ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 63, comma 1,
del   decreto   legislativo  30 marzo  2001  n. 165  (Norme  generali
sull'ordinamento  del  lavoro  alle  dipendenze delle amministrazioni
pubbliche),  promosso  con ordinanza del 27 aprile 2006 dal Tribunale
amministrativo regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, sul
ricorso proposto da Maria Rosaria Rubino contro il Comune di Brindisi
ed altra, iscritta al n. 501 del registro ordinanze 2006 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 46, 1ยช serie speciale,
dell'anno 2006.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  7 marzo 2007 il giudice
relatore Luigi Mazzella.
    Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso da una dipendente
del  Comune  di  Brindisi  al  fine  di ottenere l'annullamento della
delibera  della  Giunta  comunale  con  la  quale  era stata disposta
l'attribuzione di alcuni incarichi dirigenziali fuori dalla dotazione
organica  e  del  provvedimento  sindacale con il quale uno di quegli
incarichi dirigenziali era stato conferito ad un soggetto esterno, il
Tribunale amministrativo della Puglia, sezione staccata di Lecce, con
ordinanza  del  27 aprile  2006,  ha  sollevato,  in riferimento agli
artt. 76, 77, 103 e 113 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  l'art. 63,  comma 1, del decreto legislativo 30 marzo
2001,   n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento  del  lavoro  alle
dipendenze  delle  amministrazioni  pubbliche),  nella  parte  in cui
attribuisce  al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie
in materia di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali;
        che  il  rimettente espone che la ricorrente ha impugnato gli
atti  sopra  indicati  per violazione di legge ed eccesso di potere e
che  la controversia dovrebbe essere attratta nella giurisdizione del
giudice  ordinario in virtu' dell'art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 165
del  2001,  norma  secondo  la  quale,  appunto, sono devolute a quel
giudice tutte le controversie relative al conferimento ed alla revoca
degli  incarichi  dirigenziali  nelle  pubbliche amministrazioni, non
essendo    possibile   affermare   la   giurisdizione   del   giudice
amministrativo  ai  sensi  del  comma 4  del  medesimo  art. 63  (che
contempla  tale  giurisdizione  per  le  controversie  in  materia di
procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni),  poiche'  la  disciplina  ai  sensi della quale era
stato  conferito  l'incarico  oggetto  della contestazione giudiziale
contemplava  come  meramente  eventuale  una  preventiva  valutazione
comparativa  degli  aspiranti  all'incarico e, nella fattispecie, non
era  stata  espletata  alcuna procedura selettiva concorsuale al fine
dell'individuazione del soggetto cui attribuire l'incarico;
        che,   con   riferimento  alla  denunziata  violazione  degli
artt. 76  e  77  Cost.,  il giudice a quo, ricordato che l'estensione
della  giurisdizione  del  giudice  ordinario  alle  controversie  in
materia  di incarichi dirigenziali e' stata prevista dall'art. 18 del
decreto  legislativo  29 ottobre 1998, n. 387 (Ulteriori disposizioni
integrative  e  correttive  del  decreto legislativo 3 febbraio 1993,
n. 29, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 80), sostiene che una simile scelta del legislatore delegato
si  porrebbe  in  contrasto  con gli artt. 76 e 77 Cost., perche' nel
testo  dell'art. 11, comma 4, lettera g), della legge delega 15 marzo
1997,  n. 59  (Delega  al  Governo  per il conferimento di funzioni e
compiti  alle  regioni  ed enti locali, per la riforma della Pubblica
Amministrazione  e  per  la semplificazione amministrativa), norma in
base  alla  quale  e' stato emanato il d.lgs. n. 387 del 1998, non si
rinviene   alcuna   menzione   delle   controversie   in  materia  di
conferimento  degli  incarichi  dirigenziali,  la  cui inclusione nel
novero  di  quelle  devolute alla giurisdizione del giudice ordinario
sarebbe,  dunque,  il  frutto  di una scelta del legislatore delegato
eccedente  i  limiti  che  condizionavano  l'esercizio della funzione
legislativa da parte del Governo;
        che  il  rimettente  aggiunge  che  la devoluzione al giudice
ordinario delle controversie in tema di impiego pubblico, contemplata
dalla  legge  23 ottobre  1992,  n. 421  (Delega  al  Governo  per la
razionalizzazione  e  la  revisione  delle  discipline  in materia di
sanita',   di   pubblico   impiego,   di   previdenza  e  di  finanza
territoriale),  e  dalla  legge n. 59 del 1997, non ha mai riguardato
anche  la  fase genetica del rapporto di lavoro e, cioe', l'attivita'
compiuta  dalla pubblica amministrazione prima della costituzione del
vincolo contrattuale;
        che,   sotto   il  profilo  della  assunta  violazione  degli
artt. 103  e  113  Cost.,  il  giudice  a  quo  afferma  che, seppure
l'art. 103  Cost.  consentirebbe  che  in determinati casi al giudice
amministrativo   sia   sottratta  la  giurisdizione  sugli  interessi
legittimi  in  virtu'  di  puntuali  scelte del legislatore ordinario
compiute  in  aderenza  alle  previsioni  dell'art. 113, terzo comma,
Cost.,   tuttavia   simili  scelte  dovrebbero  essere  compiute  dal
legislatore   statale   nella  sede  parlamentare,  unica  idonea  ad
assicurare una scelta ponderata da parte dell'organo sovrano deputato
in  via  primaria  all'esercizio  della  funzione  legislativa su una
materia coinvolgente valori e principi desumibili dalla Costituzione;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  che  ha  concluso  chiedendo  la  declaratoria  di  manifesta
infondatezza della questione;
        che,   rispetto  alla  censura  dell'eccesso  di  delega,  il
Presidente del Consiglio dei ministri deduce che la questione e' gia'
stata    risolta    dalla    Corte    costituzionale,    nel    senso
dell'infondatezza,  con la sentenza n. 275 del 2001 e con l'ordinanza
n. 525 del 2002;
        che,  quanto alla denunziata violazione degli artt. 103 e 113
Cost.,  la  difesa  erariale eccepisce che il rimettente non indica i
motivi  per i quali il riparto di giurisdizione stabilito dalla norma
censurata  sarebbe privo di ragionevolezza e non ponderato e sostiene
che  la  devoluzione  al  giudice  ordinario  della  giurisdizione in
materia di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali si basa
su  scelte  discrezionali  del  legislatore  che,  da  un  lato,  non
incontrano  vincoli  costituzionali e, dall'altro, sono state assunte
in connessione con la contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei
dirigenti delle pubbliche amministrazioni.
    Considerato  che  la  questione  sottoposta all'esame della Corte
concerne  l'art. 63,  comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze
delle  amministrazioni  pubbliche), nella parte in cui attribuisce al
giudice  ordinario  anche  la  giurisdizione  sulle  controversie  in
materia di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali;
        che,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  tale disposizione si
porrebbe  in  contrasto con gli artt. 76 e 77 della Costituzione, per
violazione  dei  limiti contenuti nella legge delega, nonche' con gli
artt. 103 e 113 Cost., per violazione dei parametri che presiedono ad
un  ragionevole  riparto  di  giurisdizione  tra  giudice ordinario e
giudice amministrativo;
        che  questa  Corte  ha piu' volte affermato che il giudice e'
abilitato  a  sollevare  la  questione di legittimita' costituzionale
solo    dopo    aver    accertato   che   sia   impossibile   seguire
un'interpretazione  da  lui  ritenuta  non contraria a Costituzione e
che,  conseguentemente,  e' manifestamente inammissibile la questione
sollevata  senza che il rimettente abbia dimostrato di avere esperito
il  doveroso  tentativo  di  pervenire,  in  via interpretativa, alla
soluzione  da  lui  ritenuta costituzionalmente corretta (Corte cost.
n. 94 e n. 64 del 2006, tra le tante);
        che, nella presente fattispecie, nell'ordinanza di rimessione
si   da'   atto   che   oggetto  del  ricorso  davanti  al  Tribunale
amministrativo  regionale sono la delibera della Giunta comunale, con
la  quale  era  stata disciplinata l'attribuzione di alcuni incarichi
dirigenziali fuori dalla dotazione organica ed era stato approvato lo
schema  di  contratto  individuale  di  incarico  dirigenziale, ed il
provvedimento  sindacale  con il quale era stato conferito a soggetto
esterno  uno  di  quegli  incarichi, vale a dire atti precedenti alla
stipulazione  del  contratto di impiego, la natura amministrativa dei
quali  e'  presupposta dallo stesso rimettente, il quale censura, tra
l'altro,   proprio  l'attribuzione  di  controversie  in  materia  di
interessi  legittimi  al  giudice  ordinario  quale conseguenza della
norma censurata;
        che  il giudice a quo, tuttavia, non spiega per quale motivo,
tutte  le  volte  in  cui  la  stipulazione  del contratto con cui si
conferisce  l'incarico  sia preceduta da una fase amministrativa, gli
atti  (appunto,  amministrativi)  compiuti dall'ente locale in quella
fase  non sarebbero impugnabili, secondo i generali principi, davanti
al giudice amministrativo;
        che  una  simile lacuna dell'ordinanza di rimessione e' tanto
piu'  grave  in quanto la giurisprudenza di legittimita' ha affermato
la  giurisdizione  del  giudice amministrativo a decidere dei ricorsi
proposti  dai  dipendenti  degli enti locali avverso le deliberazioni
della  Giunta  comunale  circa  la  copertura  di  posti  vacanti  di
dirigente con soggetti esterni all'amministrazione interessata (Corte
di cassazione, sezioni unite civili, 6 novembre 2006, n. 23605);
        che,   pertanto,   la   questione   sollevata  dal  Tribunale
amministrativo  regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, e'
manifestamente  inammissibile,  perche'  il  rimettente  ha omesso il
doveroso  tentativo  di  pervenire,  in  via  interpretativa,  ad una
soluzione  coerente  con quella che esso stesso ritiene essere quella
costituzionalmente corretta.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.