Letti gli atti del procedimento penale pendente a carico di Iannuzzi Raffaele, nato a Grottolella (Avellino) il 20 febbraio 1928, residente in Roma, via Lucina, 17 imputato in relazione al seguente reato: A) del reato p. e p. dagli artt. 595 c.p.; e 13, legge 8 febbraio 1948, n. 47, per aver, nella sua qualita' di attore dell'articolo sotto descritto, offeso la reputazione di Gian Carlo Caselli e di Guido Lo Forte con la pubblicazione sul quotidiano «Il Giornale» del 7 novembre 2004 dell'articolo intitolato «Mafia, 13 anni di scontri fra p.m. e Carabinieri» riportando in narrativa fatti non veritieri e comunque offensivi per la loro formulazione e per il contesto in cui sono stati inseriti. Delitto aggravato dall'attribuzione di fatti determinati quali, tra gli altri: quanto a Gian Carlo Caselli, di aver impostato e condotto una vera e propria guerra contro l'Arma dei Carabinieri; di aver «quasi» incriminato il capo dei ROS Mori e il capitano De Donno e quindi di aver messo tutto a tacere di aver impostato e portato avanti, a tutti i costi, il procedimento contro il senatore Andreotti, impedendo che Badalamenti venisse in Italia a smentire taluno degli accusatori del predetto; di essersi rifiutato di difendere pubblicamente il maresciallo dei carabinieri Lombardo «suicidato e infamato e vittima di uno scontro di potere»; di aver frascurato le intercettazioni dei Carabinieri e gli avvertimenti di Brusca nei confronti di Di Maggio, lasciando cosi' che costui commettesse altri reati mentre era sotto la protezione dello Stato; di aver imputato di calunnia il Brusca ai danni di Di Maggio anziche' ascoltare i suoi avvertimenti; di aver iscritto senza fondamento nel registro indagati il colonnello Meli, per aver ingiustamente «perseguitato» il generale Mori, il capitano De Donno, il tenente Canale, il maresciallo Lombardo, il capitano Obinu, il capitano De Caprio, il capitano Meli, tutti per reati inesistenti; di aver tenuto un comportamento scorretto in tutta la vicenda del covo di Riina, accusando i carabinieri nonostante avesse preso accordi con loro; di aver imbastito, per anni, un sistema di persecuzione di personaggi sgraditi, iscrivendoli nel registro degli indagati, coprendoli di contumelie, chiedendo l'archiviazione dopo averli «sputtanati» e poi ricominciando l'iter da capo; di essere stato uno di quei «professionisti dell'antimafia» di cui e' indispensabile liberarsi per sempre, il tutto in concorso con altri magistrati della Procura di Palermo; quanto a Guido Lo Forte di aver ricevuto un importante dossier frutto di un grosso lavoro del capitano De Donno e contenente nomi di imprenditori e politici e non aver fatto nulla per diverso tempo per poi aver assunto iniziative solo nei confronti degli «stracci», lasciando fuori imprenditori e politici; di aver dato notizie riservate a personaggi come Siino; di aver abbandonato al suo destino il dossier mafia-appalti, una volta ottenuta l'archiviazione delle bobine con le accuse di Siino; di aver sostenuto l'accusa contro il senatore Andreotti a tutti i costi, ostacolando l'accertamento della verita'; di aver ostacolato sia le intercettazioni dei C.C. che le informazioni di Brusca, lasciando cosi' che Di Maggio commettesse altri reati e addirittura imputando il Brusca di calunnia nei confronti di Di Maggio; di aver partecipato ad una sorta di persecuzione nei confronti degli ufficiali del ROS e dell'Arma dei C.C. per reati inesistenti; di aver partecipato, per anni, ad un «giochino» della Procura di Palermo, che consisteva nel perseguitare personaggi sgraditi, pur non disponendo di elementi di prova; In Paderno Dugnano (MI) il 7 novembre del 2004. Premesso che: questo giudice, all'udienza preliminare svoltasi in data 18 novembre 2005 in relazione all'imputazione sopra indicata aveva pronunciato la seguente ordinanza: «Il giudice, letti gli atti del procedimento e sentite le questioni e le richieste avanzate dalle parti; premesso che la difesa dell'imputato Iannuzzi, senatore della Repubblica, ha sollevato eccezione di applicabilita' dell'art. 68 della Costituzione in relazione all'articolo che il prevenuto avrebbe scritto nell'esercizio di attivita' connesse alla funzione di parlamentare espletata fuori dal Parlamento; ritenuto che nel caso di specie non appare ricorrere un'ipotesi di improcedibilita' ai sensi dell'art. 68 primo comma della Costituzione e/o dell'art. 3, comma 1 della legge 140/2003; ritenuto che, in conseguenza del mancato accoglimento della richiesta di emettere sentenza ai sensi dell'art. 129 c.p.p., il giudice sia tenuto a sospendere, quanto all'imputato Iannuzzi, il procedimento; visto l'art. 3, comma 4, legge 140/2003; Ordina la sospensione del procedimento nei confronti di Iannuzzi Raffaele; la trasmissione di copia di tutti gli atti del procedimento al Senato della Repubblica...». risulta dagli atti che gia' in data 15 novembre 2005 il senatore Iannuzzi aveva a sua volta trasmesso alla Presidenza del Senato della Repubblica richiesta di insindacabiita', in relazione alle affermazioni contenute nell'articolo oggetto del presente procedimento, richiesta che era pervenuta in data 18 novembre 2005; l'assemblea del Senato della Repubblica, nel corso della seduta pomeridiana del 18 gennaio 2006, accoglieva la proposta fatta a maggioranza dalla Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari di dichiarare che il fatto oggetto del procedimento stesso concerne opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni e ricade, pertanto, nell'ipotesi di cui all'art. 68, primo comma della Costituzione; all'udienza preliminare del 20 giugno 2006, preso atto della delibera del Senato della Repubblica, la difesa dell'imputato lannuzzi ha chiesto l'emissione di una sentenza di non doversi procedere, mentre il p.m. ed i difensori delle parti civili hanno chiesto che questo giudice sollevasse conflitto di attribuzioni ai sensi dell'art. 134 Cost e 37 e ss della legge 87/53, richieste sulle quali questo giudice si e' riservato di decidere, rinviando all'udienza del 3 luglio 2006. Ritenuto che nel caso di specie ricorrono i presupposti per accogliere la richiesta avanzata dal p.m. e dai difensori delle parti civili costituite: infatti: 1) l'insindacabilita' delle affermazioni di un appartenente al Parlamento della Repubblica deve connettersi, sulla base dei principi delineati dalla costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, all'esistenza di un effettivo nesso tra le affermazioni espresse fuori dall'ambito parlamentare e le funzioni in concreto svolte dal singolo parlamentare, di modo che si possa affermare che le prime sono espressione diretta dell'attivita' dal secondo; non e' sufficiente quindi un semplice collegamento di argomento, e/o di contesto, tra l'attivita' parlamentare e le dichiarazioni rese, ma e' necessario che le dichiarazioni siano identificabili come espressione dell'attivita' effettivamente svolta dal parlamentare, rappresentando tale delimitazione funzionale il limite oltrepassato il quale la prerogativa del parlamentare, finalizzata alla tutela della liberta' e dell'autonomia del singolo appartenente ad Parlamento, non puo' piu' operare, a meno di non diventare un mero privilegio personale, il riconoscimento di uno status personale di favore, con conseguente violazione dei principi di eguaglianza e di parita' di opportunita' di tutti i cittadini nella dialettica politica; 2) nel caso di specie la Giunta per le immunita' parlamentari, nell'affrontare il caso portato alla sua attenzione, ha fatto ampio riferimento al fatto che la «battaglia politica che il senatore Iannuzzi conduce sin dall'inizio del suo attuale mandato parlamentare, contro l'utilizzo dei pentiti nei processi penali, permea tutta la sua attivita' parlamentare, oltre che quella pubblicistica da lui esercitata da tempo a livello professionale»; a prescindere dalla notazione che l'accesso all'attivita' pubblicislica autonomamente intesa sembrerebbe non rilevante al fine di valutare l'insidacabilita' oggetto della deliberazione (visto che tale attivita' non sarebbe comunque scriminata ove dovesse essere svolta con modalita' diffamatorie), il parere della Giunta fa riferimento a due iniziative del senatore Iannuzzi: la proposta di una Commissione bicamerale di inchiesta (Disegno di legge n. 2292: Istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta sulla gestione di coloro che collaborano con la giustizia), depositata il 25 giugno 2003; e la proposta di una Commissione monocamerale di inchiesta (documento XXII n. 25; Proposta di inchiesta parlamentare del Senato sulla gestione di coloro che collaborano con la gustizia), depositata il 19 febbraio 2004; 3) a prescindere dalla notazione, fondata sulla documentazione prodotta dalla difesa di parte civile, che alla presentazione delle due iniziative sopra indicate non ha fatto seguito alcuna, ulteriore attivita' parlamentare collegata o conseguente alle rammentate iniziative (non vi e' stata neppure la fissazione di discussione in Commissione), deve rilevarsi come non vi sia nel caso di specie quel presupposto, dalla Corte ritenuto essenziale, della contestualita', cronologica; difatti le due iniziative, di contenuto sostanzialmente identico, risalgono al piu' tardi al febbraio 2004; le affermazioni contenute nell'articolo oggetto del presente giudizio, risalgono al novembre 2004, e quindi a circa 9 mesi dopo; 4) ma vi e' di piu'; la lettura dell'articolo firmato dal senatore Iannuzzi consente infatti di escludere, sin dal titolo assai signiflcativo: «Mafia, 13 anni di scontri tra p.m. e Carabinieri», la ricorrenza nel caso di specie di quel nesso di riferibiita' in astratto ai lavori parlamentari (cfr. C.c. 50/2002; 220/2004), non essendo in particolare possibile discernere le opinioni dello Iannuzzi riconducibili alla libera manifestazione del pensiero, da quelle che riguardano l'esercizio della funzione parlamentare; non solo, giacche' la lettura dell'articolo nella sua integralita' rende oltre modo evidente come il riferimento ai pentiti, e all'uso che in sede giudiziaria e politica ne possa essere stato fatto, sia occasionale, indiretto e strumentale, mentre l'oggetto diretto della pubblicazione e' l'attivita' dei magistrati palermitani e, segnatamente, delle odierne parti civili. Tutto cio' premesso, apparendo carente quel flesso funzionale richiesto dall'art. 68, primo comma della Costituzione, la delibera del Senato della Repubblica del 18 gennaio 2006 appare illegittima, e deve quindi esserne richiesto l'annullamento per invasione dell'ambito attribuito all'autorita' giudiziaria. Da tutto questo consegue che, ricorrendone gli estremi soggettivi ed oggettivi, questo giudice deve sollevare conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato.