IL TRIBUNALE Sciolta la riserva sull'eccezione di incostituzionalita' sollevata dal p.m. relativamente all'art. 10, legge n. 251/2005, emette la seguente ordinanza. Questo giudice e' investito del giudizio a carico dell'imputato C. G. per il reato di cui agli artt. 81 cpv., 609-quater, 609-ter n. 5 c.p. (con riferimento all'art. 521 c.p. quoad poenam), 61 n. 5 c.p. in danno della figlia minore A. C. I fatti addebitati all'imputato sarebbero stati commessi in un periodo di tempo che va da una data imprecisata anteriore al 1990 fino al 26 gennaio 1995. Nel corso dell'udienza preliminare, l'imputato ha chiesto il giudizio abbreviato ai sensi dell'art. 438, comma 1 c.p.p. All'udienza preliminare del 20 settembre 2005 si costituiva parte civile A. C. L'imputato depositava documenti e chiedeva il rito abbreviato, che veniva immediatamente ammesso, rinviandosi al successivo 24 gennaio 2006 per la trattazione. A tale ultima udienza, la difesa dell'imputato eccepiva la prescrizione del reato alla luce dei nuovi termini definiti dall'art. 6, legge 5 dicembre 2005, n. 251. Il p.m., come detto sopra, controbatteva con l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 10, comma 3, legge 5 dicembre 2005, n. 251, «nella parte in cui non esclude l'applicazione dei termini di prescrizione piu' brevi ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, ove sia stato disposto il giudizio abbreviato», in riferimento all'art. 3 della Costituzione. Stando alle nuove disposizioni sulla prescrizione del reato, infatti, ai sensi del novellato art. 157 c.p. i termini di prescrizione del reato per il quale si procede sono piu' brevi rispetto a quelli dettati dalla previgente disciplina: mentre in forza del vecchio art. 157 c.p. il reato doveva considerarsi prescritto nel termine di 10 anni, alla luce del nuovo testo introdotto dall'art. 6, legge n. 25/2005, il reato si prescrive nel termine di 6 anni e 8 mesi. L'art. 10, legge n. 251 del 2005 regola il c.d. diritto intertemporale con riguardo ai processi in corso all'8 dicembre 2005 e, a proposito della decurtazione dei termini prescrizionali, delimita espressamente lo spazio applicativo delle disposizioni favorevoli all'accusato. Ex comma 3 art. cit., se al momento dell'entrata in vigore della legge n. 251 del 2005 e' gia' intervenuta la dichiarazione d'apertura del dibattimento, ovvero se si verte in un grado d'impugnazione, la modificazione in melius per l'imputato non opera nel processo in corso e continuano ad applicarsi i termini piu' ampi fissati dalla pregressa disciplina estintiva. Le linee che demarcano l'efficacia delle nuove norme sono quindi segnate dalla «dichiarazione di apertura del dibattimento», prima, e dai «giudizi d'impugnazione», poi. Cio' significa che esse non toccano il presente giudizio a quo, trattandosi di giudizio abbreviato disposto nel corso dell'udienza preliminare. Ne' e' possibile superare in via interpretativa tale conclusione. Quanto ai processi di prime cure, infatti, la locuzione «dichiarazione di apertura del dibattimento» e' univoca, poiche' si riferisce ad un adempimento che trova testuale menzione e specifica disciplina nell'art. 492 c.p.p. La collocazione sistematica entro il Titolo II del Libro VII del codice («Dibattimento») e lo stesso nomen iuris rinviano alla fase dibattimentale, il cui nucleo essenziale e' rappresentato dall'omonima «istruzione» (artt. 496 ss. c.p.p.), per eccellenza deputata alla formazione della prova nel contraddittorio tra le parti, in vista dell'emanazione della sentenza. Lo sbocco nella decisione sull'accusa e' l'anello di congiunzione con il giudizio abbreviato, anch'esso destinato a culminare in una sentenza di proscioglimento o di condanna (art. 442 c.p.p.). Nettamente diversi sono, pero', gli itinera processus che preludono al momento decisorio: il giudizio abbreviato s'incentra su una mutazione funzionale del materiale investigativo, trasformato - nonostante la sua provenienza unilaterale - nel supporto per una decisione sulla responsabilita' dell'imputato. Tale lampante peculiarita' strutturale impedisce di parlare correttamente di «apertura del dibattimento» in seno al giudizio abbreviato, in quanto ivi una fase d'istruzione dibattimentale in contraddittorio non e' prevista, dovendosi le parti limitare ad una discussione sul materiale gia' altrove formato. Ne discende che, se il dibattimento e' formalmente iniziato, i tempi prescrizionali di riferimento rimangono quelli ante-riforma. Quanto al giudizio abbreviato, essendo ad esso estranea una formale dichiarazione d'apertura del dibattimento, vale l'incipit dell'art. 10 comma 3: «Se, per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano piu' brevi, le stesse si applicano ai procedimenti e ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge». Quindi, per quanto sin qui detto, nel giudizio a quo, a fronte della deduzione difensiva, il giudice di merito dovrebbe prosciogliere l'imputato per intervenuta estinzione del reato. Di qui la rilevanza della questione di costituzionalita'. In punto di non manifesta infondatezza, l'applicazione nel rito abbreviato dei termini prescrizionali come novellati pro reo appare affetta da manifesta irragionevolezza, in violazione dell'art. 3 Cost. Preme innanzitutto osservare che, facendo perno sulla formale «dichiarazione di apertura del dibattimento», la riserva contenuta nell'art. 10, comma 3, legge n. 251 del 2005 (che esclude l'applicazione del nuovo regime prescrizionale) coinvolge una variegata gamma di meccanismi processuali. Infatti, di dibattimento formalmente aperto si parla non solo trattando, nel rito ordinario, della fase che segue l'udienza preliminare, ma anche a proposito del giudizio direttissimo, del giudizio immediato e dei procedimenti a citazione diretta davanti al tribunale monocratico e al giudice di pace. Cio' significa che, ad uno sguardo sistematico, il diritto intertemporale forgiato dal summenzionato art. 10 comma 3 accomuna tutte le forme di «giudizio sull'accusa», con l'unica eccezione del rito abbreviato. Scaturisce da qui l'irragionevolezza del menzionato regime transitorio. La ratio della riserva all'applicazione immediata dei, nuovi termini prescrizionali consiste nel realizzare un equilibrio tra l'interesse degli accusati ad avvantaggiarsi immediatamente della nuova disciplina favorevole e l'interesse alla conservazione dell'attivita' d'indagine e processuale gia' espletata al momento di entrata in vigore della legge. Cio', al fine di salvaguardare la funzione di accertamento dei reati e, in ultima istanza, la tutela dei beni fondamentali che la repressione penale e' volta a realizzare. Il giudizio abbreviato e' escluso da tale riserva e rimane pertanto estraneo alla ratio cui e' improntata la disciplina transitoria. Affinche' tale esclusione sia costituzionalmente ammissibile rispetto all'uniforme trattamento cui sono soggetti gli altri «giudizi sull'accusa», essa deve essere supportata da ragionevoli giustificazioni. Non giustificano il trattamento differente riservato al giudizio abbreviato le esigenze di economia processuale. Si tratta, infatti, di elementi la cui incidenza e' ben piu' marcata in altri meccanismi processuali, primi fra tutti, il giudizio direttissimo e il rito penale «di pace». Quanto al giudizio direttissimo, e' cosa nota che le sue peculiarita' si colgono sul terreno delle condizioni che lo innescano e dei ritmi che lo scandiscono. Da un lato, spicca l'arresto in flagranza, seguito dalla celebrazione del giudizio entro quarantott'ore (art. 449, comma 1 c.p.p.) ovvero nei successivi quindici giorni (art. 449, comma 4 c.p.p.). In alternativa, rileva la confessione resa in seno ad un interrogatorio, purche' l'interessato venga citato a comparire in giudizio entro quindici giorni dall'iscrizione nel registro delle notizie di reato (art. 449, comma 5 c.p.p.). Ebbene, il rito direttissimo e' probabilmente, tra i c.d. procedimenti speciali, quello maggiormente ispirato ad una logica di contrazione dei tempi processuali: la citazione diretta a giudizio, se non addirittura la presentazione in udienza dell'imputato detenuto, si riconnettono in modo diretto alla prospettiva di un'istruzione rapida e concludente, giusta la pregressa confessione o il fatto di aver colto in flagranza il reo (ex plurimis, in questo senso, si veda Corte cost., sent. 11 marzo 1991, n. 102). Quanto al giudizio immediato, si converra' che l'esclusione dell'udienza preliminare e la concentrazione delle indagini preliminari nei novanta giorni dall'iscrizione della notitia criminis ex art. 335 c.p.p. esaltano naturalmente l'ottica dell'economia processuale. Il pubblico ministero, poi, chiamato a suffragare la sua richiesta con prove evidenti «a carico», rispetto alle quali l'indagato e' stato sentito in interrogatorio o quantomeno e' stato invitato a comparire (art. 453 c.p.p.), rappresenta la conferma di una proiezione verso un giudizio celere, in quanto il carattere di «evidenza» delle prove raccolte ante iudicium lascia preconizzare un rapido e pieno riscontro dibattimentale. E non e' difficile identificare, sullo stesso versante, un trait d'union con i processi a citazione diretta davanti al tribunale in composizione monocratica (Titolo II del libro VIII c.p.p.) e al giudice di pace (d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274). Non muta, rispetto ai giudizi immediato e direttissimo, l'idea di fondo: quella di risparmiare tempo ed energie. Del resto, se ne trova conferma per tabulas, leggendo rispettivamente l'art. 2, comma 1, n. 103 della legge-delega 16 febbraio 1987 n. 81 e l'art. 17, comma 1, legge-delega 24 novembre 1999 n. 468, dato che i principi e criteri direttivi impartiti dal Parlamento al Governo optano in modo cristallino per la massima semplificazione delle forme, come la stessa Corte costituzionale non ha mancato rimarcare (cfr., per tutte, Corte cost., sent. 15 aprile 1992, n. 175). In sintesi: a) premesso che una scelta legislativa imperniata sulla «dichiarazione di apertura del dibattimento» (art. 10, comma 3, legge n. 251 del 2005) coinvolge, oltre al procedimento ordinario, i giudizi direttissimo e immediato, nonche' quelli a citazione diretta davanti al tribunale monocratico e al giudice di pace, escludendo per ognuno d'essi l'operativita' dei nuovi tempi prescrizionali ridotti; b) rilevato che a tale area d'impatto rimane estraneo il solo giudizio abbreviato; c) accertato che non si rinviene nel sistema alcuna ragionevole giustificazione a tale esclusione; d) e' d'uopo concludere che essa e' sospetta di incostituzionalita'. L'esclusione del rito abbreviato non si giustificherebbe neppure ove si volesse dare rilevanza alla gravita' dei reati che vengono in considerazione. Non si spiega, invero, perche' vengano fatti salvi i termini prescrizionali lunghi rispetto a reati bagatellari (com'e' tipico ove si proceda con la citazione diretta davanti al giudice di pace), consentendo invece che operino i termini di prescrizione piu' brevi qualora si sia imboccata la via del giudizio abbreviato, del tutto compatibile con reati di massimo allarme sociale, come quello per cui si procede nel presente giudizio. E' cosa nota che alla Corte costituzionale non spetta di far prevalere un proprio punto di vista, sovrapponendolo ai criteri di valore assunti dal legislatore (ex multis, v. Corte cost., sent. 25 luglio 2001, n. 291; Corte cost., sent. 12 marzo 1998, n. 51; Corte cost., sent. 27 febbraio 1996, n. 55). Le compete, pero', il potere di affermare che una disparita' di trattamento e' priva di giustificazione sotto qualsiasi prospetto, da qualunque parte la si «guardi» (bastera' richiamare Corte cost., sent. 12 gennaio 2000, n. 5). Ebbene, sancire che nel rito abbreviato valgano i termini prescrizionali ridotti, ex professo banditi dai giudizi direttissimo, immediato e a citazione diretta davanti ai giudici monocratici - ove per converso permane l'applicazione dei piu' lunghi termini ante-riforma -, e' un'opzione che mantiene un forte grado d'irrazionalita', sia che si ragioni in termini di economia processuale, sia che si consideri la gravita' dei reati che vengono in rilievo. Dichiarando illegittimo l'art. 10, comma 3, legge n. 251 del 2005 «nella parte in cui non esclude l'applicazione dei termini di prescrizione piu' brevi ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, ove sia stato disposto o ammesso il giudizio abbreviato», si otterrebbe l'effetto di equiparare le varie forme di «giudizio sull'accusa» previste dall'attuale legge processuale, scongiurando l'ipotesi che irragionevolmente una soltanto venga trattata in modo difforme. Per cio' che attiene agli effetti della pronuncia della Corte costituzionale, occorre ribadire che il dubbio di costituzionalita' non involge la scelta, riservata alla discrezionalita' del legislatore, di modulare diversamente la prescrizione del reato, bensi' la regolamentazione attraverso cui questa scelta e' stata resa operativa. L'applicazione dei termini di prescrizione oggetto della novella e' ancorata dal legislatore non direttamente al fatto-reato, ma al verificarsi di un preciso adempimento processuale, soluzione anch'essa appartenente alla sfera riservata al legislatore. La Corte costituzionale ha riconosciuto che quest'ultimo gode di ampia discrezionalita' nel regolare gli effetti intertemporali di nuovi istituti ovvero delle modificazioni apportate ad istituti esistenti. Tuttavia, la stessa Corte insegna che la disciplina intertemporale deve rispondere al canone della ragionevolezza (Corte cost., sent. 9 luglio 2004, n. 219, sulla disciplina transitoria prevista in materia di patteggiamento allargato dalla legge 12 luglio 2003, n. 134). Sotto altro profilo, dal punto di vista degli effetti sostanziali della addizione richiesta, questo giudice e' consapevole del fatto che la Corte costituzionale si astiene dal pronunciare sentenze additive in materia penale cosiddette in malam partem, ossia che producano effetti pregiudizievoli per la posizione dell'imputato (in tema di prescrizione, tra le altre, Corte cost., ord. 20 luglio 2000, n. 317; Corte cost., ord. 9 luglio 1999, n. 288; Corte cost., ord. 2 gennaio 1990, n. 7). E' vero anche, tuttavia, che il giudice delle leggi si riserva un margine di intervento in materia penale, al fine di verificare che «la disciplina non sia frutto di una scelta palesemente arbitraria o ingiustificata» (Corte cost., ord. 20 luglio 1999, n. 337). In materia di prescrizione, ad esempio, la Corte costituzionale ha ritenuto inammissibili questioni volte ad integrare l'elenco tassativo degli atti sospensivi o interruttivi della prescrizione, previsto agli artt. 159 e 160 c.p. (Corte cost., ord. 17 giugno 1999, n. 245; Corte cost., ord. 16 dicembre 1998, n. 412; Corte cost., ord. 6 aprile 1998, n. 106; Corte cost., ord. 13 giugno 1997, n. 178; Corte cost., ord. 25 luglio 1996, n. 315; Corte cost., sent. 31 marzo 1994, n. 114; Corte cost., ord. 30 dicembre 1993, n. 489; Corte cost., ord. 23 aprile 1993, n. 193; Corte cost., ord. 23 aprile 1993, n. 118; Corte cost., ord. 28 aprile 1983, n. 114). L'accoglimento di tali questioni avrebbe in effetti comportato che la Corte effettuasse ex novo un bilanciamento tra le diverse esigenze coinvolte: l'interesse dell'imputato a non essere sottoposto per un tempo indefinito all'attivita' di accertamento dei pubblici poteri l'interesse generale a non perseguire i reati, una volta che sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla loro commissione; l'interesse, anch'esso di rango costituzionale, a non pregiudicare l'esercizio obbligatorio dell'azione penale. Ma nel nostro caso sembra che lo sbarramento costituito dalla costante giurisprudenza sopra ricordata possa non valere. Invero, la dichiarazione d'illegittimita' costituzionale, che qui si richiede, dell'art. 10, comma 3, legge n. 251 del 2005, nella parte in cui non esclude dall'applicazione dei termini di prescrizione piu' brevi il processo pendente ove sia stato disposto o ammesso il giudizio abbreviato, non comporta la creazione da parte della Corte costituzionale di una nuova norma contenente un regime prescrizionale risultante da un'autonoma operazione di bilanciamento. Comporta, invece, l'applicazione all'imputato dei termini di prescrizione gia' previsti dal precedente regime codicistico e vigenti al momento della commissione del fatto di reato. E' cosi' rispettato il principio di legalita' dei delitti e delle pene sancito dall'art. 25 della Costituzione, inteso in una duplice accezione: sotto il profilo del destinatario della norma penale, come principio di conoscibilita' e certezza del precetto penale al momento della commissione del fatto; dal punto di vista della provenienza della norma da applicarsi al caso concreto, come esigenza che essa promani dall'organo legislativo, cui e' riservata nel sistema costituzionale la determinazione dell'an e del quomodo dell'esercizio della funzione punitiva. A differenza dei precedenti invocati, infine, l'addizione richiesta non impegna la Corte nella scelta tra una gamma di opzioni normative possibili. Tale scelta e' gia' stata operata dal legislatore nella predisposizione di una disciplina transitoria ad hoc ed e' consistita nel sottrarre al nuovo regime prescrizionale tutti i «giudizi sull'accusa» pendenti all'8 dicembre 2005. Nel dettare le regole per la concreta attuazione del regime transitorio, tuttavia, il legislatore e' incorso in una palese incongruenza che non trova giustificazione alcuna nel sistema e non appare, pertanto, conforme al canone della ragionevolezza. E' sotto questo specifico profilo che si appalesa l'incostituzionalita' della norma impugnata.