ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 96 della legge
della    Regione    Siciliana 26 marzo   2002,   n. 2   (Disposizioni
programmatiche e finanziarie per l'anno 2002); del combinato disposto
dell'art. 55,  comma 4,  della  legge della Regione Lazio 11 novembre
2004,  n. 1  (Nuovo  Statuto  della  Regione  Lazio)  e dell'art. 71,
commi 1, 3 e 4, lett. a), della legge della Regione Lazio 17 febbraio
2005,  n. 9  (Legge finanziaria regionale per l'esercizio finanziario
2005);    del   combinato   disposto   dell'art. 53,   comma 2,   e/o
dell'art. 55,  comma 4,  della  legge della Regione Lazio 11 novembre
2004,  n. 1,  e  dell'art. 71,  commi 1, 3 e 4, lett. a), della legge
della  Regione  Lazio 17 febbraio 2005, n. 9; dell'art. 43, commi 1 e
2,  della  legge  della  Regione  Lazio 28 aprile 2006, n. 4, recante
«Legge  finanziaria  regionale  per  l'esercizio 2006 (art. 11, legge
regionale  20 novembre  2001,  n. 25)»;  rispettivamente promossi dal
Tribunale di Palermo con ordinanza del 19 ottobre 2004; dal Consiglio
di  Stato,  con sei ordinanze del 19 ottobre 2005 e con una ordinanza
del 7 febbraio 2006; dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio
con  ordinanza del 3 luglio 2006; iscritte ai numeri 589 del registro
ordinanze  2005;  9,  10,  11,  12,  13,  14,  237 e 431 del registro
ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 52,  1ª  serie speciale, dell'anno 2005, e nn. 4, 29, 43, 1ª serie
speciale, dell'anno 2006;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di Patrizio Valeri e Domenico
Alessio,  di  Giuseppina  Gabriele,  di  Benito  Battigaglia  e Carlo
Mirabella,  di Ernesto Petti, di Adolfo Pipino, Pietro Grasso e Luigi
Macchitella, di Giancarlo Zotti, di Franco Condo', di Rosaria Marino,
della Regione Lazio e della Regione Siciliana;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del 6 marzo 2007 e nella camera di
consiglio del 7 marzo 2007 il giudice relatore Sabino Cassese;
    Uditi  gli  avvocati  Francesco  Castiello  e  Mario  Sanino  per
Patrizio  Valeri  e  Domenico  Alessio;  Rosaria  Russo Valentini per
Giuseppina   Gabriele,   Adolfo   Pipino,   Pietro   Grasso  e  Luigi
Macchitella;  Alfredo  Zaza  d'Aulisio per Benito Battigaglia e Carlo
Mirabella;  Corrado  De  Simone per Ernesto Petti; Diego Perifano per
Giancarlo  Zotti;  Francesco  Castiello  e Guido De Santis per Franco
Condo'; Gennaro Terracciano e Luca Di Raimondo per la Regione Lazio.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Il Consiglio di Stato ha sollevato, con sei ordinanze (r.o.
nn. da 9 a 14 del 2006), questione di legittimita' costituzionale del
«combinato  disposto»  dell'articolo 71,  commi 1, 3 e 4, lettera a),
della  legge  della  Regione  Lazio  17 febbraio  2005,  n. 9  (Legge
finanziaria  regionale  per  l'esercizio  2005),  e dell'articolo 55,
comma 4,  della  legge  della  Regione  Lazio  11 novembre 2004, n. 1
(Nuovo Statuto della Regione Lazio), in riferimento agli articoli 97,
32,   117,  terzo  comma,  ultimo  periodo,  e  117,  secondo  comma,
lettera l), della Costituzione.
    1.1.  -  La  questione e' insorta in giudizi d'appello avverso le
ordinanze  con  le  quali  il  Tribunale amministrativo regionale del
Lazio   ha   respinto   le   domande  di  sospensione  cautelare  dei
provvedimenti  con  i  quali  la  Regione  Lazio  aveva dichiarato la
decadenza  dei  ricorrenti  dall'incarico  di  direttore  generale di
aziende  sanitarie locali o di aziende ospedaliere e nominato i nuovi
direttori  generali;  cio',  appunto,  in applicazione del «combinato
disposto»  dell'art. 55, comma 4, dello statuto della Regione Lazio e
dell'art. 71 della legge regionale n. 9 del 2005.
    L'art. 55  («Enti pubblici dipendenti») dello statuto regionale -
dopo aver previsto che, con legge regionale, possono essere istituiti
«enti  pubblici  dipendenti dalla Regione per l'esercizio di funzioni
amministrative,  tecniche  o specialistiche, di competenza regionale»
(comma 1) - stabilisce che «[i] componenti degli organi istituzionali
decadono  dalla  carica  il  novantesimo giorno successivo alla prima
seduta  del  Consiglio  [regionale],  salvo  conferma  con  le stesse
modalita' previste per la nomina» (comma 4).
    In  virtu'  dell'art. 71  («Disposizioni  per la prima attuazione
delle  norme  statutarie  in  materia  di  nomine  e  designazioni di
competenza degli organi della Regione e degli enti dipendenti») della
legge  regionale  n. 9 del 2005, «[n]elle more dell'adeguamento della
normativa  regionale»  alla  legge statutaria, le norme dello statuto
regionale (fra le quali l'art. 55, comma 4) «concernenti la decadenza
dalla  carica  di  componente  degli  organi istituzionali degli enti
pubblici  dipendenti  e  la  cessazione  di  diritto  degli incarichi
dirigenziali  presso  la  Regione  e gli enti pubblici dipendenti» si
applicano,   «anche  in  deroga  alle  disposizioni  contenute  nelle
specifiche  leggi  vigenti  in  materia»  (comma 1), «a decorrere dal
primo  rinnovo,  successivo  alla  data  di  entrata  in vigore dello
statuto,  degli  organi  di  riferimento  della  Regione o degli enti
pubblici dipendenti» (comma 3); in particolare, al fine di dare piena
applicazione a quanto disposto (fra gli altri) dall'art. 55, comma 4,
dello   statuto,   «nelle   ipotesi   in  cui  la  carica  di  organo
istituzionale  di  ente pubblico dipendente, anche economico, in atto
alla  data  di  entrata  in vigore dello statuto, sia svolta mediante
rapporto  di  lavoro  regolato  da  contratto  di diritto privato, la
durata  del  contratto  stesso  e'  adeguata  di  diritto  ai termini
previsti dall'articolo 55, comma 4» (comma 4, lettera a), secondo cui
-  come  detto  - «[i] componenti degli organi istituzionali decadono
dalla  carica  il novantesimo giorno successivo alla prima seduta del
Consiglio   [regionale],  salvo  conferma  con  le  stesse  modalita'
previste per la nomina».
    Il remittente non dubita che le controversie vadano ascritte alla
giurisdizione  del giudice amministrativo, atteso che i provvedimenti
impugnati  «sono  chiara  espressione  di  uno  straordinario  potere
attribuito all'amministrazione regionale in ordine all'organizzazione
degli  enti  da  essa  dipendenti,  sulla  base  di  una  valutazione
discrezionale circa la sussistenza dei presupposti di legge, a fronte
del  quale  non  sono  ipotizzabili  se  non  posizioni  di interesse
legittimo al suo corretto esercizio».
    In punto di rilevanza, il, contrariamente alla prospettazione dei
ricorrenti  - secondo cui le Asl sarebbero «enti autonomi» e non gia'
«dipendenti»  della  Regione, sicche' le disposizioni regionali sopra
riportate  non sarebbero ad esse riferibili - ritiene che le Asl sono
enti  strumentali della Regione, con conseguente applicabilita' delle
norme censurate.
    Rilevato  che  le  domande  cautelari  dei  ricorrenti  sarebbero
carenti del prescritto requisito del fumus boni iuris e che l'appello
cautelare  dovrebbe  essere rigettato, il giudice remittente sostiene
che  la  normativa  sulla  quale si fondano i provvedimenti impugnati
davanti al Tar del Lazio, e che egli dovrebbe applicare per rigettare
l'appello  cautelare,  e'  sospetta di incostituzionalita' sotto vari
profili.
    Anzitutto,  l'art. 71  della  legge  regionale n. 9 del 2005, nel
disporre  che  l'art. 55  dello  statuto  regionale  si applichi, «in
deroga  alle disposizioni contenute nelle specifiche leggi vigenti in
materia»,  «a  decorrere  dal  primo rinnovo, successivo alla data di
entrata  in  vigore  dello statuto, degli organi di riferimento della
Regione»,  ricollegherebbe  la cessazione dalla carica al rinnovo del
Consiglio  regionale,  «con  l'evidente  finalita' di consentire alle
forze   politiche  di  cui  e'  espressione  il  nuovo  Consiglio  di
sostituire  i  preposti  agli organi istituzionali». Ne discenderebbe
«una  cesura  nella  continuita' dell'azione amministrativa esplicata
dal titolare della carica, non in dipendenza di una valutazione della
qualita'  di  questa  [azione],  ma  di  un evento oggettivo, qual e'
l'insediamento  del  nuovo  Consiglio  all'esito  della consultazione
elettorale»,  onde  la  norma regionale contrasterebbe con i principi
costituzionali   del  buon  andamento  e  dell'imparzialita'  dettati
dall'art. 97   Cost.   Inoltre,  l'art. 55,  comma 4,  dello  statuto
regionale,  per  il  modo  in cui e' stato attuato dall'art. 71 della
legge  regionale  n. 9  del  2005,  sarebbe  comunque suscettibile di
incidere,  in  mancanza  di  ogni  «vaglio  di  rendimento  (cfr.  in
proposito  Corte cost. 16 maggio 2002 n. 193), [su] quella stabilita'
ed  autonomia  che consente al dirigente di improntare il suo operato
al rispetto dei richiamati principi».
    In considerazione della circostanza che l'attivita' del direttore
generale  di  azienda  sanitaria  locale  si svolge nel settore della
sanita'  e della tutela della salute, la normativa sarebbe, altresi',
lesiva dei fondamentali obiettivi posti dall'art. 32 Cost.
    Le  disposizioni  censurate  violerebbero,  infine,  un principio
fondamentale   della  materia  «tutela  della  salute»  e,  pertanto,
contrasterebbero  con  l'art. 117, terzo comma, Cost. In particolare,
dalla   legislazione   statale   sarebbe   ricavabile   il  principio
fondamentale secondo cui al rapporto di lavoro dei direttori generali
delle  Asl dev'essere garantita una stabilita' ed autonomia in misura
«rimessa alla valutazione discrezionale del legislatore regionale, ma
comunque  congrua per l'esercizio, da parte di tali funzionari, delle
loro  specifiche  attribuzioni  secondo i canoni [...] di adeguatezza
dell'azione   amministrativa   all'art. 97   Cost.».   La  menzionata
normativa   regionale,   invece,   introdurrebbe  una  condizione  di
precarieta' di quel rapporto.
    Infine,  la  previsione  della decadenza dalla carica esulerebbe,
secondo  il  remittente,  dalla competenza legislativa regionale, «in
quanto,  incidendo  sulla  disciplina  del  sottostante  rapporto  di
lavoro,  di  cui determina la cessazione, si esplica in realta' nella
materia  dell'«ordinamento  civile»,  affidato dall'art. 117, secondo
comma,  lett.  l),  Cost.  alla  potesta' legislativa esclusiva dello
Stato».
    1.2.   -   Si  sono  costituite  le  parti  private  dei  giudizi
principali, alcune delle quali hanno presentato memorie.
    1.2.1.   -   Le  difese  dei  ricorrenti  nei  giudizi  a  quibus
sottolineano  che  le  disposizioni denunciate, legando la cessazione
dalla  carica ad una circostanza - l'insediamento del nuovo Consiglio
regionale  -  estranea  alla  valutazione  dell'attivita'  svolta dal
direttore  generale,  violerebbero  gli  artt. 97 e 98 Cost; inoltre,
«provocando   la   destabilizzazione   dell'assetto   delle   aziende
sanitarie»,  sarebbero  «in stridente contrasto con il sistema di cui
l'art. 32  Cost. e' la norma apicale», sistema costituito dal decreto
legislativo  n. 502 del 1992, che prevede una durata almeno triennale
del   rapporto   di  lavoro  dei  direttori  generali  delle  aziende
sanitarie,  e  dalla  legge  della  Regione Lazio n. 18 del 1994, che
assicura la stabilita' del rapporto fino alla scadenza del contratto.
    Sarebbero altresi' violati:
        l'art. 117,  primo comma, Cost., in quanto «la stabilita' del
rapporto  tra  l'azienda  sanitaria e il suo direttore e l'efficiente
cura  del fondamentale interesse pubblico tutelato dall'art. 32 Cost.
e'  presidiato  anche  dall'art. II-63, primo comma, del Trattato che
adotta una Costituzione per l'Europa (29 ottobre 2004)»;
        «i  principi desumibili dal combinato disposto degli artt. 32
e   98   Cost.»,   in   quanto  «il  criterio  delle  spoglie  appare
obiettivamente  non  confacente al settore della sanita', considerato
che   le   aziende   sanitarie,  erogando  un  servizio  di  pubblica
necessita',   devono   perseguire   i  fondamentali  obiettivi  posti
dall'art. 32  Cost.  in  condizioni  di  autonomia e di immunita' dai
condizionamenti  da parte di questa o quella formazione politica, nel
rispetto  dell'art. 98  Cost. col quale il ridetto art. 32 si coniuga
in  un  contesto  logico-sistematico  di  necessario  ed  ineludibile
riferimento»;
        l'art. 117,  secondo  comma,  lett.  l),  Cost., in quanto la
previsione  della decadenza dalla carica dei direttori generali delle
aziende sanitarie della Regione Lazio prima dello spirare del termine
pattiziamente definito «incide con effetti rescissori sul rapporto di
lavoro»  e,  quindi,  su  una  materia,  l'«ordinamento  civile», che
rientra nella potesta' legislativa esclusiva dello Stato.
    1.2.2.  -  Le  difese  dei controinteressati nei giudizi a quibus
eccepiscono  l'inammissibilita'  e,  comunque,  l'infondatezza  della
questione.
    Sotto il primo profilo, si sostiene che il giudice remittente, da
una  parte,  ha  omesso  di  ricercare  una possibile interpretazione
costituzionalmente    orientata    delle    norme    sospettate    di
incostituzionalita';   dall'altra,   e'   incorso  in  una  «evidente
contraddittorieta»  di motivazione circa la sussistenza della propria
giurisdizione,  laddove  confonde  l'insediamento del nuovo Consiglio
regionale,  che  determina  l'automatica cessazione dalla carica, con
l'esercizio  di  «una  valutazione discrezionale circa la sussistenza
dei  presupposti  di  legge»,  a  fronte  della quale sussisterebbero
unicamente  posizioni  di  interesse  legittimo tutelabili davanti al
giudice amministrativo.
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  la  difesa  osserva,
anzitutto,  che  il giudice remittente, nel ricollegare la violazione
dei  principi  di buon andamento e imparzialita' dettati dall'art. 97
Cost.  all'assenza  di  «ogni  vaglio  di  rendimento»  del direttore
generale,   finisce   per  trasferire  nell'istituto  dell'automatica
decadenza   dall'incarico   un'impostazione   che   appartiene   alla
fattispecie - tutt'affatto diversa da quella in esame - relativa alla
decadenza  regolata dall'art. 3-bis, comma 7, del decreto legislativo
30 dicembre  1992,  n. 502  (Riordino  della  disciplina  in  materia
sanitaria,  a  norma  dell'articolo 1  della  Legge  23 ottobre 1992,
n. 421),   che   consegue   alla   valutazione   di  «gravi  motivi»,
all'accertamento  di  «una  situazione di grave disavanzo» o, ancora,
alla  «violazione  di  leggi  o  del principio di buon andamento e di
imparzialita'   dell'amministrazione»;   dunque,   all'esistenza   di
situazioni  o al verificarsi di comportamenti che si configurano come
inadempimento delle obbligazioni contrattualmente assunte.
    Nemmeno   sussisterebbe   la   lesione  dell'art. 32  Cost.,  non
comprendendosi  per  quali  ragioni  la  cessazione dall'incarico del
direttore  generale  di  un'Asl comporterebbe conseguenze negative in
relazione  ad una efficace tutela del diritto alla salute. Del resto,
l'incarico  di  direttore generale e' comunque a termine e la Regione
ben  puo'  disporre,  ricorrendone  i  presupposti  (in  applicazione
dell'art. 3-bis,  comma 7,  del decreto legislativo n. 502 del 1992),
la  revoca  del  direttore  generale prima della scadenza del termine
contrattualmente previsto.
    Quanto,  poi,  alla  lesione  dell'art. 117,  terzo comma, Cost.,
osserva  la  difesa  che  la  violazione,  da parte della Regione, di
principi  fondamentali  nella  materia  di  legislazione  concorrente
«tutela  della salute» avrebbe dovuto essere illustrata attraverso la
specifica  indicazione  delle  norme  di  legge  statale  in  ipotesi
violate.
    D'altro  canto,  neppure  sarebbe  lesa la competenza legislativa
esclusiva  dello  Stato  in  materia di «ordinamento civile». Anche a
seguito  della  privatizzazione  del  pubblico impiego, infatti, alle
regioni  non  e'  radicalmente  precluso  di  legiferare in ordine ai
rapporti  lavorativi  costituiti  con il personale dipendente e con i
dirigenti.  Cio'  in quanto, da una parte, le regioni sono dotate, in
virtu'  dell'art. 117,  quarto  comma,  Cost., di «poteri legislativi
propri  in tema di organizzazione amministrativa e di ordinamento del
personale»  (sentenza n. 2 del 2004); dall'altra parte, con specifico
riguardo  alla  dirigenza,  «la stessa legislazione statale [...] non
esclude  una,  seppur  ridotta,  competenza  normativa  regionale  in
materia» (sentenza n. 2 del 2004)». Infine, non parrebbe corretto far
rientrare  nella  materia  dell'«ordinamento  civile» tutti i profili
afferenti  al  rapporto  lavorativo  tra  le  regioni  (e i loro enti
strumentali)  ed  il  relativo  personale,  attesa  la qualificazione
pubblicistica  dei  «numerosi  aspetti dei rapporti privatizzati piu'
strettamente    legati   a   profili   organizzativi   dell'attivita'
dell'amministrazione: tra i quali, in particolare, quelli concernenti
la dirigenza» (sentenza n. 313 del 1996).
    1.3.  -  In  tutti  i  giudizi si e' costituita la Regione Lazio,
contestando  che  la  normativa  regionale  sia  in contrasto con gli
artt. 97, 32 e 117 Cost.
    Secondo  la  difesa  della  Regione,  «l'introduzione del sistema
della  decadenza  di  diritto  e'  la necessaria e logica conseguenza
dell'evoluzione  in direzione della eliminazione della stabilita' del
rapporto  dei vertici delle amministrazioni, che ha caratterizzato le
riforme  normative  del  pubblico  impiego  degli  ultimi  anni».  Il
rapporto  di lavoro dei piu' alti dirigenti delle amministrazioni e',
infatti,  mutato  in  ragione  del «collegamento necessario» che, pur
nella   distinzione   dei  rispettivi  ruoli,  deve  sussistere  «tra
l'attivita'  di  indirizzo  politico affidata all'organo di governo e
l'attivita'   di   prima   traduzione  di  detto  indirizzo  in  atti
gestionali» ad opera dei dirigenti di vertice.
    In  questa  logica,  l'art. 55 dello statuto regionale e la legge
regionale  n. 9 del 2005 non confliggono con alcuna norma o principio
di    rango    costituzionale    o    comunitario,   limitandosi   ad
istituzionalizzare  cio'  che  era  gia'  principio generale e prassi
nella    Regione    Lazio    e    in   altre   regioni,   oltre   che
nell'amministrazione    dello    Stato:   la   nomina   dei   vertici
amministrativi  avviene  «sulla  base  di  una  valutazione  di  alta
amministrazione  che non richiede una particolare motivazione, sempre
che   il   nominato   abbia   i  requisiti  professionali  per  poter
correttamente  adempiere  alle  funzioni assegnate». Del resto, se e'
vero  che  «[g]li  apparati  burocratici  costituiscono  i principali
strumenti per dare attuazione [a] politiche pubbliche coerenti con il
mandato  elettorale»,  «la  prima esigenza dei vertici politici delle
amministrazioni  e' quello di potersi dotare di una dirigenza capace,
possibilmente scelta su base fiduciaria, che condivida le scelte e le
priorita' e si impegni nell'attuazione delle medesime senza frapporre
ostacoli  o  indulgere  in comportamenti ostruzionistici». Viceversa,
«[l]a sostanziale inamovibilita' del dirigente, che ha caratterizzato
a  lungo  l'esperienza  concreta  del  nostro ordinamento, non appare
compatibile  con  questo  modello»,  a  maggior  ragione  «in seguito
all'introduzione,  nel  corso  degli  anni Novanta, del meccanismo di
elezione   diretta  dei  vertici  delle  amministrazioni  locali  (in
particolare  dei  sindaci)  e  piu'  di  recente dei presidenti delle
amministrazioni regionali».
    Peraltro,  la  previsione della possibilita' di conferma, secondo
il normale procedimento previsto per la nomina, e la circostanza che,
nei  novanta  giorni  successivi all'insediamento del nuovo Consiglio
regionale,  i  dirigenti di vertice continuano a svolgere normalmente
la  loro  attivita',  anche  sulla base degli indirizzi nel frattempo
intervenuti,  hanno  lo  scopo di garantire la continuita' della loro
azione,   nonche'   la   partecipazione  degli  stessi  dirigenti  al
procedimento che porta alle nuove nomine.
    Ne  discende  che non e' compromesso l'art. 32 Cost., giacche' il
diritto alla salute e' tutelato proprio dalla continuita' dell'azione
e dalla inesistenza di forme di pressione giuridica o psicologica sui
direttori generali delle Asl.
    Infine,   le   norme   sospettate   di   incostituzionalita'  non
violerebbero  in  alcun  modo  l'art. 117,  secondo comma, Cost., non
contenendo  disposizioni  in materia di «ordinamento civile», ma solo
regole  di  portata  organizzativa  che  incidono  sulla  durata  del
rapporto libero-professionale dei direttori generali di Asl.
    La  stessa Regione ha sottolineato come le proprie argomentazioni
trovino  sostegno nella recente sentenza della Corte n. 233 del 2006,
che  ha  affermato  la  legittimita'  costituzionale  di  leggi delle
Regioni  Abruzzo  e Calabria. In particolare, osserva la difesa della
Regione,   la  Corte  costituzionale  ha  affermato  la  legittimita'
costituzionale  delle  norme per cui le nomine agli organi di vertice
degli  enti  regionali, effettuate dagli organi rappresentativi della
Regione, sono caratterizzate dall'intuitus personae, nel senso che si
fondano  su  valutazioni  personali coerenti con l'indirizzo politico
regionale.
    2.  -  Il  Consiglio di Stato ha sollevato (r.o. n. 237 del 2006)
questione  di  legittimita'  costituzionale  del «combinato disposto»
dell'art. 53, comma 2, «e/o» dell'art. 55, comma 4, della legge della
Regione  Lazio  n. 1  del  2004 e dell'art. 71, commi 1, 3 e 4, della
legge  della  Regione  Lazio  n. 9  del  2005,  per contrasto con gli
artt. 97,  117,  terzo  comma,  ultimo periodo, e 117, secondo comma,
lettera l), Cost.
    La questione e' insorta nel corso del giudizio di appello avverso
l'ordinanza  del Tar del Lazio che ha sospeso il provvedimento con il
quale  la  Regione  Lazio  aveva  dichiarato cessato dall'incarico il
direttore   generale   dell'Agenzia   regionale   per  la  protezione
ambientale  (Arpa)  del Lazio, in applicazione dell'art. 55 del nuovo
statuto  regionale,  approvato  con  legge regionale n. 1 del 2004, e
dell'art. 71 della legge regionale n. 9 del 2005.
    Il  remittente  ritiene  la  propria  giurisdizione,  in quanto i
provvedimenti   impugnati   sarebbero   «chiara  espressione  di  uno
straordinario  potere  attribuito  all'amministrazione  regionale  in
ordine  all'organizzazione  degli enti da essa dipendenti, sulla base
di una valutazione discrezionale circa la sussistenza dei presupposti
di legge, a fronte della quale non sono ipotizzabili se non posizioni
di interesse legittimo al suo corretto esercizio».
    In  punto  di  rilevanza,  il  giudice osserva che l'applicazione
all'Arpa  del  Lazio  delle suindicate norme regionali discende dalla
natura  strumentale  dell'ente.  Invero, la legge regionale 6 ottobre
1998,  n. 45  (Istituzione  dell'Agenzia  regionale per la protezione
ambientale  del Lazio-Arpa), qualifica espressamente l'Arpa come ente
strumentale,  dotato  di  personalita' giuridica (art. 2), che svolge
funzioni  in  materia  ambientale  a favore della Regione, degli enti
locali  e  degli enti gestori delle aree naturali regionali (art. 3);
la  sottopone  alla  vigilanza  e al controllo della giunta regionale
(art. 9);  riserva  al  consiglio  regionale  la nomina del direttore
generale  (art. 5); riconosce che il personale, i beni e le dotazioni
sono   della  Regione  (art. 19)  e  che  i  finanziamenti  sono,  in
prevalenza, regionali (art. 20).
    All'Arpa,  pertanto,  in  quanto  ente  pubblico dipendente dalla
Regione,  si  applicano  sia  l'art. 55  dello statuto, sia l'art. 71
della legge regionale n. 9 del 2005.
    In  ogni  caso,  aggiunge il remittente, quand'anche si ritenesse
che  l'Arpa  sia  compresa fra le «unita' amministrative» contemplate
dall'art. 54   dello  statuto,  essa  rientrerebbe  ugualmente  nella
disciplina  dello  spoils  system,  poiche' l'art. 71, comma 3, della
legge  regionale  n. 9  del  2005  richiama  espressamente l'art. 53,
comma 2,  dello  statuto, che prevede l'applicazione di tale istituto
anche   alle  posizioni  amministrative  «di  particolare  rilievo  e
responsabilita».
    La  suddetta  normativa  regionale appare, secondo il remittente,
sospetta  di  incostituzionalita' sotto numerosi profili, che in gran
parte  coincidono  con  quelli  di cui alle ordinanze sub 1 (r. o. da
n. 9 a 14 del 2006).
    In  particolare,  il remittente osserva che dalla legge regionale
istitutiva  dell'Arpa (art. 5, comma 6, legge n. 45 del 1998) sarebbe
ricavabile  un «principio fondamentale della materia secondo il quale
al   rapporto  del  direttore  generale  deve  essere  garantita  una
stabilita' ed autonomia in misura [...] congrua per l'esercizio [...]
delle   sue  specifiche  attribuzioni,  secondo  i  canoni  [...]  di
adeguatezza   dell'azione   amministrativa   all'art. 97  Cost.».  La
normativa  regionale, invece, avrebbe introdotto in quel rapporto una
condizione di precarieta'.
    Ancora,  la  previsione  della  decadenza dalla carica esulerebbe
dalla  competenza  legislativa  regionale, in quanto, incidendo sulla
disciplina  del  sottostante  rapporto  di lavoro di cui determina la
cessazione,    si    esplicherebbe,   in   realta',   nella   materia
dell'«ordinamento  civile»,  che l'art. 117, secondo comma, lett. l),
Cost. affida alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato.
    2.1. - Si e' costituita la parte privata, rilevando anzitutto che
l'Arpa  non rientra fra gli enti strumentali di cui all'art. 55 dello
statuto,  come  affermato  dal  giudice  remittente,  bensi'  fra  le
agenzie,   che   l'art. 54   dello   statuto   descrive  come  unita'
amministrative  autonome; e cio' comporta che ad essa non si applichi
nessuna delle disposizioni denunciate dal giudice.
    Cio'  precisato,  la  parte  condivide  i  dubbi  di legittimita'
espressi dal giudice a quo nel contesto della ricostruzione normativa
da lui effettuata.
    2.2.  -  Si  e'  costituita  la  Regione  Lazio, rilevando che la
recente  sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 233  del  2006 ha
risolto  in  senso  favorevole alle Regioni questioni di legittimita'
costituzionale  in  tutto  analoghe  a  quelle  sollevate dal giudice
remittente.
    Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la Regione ha
fatto presente che la parte privata ha rinunciato al ricorso pendente
avanti al Consiglio di Stato.
    3.  -  Il  Tar  del  Lazio  ha  sollevato  (r.o. n. 431 del 2006)
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 43, commi 1 e 2,
della  legge della Regione Lazio 28 aprile 2006, n. 4, recante «Legge
finanziaria  regionale per l'esercizio 2006 (art. 11, legge regionale
20 novembre 2001, n. 25)», in relazione agli articoli 3, primo comma,
e 97 Cost.
    L'art. 43  della  legge  regionale  n. 4  del  2006 dispone - fra
l'altro  -  che  «[n]elle more dell'adeguamento della legge regionale
6 ottobre  1998,  n. 45 e successive modifiche, ai fini del riassetto
organizzativo dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale del
Lazio (Arpa), quale ente strumentale della Regione, e di una maggiore
razionalizzazione funzionale della stessa, in coerenza con i principi
statutari,  e'  soppresso  l'organo di amministrazione previsto dalla
citata   legge,   costituito   dal   direttore  generale  e  dai  due
vicedirettori»  (comma 1); «[i]l Presidente della Regione nomina, con
criterio fiduciario, un commissario straordinario e due subcommissari
che  lo  coadiuvano  nelle funzioni gia' di competenza dell'organo di
cui al comma 1, ivi comprese quelle concernenti il conferimento degli
incarichi  di  direttore  tecnico,  di  direttore amministrativo e di
direttore di ciascuna delle sezioni provinciali dell'Arpa» (comma 2).
    Premette  il Tribunale che la ricorrente, direttore dell'Arpa del
Lazio,   ha  impugnato  il  provvedimento  con  il  quale,  ai  sensi
dell'art. 43  della  legge regionale n. 4 del 2006, e' stato nominato
il  commissario  straordinario  dell'ente;  che,  in  precedenza,  la
ricorrente  aveva  altresi'  impugnato  il provvedimento col quale il
Presidente   della   Regione   Lazio   l'aveva   dichiarata   cessata
dall'incarico   di  direttore  generale  dell'ente,  in  applicazione
dell'art. 71  della  legge  regionale  n. 9  del 2005, che prevede la
cessazione  di diritto degli incarichi dirigenziali presso la Regione
e  gli  enti  pubblici  dipendenti  entro  novanta giorni dalla prima
seduta del nuovo Consiglio regionale.
    Il  provvedimento  impugnato  davanti  al Tribunale remittente e'
stato,  appunto,  adottato  in  applicazione dell'art. 43 della legge
regionale  n. 4  del 2006; conseguentemente, argomenta il remittente,
in  mancanza  di  una  pronuncia  di  incostituzionalita' della norma
impugnata,  il  ricorso  contro  il  provvedimento amministrativo non
potrebbe che essere respinto.
    In  punto  di  non  manifesta infondatezza, il remittente rileva,
essenzialmente,  il  contrasto  della  richiamata  disposizione con i
principi  costituzionali  di  ragionevolezza  e  buon andamento della
pubblica amministrazione. Infatti, il giudizio di ragionevolezza e di
osservanza  del  canone  di  buon  andamento  deve  consistere in una
valutazione   esterna   delle  scelte  legislative  e,  per  costante
giurisprudenza  della  Corte,  la  violazione  del principio del buon
andamento  non  puo'  essere  invocata  se  non  quando  si assuma la
manifesta   irrazionalita'  delle  misure  normativamente  introdotte
rispetto  alle  finalita' sostanziali perseguite. Nel caso di specie,
la   disposizione   si   rivela   complessivamente   irragionevole  e
arbitraria,  poiche',  mentre  per  un  verso  sopprime  l'organo  di
amministrazione  dell'ente (direttore generale e vice direttori), per
altro  verso prevede la nomina di un organo straordinario chiamato ad
esercitare le medesime competenze funzionali dell'organo soppresso.
    Donde   la   violazione  del  canone  di  coerenza  delle  misure
organizzative  delle  pubbliche  amministrazioni con il principio del
buon  andamento  di  cui  all'art. 97  Cost., nonche' il carattere di
legge-provvedimento   della   citata   disposizione,   in  violazione
dell'art. 3 Cost.
    3.1. - Si e' costituita la ricorrente nel giudizio a quo, secondo
la  quale la semplice lettura dell'art. 43 della legge regionale n. 4
del   2006   dimostra  che  si  e'  in  presenza  di  una  cosiddetta
legge-provvedimento.  Si tratta, infatti, di una norma che dispone in
concreto  su  un  rapporto  specifico,  avendo la Regione operato una
trasposizione  in sede legislativa del contenuto del provvedimento di
decadenza dalla carica di direttore.
    Di  qui,  l'irragionevolezza  della  norma,  mancando essa di una
ratio  oggettiva riconducibile ad esigenze di carattere organizzativo
idonee  a  giustificarne  l'adozione,  ed  inoltre  la violazione del
diritto  di difesa garantito dall'art. 24 Cost., in quanto essa priva
il  diretto destinatario della norma, e cioe' il precedente direttore
dell'Arpa,  di  ogni argomento di difesa e/o di resistenza avverso il
provvedimento di decadenza.
    3.2.   -   Si   e'   costituita   la  Regione  Lazio,  sostenendo
l'infondatezza della questione.
    Essa  deduce che la disposizione censurata si colloca nell'ottica
del riassetto organizzativo dell'Arpa, nelle more dell'adeguamento di
questa  ai  nuovi principi statutari di cui alla legge regionale n. 1
del 2004.
    Sulla  scorta di tale premessa, la difesa esclude ogni violazione
dell'art. 97  Cost.,  atteso  che  l'Arpa  e' sottoposta a un «potere
generale  di  vigilanza e controllo» della Giunta regionale, anche al
fine  di  garantire  che  la  gestione dell'Agenzia sia conforme agli
indirizzi della programmazione regionale.
    La  circostanza  che  la  norma impugnata preveda la nomina di un
organo   straordinario   con   le   medesime   competenze  funzionali
dell'organo  soppresso  viene  spiegata  con  «[lo]  scopo  di meglio
assicurare  la  continuita' organizzativa, senza modificare l'assetto
della  distribuzione  di  compiti  e  funzioni  gia'  esistente  che,
diversamente,  [avrebbe comportato] un intervento di riorganizzazione
piu' complesso, non giustificato dalla transitorieta' e temporaneita'
che  caratterizza l'istituto del commissariamento e dal ruolo ad esso
attribuito».
    Neppure  sussisterebbe  la  violazione dell'art. 3 Cost., poiche'
dal  contenuto  della  disposizione  censurata emerge che essa non e'
affatto  discriminatoria  nei  confronti  della  ricorrente.  D'altra
parte, la Corte costituzionale ha escluso che il legislatore incontri
il  limite di una riserva di amministrazione ed ha ammesso, pertanto,
che  la  legge  possa  avere  qualsiasi  contenuto sostanziale, anche
diverso  da  quello  consistente nel dettare disposizioni generali ed
astratte,  onde  la  legge  puo'  anche avere contenuto particolare e
concreto  ed  assolvere  un compito sostanzialmente identico a quello
dell'atto   amministrativo,  naturalmente  nel  rispetto  dei  limiti
costituzionalmente stabiliti.
    3.3.  -  Con  memoria  depositata in prossimita' dell'udienza, la
Regione  ha  fatto  presente  che la ricorrente nel giudizio a quo ha
rinunciato   al   ricorso  pendente  avanti  al  Tar  del  Lazio.  Ha
prospettato,  pertanto, l'irrilevanza della questione di legittimita'
costituzionale.   Insiste,  in  ogni  caso,  sull'infondatezza  della
questione.
    4.  - Il Tribunale di Palermo ha sollevato (r.o. n. 589 del 2005)
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 96 della legge
della    Regione    Siciliana 26 marzo   2002,   n. 2   (Disposizioni
programmatiche  e  finanziarie  per  l'anno 2002), nella parte in cui
prevede  che  «gli incarichi di cui ai commi 5 e 6 gia' conferiti con
contratto  possono  essere  revocati,  modificati  e  rinnovati entro
novanta   giorni   dall'insediamento  del  dirigente  generale  nella
struttura  cui  lo stesso e' preposto», con riferimento agli artt. 14
dello  statuto  speciale  della Regione Siciliana (r.d.lgs. 15 maggio
1946,  n. 455,  convertito  in legge costituzionale 26 febbraio 1948,
n. 2) e 97, primo comma, Cost.
    L'art. 96  della  legge  regionale  n. 2 del 2002, nel modificare
l'art. 9  della  legge  regionale  15 maggio 2000, n. 10 (Norme sulla
dirigenza e sui rapporti di impiego e di lavoro alle dipendenze della
Regione  Siciliana.  Conferimento  di  funzioni  e  compiti agli enti
locali.   Istituzione   dello   Sportello   unico  per  le  attivita'
produttive.  Disposizioni  in  materia di protezione civile. Norme in
materia di pensionamento), stabilisce che gli incarichi dirigenziali,
diversi   da  quelli  di  dirigente  generale,  «gia'  conferiti  con
contratto  possono  essere  revocati,  modificati  e  rinnovati entro
novanta   giorni   dall'insediamento  del  dirigente  generale  nella
struttura   cui   lo  stesso  e'  preposto»,  ritenendosi  altrimenti
confermati fino alla loro «materiale scadenza», e precisando che tale
disposizione  costituisce  «norma  non  derogabile  dai  contratti  o
accordi collettivi, anche se gia' sottoscritti».
    La  questione  e'  stata  prospettata in un giudizio nel quale il
ricorrente, gia' dirigente di un servizio del Dipartimento formazione
professionale    dell'amministrazione    regionale,    ha    chiesto:
l'annullamento  della  «nota»  con  la  quale  il  dirigente generale
dell'assessorato  convenuto,  appena  insediatosi, gli aveva revocato
l'incarico   dirigenziale,  conferitogli  con  precedente  contratto;
l'annullamento  della «nota» con la quale gli era stato attribuito un
incarico    non    corrispondente,    sia    professionalmente    che
economicamente,   a   quello   revocato;   il   diritto  a  mantenere
l'inquadramento,   l'incarico   e   le   competenze  economiche  gia'
attribuitegli e ad ottenere la restituzione delle somme trattenutegli
per effetto della revoca; il diritto al risarcimento dei danni.
    In  punto  di  rilevanza,  osserva  il  Tribunale che il giudizio
sull'operato  dell'amministrazione  convenuta  -  da  formulare  alla
stregua  della  norma sospettata di incostituzionalita' - costituisce
presupposto indefettibile di tutte le domande proposte in giudizio.
    Quanto  alla  non manifesta infondatezza, il Tribunale rileva che
l'art. 96  della  legge  regionale  n. 2  del  2002,  introducendo il
meccanismo   del   cosiddetto  spoils  system  anche  per  i  livelli
dirigenziali  inferiori  a  quello  di dirigente generale, non sembra
coerente  con  la previsione di cui all'art. 19, comma 8, del decreto
legislativo  30 marzo  2001,  n. 165 (Norme generali sull'ordinamento
del  lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sia nel
testo  originario,  sia  in quello successivo alla modifica apportata
dall'art. 3,  comma 1,  lett.  i), della legge 15 luglio 2002, n. 145
(Disposizioni  per il riordino della dirigenza statale e per favorire
lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato), che
pure  costituisce  «norma  fondamentale di riforma economico-sociale»
(art. 1,  comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001), alla cui
osservanza  la  Regione  Siciliana  e'  tenuta  nell'esercizio  della
potesta'  legislativa  esclusiva  in  materia  di «stato giuridico ed
economico degli impiegati e funzionari della Regione» (art. 14, lett.
q, dello statuto).
    Aggiunge   che   la   rilevata   incoerenza   assume  particolare
significato  a  seguito della cosiddetta privatizzazione del pubblico
impiego,  configurando un intervento legislativo regionale in materia
di  rapporti  interprivati (argomento ex art. 5, comma 2, del decreto
legislativo  n. 165 del 2001) che la giurisprudenza costituzionale ha
costantemente escluso anche per le Regioni ad autonomia speciale.
    Ancora,    la    norma   in   questione   implica   una   marcata
«precarizzazione»  degli  incarichi  dei dirigenti di seconda e terza
fascia, atteso che, ad ogni «rotazione» dei dirigenti generali, viene
a  riaprirsi  il  termine  di novanta giorni entro cui possono essere
modificati  o  revocati gli incarichi dei dirigenti minori; il tutto,
con  possibili  pregiudizi  per  il  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione.
    Infine,  il  metodo  del  cosiddetto  spoils system, se pure puo'
trovare  giustificazione  per  il  grado apicale della dirigenza, non
appare   coerente  con  il  principio  di  imparzialita'  dell'azione
amministrativa  allorche' lo si voglia applicare alla piu' vasta area
della  dirigenza  di  seconda  e terza fascia, i cui compiti non sono
strettamente  connessi  all'indirizzo  politico  e  per  la quale, al
contrario,  il  ricorso  a  criteri di selezione che privilegino, sia
pure  indirettamente,  la  lealta'  politica  potrebbe mettere capo a
pratiche   lottizzatorie,   in   contrasto   con   l'obiettivo  della
separazione  fra  indirizzo  politico  e gestione amministrativa, che
ispira  la  riforma della dirigenza contenuta nel decreto legislativo
n. 165 del 2001.
    4.1.   -  Si  e'  costituita  la  Regione  Siciliana,  sostenendo
l'infondatezza della questione.
    Essa  rileva,  in  primo  luogo, che, a seguito della riforma del
titolo  V  della Costituzione e del riparto di competenze legislative
fra  lo Stato e le Regioni, il limite delle riforme economico-sociali
non puo' ritenersi piu' operante per le materie oggetto di competenza
legislativa   esclusiva  della  Regione  Siciliana.  La  disposizione
regionale   che   il   Tribunale   sospetta   di  incostituzionalita'
interviene,  infatti,  in  una materia («stato giuridico ed economico
degli   impiegati   e  funzionari  della  Regione»)  attribuita  alla
legislazione   esclusiva  della  Regione  (art. 14,  lett.  q,  dello
statuto),  che  coincide  con  un'area  ora  attribuita alla potesta'
legislativa  esclusiva  («residuale») delle Regioni ordinarie. E tale
potesta'  esclusiva  compete  anche  alla Regione Siciliana, ai sensi
dell'art. 10   della   legge  costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3
(Modifiche  al  titolo  V della parte seconda della Costituzione). Ne
discende che, pur ammesso che la limitazione dello spoils system alla
dirigenza   generale  costituisca  un  principio  fondamentale  della
riforma   della   dirigenza  statale,  detto  principio  non  vincola
l'esercizio   dell'autonomia   legislativa  regionale  nella  materia
inerente alla disciplina dei propri dirigenti.
    Del  pari errato, secondo la difesa della Regione, e' il ritenere
che  la  disposizione  censurata  violi  l'art. 97  Cost.,  in quanto
inciderebbe  sull'autonomia  e indipendenza dei dirigenti intermedi e
condurrebbe a un arresto dell'azione amministrativa. Rileva, infatti,
che,  nel  termine  di  novanta  giorni  dall'insediamento  del nuovo
dirigente   generale,   gli   incarichi  dei  dirigenti  sottordinati
mantengono   la   loro   efficacia   fino   all'eventuale   revoca  o
modificazione,  e che l'autonomia e l'indipendenza del dirigente sono
garanzie  che  debbono  valere non per l'individuazione dell'incarico
dirigenziale,   ma  per  l'espletamento  dell'incarico  concretamente
affidato al dirigente.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Vengono  all'esame  della  Corte questioni di legittimita'
costituzionale  relative  a  disposizioni  legislative  della Regione
Lazio  e della Regione Siciliana in materia di regime della dirigenza
nelle  aziende  sanitarie locali e nelle aziende ospedaliere, nonche'
nell'amministrazione e negli enti regionali.
    I giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
    2.  - Con sei ordinanze di identico contenuto (r.o. nn. da 9 a 14
del   2006),   il  Consiglio  di  Stato  ha  sollevato  questione  di
legittimita'      costituzionale     del     «combinato     disposto»
dell'articolo 55,   comma 4,   della   legge   della   Regione  Lazio
11 novembre  2004,  n. 1  (Nuovo  Statuto  della  Regione  Lazio),  e
dell'articolo 71,  commi 1,  3  e  4,  lettera a),  della legge della
Regione  Lazio 17 febbraio 2005 n. 9 (Legge finanziaria regionale per
l'esercizio  2005),  in  riferimento agli articoli 97, 32, 117, terzo
comma,  ultimo  periodo,  e  117,  secondo  comma,  lettera l), della
Costituzione.
    Si tratta di disposizioni che configurano nella Regione Lazio - e
nel  caso  di specie sono applicate ai direttori generali delle Asl -
il  metodo  di  relazioni fra politica e amministrazione nel quale si
riflette  «la scelta di fondo di commisurare la durata delle nomine e
degli  incarichi  dirigenziali  a  quella  degli  organi  d'indirizzo
politico» (sentenza n. 233 del 2006).
    2.1.   -   Va   esaminata,   in   primo   luogo,  l'eccezione  di
inammissibilita'     sollevata,     da     alcune    parti    private
(controinteressate  nei  giudizi  principali), sul presupposto che il
giudice    remittente    sarebbe    incorso    in    una    «evidente
contraddittorieta»  di motivazione circa la sussistenza della propria
giurisdizione,  per  aver  confuso l'insediamento del nuovo Consiglio
regionale  e,  cioe', l'evento oggettivo cui e' collegata, secondo le
norme   censurate,   l'automatica  cessazione  dalla  carica  con  la
discrezionalita'   dell'amministrazione   nel  determinare  l'effetto
(l'automatica cessazione della carica) stabilito dalla norma.
    Nel  giudizio  principale, gli interessati hanno impugnato, da un
lato,  la  lettera  con  la  quale  il  presidente  della  Regione ha
comunicato  a  ciascuno  di loro che l'incarico di direttore generale
sarebbe cessato il novantesimo giorno successivo all'insediamento del
nuovo  Consiglio  regionale,  cosi'  manifestando  la volonta' di non
confermarli  nell'incarico;  dall'altro, gli atti di nomina dei nuovi
direttori generali.
    Il  carattere  discrezionale  sia della «non conferma», sia delle
nuove   nomine  rende  non  implausibile  l'affermazione,  brevemente
motivata,   della   propria   giurisdizione   da  parte  del  giudice
remittente.
    2.2.  -  Sempre  con riguardo all'ammissibilita' della questione,
non v'e' dubbio che, diversamente da quanto sostenuto da alcune parti
private,  le Asl rientrino fra gli «enti pubblici dipendenti», ai cui
«componenti  degli  organi  istituzionali»  si  applica  la decadenza
automatica regolata dalle disposizioni censurate.
    Le  Asl  sono,  infatti,  costituite  con legge regionale (per il
Lazio,   dalla   legge   regionale  16  giugno 1994,  n. 18,  recante
«Disposizioni  per  il  riordino  del servizio sanitario regionale ai
sensi  del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive
modificazioni   e  integrazioni.  Istituzione  delle  aziende  unita'
sanitarie  locali  e  delle aziende ospedaliere»); sono sottoposte al
controllo,  alla  vigilanza  e  al  potere d'indirizzo regionali, sia
quanto  all'attivita'  che  quanto  agli  organi;  i  loro  bilanci e
rendiconti  sono  approvati dalla Regione, che assicura le necessarie
risorse  finanziarie;  il  loro  organo istituzionale di vertice - il
direttore  generale  -  e'  nominato dal presidente della Regione. In
ogni  caso,  la  Regione  Lazio  ha definito enti pubblici dipendenti
dalla  Regione  tutti  quelli «che operano nell'ambito del territorio
regionale  e  nelle  materie  riservate alla competenza della regione
stessa»  (art. 56  della  legge  regionale  20 novembre  2001, n. 25,
recante  «Norme in materia di programmazione, bilancio e contabilita'
della Regione»). Infine, la giurisprudenza della Corte ha qualificato
le  Asl  come  lo  «strumento attraverso il quale la Regione provvede
all'erogazione  dei  servizi sanitari nell'esercizio della competenza
in   materia   di  tutela  della  salute  ad  essa  attribuita  dalla
Costituzione» (sentenza n. 220 del 2003).
    2.3. - Sono, invece, inammissibili gli autonomi motivi di censura
proposti, con riferimento agli artt. 98 e 117, primo comma, Cost., da
alcune  parti  private, potendo queste soltanto argomentare in ordine
ai  profili  di illegittimita' costituzionale prospettati dal giudice
remittente.
    2.4.  -  Nel  merito,  la  violazione  dell'art. 97  Cost.  viene
prospettata   dal   giudice   remittente   sul   presupposto  che  le
disposizioni  censurate,  ricollegando  la cessazione dalla carica al
rinnovo del Consiglio regionale, manifestano «l'evidente finalita' di
consentire  alle  forze  politiche  di  cui  e'  espressione il nuovo
Consiglio  di  sostituire i preposti agli organi istituzionali» degli
enti  che dipendono dalla Regione. Ne discenderebbe «una cesura nella
continuita'  dell'azione  amministrativa esplicata dal titolare della
carica»,  e  cio' non in dipendenza di una valutazione dell'attivita'
svolta  (viene richiamata, al riguardo, la sentenza n. 193 del 2002),
ma  come  conseguenza  di  un  evento  oggettivo,  quale  - appunto -
l'insediamento  del  nuovo  Consiglio  all'esito  della consultazione
elettorale;  donde  il  contrasto  con i principi di buon andamento e
imparzialita' dell'amministrazione.
    2.5. - La questione e' fondata.
    2.6.  -  Le  Asl,  in  quanto  strutture  cui  spetta  di erogare
l'assistenza,  i  servizi  e le prestazioni sanitarie nell'ambito dei
servizi    sanitari    regionali,   assolvono   compiti   di   natura
essenzialmente  tecnica,  che  esercitano  con  la veste giuridica di
aziende  pubbliche,  dotate  di autonomia imprenditoriale, sulla base
degli  indirizzi  generali  contenuti  nei piani sanitari regionali e
negli  indirizzi applicativi impartiti dalle Giunte regionali (art. 3
del  decreto  legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante «Riordino
della  disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della
legge  23 ottobre  1992,  n. 421»;  art. 1  della legge della Regione
Lazio n. 18 del 1994).
    In   coerenza  con  tali  caratteristiche,  e'  stabilito  che  i
direttori  generali  delle Asl siano nominati fra persone in possesso
di  specifici  requisiti culturali e professionali e siano soggetti a
periodiche  verifiche  degli  obiettivi  e  dei  risultati  aziendali
conseguiti  (oltre  che  alla risoluzione del contratto di lavoro per
gravi  motivi,  ovvero  per  violazione  di  legge  o dei principi di
imparzialita'  e  buon  andamento)  (art. 8 della legge della Regione
Lazio n. 18 del 1994).
    Nella  Regione  Lazio,  in particolare, e' previsto che la nomina
dei  direttori generali delle Asl sia il risultato di un procedimento
nel  quale,  a  seguito  di  un  avviso  da pubblicare nella Gazzetta
Ufficiale  (e  di cui dare notizia attraverso il Bollettino Ufficiale
della  Regione),  il  Presidente  della Regione individua i direttori
avvalendosi di «tre esperti» in direzione aziendale o di una «agenzia
di  servizi  accreditata  a  livello  nazionale per la consulenza, la
formazione  e  la  selezione dei quadri e dirigenti aziendali» e dopo
aver  udito  il  parere  non  vincolante della commissione consiliare
competente  in  materia  di  sanita'  (art. 8, commi 1-2, della legge
regionale  n. 18 del 1994). Inoltre, la «decadenza» dall'incarico per
grave  disavanzo  nella  gestione  aziendale, per gravi violazioni di
legge   o   dei   principi   di   buon   andamento   e  imparzialita'
dell'amministrazione  o  per  altri  gravi  motivi e' disposta previa
deliberazione   -  ovviamente  motivata  -  della  Giunta  regionale,
nell'esercizio  delle  sue  funzioni  di vigilanza «sulla corretta ed
economica  gestione  delle  risorse  assegnate, sulla imparzialita' e
buon  andamento  della  attivita',  sulla  qualita'  dell'assistenza»
(artt. 8,  commi 6  e  6-bis,  e  2,  comma 2,  lett  e), della legge
regionale n. 18 del 1994).
    Il  direttore  generale  di  Asl viene, quindi, qualificato dalle
norme  come  una  figura  tecnico-professionale  che ha il compito di
perseguire, nell'adempimento di un'obbligazione di risultato (oggetto
di  un  contratto  di  lavoro  autonomo),  gli obiettivi gestionali e
operativi  definiti  dal  piano  sanitario  regionale  (a  sua  volta
elaborato  in  armonia  con  il  piano  sanitario  nazionale),  dagli
indirizzi  della  Giunta, dal provvedimento di nomina e dal contratto
di lavoro con l'amministrazione regionale.
    2.7.  - In questo contesto di relazioni fra il direttore generale
di   Asl  e  l'amministrazione  regionale  si  inseriscono  le  norme
censurate,  che  hanno  introdotto nella Regione Lazio - quale regime
permanente  -  la  decadenza  automatica  del direttore generale allo
scadere   del  novantesimo  giorno  dall'insediamento  del  Consiglio
regionale.
    Tale  decadenza  automatica non soddisfa l'esigenza di preservare
un  rapporto  diretto  fra  organo  politico  e direttore generale e,
quindi,  la  «coesione  tra  l'organo  politico regionale [...] e gli
organi  di  vertice dell'apparato burocratico [...]» (sentenza n. 233
del  2006).  Infatti,  essa  interviene  anche  nel  caso  in  cui la
compagine   di  governo  regionale  venga  confermata  dal  risultato
elettorale  che ha portato all'elezione del nuovo Consiglio. Ne' alla
menzionata  esigenza  supplisce  l'eventuale  conferma  del direttore
generale,  non essendo previsto che essa sia preceduta da un'apposita
valutazione, ne' che sia motivata.
    Inoltre,   nell'assetto   organizzativo   regionale   vi  e'  una
molteplicita' di livelli intermedi lungo la linea di collegamento che
unisce l'organo politico ai direttori generali delle Asl. Il rapporto
fra  questi e quello e' mediato da strutture dipendenti dalla Giunta:
uffici di diretta collaborazione, dipartimento e, al suo interno, una
direzione   generale   («Tutela  della  salute  e  sistema  sanitario
regionale»),  composta da 18 «aree» e dotata di un'apposita struttura
di  staff  per  il «Coordinamento interventi socio-sanitari». Dunque,
non  vi  e'  un rapporto istituzionale diretto e immediato fra organo
politico e direttori generali.
    Infine,   la  decadenza  automatica  del  direttore  generale  e'
collegata  al verificarsi di un evento - il decorso di novanta giorni
dall'insediamento  del  Consiglio regionale - che e' indipendente dal
rapporto  tra organo politico e direttori generali di Asl. Dunque, il
direttore  generale viene fatto cessare dal rapporto (di ufficio e di
lavoro)  con  la  Regione  per  una  causa  estranea alle vicende del
rapporto  stesso,  e  non  sulla  base  di  valutazioni concernenti i
risultati  aziendali  o  il  raggiungimento degli obiettivi di tutela
della  salute  e  di  funzionamento dei servizi, o - ancora - per una
delle   altre   cause   che   legittimerebbero   la  risoluzione  per
inadempimento del rapporto.
    2.8.  -  Le disposizioni censurate violano l'art. 97 Cost., sotto
il   duplice   profilo   dell'imparzialita'   e  del  buon  andamento
dell'amministrazione.
    L'art. 97  Cost.  sottopone  gli  uffici  pubblici ad una riserva
(relativa)  di  legge,  sottraendoli all'esclusiva disponibilita' del
governo; stabilisce che gli uffici pubblici siano organizzati secondo
i  principi  di imparzialita' ed efficienza; prevede che l'accesso ai
pubblici  uffici  avvenga,  di  norma, mediante procedure fondate sul
merito.
    Questa  Corte  ha  costantemente  affermato  che «il principio di
imparzialita' stabilito dall'art. 97 della Costituzione - unito quasi
in   endiadi   con  quelli  della  legalita'  e  del  buon  andamento
dell'azione  amministrativa  -  costituisce  un valore essenziale cui
deve   informarsi,   in   tutte   le   sue   diverse   articolazioni,
l'organizzazione dei pubblici uffici» (sentenza n. 453 del 1990).
    Inoltre, ha sottolineato che «il principio di imparzialita' [...]
si  riflette  immediatamente  in  altre  norme  costituzionali, quali
l'art. 51 (tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici in
condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge)
e  l'art. 98  (i  pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della
Nazione)  della  Costituzione,  attraverso  cui  si  mira a garantire
l'amministrazione pubblica e i suoi dipendenti da influenze politiche
o,   comunque,  di  parte,  in  relazione  al  complesso  delle  fasi
concernenti  l'impiego  pubblico  (accesso  all'ufficio e svolgimento
della  carriera)»  (sentenza  n. 333 del 1993). Affermazione, questa,
che  riprende  le  parole del relatore nella Seconda sottocommissione
dell'Assemblea  costituente  sul  testo che diverra' l'art. 97 Cost.,
per  cui  «la necessita' di includere nella Costituzione alcune norme
riguardanti  la  pubblica  amministrazione»  si riporta, fra l'altro,
all'esigenza   «di  assicurare  ai  funzionari  alcune  garanzie  per
sottrarli  alle  influenze  dei  partiti  politici.  Lo sforzo di una
costituzione  democratica, oggi che al potere si alternano i partiti,
deve  tendere  a garantire una certa indipendenza ai funzionari dello
Stato,  per  avere un'amministrazione obiettiva della cosa pubblica e
non un'amministrazione dei partiti».
    La  Corte,  poi,  ha  affermato  che gli artt. 97 e 98 Cost. sono
corollari  dell'imparzialita',  in  cui si esprime la distinzione tra
politica  e  amministrazione,  tra l'azione del governo - normalmente
legata  alle  impostazioni  di  una parte politica, espressione delle
forze   di   maggioranza  -  e  l'azione  dell'amministrazione,  che,
«nell'attuazione   dell'indirizzo   politico  della  maggioranza,  e'
vincolata  invece  ad  agire senza distinzione di parti politiche, al
fine   del   perseguimento  delle  finalita'  pubbliche  obbiettivate
dall'ordinamento».  E  in  questa prospettiva, «collegata allo stesso
impianto  costituzionale  del potere amministrativo nel quadro di una
democrazia  pluralista»,  si spiega come «il concorso pubblico, quale
meccanismo  di selezione tecnica e neutrale dei piu' capaci, resti il
metodo  migliore  per la provvista di organi chiamati a esercitare le
proprie  funzioni  in  condizioni  di  imparzialita'  ed  al servizio
esclusivo  della  Nazione»  (sentenze  n. 333  del  1993 e n. 453 del
1990).
    Il   perseguimento  dell'interesse  connesso  alla  scelta  delle
persone  piu'  idonee  all'esercizio  della  funzione  pubblica  deve
avvenire   «indipendentemente   da   ogni   considerazione   per  gli
orientamenti  politici  [...]  dei vari concorrenti» (sentenza n. 453
del  1990)  e  in  modo  che «il carattere esclusivamente tecnico del
giudizio  [risulti] salvaguardato da ogni rischio di deviazione verso
interessi  di  parte»,  cosi'  da  «garantire  scelte  finali fondate
sull'applicazione  di parametri neutrali e determinate soltanto dalla
valutazione  delle  attitudini  e  della  preparazione dei candidati»
(sentenza n. 453 del 1990). Di conseguenza, la selezione dei pubblici
funzionari  non ammette ingerenze di carattere politico, «espressione
di  interessi  non  riconducibili  a  valori  di carattere neutrale e
distaccato»  (sentenza  n. 333  del  1993),  unica  eccezione essendo
costituita  dall'esigenza  che  alcuni  incarichi, quelli dei diretti
collaboratori  dell'organo  politico,  siano  attribuiti  a  soggetti
individuati  intuitu personae, vale a dire con una modalita' che mira
a «rafforzare la coesione tra l'organo politico regionale (che indica
le   linee  generali  dell'azione  amministrativa  e  conferisce  gli
incarichi in esame) e gli organi di vertice dell'apparato burocratico
(ai  quali  tali  incarichi  sono  conferiti  ed  ai quali compete di
attuare  il  programma  indicato),  per  consentire il buon andamento
dell'attivita'  di  direzione  dell'ente  (art. 97  Cost.)» (sentenza
n. 233 del 2006).
    2.9.    -    A    sua   volta,   il   principio   di   efficienza
dell'amministrazione  trova  esplicazione in una serie di regole, che
vanno da quella di una razionale organizzazione degli uffici a quella
di  assicurarne  il  corretto funzionamento; a quella di garantire la
regolarita'   e  la  continuita'  dell'azione  amministrativa  e,  in
particolare,  dei  pubblici  servizi,  anche  al mutare degli assetti
politici  (salva  -  come  gia' notato - la rimozione del funzionario
quando    ne    siano    accertate    le   responsabilita'   previste
dall'ordinamento);  a  quella  per  cui  i  dirigenti  debbono essere
sottoposti  a  periodiche verifiche circa il rispetto dei principi di
imparzialita',  funzionalita',  flessibilita',  trasparenza,  nonche'
alla  valutazione  delle loro prestazioni in funzione dei risultati e
degli  obiettivi  prefissati  (salva,  anche qui, la rimozione per la
valutazione ad esito negativo).
    Proprio  con  riferimento  ai  dirigenti,  del resto, la Corte ha
sottolineato  che  la  disciplina  privatistica  del loro rapporto di
lavoro  non  ha  abbandonato  le  «esigenze  del  perseguimento degli
interessi  generali»  (sentenza  n. 275  del  2001);  che,  in questa
logica, essi godono di «specifiche garanzie» quanto alla verifica che
gli  incarichi  siano  assegnati  «tenendo  conto, tra l'altro, delle
attitudini  e delle capacita' professionali» e che la loro cessazione
anticipata  dall'incarico  avvenga  in  seguito  all'accertamento dei
risultati  conseguiti  (sentenza n. 193 del 2002; ordinanza n. 11 del
2002);  che  il legislatore, proprio per porre i dirigenti (generali)
«in condizione di svolgere le loro funzioni nel rispetto dei principi
d'imparzialita'  e  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione
[...],  ha  accentuato  [con  il  d.lgs. n. 80 del 1998] il principio
della  distinzione  tra funzione di indirizzo politico-amministrativo
degli   organi  di  governo  e  funzione  di  gestione  e  attuazione
amministrativa dei dirigenti» (ordinanza n. 11 del 2002).
    Agli   stessi  principi  si  riporta  la  disciplina  del  giusto
procedimento,  specie  dopo  l'entrata in vigore della legge 7 agosto
1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di  diritto  di accesso ai documenti amministrativi), come modificata
dalla   legge  11 febbraio  2005,  n. 15,  per  cui  il  destinatario
dell'atto deve essere informato dell'avvio del procedimento, avere la
possibilita'   di   intervenire   a   propria   difesa,  ottenere  un
provvedimento motivato, adire un giudice.
    2.10.  -  In  conclusione,  l'imparzialita'  e  il buon andamento
dell'amministrazione  esigono che la posizione del direttore generale
sia   circondata  da  garanzie;  in  particolare,  che  la  decisione
dell'organo    politico    relativa    alla   cessazione   anticipata
dall'incarico del direttore generale di Asl rispetti il principio del
giusto  procedimento. La dipendenza funzionale del dirigente non puo'
diventare  dipendenza  politica.  Il  dirigente  e'  sottoposto  alle
direttive  del  vertice  politico  e al suo giudizio, ed in seguito a
questo   puo'  essere  allontanato.  Ma  non  puo'  essere  messo  in
condizioni  di  precarieta'  che  consentano  la  decadenza  senza la
garanzia del giusto procedimento.
    Dev'essere,  pertanto, dichiarata l'illegittimita' costituzionale
del  «combinato  disposto»  dell'art. 71, commi 1, 3 e 4, lettera a),
della  legge  della  Regione  Lazio  n. 9  del  2005  e dell'art. 55,
comma 4,  della  legge della Regione Lazio n. 1 del 2004, nella parte
in  cui  prevede  che  i  direttori generali delle Asl decadono dalla
carica  il  novantesimo  giorno  successivo  alla  prima  seduta  del
Consiglio  regionale, salvo conferma con le stesse modalita' previste
per  la  nomina;  che  tale  decadenza  opera  a  decorrere dal primo
rinnovo, successivo alla data di entrata in vigore dello Statuto; che
la  durata  dei  contratti  dei  direttori  generali  delle Asl viene
adeguata di diritto al termine di decadenza dall'incarico.
    Gli altri profili di censura restano assorbiti.
    3.  -  Il  Consiglio di Stato (r.o. n. 237 del 2006) ha sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 2, «e/o»
dell'art. 55,  comma 4, della legge della Regione Lazio n. 1 del 2004
(Nuovo  Statuto  della Regione Lazio) e dell'art. 71, commi 1, 3 e 4,
della  legge della Regione Lazio n. 9 del 2005, per contrasto con gli
artt. 97,  117,  terzo  comma,  ultimo periodo, e 117, secondo comma,
lettera l), Cost.
    La  questione,  rispetto alla quale e' ininfluente la rinuncia al
ricorso, eccepita dalla Regione, nel giudizio avanti al Tar del Lazio
(in cui e' stata emessa l'ordinanza impugnata nel giudizio a quo), e'
comunque inammissibile.
    Essa  e' formulata, infatti, in termini, ad un tempo, congiuntivi
(«e»)  e  alternativi («o»), senza nesso di subordinazione fra le due
prospettazioni  e senza individuare la norma ritenuta applicabile nel
processo   principale,   lasciando   alla   Corte   di  scegliere  la
disposizione da dichiarare eventualmente illegittima.
    4.  -  Il  Tar  del  Lazio  (r.o.  n. 431  del 2006) ha sollevato
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 43, commi 1 e 2,
della  legge della Regione Lazio 28 aprile 2006, n. 4, recante «Legge
finanziaria  regionale per l'esercizio 2006 (art. 11, legge regionale
20 novembre 2001, n. 25)», in relazione agli articoli 3, primo comma,
e 97 Cost.
    La  questione,  rispetto  alla  quale  e'  ininfluente l'avvenuta
rinuncia al ricorso nel giudizio a quo, e' infondata.
    Il  giudice  remittente  non svolge argomentazioni persuasive per
dimostrare  la  natura  di  legge (o, meglio, di norma) provvedimento
della disposizione censurata.
    Egli si limita, infatti, da un lato, a rilevare l'«irrazionalita»
della  legge,  consistente in cio', che la norma, dopo aver soppresso
un  organo ordinario (il direttore e i due vice-direttori dell'Arpa),
attribuisce  le  stesse  funzioni  ad  un  organo  straordinario  (il
commissario  e  due  vice-commissari);  dall'altro,  a prospettare il
«presumibile carattere discriminatorio della censurata disposizione».
    Senonche',  da  una parte, e' del tutto normale, nelle vicende di
riordino  degli enti pubblici, che gli organi straordinari subentrino
agli  organi  ordinari nell'esercizio delle loro funzioni. Dall'altra
parte,   il   remittente  non  svolge  argomentazioni  sul  carattere
discriminatorio della disposizione.
    5. - Il Tribunale di Palermo (r.o. n. 589 del 2005), ha sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 96 della legge
della    Regione    Siciliana 26 marzo   2002,   n. 2   (Disposizioni
programmatiche  e  finanziarie  per  l'anno 2002), nella parte in cui
prevede  che  «gli incarichi di cui ai commi 5 e 6 gia' conferiti con
contratto  possono  essere  revocati,  modificati  e  rinnovati entro
novanta   giorni   dall'insediamento  del  dirigente  generale  nella
struttura  cui  lo stesso e' preposto», con riferimento agli artt. 14
dello  statuto  speciale  della Regione Siciliana (r.d.lgs. 15 maggio
1946,  n. 455,  convertito  in legge costituzionale 26 febbraio 1948,
n. 2) e 97, primo comma, Cost.
    La questione e' fondata.
    Va  esclusa, anzitutto, l'applicabilita', nelle regioni a statuto
speciale,  come in quelle ordinarie, dei principi della legge statale
(legge  n. 145  del  2002)  concernenti il regime dei dirigenti nelle
amministrazioni dello Stato (sentenza n. 233 del 2006).
    In  secondo luogo, la Corte - con riferimento all'art. 97 Cost. -
ha  gia'  ritenuto  che,  mentre  il potere della Giunta regionale di
conferire  incarichi  dirigenziali  cosiddetti  «apicali»  a soggetti
individuati  intuitu  personae  mira ad assicurare quel continuum fra
organi  politici e dirigenti di vertice che giustifica, nei confronti
di  questi ultimi, la cessazione degli incarichi loro conferiti dalla
precedente   Giunta  regionale,  «[a]  tale  schema  rimangono  [...]
estranei  gli  incarichi  dirigenziali di livello «non generale», non
conferiti  direttamente  dal  vertice politico e quindi non legati ad
esso  dallo  stesso  grado  di  contiguita' che connota gli incarichi
apicali» (ibidem).
    Si  aggiunga  che,  nel  caso  di  specie,  l'avvicendamento  dei
titolari  di incarichi dirigenziali non di vertice e' fatto dipendere
dalla  discrezionale  volonta'  del  direttore generale, nominato dal
nuovo  Governo regionale, con cio' aggiungendo una ulteriore causa di
revoca  - peraltro senza che sia previsto obbligo di valutazione e di
motivazione  -  a  quelle  di  cui  all'art. 10, comma 3, della legge
regionale 15 maggio 2000, n. 10 (Norme sulla dirigenza e sui rapporti
di  impiego  e  di  lavoro  alle  dipendenze della Regione siciliana.
Conferimento  di  funzioni  e  compiti  agli enti locali. Istituzione
dello  Sportello  unico  per le attivita' produttive. Disposizioni in
materia di protezione civile. Norme in materia di pensionamento), che
sono   connesse   all'esito   negativo  della  valutazione  circa  il
conseguimento  di  risultati e obiettivi da parte del dirigente. Cio'
in  violazione  sia  del  principio  di  ragionevolezza evocato dalla
sentenza  n. 233  del 2006, sia del principio del giusto procedimento
di cui s'e' detto.
    Dev'essere,  pertanto, dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 96 della legge della Regione Siciliana n. 2 del 2002, nella
parte  in  cui  prevede che gli incarichi di cui ai commi 5 e 6 dello
stesso   articolo   possono  essere  revocati  entro  novanta  giorni
dall'insediamento  del  dirigente  generale  nella  struttura  cui lo
stesso e' preposto.