IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, secondo comma, legge n. 87/1953, sul ricorso n. 1198/2005 r.g., proposto dalla Associazione «Legambiente», rappresentata e difesa dall'avv. Nicola Giudice, domiciliato in Catania presso lo studio dell'avv. Corrado Giuliano, in v. Pasubio n. 33; Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della protezione civile - Commissario delegato per l'emergenza rifiuti e la tutela delle acque nella Regione Siciliana, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio ex lege presso gli uffici di quest'ultima in Catania, via V. Ognina; E nei confronti della societa' Tifeo Energia Ambiente, s.c.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Alberto Romano, Francesco Astone, Gaetano Armao ed Anna Romano, con domicilio eletto in Catania, presso lo studio dell'avv. Giovanni Iudica, Corso Umberto n. 303; per l'annullamento dell'ordinanza commissariale del 29 dicembre 2004, pubblicata in G.U.R.S. n. 5 del 4 febbraio 2005, con la quale il Commissario delegato per l'emergenza rifiuti e per la tutela delle acque in Sicilia: 1) ha espresso il giudizio positivo di compatibilita' ambientale sul progetto presentato dalla societa' Tifeo Energia Ambiente s.c.p.a; 2) ha approvato il progetto presentato dalla detta societa' relativo al sistema di gestione integrato per l'utilizzazione della frazione residua dei rifiuti urbani al netto della raccolta differenziata - sistema Augusta; 3) ha autorizzato la medesima alla realizzazione degli impianti meglio indicati nell'art. 2 dell'ordinanza impugnata; 4) ha autorizzato la societa' alla gestione degli impianti stessi; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione nel giudizio dell'Avvocatura di Stato e della societa' Tifeo controinteressata; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore alla udienza pubblica dell'8 giugno 2006 il referendario dott. Salvatore Gatto Costantino; Uditi altresi' gli avvocati delle parti, come da relativo verbale; Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue: I n f a t t o Espone la Associazione ricorrente che con istanza del 5 giugno 2003, assunta al protocollo il 10 successivo, la societa' Tifeo chiedeva l'approvazione del progetto relativo al sistema di gestione integrato per l'utilizzo della frazione residua dei rifiuti urbani al netto della raccolta differenziata, ai sensi degli artt. 27 e 28 del d.lgs. n. 22/1997; chiedeva altresi' l'autorizzazione all'esercizio di smaltimento e recupero, da svolgersi negli impianti che compongono il c.d. «Sistema Augusta» tra i quali l'impianto di termovalorizzazione Consorzio ASI della Provincia di Siracusa, sito in c.da Bufalora del Comune di Augusta. A seguito delle sedute della conferenza dei servizi, tenutesi tra il 4 ed il 7 agosto 2003, la societa' trasmetteva il progetto definitivo il 29 marzo 2004 ed il Commissario delegato chiedeva al Ministero dell'ambiente la pronuncia di compatibilita' ambientale in data 15 marzo 2004. Con nota del 14 aprile 2004, la societa' Legambiente inviava proprie osservazioni e proposte, chiedendo formalmente che queste fossero valutate nel procedimento in corso e che su di esse ci si pronunciasse singolarmente. Con nota prot. Gab/2004/6534/B09 del 5 luglio 2004, il Ministro dell'ambiente trasmetteva il parere favorevole con prescrizioni n. 593 del 10 giugno 2004, reso dalla commissione per la valutazione di impatto ambientale e la relazione generale concernente il sistema integrato ivi contenuta. Con nota del 21 luglio 2004, la societa' Tifeo reiterava la presentazione del progetto, prevedendo un nuovo assetto impiantistico; a seguito di essa, tra il 4 ed il 10 agosto 2004, venivano espletate nuove conferenze dei servizi ed in particolare il 6 agosto veniva espletata la conferenza dei servizi relativamente all'impianto di termovalorizzazione di Augusta. Il 29 dicembre 2004, il Commissario delegato emanava la ordinanza in epigrafe, pubblicata sulla G.U.R.S. il 4 febbraio 2005, avverso la quale in data 5 aprile 2005, l'Associazione Legambiente ha notificato l'odierno ricorso, depositato il 14 maggio successivo e mediante il quale sono state sollevate articolate censure di illegittimita' dei provvedimenti impugnati. Si sono costituite in giudizio l'Avvocatura di Stato e la societa' ricorrente, con memorie depositate, rispettivamente, il 16 maggio 2005 ed il 23 maggio 2005, difendendo la legittimita' del provvedimento impugnato e chiedendo il rigetto del ricorso avversario. Alla Camera di consiglio del 21 giugno 2005 e' stata disposta dal collegio la integrazione del contraddittorio, con OCI n. 279/2005, eseguita nei termini e con le modalita' ivi prescritte (deposito ricorso con avvenute notifiche il 14 settembre 2005). Si e' costituito il Comune di Catania con memoria depositata il 7 ottobre 2005, aderendo all'azione avversaria e chiedendo l'annullamento degli atti impugnati con il ricorso introduttivo. Le parti hanno scambiato memorie e repliche. Alla udienza pubblica dell'8 giugno 2006, la causa e' stata trattenuta per la decisione. D i r i t t o Parte ricorrente impugna l'ordinanza commissariale di approvazione del progetto relativo all'impianto di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, al netto della quota smaltita con il sistema differenziato, nonche' di autorizzazione all'uso dell'impianto ed alla gestione dello smaltimento dei rifiuti rilasciata a favore della societa' controinteressata. 1. - Il ricorso e' rivolto avverso un provvedimento adottato all'esito di una procedura posta in essere dal presidente della regione nell'esercizio dei poteri a questo conferiti in qualita' di Commissario delegato di protezione civile per l'emergenza rifiuti e tutela delle acque nella Regione Sicilia (OPCM 2983 del 31 maggio 1999). Pertanto, il Collegio deve affrontare, necessariamente e preliminarmente, la questione relativa alla competenza inderogabile recentemente attribuita al Tribunale amministrativo regionale del Lazio per la cognizione di vicende quale quella in esame. Tale competenza sorge per effetto della norma di cui alla legge n. 21/2006, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio 2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone: ... omissis ... «2-bis. In tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, la competenza di primo grado a conoscere della legittimita' delle ordinanze adottate e dei consequenziali provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari, al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma. 2-ter. Le questioni di cui al comma 2-bis, sono rilevate d'ufficio. Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell'art. 26, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando applicazione i commi 2 e seguenti dell'art. 23-bis della stessa legge. 2-quater. Le norme di cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano anche ai processi in corso. L'efficacia delle misure cautelari adottate da un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al comma 2-bis permane fino alla loro modifica o revoca da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata puo' riproporre il ricorso». Osserva il Collegio che la fattispecie in esame e' attratta nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3, in quanto il potere amministrativo posto in essere da parte del Commissario delegato rientra nel novero delle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e «consequenziali provvedimenti commissariali applicativi». Il collegio, pertanto, ritenendola rilevante ai fini della decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio e non manifestamente infondata, solleva questione di legittimita' costituzionale del predetto art. 3, e segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni bis, ter, quater, come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come gia' fatto in ordine ad altra fattispecie per la cui decisione e' venuta in rilievo la medesima norma (cfr. Tribunale amministrativo regionale Sicilia, I, ord. n. 90 del 7 marzo 2006). 1. - La rilevanza dalla questione ai fini della decisione da assumere e' di tutta evidenza. Il collegio sarebbe tenuto, sulla base della normativa sopravvenuta - ove non dubitasse della incostituzionalita' di essa e quindi non ritenesse necessario investire il Giudice delle leggi della relativa questione - a trasmettere gli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio, e cio' per espressa disposizione della nuova disciplina che ne prescrive l'applicazione ai procedimenti pendenti e quindi anche per il procedimento odierno, trattenuto in decisione dopo l'entrata in vigore della disciplina in esame (la quale e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23 gennaio 2006 ed e' entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione). 2. - Circa la non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno sospettare le norme in esame di incostituzionalita', osserva il collegio che la normativa introdotta dal Legislatore con l'art. 3, comma 2, da bis a quater, della legge n. 21/2006, contrasta innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa di primo grado ivi espressa («Nella regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica») che implica il rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di competenza dei singoli organi predetti. Non appaiono, all'evidenza, manifeste o comunque sufficienti ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera di competenze costituzionalmente garantita nella materia di cui trattasi quando, come nel caso in esame, le singole situazioni di emergenza hanno rilievo spiccatamente locale con conseguente efficacia locale dei relativi provvedimenti adottati dai soggetti delegati alla cura delle varie situazioni emergenziali, anche se (arg. ex art. 2, comma 1, lett. «c» della legge n. 225/1992, richiamato dall'art. 5, comma 1, legge cit.) essi sono adottati per fare fronte a situazioni che «per intensita' ed estensione debbono essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari». 3. - Anzi, sotto questo aspetto, la norma e' altresi' contraddittoria ed irrazionale in quanto sottopone al medesimo trattamento processuale situazioni disparate e differenti tra di loro. In questo quadro, l'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione normativa, i casi in cui (ex art. 2, comma 1, lett. «c» della legge n. 225/1992) sia necessario fare fronte con mezzi e poteri straordinari alle calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi che richiedano tale intervento per intensita' ed estensione. La previsione di cui alla legge n. 21/2006 radica la competenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio in tutti i casi in cui sia dichiarato lo stato di emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5 appena citato e quindi con esclusione dei casi di intervento di protezione civile per gli eventi che possano essere affrontati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2 lett. «a») e di quelli che richiedano intervento coordinato di questi ultimi (art. 2 lett. «b»). Quindi, il sistema della Protezione civile e' articolato in vari livelli di intervento, contraddistinti dal corrispondente grado di ampiezza della situazione emergenziale. Sicche' per ogni tipologia territoriale e «qualitativa» della situazione di emergenza e' chiamato ad intervenire in merito il «livello» di governo piu' vicino alla concreta dimensione delle comunita' colpite e della natura dell'emergenza, secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e senza escludere - funzionalmente e residualmente - che determinate funzioni siano «trasversali» ossia comprendano le competenze di piu' amministrazioni o livelli di governo. A fronte di questa multiformita' possibile di manifestazioni concrete dell'esercizio del potere, la regola generale di ripartizione delle competenze delineata dagli artt. 2 e ss. della legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente con l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della legge n. 21/2006, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex lege rilevanza nazionale a qualsiasi controversia insorga nell'esercizio del potere di protezione civile, facendo leva solo sulla necessita' che esso presupponga l'intervento extra ordinem e quindi a dispetto dell'articolazione del potere previsto dalla legge n. 225/1992, posto che assegna la competenza funzionale a conoscere delle relative questioni al Tribunale amministrativo regionale Lazio (e quindi spinge l'interprete a dover ritenere che il Legislatore abbia cristallizzato una valutazione di rilevanza nazionale di qualsiasi questione, inerente la Protezione civile, richieda interventi extra ordinem). Il problema acquista uno spessore considerevole se solo si riflette sul fatto che, «ordinariamente» tali provvedimenti extra ordinem delegano quali commissari per l'emergenza il presidente della regione o altri organi locali gia' titolari di poteri propri in quella materia; in tal senso, spesso non fanno altro che «istituire» poteri e programmi di emergenza affidandoli quindi (per nomina o delega) a quegli stessi organismi regionali o comunque locali che con i poteri ordinari loro conferiti dall'Ordinamento non hanno saputo fare fronte alle cause che hanno determinato l'emergenza (come il caso dell'emergenza rifiuti o dell'emergenza idrica, o dell'emergenza traffico). Pertanto, l'effetto di tale prassi e' essenzialmente quello di rendere i provvedimenti degli organi regionali «rafforzati» sotto il profilo della capacita' di derogare a norme dell'Ordinamento; a tale gia' rilevante «alterazione» dell'Ordinamento medesimo, aggiunge quindi una ulteriore «tutela» giurisdizionale, sottraendo la cognizione della lite ai Tribunale amministrativo regionale regionali su provvedimenti che sono e restano a tutti gli effetti locali per provenienza soggettiva oltre che per effetti, per affidarla ad un unico giudice nazionale con il quale essi non hanno alcun collegamento «naturale». Appare utile rilevare, in questa sede, come la giurisprudenza della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che: con l'art. 5 della legge n. 225 del 1992, e' attribuito al Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza in ipotesi di calamita' naturali, ed a seguito della dichiarazione di emergenza, e per fare fronte ad essa, lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, il Ministro dell'interno possano adottare ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico; l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta, chiarisce che tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che il riconoscimento di poteri straordinari e derogatori della legislazione vigente possa avvenire da arte di una legge regionale; queste ultime due previsioni, inoltre, sono gia' stata ritenuta dalla Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come espressive di un principio fondamentale della materia della protezione civile, sicche' deve ritenersi che esse delimitino il potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze legislative delineato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione). Alla luce di quanto sopra ricordato, la Corte ha dichiarato illegittimo l'art. 4, comma 4, della legge della Regione Campania n. 8 del 2004, nella misura in cui essa ha attribuito al sindaco di Napoli i poteri commissariali dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del Ministro dell'interno, dopo la scadenza della emergenza alla cui soluzione tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. n. 82/2005). Tale ragionamento comporta che, in relazione alla legge n. 225/1992 ed all'art. 107, comma 1, lettere b) e c) d.lgs. n. 112/1998, possiedono rilievo nazionale «solamente» il potere di dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure ad esso finalisticamente connesso, di derogare a norme dell'ordinamento. Ne consegue dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame e' irragionevole per contraddittorieta' e disparita' di trattamento processuale, poiche' utilizza lo stesso trattamento per situazioni del tutto differenti quanto ad ambito territoriale e livello e qualita' degli interessi pubblici coinvolti, nonche' per contrasto con l'art. 117 della Costituzione, poiche' implicitamente, finisce per attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla competenza regionale. 4. - Ancora, l'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una effettiva natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei provvedimenti sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale amministrativo regionale Lazio, comporta indubbia violazione dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di tutela dei propri diritti ed interessi enunciata al primo comma; detta tutela ne risulta minorata, per la evidente maggiore difficolta' di esercitare le relative azioni presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti. Cio' vale sia per la fase transitoria in cui i giudizi pendenti trasmigrano al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sia per le future nuove controversie che secondo la nuova normativa dovrebbero essere ab initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale La Corte ha ritenuto, in un caso in cui il Legislatore aveva disposto l'estinzione ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma primo, legge n. 425/1984) che siffatta disposizione, in quanto «preclude al giudice la decisione di merito imponendogli di dichiarare d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi stato e grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge sopravvenuta», percio' stesso «viola il valore costituzionale del diritto di agire, in quanto implicante il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte costituzionale, sentenza n. 123 del 1987). Sebbene la fattispecie in esame sia diversa da quella oggetto della citata pronuncia, il principio tuttavia, ad avviso del collegio, e' nello stesso modo applicabile. Accade infatti, nel caso presente, che chi abbia gia' un giudizio pendente davanti al Tribunale amministrativo regionale locale, ed addirittura abbia ottenuto una decisione cautelare, debba proseguire altrove nella propria iniziativa giudiziaria, addirittura (se ne parlera' piu' diffusamente infra) rimanendo esposto ad una seconda pronuncia cautelare sollecitata dalla parte soccombente davanti al giudice adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione. 5. - Altro profilo di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre, nella violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale ora citata, stabilendo che «nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge», esclude, come la stessa Corte costituzionale afferma, «che vi possa essere una designazione tanto da parte del Legislatore con norme singolari, che deroghino a regole generali, quanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»; il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti, richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002). Come la Corte ha insegnato, perche' tale principio possa considerarsi rispettato occorre che «... la regola di competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta scorrere le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia di principio del giudice naturale per rilevare che e' proprio la preesistenza della regola che individua la competenza rispetto al giudizio il criterio fondamentale in base al quale sono state valutate le questioni sollevate. Tale profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente, ad avviso del collegio, nella parte della disciplina in questione (comma 2-quater) che non solo ne dispone l'applicazione ai processi pendenti, ma addirittura consente una riforma dei provvedimenti assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera di un organo giurisdizionale pariordinato a quelli di provenienza (trattasi di giudici tutti di primo grado, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio non essendo un «super-Tar»). Cosi' facendo, in sostanza, il Legislatore ha introdotto un rimedio inedito, che non e' di secondo grado e che finisce per costituire un doppione del gia' espletato giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna possibilita' di inquadramento tra i rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione, reclamo). Pertanto, anche l'art. 25 della Carta costituzionale risulta vulnerato dalla normativa denunciata dal collegio; e se ne trae conferma da una recente decisione della Corte costituziionale, che, sebbene in relazione a disciplina totalmente diversa, ha avuto modo di affermare un principio generale, che e' quello della appartenenza della competenza territoriale alla nozione del giudice naturale precostituito per legge. Precisamente, la sentenza n. 41 del 2006 afferma, anzi, ribadisce (come testualmente essa si esprime, citando sentenze precedenti in termini), che «alla nozione del giudice naturale precostituito per legge non e' affatto estranea "la ripartizione della competenza territoriale tra giudici, dettata da normativa nel tempo anteriore alla istituzione del giudizio" (sentenze n. 251 del 1986 e n. 410 del 2005)». Per altro, atteso che il principio del doppio grado di giudizio. nella giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di merito, riceve garanzia costituzionale dall'art. 125 della Carta (cfr. Corte cost., sentenza n. 8 del 1982) si configura un ulteriore profilo di violazione di detta norma. Viene infatti ad essere introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso (su cui gia' il collegio ha poco prima espresso i propri dubbi di incostituzionalita) che stravolge l'ordinario iter giudiziario. La regola e' che ad un giudizio di primo grado segua, ove la parte soccombente appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti di giudizio cautelare, sia che si tratti di giudizio di merito; giammai e' prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato a riformare la decisione del primo giudice. Orbene, ad avviso del collegio, siffatta disciplina integra altresi' violazione del principio del «giusto processo» di cui all'art. 111, comma primo, della medesima Carta («La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge»). Sempre con riferimento ai processi pendenti, infatti, la parte soccombente nel giudizio cautelare verrebbe ad essere fornita di uno strumento giurisdizionale anomalo e atipico a tutela della propria (legittima, ma da esercitare in modi conformi ai principi costituzionali) aspirazione ad ottenere una pronuncia favorevole in secondo grado (che deve tuttavia essere un vero giudizio di secondo grado, e non, si ribadisce, un inedito duplicato del giudizio di primo grado). Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio del ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale principio del «giusto processo» teste' richiamato. 6. - Da ultimo, si rileva un aspetto diverso che si riconnette ancora al tema del giudice naturale, e che deriva in via immediata e diretta dall'analisi appena esposta. La norma in esame, infatti, viola l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia (legge costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948) a norma del quale: «Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione. Le Sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti svolgeranno altresi' le funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e contabile. I magistrati della Corte dei conti sono nominati, di accordo, dai Governi dello Stato e della regione. I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal presidente della regione sentite le sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e' stata «interpretata» dall'art. 5 del d.lgs. 6 maggio 1948, n. 654, contenente norme per l'esercizio delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato nella Regione Sicilia, il quale prevede che il Consiglio di Giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e provvedimenti definitivi «dell'amministrazione regionale e delle altre autorita' amministrative aventi sede nel territorio della regione». Osserva il Collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost. in data 12 marzo 1975, n. 61, dichiarando l'illegittimita' costituzionale delle limitazioni poste dall'art. 40, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, alla competenza del Tribunale amministrativo regionale Sicilia, e' stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite tutte le controversie d'interesse regionale considerate tali dall'art. 23, comma 1, d.-l. 15 maggio 1946, n. 455, comprendendosi in tale categoria le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale ovvero concernenti pubblici dipendenti in servizio nella regione siciliana» (Consiglio Stato, sez. VI, 26 luglio 1979, n. 595). Quindi la legge n. 21/2006, in esame, e' costituzionalmente illegittima anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23 dello Statuto regionale, sia nella sua formulazione letterale, che nella interpretazione pacifica che di esso ha maturato la giurisprudenza, anche costituzionale, riserva al Consiglio di giustizia amministrativa ed in primo grado al Tribunale amministrativo regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale. Se le controversie quali quella in esame fossero sottratte alla competenza del Tribunale amministrativo regionale Sicilia, in primo grado e, affidate alla cognizione dal Tribunale amministrativo regionale Lazio, fossero decise da quest'ultimo, si radicherebbe, per tale motivo, la cognizione sulla lite in appello del Consiglio di Stato e non della sua Sezione costituita dal consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, avente competenza funzionale sulle liti rientranti nella previsione statutaria siciliana appena citata. Per mero scrupolo espositivo, si deve rilevare che in proposito non potrebbe obiettarsi che la norma «sposta» solo la cognizione della lite nel primo grado di giudizio, facendo salva quella d'appello: se cosi' fosse, per la Regione Sicilia, la norma dovrebbe, essere ulteriormente tacciata di irragionevolezza e contraddittorieta' perche' la medesima questione, decisa in primo grado al Tribunale amministrativo regionale Lazio, quindi «concentrata» in capo all'«unico giudice» per la sua (cristallizzata dal Legislatore) rilevanza nazionale, tornerebbe ad essere poi decisa in appello da una articolazione regionale del giudice di secondo grado, senza quindi che abbia piu' va1enza alcuna la ritenuta «centralita» della vicenda, con evidenti ed incomprensibili «trasmigrazioni» giudiziarie «vettoriali» della lite dalla Sicilia a Roma (per il primo grado) e da Roma a Palermo (per il secondo grado). Intuitivamente, dunque, questa ipotetica obiezione presterebbe il fianco ad ulteriori argomenti di censura anche sotto il profilo della effettivita' della tutela del diritto alla difesa gia' trattato prima (nel senso di obbligo di non aggravamento) e, quindi, anche del giusto processo ex art. 111 Cost. in termini di tempi decisionali ed adempimenti' del processo. 7. - Per tutte le esposte considerazioni, deve sollevarsi la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, comma 2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli artt. 3, 125, 24 e 25 della Costituzione e per contrasto con l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia. Deve pertanto essere disposta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della predetta questione di legittimita' costituzionale, sospendendosi il giudizio instaurato con il ricorso in epigrafe, fino alla restituzione degli atti da parte della medesima Corte.