LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello n. 4361/02, depositato il 7 novembre 2002, avverso la sentenza n. 327/04/2001 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Siracusa contro Agenzia delle Entrate - Ufficio di Siracusa, proposto dal ricorrente Giudice Vera, via Vanvitelli, 19 - 96100 Siracusa, difeso da dott. Confalone Giovanni, via Arsenale, 44/46 - 96100 Siracusa. SR Atti impugnati: Avviso di accertamento n. 6820010935 - IRPEF 1993. La Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione XVI, esaminato l'appello proposto da Giudice Vera avverso la sentenza n. 327, emessa il 31 ottobre 2001 dalla Commissione tributaria provinciale di Siracusa, osserva. Il 6 ottobre 2000 la signora Vera Giudice, propose ricorso dinanzi alla Commissione provinciale di Siracusa contro l'avviso di accertamento, notificatole dall'Ufficio Distrettuale II.DD. di Siracusa, col quale veniva elevato il suo reddito di partecipazione alla societa' «Giudice Vera & C. s.a.s.», relativamente all'anno 1993, dall'importo dichiarato di L. 6.758.000 a quello di L. 7.7825.000, recuperando a tassazione la differenza di L. 1.024.000, ed irrogando le relative sanzioni. L'accertamento era stato effettuato ai sensi dell'art. 41-bis del d.P.R. n. 600/1973, ed era fondato sull'art. 9-bis, comma 18, del d.l. 28 marzo 1997, n. 79, secondo il quale «L'intervenuta definizione da parte delle societa' od associazioni di cui all'art. 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero da parte del titolare di azienda coniugale non gestita in forma societaria costituisce titolo per l'accertamento, ai sensi dell'art. 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni ed integrazioni, nei confronti delle persone fisiche che non hanno definito i redditi prodotti in forma associata. In tal caso i termini previsti dall'art. 43 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 sono prorogati di due anni». Orbene, nella fattispecie in esame, la societa' «Giudice Vera & C.» aveva definito per l'anno 1993 un maggior reddito di L. 1.969.000, rilevate ai fini dell'IRPEF dovuta dai singoli soci. Poiche' la signora Giudice era socia al 52% della predetta societa', secondo l'Ufficio avrebbe dovuto dichiarare un reddito pari al 52% di quello definito dalla societa', quindi complessivamente L. 7.782.000. Avendo invece dichiarato un reddito inferiore (come si e' detto, L. 6.758.000), l'Ufficio aveva recuperato a tassazione la differenza. Osservava la contribuente che il precetto contenuto nel citato art. 9-bis del d.l. n. 79/1997 avrebbe potuto applicarsi solo ai soci di societa' che avessero definito il loro reddito successivamente all'entrata in vigore dello stesso decreto-legge, e non ai soci di societa' che, come la «Giudice Vera & C.», avevano definito in base al precedente d.l.. 30 settembre 1994, n. 564, artt. 2-bis e 3. La Commissione di I grado respinse il ricorso. Tale decisione e' stata impugnata dalla contribuente, che ha reiterato le argomentazioni svolte in prime cure. La Commissione osserva. L'istituto della definizione per adesione era stato introdotto dal d.l. 30 settembre 1994, n. 564, artt. 2-bis e 3. La possibilita' dell'adesione era limitata ai redditi di impresa e di lavoro autonomo, e doveva essere esercitata entro il 15 dicembre 1995. Nulla diceva la legge sui soggetti titolari dei predetti redditi, che potevano percio' essere individui o societa'. Nel caso quindi di redditi prodotti in forma associata la definizione avrebbe potuto essere chiesta sia dalla societa' che dai soci, oppure solo dalla societa' oppure ancora solo dai singoli soci. La legge in parola, all'art. 3, comma 2, prevedeva la successiva emanazione di regolamenti di attuazione, che avrebbero dovuto essere adottati non con decreto ministeriale, che, com'e' noto, e' un atto amministrativo, bensi' con decreto presidenziale, che costituisce invece atto legislativo. Il decreto presidenziale e' stato emesso in data 13 aprile 1995, n. 177. All'art. 3, comma 3, regola i rapporti tra societa' e soci, stabilendo che «Le persone fisiche che percepiscono redditi prodotti in forma associata possono definire tali redditi sulla base della definizione accettata dalla societa', versando le somme dovute....». Quindi «possono» non «debbono». Chiaramente si trattava di una norma posta a favore del contribuente, non certo del fisco. L'argomento viene poi ripreso nell'art. 9-bis del d.l. 28 marzo 1997, n. 79, il quale, da un lato, riapre i termini della definizione per adesione, portandoli dal 15 dicembre 1995 al 31 luglio 1997; dall'altro istituisce a carico delle persone fisiche titolari di redditi prodotti in forma associata, non piu' una facolta' bensi' un obbligo «relativo» di definire i loro redditi sulla base della definizione compiuta dalla societa'. In difetto l'Ufficio ha titolo per eseguire accertamento nei confronti del socio ai sensi dell'art. 41-bis del d.P.R. n. 600/1972. In altre parole la definizione compiuta dalla societa' fa sorgere a carico dei soci la presunzione relativa di avere percepito, pro-quota, i redditi che la societa' stessa ha definito. Pertanto sara' il socio, e non l'Ufficio, a dover dimostrare che quei redditi non sono stati effettivamente percepiti, o lo sono stati in misura inferiore. L'applicazione di questa norma ha provocato dei contrasti interpretativi, in quanto i contribuenti l'hanno interpretata in senso restrittivo, affermando che essa riguarda solo i casi in cui la societa' abbia richiesto la definizione successivamente all'entrata in vigore di quest'ultima legge, mentre il Fisco sostiene che deve estendersi anche all!ipotesi in cui la societa' abbia definito i redditi anteriormente al 15 dicembre 1995. Ritiene questa Commissione che la tesi prospettata dall'Ufficio sia condivisibile. Va subito rilevato che non si discute qui della retroattivita' della legge. La legge in esame non e' retroattiva. Quindi se l'Ufficio ha gia' fatto l'accertamento, o l'iscrizione a ruolo, o ha notificato la cartella esattoriale, non puo' tornare sui suoi passi. L'argomento testuale su cui fanno leva i contribuenti lo si trova nel comma 17 dell'art. 9-bis del citato d.l. 28 marzo 1997, n. 79, il quale cosi' recita: «Sono fatti salvi gli effetti delle definizioni perfezionate alla data del 15 dicembre 1995». Quindi, si dice, se la definizione ha gia' prodotto i suoi effetti, non puo' produrne altri a carico del socio-contribuente. Si osservi pero'. 1) In primo luogo un argomento di tecnica legislativa. Infatti quando una legge vuole regolare i propri rapporti con altre leggi precedenti, emana le cosiddette «norme transitorie», che abitualmente sono inserite nell'ultimo o in uno degli ultimi articoli della legge stessa. Non succede mai che siano inseriti a meta' legge. Nella fattispecie in esame invece il principio invocato dai contribuenti e' stato inserito nel comma 17 dell'art. 9-bis della legge. Il che fa intendere che si riferisca solo alle norme dettate nei commi precedenti, in particolare il comma 150, che dice: «L'intervenuta definizione dell'accertamento con adesione per gli anni pregressi inibisce la possibilita' per l'Ufficio di effettuare per lo stesso periodo d'imposta l'accertamento di cui all'art. 38, commi dal quarto al settimo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni ed integrazioni», e il comma 16, che dice: «La definizione non puo' essere effettuata se, entro il 30 aprile 1997, e' stato notificato processo verbale di constatazione con esito positivo ai fini delle imposte sul reddito o dell'imposta sul valore aggiunto, ovvero notificato avviso di accertamento, ad eccezione degli avvisi di accertamento di cui all'art. 41-bis del d.P.R 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni ed integrazioni, relativi a redditi oggetto dell'accertamento con adesione, a condizione che il contribuente versi entro il 31 luglio 1997 le somme derivanti dall'accertamento parziale». La norma in esame quindi non e' applicabile anche al successivo comma 18, che concerne gli effetti sui soci della definizione richiesta e accettata dalla societa'. 2) In secondo luogo, una legge, qualsiasi legge, non produce effetti nei confronti di chicchessia, ma solo nei confronti di coloro, ai quali la legge si indirizza, o che comunque siano entrati in relazione con lei. Nel caso in esame, la legge ha prodotti effetti definitivi nei confronti di coloro, societa' o soci, che ne hanno chiesto l'applicazione, non nei confronti di coloro, che se ne sono mantenuti estranei. 3) Terzo argomento. Quali sono gli effetti prodotti dall'adesione? E' la legge stessa che lo precisa, nell'art. 8 del regolamento emanato col d.P.R 13 aprile 1995, n 177, articolo intitolato appunto «Effetti dell'adesione». Tra gli effetti elencati da detta norma non rientra quello di precludere all'Ufficio di compiere accertamenti, ai sensi dell'art. 41-bis d.P.R. n. 600/1973, nei confronti del socio che non abbia definito i propri redditi di partecipazione. 4) L'interpretazione restrittiva introdurrebbe un ingiustificata disparita' di trattamento tra i contribuenti, soci di societa' che abbiano definito con adesione entro il 15 dicembre 1995, e i contribuenti, soci di societa' che invece abbiano definito successivamente a tale data, approfittando della riapertura dei termini. 5) Quinto argomento, di natura testuale. Il comma 18 dell'art. 9-bis in esame usa tempi verbali tutti al passato, il che lascia intendere che si riferisca anche alle definizioni pregresse. Infatti cosi' recita: «L'intervenuta definizione da parte delle societa' o associazioni .... costituisce titolo per l'accertamento .... nei confronti delle persone fisiche che non hanno definito i redditi prodotti in forma associata». Quindi dice «L'intervenuta definizione da parte delle societa», invece di dire: «La definizione che le societa' faranno ai sensi della presente legge». Dice: «L'intervenuta definizione costituisce titolo nei confronti delle persone fisiche che non hanno definito i redditi prodotti in forma associata», invece di dire: «Costituisce titolo nei confronti delle persone fisiche che non definiranno i redditi prodotti in forma associata». 6) Ultimo argomento. Il citato art. 9-bis, comma 18, ultima parte, stabilisce che «I termini previsti dall'art. 43 del citato d.P.R. n. 600 del 1973 sono prorogati di due anni». Se, come sostiene la ricorrente, tale norma riguardasse solo le definizioni per adesione perfezionate dalle societa' successivamente alla sua entrata in vigore, i termini ordinari fissati dall'art. 43 sarebbero piu' che sufficienti, e non si capirebbe la necessita' di una loro proroga. Considerato quindi che il principio dettato dall'art. 9-bis, comma 18, d.l. n. 79/1997 riguardi anche le definizioni per adesione perfezionate dalle societa' nei termini fissati dall'art. 3 del d.l. 30 settembre 1994, n. 564, cioe' entro il 15 dicembre 1995, ritiene questa Commissione che la norma in esame violi l'art. 24 della Costituzione italiana, in quanto essa rende, se non impossibile, quantomeno molto difficile l'esercizio del diritto di difesa da parte del contribuente. Tale norma infatti, stabilendo che «L'intervenuta definizione da parte delle societa' .... costituisce titolo per l'accertamento, ai sensi dell'art. 41-bis del d.P.R. n. 600/1973, nei confronti delle persone fisiche che non hanno definito i redditi prodotti informa associata ....« pone in buona sostanza a carico del contribuente l'onere di dimostrare che la societa' ha prodotto in realta' un reddito inferiore a quello definito, e che in conseguenza anche lui, in quanto socio, ha percepito un reddito inferiore a quello che, in base ad una semplice operazione aritmetica non supportata da alcuna prova, gli si vorrebbe attribuire. Questa dimostrazione rischia di diventare una probatio diabolica quando, come nel caso oggetto della presente controversia, sia passato troppo tempo tra la definizione effettuata dalla societa' e l'accertamento a carico del socio. Infatti le uniche prove che il socio possa opporre all'accertamento presuntivo compiuto dall'Ufficio, sono costituite dalle scritture contabili tenute dalla societa'. Ma a distanza di oltre due anni dalla definizione e' improbabile che la societa' abbia conservato la sua contabilita', anche perche' l'art. 2-bis, comma 8, del d.l. n. 564/1994 stabilisce che «I contribuenti che aderiscono all'accertamento di cui al presente articolo non sono tenuti ai fini fiscali alla conservazione delle scritture e dei documenti contabili relativi dall'esercizio, oggetto dell'accertamento, con la sola esclusione dei registri IVA». Il contribuente si troverebbe quindi nell'impossibilita' di provare il suo buon diritto.