del placet governativo, avrebbe potuto sollevare davanti a questa stessa Corte la quaestio relativa alla legittimita' della latitudine indiscriminata del disposto dell'art. 39 l.r. 87/1953. 4. - Il giudice, inoltre, valutando direttamente l'esistenza delle condizioni per il riconoscimento dell'immunita' del consigliere regionale Brigandi', ha escluso la riserva al Consiglio regionale della decisione sulla immunita' dei propri componenti. Tale convinzione e' affidata alla negazione del parallelismo tra immunita' dei parlamentari, ex art. 68 Cost., e immunita' dei consiglieri regionali ex art. 122 Cost., in quanto soltanto i primi apparterrebbero ad un organo sovrano, mentre gli altri farebbero parte di un organo soltanto «autonomo». L'affermazione e' apodittica nella parte in cui fa capo alla sovranita' come titolo di legittimazione dell'immunita' e non anche alla funzione legislativa e/o politica svolta dall'organo rappresentativo della collettivita' e, nel contempo, contraddittoria, giacche' se l'immunita' spetta soltanto agli organi sovrani, ai consigli regionali, in quanto organi soltanto «autonomi», non dovrebbe essere mai riconosciuta. Ma siffatta convinzione urta palesemente contro l'art. 122 Cost.! In secondo luogo, il giudice sottovaluta la pari dignita' costituzionale che oggi, a seguito dell'avvento della legge cost. n. 3/2001, dev'essere riconosciuta, ex art. 114 Cost., a tutti i soggetti della Repubblica. Inoltre, lo stesso giudice ha del tutto ignorato il disposto dell'art. 3 della l.r. 19 novembre 2001, n. 32, che ha riservato al Consiglio regionale la decisione sull'immunita' dei consiglieri, quasi che lo stesso non sia tenuto ad applicare, oltre alla Costituzione, anche la legge regionale. D'altro canto, qualora avesse ritenuto tale disposizione illegittimamente ampliativa dell'immunita' dei consiglieri regionali, avrebbe dovuto sollevare un'ulteriore quaestio di legittimita' davanti questa Corte. 5. - Nel merito, va sottolineato che il giudice oppone palesemente resistenza all'impiego della definizione degli atti consiliari incriminati come o.d.g., benche' in questa qualita' siano stati presentati al Consiglio regionale il 26 aprile 2001 e il 9 aprile 2002. L'intento e' chiaro anche se poco commendevole in chiave d'imparzialita': privare formalmente gli atti posti in essere dall'on. Brigandi' del nesso funzionale con l'attivita' del Consiglio. Ma la presentazione di o.d.g. e' attivita' «tipica» di natura «politica» dei consigli regionali, puntualmente disciplinata dall'art. 92 del Regolamento interno del Consiglio regionale del Piemonte che la definisce come «proposta diretta a promuovere un pronunciamento su argomenti di interesse generale, su questioni di particolare interesse politico, oppure a manifestare orientamenti o a definire indirizzi su specifici argomenti». L'on. avv. Matteo Brigandi', Presidente del gruppo Lega Nord Piemonte Padania, con due diversi o.d.g. (26 aprile 2001, 9 aprile 2002, n. 517; 24 maggio 2002, n. 567) ha invitato la Giunta ed il Consiglio regionale del Piemonte ad un pronunciamento sulla questione politico-giuridica della propaganda politica per l'Ulivo cui avrebbe partecipato il giudice Giancarlo Caselli con conseguente denuncia dell'operato illegittimo di quest'ultimo al Ministro della giustizia, al C.S.M. ed al Capo dello Stato. Sulla prima di queste iniziative politico-consiliari (o.d.g. n. 278 26 aprile 2001 calendarizzato nella convocazione del Consiglio regionale del 21 marzo 2002) lo stesso autore era stato intervistato dal giornale «La Padania» che ne pubblicava il testo il 18 marzo 2002. A seguito di tale pubblicazione l'on. Brigandi' veniva fatto oggetto di denuncia-querela da parte dallo stesso dott. Gian Carlo Caselli per diffamazione aggravata a causa dell'attribuzione di fatti determinati e con il mezzo della stampa. Ma la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Monza, a conclusione delle indagini preliminari, estendeva l'imputazione all'art. 81 c.p. invocando il reato continuato perche' lo stesso on. Brigandi' avrebbe posto in essere piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso in quanto autore del successivo ordine del giorno presentato al Consiglio regionale del Piemonte il 9 aprile 2002, con il quale reiterava le accuse mosse al giudice Caselli con il precedente o.d.g. del 26 aprile 2001 e oggetto dell'articolo-intervista incriminato del giornale «La Padania» del 18 marzo 2002. 6. - L'incriminazione diretta di un o.d.g. (quello del 9 aprile 2002), ma anche quella di un atto legato da nesso funzionale con altro o.d.g. (del 26 aprile 2001), oggetto di intervista su un giornale, costituiscono inequivocabilmente atti coperti dall'immunita' disposta dall'art. 122, quarto comma Cost., oltre che dalla l.r. Piemonte n. 32/2001. La pronunzia d'insindacabilita' adottata il 5 agosto 2005 dal Consiglio regionale del Piemonte costituiva, pertanto, atto dovuto. La richiesta di archiviazione avanzata dalla stessa Procura della Repubblica presso il Tribunale di Monza e' stata respinta dal G.i.p. del Tribunale di Monza con l'ordinanza del 17 febbraio 2006 oggetto del presente conflitto. Con questa, infatti, esclusa l'ipotesi del ricorso per conflitto di attribuzioni promosso dallo stesso giudice (anche attraverso un atto del Presidente del Consiglio dei ministri), ed escluso, altresi', apoditticamente, ogni effetto impeditivo della delibera d'insindacabilita' adottata dal Consiglio regionale, e' stata autonomamente rivalutata la riconducibilita' dei fatti incriminati nell'area dell'immunita', proponendo un'insolita lettura dello stesso art. 122, quarto comma Cost., secondo la quale non tutti gli atti «tipici» sarebbero coperti da immunita', ma soltanto quelli che coinvolgono materie di competenza regionale. L'affermazione invoca quale precedente la sentenza n. 379/2003 di questa ecc.ma Corte di cui, peraltro, secondo le «migliori» tradizioni defensionali, viene citata soltanto una frase, quella piu' favorevole alla tesi che si vuole sostenere, estrapolandola dall'intero contesto motivazionale. Citare dalla sentenza la frase (oltretutto mutilandola) secondo cui «non un qualsiasi testo scritto presentato da un parlamentare come interrogazione ... (ma non ammesso dalla Presidenza, quale che ne sia il contenuto) ... costituisca sempre, di per se', opinione da ritenersi espressa nell'esercizio delle funzioni parlamentari, come tale automaticamente coperta dalla insindacabilita», finisce per manipolare il significato effettivo della sentenza evocata. In questa, infatti, contrariamente a quanto il G.i.p. vuole fare apparire, si afferma che il giudizio d'inammissibilita' di un'interrogazione da parte del Presidente della Camera, non e' di per se' sufficiente ad escludere la riconducibilita' dello scritto all'esercizio di funzioni parlamentari. Occorre dunque, caso per caso, valutare il contenuto dell'atto e le ragioni della sua mancata ammissione. Soltanto la non riconducibilita' «assoluta» dello scritto presentato all'esercizio di funzioni parlamentari e quindi la sua estraneita' alla sfera della prerogativa di cui all'art. 68, primo comma, Cost. fa venire meno l'insindacabilita', che, secondo la citata sentenza, tende a proteggere al massimo grado la liberta' di espressione di ogni singolo membro delle Camere. Conseguentemente, e' stata riconosciuta la spettanza alla Camera dei deputati di decidere sull'immunita' da attribuire al singolo deputato per le opinioni espresse nell'interrogazione, giacche' l'inammissibilita' di quest'ultima, per ragioni legate alla competenza del Parlamento, non rileva ai fini dell'esercizio della liberta' di espressione del singolo parlamentare. La decisione invocata contiene, quindi, consistenti argomenti contrari sia alla tesi, che alla soluzione in concreto adottata dal G.i.p. del Tribunale di Monza. Nel caso di specie, infatti, non vi e' stata alcuna pronunzia d'inammissibilita' da parte del Consiglio regionale degli o.d.g. incriminati, nonostante tale condizione rappresenti, alla luce della sentenza invocata, la condizione necessaria affinche' il giudice possa verificare direttamente la carenza di potere nel comportamento del singolo consigliere. Lo schermo dell'atto tipico esclude l'intervento del giudice giacche' tale atto rientra tra gli interna corporis il cui sindacato e' riservato al Consiglio regionale. In assenza di un giudizio consiliare d'inammissibilita', il giudice deve rispettare la politicita' dell'atto posto in essere e con essa l'immunita' che ne deriva per il suo autore. Comunque, alla luce della decisione di questa Corte da ultimo evocata, anche l'eventuale giudizio consiliare negativo sull'ammissibilita' dell'atto tipico, non abilita il giudice a sostituirsi al diverso sindacato sulla immunita' spettante al Consiglio, ma lo legittima ad effettuare soltanto la valutazione perimetrale sulla «assoluta» carenza di potere e quindi, in ultima analisi, ad accertare la politicita' o meno dell'atto incriminato. Il bene protetto dall'insindacabilita', a differenza di quanto ritenuto dal G.i.p., e riaffermato da questa Corte nella decisione piu' volte da ultimo citata, non e' la funzionalita' dell'organo rappresentativo, ma l'autonomia del singolo rappresentante, guarda caso, proprio dalle indebite interferenze del potere giudiziario! Inoltre, escludere ogni potere delle regioni in tema di giustizia o di responsabilita' disciplinare dei magistrati, se puo' valere quale motivo per negare l'ammissibilita' dell'o.d.g. (giudizio peraltro riservato alla competenza del Consiglio regionale) e' irrilevante per affermare l'estraneita' dell'atto all'esercizio delle funzioni (politiche) del singolo Consigliere e della conseguente immunita' di quest'ultimo ex art. 122, quarto comma Cost. Proprio la sentenza n. 379/2003 di questa Corte, invocata nell'ordinanza di cui si discute, afferma, infatti, che l'inammissibilita' dell'interrogazione parlamentare per il motivo legato alla competenza, qual e' quello dell'estraneita' della materia trattata all'ambito della responsabilita' governativa, non comporta l'estraneita' del relativo atto all'esercizio delle funzioni del parlamentare. In secondo luogo, va sottolineato che con l'o.d.g. in esame il presentatore si e' limitato a sollecitare gli organi regionali ad esercitare la facolta' che e' riconosciuta a tutti di denunziare agli organi competenti (C.S.M. e Ministro della giustizia) un magistrato che si assume aver violato i propri doveri d'imparzialita' parteggiando in fase di campagna elettorale per una determinata forza politica.