LA CORTE DI APPELLO Visti gli atti del procedimento penale iscritto al n. 276/2006 a carico di Tursi Emilio ed altri, definito in primo grado con sentenza del tribunale di Lecce in data 30 novembre 2005; Rilevato che, contro la predetta sentenza - con la quale tutti gli imputati sono stati assolti dalle imputazioni loro ascritte per insussistenza del fatto - hanno proposto appello il pubblico ministero con atto 11 gennaio 2006 (con cui si chiede - tra l'altro - la rinnovazione del dibattimento e l'assunzione di prove gia' richieste e non ammesse dal giudice di primo grado) ed in via incidentale l'imputato Fiengo Giuseppe che chiede, «in accoglimento ove necessario del proposto appello, la conferma della statuizione di primo grado in ordine all'insussistenza dei fatti reato» a lui contestati; Rilevato che nelle more e' stata promulgata la legge 20 febbraio 2006, n. 46, entrata in vigore nella data odierna, la quale, all'art. 1, modificando il previgente art. 593, cod. proc. pen., stabilisce che «l'imputato e il pubblico ministero possono appellare contro le sentenze di proscioglimento nelle ipotesi di cui all'art. 603, comma 2, se la nuova prova e' decisiva»; Rilevato che la citata legge stabilisce all'art. 10 che essa si applica ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore e che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal pubblico ministero prima di tale data viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile, salva la possibilita' per il pubblico ministero e per l'imputato di proporre nei quarantacinque giorni successivi alla comunicazione ricorso per cassazione; Ritenuto che, a niente dell'ultima disposizione citata, l'appello proposto dal pubblico ministero contro la sentenza in esame dovrebbe de plano essere dichiarato inammissibile in quanto palesemente non ricorre l'ipotesi prevista dall'art. 603, comma 2 c.p.p. - di appello cioe' fondato su «prove nuove o scoperte dopo il giudizio di primo grado» - essendo la richiesta di rinnovazione del dibattimento formulata dal pubblico ministero limitata all'assunzione di prove non ammesse dal giudice di primo grado che non possono quindi essere considerate nuove e scoperte successivamente; Ritenuto altresi' che non ricorre neppure l'ipotesi prevista dall'art. 580 cod. proc. pen. come modificato dall'art. 7 della legge n. 46/2006 secondo cui «quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi, nel caso in cui sussista la connessione di cui all'art. 12, il ricorso per cassazione si converte in appello» giacche', ai fini che qui interessano, all'appello proposto dall'imputato Fiengo in via incidentale, che e' ex se inammissibile gia' secondo il testo previgente dell'art. 593, comma 2 cod. proc. pen., non puo' riconoscersi alcuna efficacia, data appunto la sua dichiarata natura di impugnazione incidentale condizionata quindi all'ammissibilita' dell'impugnazione principale e che per tale ragione non potrebbe produrre l'effetto di rendere ammissibile l'impugnazione del pubblico ministero che tale non e'; Ritenuto tuttavia di dover sottoporre al vaglio del Giudice delle leggi le questioni di legittimita' costituzionale sollevate da piu' parti gia' durante l'iter di approvazione della legge e che non appaiono a questa corte manifestamente infondate; Considerato a riguardo che: la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che «il doppio grado di giurisdizione di merito non forma oggetto di garanzia costituzionale» e neppure puo' essere derivato da convenzioni internazionali con riferimento all'art. 2 del protocollo addizionale n. 7 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali approvata a Strasburgo il 22 novembre 1984; la Corte ha ritenuto altresi' costituzionalmente legittime le limitazioni, per esempio in materia di giudizio abbreviato, al potere del pubblico ministero di impugnare una sentenza di proscioglimento o di proporre, sempre nel rito abbreviato, appello incidentale quando sia stato proposto appello da parte dell'imputato (Corte cost. n. 98 del 1994) e tuttavia la Corte, in quest'ultima sentenza, non ha mancato di rilevare che «la configurazione dei poteri di impugnazione del pubblico ministero rimane affidata alla legge ordinaria che potrebbe essere censurata per irragionevolezza solo se i poteri stessi, nel loro complesso, dovessero risultare inidonei all'assolvimento dei compiti previsti dall'art. 112 della Costituzione», col principio cioe' dell'obbligatorieta' dell'azione penale; gia' alla stregua della giurisprudenza esistente della Corte costituzionale, anteriore peraltro alle modifiche apportate all'art. 111 della Costituzione dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, sembrerebbe esclusa la possibilita' di negare in linea generale al pubblico ministero il potere di impugnare con appello le sentenze di proscioglimento; una cosi' pesante limitazione ai poteri del pubblico ministero si pone comunque in palese contrasto col disposto dell'art. 111, secondo comma della Costituzione, secondo cui «ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parita', davanti a giudice terzo e imparziale»; sembrerebbe evidente infatti che la condizione di parita' delle parti garantita nel processo dal dettato costituzionale e' seriamente compromessa dal fatto che all'una - l'imputato - e' giustamente garantita la possibilita' di un nuovo processo di merito nel caso di condanna, mentre analoga possibilita' non e' data - e senza alcun ragionevole motivo - al pubblico ministero (e neppure, ma e' problema che in questo processo non si pone, alla persona offesa dal reato costituita parte civile) nella ipotesi speculare di assoluzione dell'imputato; questo profilo di possibile illegittimita' costituzionale e' stato gia' rilevato dal Presidente della Repubblica nel suo messaggio alle camere del 20 gennaio 2006 con cui si chiese un nuovo esame della legge e nel quale si sottolineo' che «la soppressione dell'appello delle sentenze di proscioglimento, a causa della disorganicita' della riforma, fa si che la stessa posizione delle parti del processo venga ad assumere una condizione di disparita' che supera quella compatibile con la diversita' delle funzioni svolte dalle parti stesse nel processo» mentre «le asimmetrie tra accusa e difesa costituzionalmente compatibili non devono mai travalicare i limiti posti dall'art. 111, secondo comma della Costituzione» e si sottolinea ancora «l'ulteriore incongruenza» derivante dal fatto che il pubblico ministero totalmente soccombente non puo' proporre appello, mentre cio' gli e' consentito quando la sua soccombenza sia solo parziale, avendo ottenuto una condanna diversa da quella richiesta; questi rilievi peraltro furono recepiti dal Parlamento che ritenne di rimediarvi introducendo la possibilita' per il pubblico ministero di impugnare con appello le sentenze di proscioglimento in caso di prove nuove, sopravvenute al giudizio di primo grado, aventi carattere decisivo: ma il carattere assolutamente marginale di tale possibilita' non modifica minimamente i termini del problema e non elimina i dubbi di costituzionalita' della norma in esame; la quale, secondo i rilievi contenuti anche nel messaggio presidenziale, si pone altresi' in contrasto col principio costituzionale affermato dall'art. 111 della durata ragionevole del processo dato che, in caso di esperimento con esito positivo del ricorso per cassazione da parte del pubblico ministero, il processo torna irragionevolmente al primo grado, consentendo alle parti tutte le attivita' processuali che la pronuncia di una sentenza di primo grado avrebbe altrimenti precluso, e cio' inevitabilmente incide in negativo sulla durata del processo; e nello stesso tempo l'ampliamento dei casi del ricorso per cassazione non solo non produce alcun effetto compensativo rispetto alla soppressione dell'appello ma avrebbe al contrario un effetto inflattivo di gran lunga superiore a quello deflattivo derivante dalla soppressione dell'appello; la disposizione transitoria contenuta nell'art. 10 della legge si pone altresi' in contrasto col principio costituzionale affermato dall'art. 97 della Costituzione del buon andamento dell'amministrazione, applicabile secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale anche agli organi dell'amministrazione della giustizia, in quanto vanifica, senza un'apparente ragione, il lavoro svolto dal pubblico ministero, costringendolo a rimodulare la sua impugnazione e a trasformarla in ricorso, mentre aggrava di un eccessivo carico di lavoro la Corte di cassazione fino a comprometterne l'efficienza e la stessa funzionalita', come peraltro pubblicamente denunciato dal primo presidente della stessa corte. Ritenuto pertanto che i dubbi di illegittimita' costituzionale delle norme in esame, non essendo manifestamente infondati, vanno prospettati alla Corte costituzionale e che in attesa della decisione, va sospesa l'emissione dell'ordinanza di inammissibilita' della proposta impugnazione.