ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito delle deliberazioni del Senato della Repubblica del 31 gennaio 2001 (doc. IV-quater, n. 60), relative alla insindacabilita', ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni dei senatori Vito Bruno Gnutti e Francesco Speroni, promosso con ricorso del giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Verona, depositato in cancelleria il 17 novembre 2006 ed iscritto al n. 19 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2006, fase di ammissibilita'. Udito nella Camera di consiglio del 21 febbraio 2007 il giudice relatore Paolo Maria Napolitano. Ritenuto che il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Verona, investito di un procedimento penale a carico di Vito Gnutti e di Francesco Speroni, ambedue senatori all'epoca dei fatti, imputati del reato di cui all'art. 1 del decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43 (Divieto delle associazioni di carattere militare), con ricorso del 9 ottobre 2006, depositato nella cancelleria della Corte il successivo 17 novembre, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alle deliberazioni con le quali l'Assemblea, nella seduta del 31 gennaio 2001 (doc. IV-quater, n. 60), ha dichiarato che i fatti per i quali era in corso il procedimento penale concernevano opinioni espresse da due membri del Parlamento nell'esercizio delle funzioni parlamentari e, in quanto tali, insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione; che il ricorrente premette di aver gia' sollevato, nell'ambito del medesimo procedimento, conflitto di attribuzione in relazione alle stesse deliberazioni, precisando che il relativo ricorso era stato dichiarato, in sede di valutazione preliminare, ammissibile con ordinanza di questa Corte n. 380 del 2001 e, poi, dichiarato inammissibile con sentenza n. 267 del 2005, in quanto «il ricorrente, [...] non (aveva) assolto all'onere di una enunciazione esaustiva delle condotte poste in essere dagli imputati che prescind(esse) dalla tecnica adottata nella formulazione del capo di imputazione e dalla sussistenza dei requisiti minimi di indicazione del "fatto", prescritti dal codice di procedura penale nella diversa prospettiva di salvaguardare le esigenze del diritto di difesa e del contraddittorio»; che, mancava «quindi, in radice la possibilita' di stabilire se quella ascrivibile a ciascuno dei due parlamentari (fosse) la realizzazione di un comportamento di carattere materiale o la manifestazione di una opinione, rimanendo cosi' preclusa la possibilita' di valutare se ricorrevano le condizioni per l'operativita' della prerogativa di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione»; che, aggiunge il G.u.p. del Tribunale di Verona, all'udienza preliminare del 5 ottobre 2006, e' stata pronunciata nei confronti dei senatori Gnutti e Speroni (e di altri coimputati) sentenza di proscioglimento ex art. 129 del codice di procedura penale in relazione a taluni dei capi di imputazione a loro ascritti, per essere le condotte in essi previsti non piu' ritenute dalla legge come reato e per essersi estinto per prescrizione un ulteriore capo dell'imputazione; che, pertanto, il procedimento penale verte unicamente sulla imputazione relativa alla violazione dell'art. 1 del d.lgs. n. 43 del 1948, riguardo alla quale il Senato della Repubblica, con deliberazioni del 31 gennaio 2001, ha dichiarato che concerneva opinioni espresse nell'esercizio della funzione parlamentare; che il giudice ricorrente precisa che ai senatori e' contestato di aver partecipato, promuovendola e dirigendola, ad una articolata associazione di carattere militare, avente lo scopo politico (secondo il programma perseguito dal partito Lega Nord cui i predetti senatori hanno aderito) di affermare l'autonomia della cosiddetta «Padania» o «Nazione Padana» e la sua separazione dall'ordinamento costituzionale, creando una entita' statuale del tutto autonoma; che, in particolare, nella prospettazione dell'accusa, i medesimi parlamentari avrebbero posto in essere comportamenti materiali di effettivo apporto all'associazione di cui trattasi, rivestendo in essa un ruolo direttivo e promozionale; che, prosegue il ricorrente, il Senato della Repubblica approvando, nella seduta del 31 gennaio 2001, la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari, ha ritenuto che i fatti addebitati agli onorevoli Gnutti e Speroni concernevano opinioni espresse nell'esercizio della funzione parlamentare e che, in quanto tali, erano insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione; che il ricorrente, nel riportare ampi stralci della delibera impugnata, nonche' della Relazione della Giunta, sottolinea che gli atti compiuti dai due senatori ed integranti il reato loro contestato non sono da considerarsi «opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, ancorche' letti nel contesto ideologico da cui si e' mossa l'azione politica della Lega Nord ed il programma secessionista cui i senatori Gnutti e Speroni hanno aderito»; che, aggiunge il ricorrente, la Giunta, qualificando i fatti in contestazione come «opinioni» e ritenendoli connessi «alla funzione parlamentare in ragione dell'intento divulgativo del disegno politico» finalizzato alla realizzazione di «un assetto costituzionale diverso dall'attuale», e' incorsa in una petizione di principio; che, ad avviso del G.u.p. del Tribunale di Verona, la tesi della Giunta, fatta propria dal Senato, si discosterebbe dalle consolidate linee giurisprudenziali della Corte costituzionale, secondo le quali gli atti del parlamentare svolti extra moenia sono insindacabili solo se, e nella misura in cui, siano «identificabili» come attivita' parlamentare: cioe', abbiano una «corrispondenza sostanziale» di contenuto con atti parlamentari tipici; che, sempre secondo il ricorrente, sulla base della giurisprudenza di questa Corte, nei comportamenti addebitati ai due senatori verrebbe a mancare del tutto «la riproduzione o divulgazione di una precedente attivita' parlamentare»; che, a giudizio del ricorrente, la deliberazione del Senato della Repubblica si rivelerebbe allora in contrasto col potere-dovere di assicurare l'esercizio della funzione giurisdizionale attribuito dalla Costituzione agli organi giudiziari; e che, pertanto, essa esorbiterebbe, sempre per il G.u.p., dall'ambito derogatorio consentito dall'art. 68, primo comma, della Costituzione, in quanto risulterebbero violati, da un lato, gli artt. 101, secondo comma, 102, primo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, posti a tutela della titolarita' della funzione giurisdizionale e, dall'altro, l'art. 3, primo comma, della Costituzione per la disparita' di trattamento che in tal modo sarebbe introdotta tra cittadini, a seconda che rivestano o meno la qualifica di parlamentari, consentendosi a questi ultimi condotte in ipotesi integranti figure di reato prive di qualsiasi connessione con la funzione da loro svolta. Considerato che in questa fase la Corte e' chiamata, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a verificare la sussistenza dei requisiti per la astratta ammissibilita' del ricorso; che, in via preliminare, occorre osservare che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Verona, in riferimento alle deliberazioni adottate dal Senato della Repubblica nella seduta del 31 gennaio 2001 (doc. IV - quater, n. 60), ripropone il conflitto di attribuzione che questa Corte ha gia' dichiarato inammissibile, con la sentenza n. 267 del 2005, poiche' non risultavano espresse in modo esaustivo le condotte poste in essere dagli imputati, rimanendo pertanto preclusa la possibilita' di valutare se ricorressero le condizioni per l'operativita' della prerogativa di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione; che, nel caso in esame, acquista rilevanza decisiva la circostanza che il conflitto contro la stessa delibera del Senato venga proposto per la seconda volta, nel corso del medesimo procedimento e della stessa fase di giudizio, dall'identico, cosicche' si pone in essere una situazione che e' in oggettivo contrasto con quanto stabilito da questa Corte, fin dalla sentenza n. 116 del 2003, secondo cui le finalita' e la particolarita' dell'oggetto del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato determinano «l'esigenza costituzionale che il giudizio, una volta instaurato, sia concluso in termini certi non rimessi alle parti confliggenti»; che non e' quindi ammissibile mantenere indefinitamente in sede processuale una situazione di conflittualita' tra poteri, protraendo cosi' ad libitum il ristabilimento della «certezza e definitivita' dei rapporti» (sentenza n. 116 del 2003 e, ex plurimis, ordinanze n. 294 del 2006 e n. 143 del 2005); che, pertanto, deve essere esclusa, sulla base delle argomentazioni gia' svolte da questa Corte e che qui si ribadiscono, la riproponibilita' (dopo una dichiarazione di inammissibilita) del conflitto in esame (ordinanze n. 358 e n. 280 del 2003).