IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento n. 11584/2006 a carico di Saba Giuseppe, nato a Gonnesa (Cagliari) il 15 dicembre 1965, imputato del reato di cui all'art. 73, comma 1-bis, d.P.R. n. 309/1990, per aver in data 30 ottobre 2006 in Perugia detenuto a fini di spaccio 6 stecche di hashish all'interno della propria vettura nonche' nella propria abitazione un ulteriore pezzo di hashish del peso di circa 15 grammi, unitamente ad una bilancia di precisione, reato aggravato dalla recidiva reiterata ex 99, quarto comma c.p.; Considerato che l'imputato ha chiesto la definizione del processo con giudizio abbreviato condizionato all'acquisizione di documentazione, rito cui il predetto e' stato in data odierna ammesso; Rilevato dunque che il processo puo' essere definito allo stato degli atti, a fronte dei gravi indizi di colpevolezza ritenuti sussistere all'esito dell'udienza di convalida del 30 ottobre 2006, allorche' e' stata applicata al Saba la misura cautelare dell'obbligo di dimora con prescrizioni; Atteso che, valutate le modalita' del fatto, la quantita' di stupefacente detenuta, pari complessivamente a g. 0,434 di principio attivo, sufficiente per la preparazione di circa 17 dosi droganti, e la concreta offensivita' della condotta, risulta in atto applicabile l'attenuante di cui all'art. 73, quinto comma d.P.R. n. 309/1990, che prevede una pena oscillante da anni uno di reclusione ed euro 3.000,00 di multa ad anni sei di reclusione ed euro 26.000,00 di multa in luogo della pena edittale oscillante tra un minimo di anni sei di reclusione ed euro 26.000,00 di multa e un massimo di anni venti di reclusione ed euro 260.000,00 di multa; Considerato che ai sensi dell'art. 69, quarto comma c.p., come modificato dall'art. 3, legge n. 251/2005, essendo ravvisabile la recidiva reiterata, l'attenuante potrebbe al piu' essere reputata equivalente, con la conseguenza che per il fatto dovrebbe in sede di condanna irrogarsi una pena minima di anni sei di reclusione ed euro 26.000,00 di multa, da ridursi solo di un terzo per la diminuente di cui all'art. 442 c.p.p.; Considerato che il riformulato art. 69, quarto comma c.p. sembra porsi in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., Osserva quanto segue 1. - Il Legislatore dispone di ampia discrezionalita' nella determinazione delle pene, mentre il giudice deve a sua volta procedere alla determinazione della pena da irrogare in concreto entro i limiti stabiliti e nell'esercizio della sfera di discrezionalita' riservatagli. Ma tanto il Legislatore quanto il giudice non possono prescindere dalla considerazione delle finalita' della pena, in primis della necessaria destinazione della sanzione penale alla rieducazione del condannato. Ed invero, a coronamento di una lenta evoluzione interpretativa, la Corte costituzionale ha rilevato nella sentenza n. 313/1990 che, se la pena non puo' non avere un contenuto afflittivo e se ad essa ineriscono caratteri di difesa sociale e di prevenzione generale, tuttavia non puo' in alcun modo pregiudicarsi la finalita' rieducativa espressamente consacrata dall'art. 27, terzo comma Cost., non essendo consentito strumentalizzare l'individuo per fini generali di politica criminale o privilegiare la soddisfazione di bisogni collettivi di stabilita' e sicurezza. Secondo la Corte costituzionale in pratica la finalita' rieducativa non e' estranea alla legittimazione e alla funzione della pena. La circostanza che, secondo il tenore della norma costituzionale, la pena debba tendere alla rieducazione sta ad indicare una qualita' essenziale di essa nel suo contenuto ontologico, a partire dalla fase della previsione fino a quella della sua estinzione, dovendosi correlare al verbo «tendere» la concreta possibilita' di una divaricazione tra la finalita' e l'adesione ad essa del soggetto da rieducare. In pratica, tutto cio' implica che la finalita' rieducativa rilevi non solo nella fase dell'esecuzione, come affermato in precedenti e anche remote sentenze della Corte costituzionale (si consideri ad es. la sentenza n. 12/1966), ma piu' in generale, in quanto connaturata alla pena, in ogni fase, compresa quella della previsione e della sua irrogazione, dovendosi ritenere che il precetto dell'art. 27, terzo comma Cost. vincoli sia il Legislatore sia il giudice della cognizione, prima che il giudice della sorveglianza. Del resto sul piano della disciplina positiva si era concretamente stabilito che la finalita' risocializzante dovesse essere tenuta presente dal giudice gia' in sede di sostituzione della pena detentiva agli effetti degli artt. 53 e segg. legge n. 689/1981, segno evidente di una diretta influenza, per cosi' dire ontologica, della rieducazione e della risocializzazione. 2. - Va a questo punto aggiunto che, pronunciandosi sulla questione, in parte diversa, della legittimita' costituzionale di pene fisse, la Corte costituzionale ha piu' volte rilevato (cfr. sentenze n. 50/1980 e n. 299/1992) che l'individualizzazione della pena, in modo da tenere conto dell'effettiva entita' e delle specifiche esigenze dei singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo dei principi costituzionali tanto di ordine generale (principio di uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale, tanto piu' che lo stesso principio di legalita' della pena ex art. 25, secondo comma Cost. si inserisce in un sistema, in cui si esige la differenziazione piu' che l'uniformita'. In tale quadro, si e' osservato che ha un ruolo centrale la discrezionalita' giudiziale, nell'ambito dei criteri segnati dalla legge. L'adeguamento della pena ai casi concreti contribuisce cosi', secondo la Corte costituzionale, a rendere il piu' possibile personale la responsabilita' penale, in ossequio a quanto previsto dall'art. 27, primo comma Cost., e ad assicurare una pena quanto piu' possibile finalizzata, nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma Cost. Il soddisfacimento di tali presupposti e di tali finalita' costituisce anche uno strumento per l'attuazione dell'uguaglianza di fronte alla pena, intesa come proporzione della pena rispetto alle personali responsabilita' e alle esigenze di risposta che ne conseguono. La sentenza n. 299/1992 aggiunge anche che l'individuazione del disvalore oggettivo dei fatti-reato tipici e quindi del loro diverso grado di offensivita' spetta al Legislatore, competendo al giudice di valutare la particolarita' del caso singolo onde individualizzare la pena, stabilendo quella adeguata al caso concreto nella cornice posta dai limiti edittali. 3. - Orbene, pur dovendosi riconoscere che, anche nel caso in cui sia preclusa, come ora previsto per i recidivi reiterati dal riformulato art. 69, quarto comma c.p., la formulazione di un giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, permane un residuo margine di graduabilita' della pena, deve pur sempre esigersi che tale graduabilita' sia idonea ad assicurare la finalita' rieducativa e nel contempo sia connotata da razionalita' e proporzionalita', intesi quali parametri per il soddisfacimento del principio di uguaglianza. Cosi', venendo al caso in cui per valutazioni afferenti alla concreta offensivita' del reato di cui all'art. 73, primo comma, d.P.R. n. 309/1990, quest'ultimo possa considerarsi come di lieve entita', pare incongruo precludere con riguardo al recidivo reiterato la formulazione di un giudizio di prevalenza dell'attenuante di cui al comma 5 di quella norma, giacche' in tal modo, sulla base di una mera presunzione, svincolata dall'apprezzamento del fatto concreto e dall'effettiva personalita' del reo, il quale, proprio come risulta nella specie, potrebbe essere gravato da precedenti di natura, consistenza e indole non omogenee (il Saba in particolare e' stato condannato per lesioni colpose, resistenza a pubblico ufficiale e per falsa attestazione a pubblico ufficiale, oltre che due volte per guida in stato di ebbrezza, condanne queste ultime non influenti sulla recidiva, stante la natura contravvenzionale dei reati), si imporrebbe l'irrogazione di un trattamento sanzionatorio corrispondente a quello che il Legislatore ha, com e' sua facolta', determinato invece in rapporto al disvalore-oggettivo del reato nella sua dimensione ordmaria. In questo caso l'impossibilita' di modulare la pena entro il minimo e il massimo previsto per il caso di concessione dell'attenuante di cui all'art. 73, quinto comma d.P.R. n. 309/1990 sembra produrre un risultato irrazionale, comportante una rilevante disparita' di trattamento, non essendo giustificabile la siderale distanza intercorrente tra l'irrogazione di una pena minima di anni uno di reclusione e multa e quella di una pena minima di anni sei di reclusione e multa, solo per il rito ridotta ad anni quattro e multa, derivante dalla formulazione, al piu', di un giudizio di equivalenza. Inoltre poiche' puo' tendere ad una finalita' rieducativa solo una pena che sia intrinsecamente avvertibile come giusta e proporzionata e che tenga conto delle molteplici peculiarita' del caso concreto, il limite alla formulazione del giudizio di prevalenza appare in contrasto, oltre che con l'art. 3 Cost., anche con l'art. 27, terzo comma Cost. In conclusione si appalesa nella specie rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma c.p., come modificato dall'art. 3, legge n. 251/2005, nella parte in cui non consente di formulare un giudizio di prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 73, quinto comma d.P.R. n. 309/1990, nel caso di imputato recidivo ex art. 99, quarto comma c.p.