IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma 2, legge n. 87/1953 sul ricorso n. 2311/2006 proposto da Consorzio rete fognante, rappresentato e difeso da Monforte avv. Giovanni con domicilio eletto in Messina, segreteria presso Monforte avv. Giovanni; Contro Comm. delegato per emergenza idrica - Presidente Regione Siciliana, Commissario ad acta dell'ato 3 di Messina, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'interno Ministero delle infrastrutture, Ministero dei trasporti, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero delle politiche agricole, Alimentari e forestali, Agenzia regionale per i rifiuti e le acque. Tutti rappresentati e difesi da: Avvocatura dello Stato, con domicilio eletto in Catania, via Vecchia Ognina n. 149, presso la sua sede - Comune di Scaletta Zanclea (Messina), Comune di Pagliara (Messina), Provincia regionale di Messina, Autorita' d'ambito - A.T.O. n. 3 di Messina, Segreteria tecnico operativa A.T.O. 3 - Messina, e nei confronti di Immordino Giovanni, per l'annullamento: decreto del Commissario delegato per l'emergenza idrica in Sicilia n. 596 del 4 aprile 2006 (mai trasmesso al Consorzio ricorrente), con il quale, in virtu' dei poteri sostitutivi e derogatori previsti dalle ordinanze n. 3189/2002 e n. 3299/2003, si nominava Commissario presso l'Autorita' d'ambito dell'ATO n. 3 di Messina l'avv. Giovanni Immordino con il compito di provvedere, in via sostitutiva alla Conferenza dei Sindaci e del Presidente della Provincia di Messina, al compimento delle procedure per l'affidamento del Servizio idrico integrato nell'Ambito territoriale ottimale di Messina entro il 30 giugno 2006, attuale scadenza dello stato di emergenza idrica nel territorio della Regione Siciliana; nota del Commissario delegato per l'emergenza idrica in Sicilia prot. n. 10115 del 17 agosto 2005, (mai trasmessa al Consorzio ricorrente) con la quale si rappresentava l'inopportunita' di intervenire d'autorita' nei confronti dei consigli comunali che non hanno confermato la scelta dell'Assemblea dei Sindaci dell'ATO 3 di Messina di costituire una societa' interamente pubblica per la gestione del servizio idrico integrato, «in considerazione che una tale scelta non puo' essere imposta (ai consigli comunali) ne' surrogata viste le implicazioni economiche che inevitabilmente ne discendono, le quali graverebbero comunque sulla collettivita' delle singole municipalita'; diffida del Commissario delegato per l'emergenza idrica in Sicilia n. 656 del 20 gennaio 2006, trasmessa all'Autorita' d'ambito dell'ATO 3 di Messina (e mai trasmessa al Consorzio ricorrente), che fissava il termine del 31 gennaio 2006 entro cui porre in essere quanto necessario per l'affidamento del servizio idrico integrato in tale ATO; deliberazione del predetto Commissario ad acta presso l'Autorita' d'ambito dell'ATO n. 3 di Messina (nominato con il predetto decreto del Commissario delegato per l'emergenza idrica n. 596 del 4 aprile 2006) n. 1 del 23 maggio 2006 (mai trasmessa al Consorzio ricorrente) con la quale: si revocavano le precedenti deliberazioni della Conferenza d'ambito dell'A.T.O. predetta n. 1 del 9 giugno 2005, nn. 2 e 3 del 24 giugno 2005 e n. 4 del 27 settembre 2005; si stabiliva di affidare il servizio idrico a societa' di capitali privata da individuarsi a seguito di gara europea, secondo le modalita' prescritte con il disciplinare di gara, lo schema di convenzione di gestione e lo schema di disciplinare tecnico; si approvava il disciplinare di gara predisposto dal responsabile della Segreteria tecnica operativa, lo schema di convenzione di gestione, lo schema di disciplinare tecnico e l'addendum al Piano d'ambito REV 3, con i relativi allegati, costituenti parte integrante di tale deliberazione; si dava mandato alla Segreteria tecnica operativa di porre in essere tutti i provvedimenti conseguenziali connessi alla attuazione di tale deliberazione ed, in particolare, di attivare le procedure per la pubblicazione del disciplinare di gara e dei relativi allegati nel rispetto dei termini prescritti dalla vigente normativa e, comunque, entro il 31 maggio 2006; si dava, inoltre, mandato alla Segreteria tecnica operativa di adottare ogni altro provvedimento connesso alla attuazione di tale deliberazione; bando di gara e disciplinare di gara del 24 maggio 2006 (pubblicato per estratto nella G.U.R.S. 1° giugno 2006, n. 22, Parte II), con i quali si indiceva procedura concorsuale avente ad oggetto la scelta di un soggetto qualificato per il successivo affidamento in concessione in conformita' ai principi generali dell'art. 20 della legge n. 36/1994, e successivo decreto legislativo n. 152/2006, del d.m. 22 novembre 2001, e successivo d.m. 2 maggio 2006, e a norma del decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 158 e dell'art. 113 comma 5-ter, del decreto legislativo n. 267/2000, e successive modifiche ed integrazioni - della gestione del servizio idrico integrato (denominato anche SII) nell'ATO n. 3 Messina, comprendente i comuni specificati nella convenzione di gestione che regola i rapporti tra l'Autorita' d'ambito ed il Gestore allegata a tale disciplinare, nonche' dell'esecuzione diretta dei lavori e servizi connessi per lo stesso ATO n. 3 Messina; le deliberazioni della Conferenza dei Sindaci e del Presidente della Provincia dell'ATO predetta n. 1 del 9 giugno 2005, n. 2 del 24 giugno 2005, n. 3 del 24 giugno 2005 e n. 4 del 27 settembre 2005 (mai trasmesse al Consorzio ricorrente), le quali contengono l'implicita determinazione dell'ATO predetta di non salvaguardare la forma e la capacita' gestionale di tale esistente Consorzio Rete Fognante odierno ricorrente che risponde a criteri di efficienza, di efficacia e di economicita'; Ordinanza del Ministro dell'interno, Delegato per il coordinamento della protezione civile n. 3189 del 22 marzo 2002 (pubblicata nella G.U.R.I. 5 aprile 2002, n. 80); Ordinanza del Ministro dell'interno, Delegato per il coordinamento della protezione civile n. 3224 del 28 giugno 2002 (pubblicata nella G.U.R.I. 6 luglio 2002, n. 157);, Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3234 del 26 luglio 2002 (pubblicata nella G.U.R.I. 6 agosto 2002, n. 183); Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3252 del 27 novembre 2002 (pubblicata nella G.U.R.I. 3 dicembre 2002, n. 283); Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3299 del 3 luglio 2003 (pubblicata nella G.U.R.I. 11 luglio 2003, n. 159). Visto il ricorso introduttivo del giudizio; Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso; Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Agenzia regionale per i rifiuti e le acque, Autorita' d'ambito - A.T.O. n. 3 di Messina, Comm. delegato per emergenza idrica, Presidente regione, Commissario ad acta dell'A.T.O. 3 di Messina, Ministero dei trasporti, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero dell'interno, Ministero delle infrastrutture, Ministero delle risorse agricole alimentari e forestali, Presidenza del Consiglio dei ministri, Provincia regionale di Messina, Regione Siciliana, Segreteria tecnico operativa A.T.O. 3 - Messina. Udito nella Camera di consiglio del 14 settembre 2006 il relatore cons. Pancrazio Maria Savasta; Uditi gli avvocati come da verbale; Vista la documentazione tutta in atti; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o Con deliberazione n. 1 del 9 giugno 2005, la Conferenza d'ambito dell'ATO 3 Messina revocava la deliberazione n. 1/2004, nella parte in cui si era operata la scelta di affidare il servizio di gestione in «concessione a terzi» e disponeva di affidare la gestione del servizio idrico integrato dell'ATO n. 3 - Messina a una societa' a capitale interamente pubblico partecipata da tutti gli enti locali dell'ATO n. 3 Messina, costituita fra i 108 comuni e la Provincia regionale di Messina ed avente ad oggetto la c.d. gestione «in house». La predetta deliberazione faceva salve le proroghe gia' concesse al Consorzio ricorrente. Con deliberazione n. 2 del 24 giugno 2005, la Conferenza d'ambito dell'ATO 3 - Messina approvava lo Statuto della societa' per azioni Messina Acque S.p.A., da costituire quale soggetto gestore del servizio idrico integrato, ed impegnava ciascun ente locale convenzionato, ad approvarne, nei rispettivi consigli comunali, lo statuto. Con deliberazione n. 3 del 24 giugno 2005, la Conferenza d'ambito dell'ATO 3 approvava lo schema di convenzione di servizio tra Autorita' e soggetto gestore dell'ATO n. 3 Messina con relativo disciplinare tecnico ed impegnava ciascun ente locale convenzionato ad approvare, nei rispettivi consigli comunali, la sopra richiamata convenzione di servizio, in conformita' all'art. 18 della Convenzione di cooperazione istitutiva dell'Autorita' d'ambito. Con deliberazione del 27 settembre 2005, la Conferenza d'ambito dell'ATO 3 - Messina riconfermava la volonta' di procedere alla costituzione della societa' per azioni a capitale interamente pubblico per l'affidamento della gestione «in house», nei termini specificati dalle predette deliberazioni 1, 2, 3 e 4/2005. Con decreto n. 596 del 4 aprile 2006, il Presidente della Regione Siciliana - sempre nella qualita' di Commissario delegato per l'emergenza idrica nel territorio della Regione Siciliana, avvalendosi dei poteri sostitutivi e derogatori previsti dalle Ordinanze n. 3189/2002 e n. 3299/2003, incaricava l'avv. Giovanni Immordino di recarsi presso l'Autorita' d'ambito dell'ATO 3 - Messina con il compito di provvedere, in via sostitutiva della Conferenza dei Sindaci e del Presidente della Provincia di Messina, al compimento delle procedure per l'affidamento del servizio idrico integrato nell'Ambito Territoriale Ottimale di Messina. Indi, il Commissario ad acta nominato riteneva di scegliere la «concessione a terzi» fra le possibili diverse forme di affidamento del Servizio idrico integrato ed, inoltre, revocava le precedenti delibere n. 1/2005, n. 2/2005, n. 3/2005 e n. 4/2005 adottate dalla conferenza d'Ambito dell'ATO 3 di Messina, scegliendo, quale forma di gestione, la concessione a terzi. A tal fine, con bando e disciplinare di gara del 23 maggio 2006, indiceva una selezione ad evidenza pubblica per assegnare la detta concessione per un periodo trentennale, senza escludere dalla gara il territorio dei comuni interesati dall'attivita' del Consorzio. Con il ricorso in epigrafe, quest'ultimo ha impugnato detti atti. Costituitasi per le amministrazioni indicate in epigrafe, la Difesa erariale ha concluso per l'incompetenza funzionale di questo Tribunale a favore del Tribunale amministrativo regionale Lazio - Roma e, comunque, per l'inammissibilita' e l'infondatezza del ricorso. Alla Camera di consiglio del 14 settembre 2006, la causa e' passata in decisione per la fase cautelare. D i r i t t o Come chiarito in punto di fatto, l'asserito pregiudizio per il Consorzio ricorrente deriva dal decreto n. 596 del 4 aprile 2006, con il quale il Presidente della Regione Siciliana, nella qualita' di Commissario delegato per l'emergenza idrica nel territorio della Regione Siciliana, avvalendosi dei poteri sostitutivi e derogatori previsti dalle ordinanze n. 3189/2002 e n. 3299/2003, ha incaricato l'avv. Giovanni Immordino di recarsi presso l'Autorita' d'ambito dell'ATO 3 - Messina con il compito di provvedere, in via sostitutiva della Conferenza dei Sindaci e del Presidente della Provincia di Messina, al compimento delle procedure per l'affidamento del servizio idrico integrato nell'Ambito Territoriale Ottimale di Messina. Lamenta, inoltre, il ricorrente l'illegittimita' della consequenziale attivita' amministrativa del commissario delegato dal presidente della regione, nella predetta qualita', asseritamente pregiudizievole della possibilita' di continuare lo svolgimento del servizio nei comuni di interesse. I. Pertanto, il Collegio deve affrontare la pregiudiziale questione relativa alla competenza inderogabile del Tribunale amministrativo regionale del Lazio a conoscere della vicenda. Tale competenza sorge per effetto della norma di cui alla legge n. 21/2006, pubbl. nella Gazzeta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio 2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone: omissis ... «2-bis. In tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, la competenza di primo grado a conoscere della legittimita' delle ordinanze adottate e dei conseguenziali provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari, al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma. 2-ter. Le questioni di cui al comma 2-bis, sono rilevate d'ufficio. Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell'art. 26, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando applicazione i commi 2 e seguenti dell'art. 23-bis della stessa legge. 2-quater. Le norme di cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano anche ai processi in corso. L'efficacia delle misure cautelari adottate da un tribuna.Le amministrativo diverso da quello di cui al comma 2-bis permane fino alla loro modifica o revoca da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata puo' riproporre il ricorso». Osserva il Collegio che la fattispecie in esame e' attratta nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3, in quanto il presidente della regione ha agito in qualita' commissario delegato, regolando una fattispecie rientrante nel novero delle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, cosi' come emerge dall'espresso richiamo di detta disposizione nel preambolo del decreto n. 596 del 4 aprile 2006. Il Collegio, pertanto, ritenendola rilevante ai fini della decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio e non manifestamente infondata, solleva questione di legittimita' costituzionale del predetto art. 3, e segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni bis, ter, quater, come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come gia' fatto in ordine ad altra fattispecie per la cui decisione e' venuta in rilievo la medesima norma (Tribunale amministrativo regionale Catania, I, ord. n. 90 del 7 marzo 2006) e per una ulteriore questione, invece, pressocche' identica (Tribunale amministrativo regionale Catania, ord. n. 145 del 4 aprile 2006 - cfr., altresi', C.G.A. per la Sicilia, Ordd. nn. 235 e 236/2006). I. La rilevanza della questione ai fini della decisione da assumere e' di tutta evidenza. Il Collegio sarebbe tenuto, sulla base della normativa espressa dalla richiamata legge n. 21/2006 - ove non dubitasse della incostituzionalita' di essa e quindi non ritenesse necessario investire il giudice delle leggi della relativa questione - a trasmettere gli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio e cio' per espressa disposizione della nuova disciplina che ne prescrive l'applicazione. In sostanza non potrebbe questo Giudicante adottare alcuna decisione, neanche sulla correttezza della procedura ed in punto di ammissibilita' del ricorso, in quanto ostacolato dalla puntuale disposizione che stabilisce la competenza funzionale del Tribunale amministrativo regionale Lazio, ogniqualvolta si tratti, come nel caso di specie, di gravaini volti a censurare provvedimenti afferenti situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, commna 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225. Non vale a mutare la superiore considerazione il fatto che il giudizio sia stato chiamato ad essere trattato in Camera di consiglio per la sua sola domanda cautelare, posto che la chiara dizione delle disposizioni in esame non lascia adito a dubbi e, per effetto del combinato disposto di cui agli artt. 21 e 26 della legge T.a.r ivi richiamato, in sede della trattazione cautelare il Collegio dovrebbe con sentenza breve dichiarare la competenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio e concludere il giudizio, salva la riassunzione di esso a cura delle parti di fronte al Tribunale amministrativo regionale competente, normativamente prevista. II) Circa la non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno sospettare le norme in esame di incostituzionalita', osserva il collegio che la normativa introdotta dal Legislatore con l'art. 3, comma 2, da bis a quater, della legge n. 21/2006, contrasta innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa di primo grado ivi espressa («Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica») che implica il rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di competenza dei singoli organi predetti. Non appaiono, all'evidenza, manifeste o comunque sufficienti ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera di competenze costituzionalmente garantita nella materia di cui trattasi quando, come nel caso in esame, le singole situazioni di emergenza hanno rilievo spiccatamente locale con conseguente efficacia locale dei relativi provvedimenti adottati dai soggetti delegati alla cura delle varie situazioni emergenziali, anche se (arg. ex art. 2, comma 1 lett. c) della legge n. 225/1992, richiamato dall'art. 5 comma 1, lett. cit.) essi sono adottati per fare fronte a situazioni che «per intensita' ed estensione debbono essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari». II.a) Anzi, sotto questo aspetto, la norma e' altresi' contraddittoria ed irrazionale in quanto sottopone al medesimo trattamento processuale situazioni disparate e differenti tra di loro. In questo quadro, l'art. 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione normativa, i casi in cui (ex art. 2 comma 1, lett. o) della legge n. 225/1992) sia necessario fare fronte con mezzi e poteri straordinari alle calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi che richiedano tale intervento per intensita' ed estensione. La previsione di cui alla legge n. 21/2006 radica la competenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio in tutti i casi in cui sia dichiarato lo stato di emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5 appena citato e quindi con esclusione dei casi di intervento di protezione civile per gli eventi che possano essere affrontati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2, lett. a) e di quelli che richiedano intervento coordinato di questi ultimi (art. 2, lett. b). Quindi, il sistema della protezione civile e' articolato in vari livelli di intervento, contraddistinti dal corrispondente grado di ampiezza della situazione emergenziale. Ne deriva che per ogni tipologia territoriale e «qualitativa» della situazione di emergenza e' chiamato ad intervenire in merito il «livello» di governo piu' vicino alla concreta dimensione delle comunita' colpite e della natura dell'emergenza, secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e senza escludere - funzionalmente e residualmente - che determinate funzioni siano «trasversali» ossia comprendano le competenze di piu' amministrazioni o livelli di governo. A fronte di questa multiformita' possibile di manifestazioni concrete dell'esercizio del potere, la regola generale di ripartizione delle competenze delineata dagli artt. 2 e ss. della legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente con l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della legge n. 21/2006, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex lege rilevanza nazionale a qualsiasi controversia insorga nell'esercizio del potere di protezione civile, facendo leva solo sulla necessita' che esso presupponga l'intervento extra ordinem e quindi a dispetto dell'articolazione del potere previsto dalla legge n. 225/1992, posto che assegna in maniera indiscriminata la competenza funzionale a conoscere delle relative questioni al Tribunale amministrativo regionale Lazio. In altri termini, con la norma in esame, il Legislatore, sul semplice presupposto della necessita' di interventi di protezione civile extra ordinem, pare abbia cristallizzato una valutazione di rilevanza nazionale degli stessi, a prescindere, come sembra apparire nel caso di specie, dalla loro eventuale incidenza meramente periferica. Appare utile rilevare, in questa sede, come la giurisprudenza della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che: con l'art. 5 della legge n. 225 del 1992 e' attribuito al Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza in ipotesi di calamita' naturali, ed a seguito della dichiaraziobe di emergenza, e per fare fronte ad essa, lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, il Ministro dell'interno possano adottare ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico; l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta, chiarisce che tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che il riconoscimento di poteri straordinari e derogatori della legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale; queste ultime due previsioni, inoltre, sono gia' state ritenute dalla Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come espressive di un principio fondamentale della materia della protezione civile, sicche' deve ritenersi che esse delimitino il potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze legislative delineato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione). Alla luce di quanto sopra ricordato, la Corte ha dichiarato illegittimo l'art. 4, comma 4, della legge della Regione Campania n. 8 del 2004, nella misura in cui essa ha attribuito al Sindaco di Napoli i poteri commissariali dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del Ministro dell'interno, dopo la scadenza della emergenza alla cui soluzione tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. n. 82/2006). Tale ragionamento comporta che, in relazione alla legge n. 225/1992 ed all'art. 107, comnma 1, lettere b) e c) d.lgs. n. 112/1998, possiedono rilievo nazionale «solamente» il potere di dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure ad esso finalisticamente connesso, di derogare a norme dell' ordinamento. Ne consegue dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame e' irragionevole per contraddittorieta' e disparita' di trattamento processuale, poiche' utilizza lo stesso trattamento per situazioni del tutto differenti quanto ad ambito territoriale e livello e qualita' degli interessi pubblici coinvolti, nonche' per contrasto con l'art. 117 della Costituzione, poiche' implicitamente, finisce per attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla competenza regionale. II.b) Ancora, l'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una effettiva natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei provvedimenti sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale amministrativo regionale Lazio, comporta indubbia violazione dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di tutela dei propri diritti ed interessi enunciata al primo comma; detta tutela ne risulta minorata, per la evidente maggiore difficolta' di esercitare le relative azioni presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti. Cio' vale sia per la fase transitoria in cui i giudizi pendenti trasmigrano al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sia per le future nuove controversie che secondo la nuova normativa dovrebbero essere ab initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale Anche l'art. 25 della Carta costituzionale risulta vulnerato dalla normativa denunciata dal collegio; e se ne trae conferma da una recente decisione della Corte costituzionale, che, sebbene in relazione a disciplina totalmente diversa, ha avuto modo di affermare un principio generale, che e' quello della appartenenza della competenza territoriale alla nozione del giudice naturale precostituito per legge. Precisamente, la sentenza n. 41 del 2006 afferma, anzi, ribadisce (come testualmente essa si esprime, citando sentenze precedenti in termini), che «alla nozione del giudice naturale precostituito per legge non e' affatto estranea «la ripartizione della competenza territoriale tra giudici, dettata da normativa nel tempo anteriore alla istituzione del giudizio» (sentenze n. 251 del 1986 e n. 410 del 2005)». III) Da ultimo, secondo un aspetto diverso che si riconnette ancora al tema del giudice naturale, la norma in esame viola l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia (legge costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948) a norma del quale: «Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la regione. Le Sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti svolgeranno altresi' le funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e contabile. I magistrati della Corte dei conti sono nominati, di accordo, dai Governi dello Stato e della regione. I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal presidente della regione sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e' stata «interpretata» dall'art. 5 del d.lgs. 6 maggio 1948 n. 654, contenente norme per l'esercizio delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato nella Regione Sicilia, il quale prevede che il Consiglio di Giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e provvedimenti definitivi «dell'amministrazione regionale e delle altre autorita' amministrative aventi sede nel territorio della Regione». Osserva il Collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost. in data 12 marzo 1975, n. 61, dichiarando l'illegittimita' costituzionale delle limitazioni poste dall'art. 40, legge 6 dicembre 1971, n. 1034 alla competenza del Tribunale amministrativo regionale Sicilia, e' stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite tutte le controversie d'interesse regionale considerate tali dall'art. 23, comma 1, d.-l. 15 maggio 1946, n. 455, comprendendosi in tale categoria le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale ovvero concernenti pubblici dipendenti in servizio nella Regione Siciliana» (Consiglio Stato, sez. VI, 26 luglio 1979, n. 595). Quindi la legge n. 21/2006, in esame, e' costituzionalmente illegittima anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23 dello Statuto regionale, sia nella sua formulazione letterale, che nella interpretazione pacifica che di esso ha maturato la giurisprudenza, anche costituzionale, non riserva al Consiglio di Giustizia Amministrativa ed in primo grado al Tribunale amministrativo regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale. IV) Tanto premesso, il Collegio ritiene di dover evidenziare altri profili di incostituzionalita' delle norme in esame, seppur non immediatamente rifluenti sul giudizio in esame, che, in quanto introdotto successivamente alla pubblicazione della legge n. 21/2006, non puo' definirsi, quindi, «pendente» al momento della sua pubblicazione. L'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una effettiva natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei provvedimenti sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale amministrativo regionale Lazio, comporta, come gia' ritenuto, indubbia violazione dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di tutela dei propri diritti ed interessi enunciata al primo comma; detta tutela, come gia' detto, ne risulta minorata per la evidente maggiore difficolta' ed il maggior dispendio anche economico di esercitare le relative azioni presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti. Cio' vale sia per la fase transitoria in cui i giudizi pendenti trasmigrano al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sia per le future nuove controversie che secondo la nuova normativa dovrebbero essere ab initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale La Corte ha ritenuto, in un caso in cui il Legislatore aveva disposto l'estinzione ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma primo, legge n. 425/1984), che siffatta disposizione, in quanto «preclude al giudice la decisione di merito imponendogli di dichiarare d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi stato e grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge sopravvenuta», percio' stesso «viola il valore costituzionale del diritto di agire, in quanto implicante il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte costituzionale, sentenza n. 123 del 1987). Sebbene la fattispecie in esame sia diversa da quella oggetto della citata pronuncia, il principio tuttavia, ad avviso del collegio, e' nello stesso modo applicabile. Accade, infatti, posto che la norma in esame equipara la pendenza del giudizio alla successiva introduzione, che chi abbia gia' un giudizio pendente davanti al Tribunale amministrativo regionale locale, ed addirittura abbia ottenuto una decisione cautelare, debba proseguire altrove nella propria iniziativa giudiziaria, addirittura (se ne parlera' piu' diffusamente infra) rimanendo esposto ad una seconda pronuncia cautelare sollecitata dalla parte soccomnbente davanti al giudice adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione. V) Altro profilo di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre, nella violazione, sotto diverso profilo rispetto a quanto gia' rappresentato, del principio del giudice naturale precostituito per legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale ora citata, stabilendo che «nessuno, puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge», esclude, come la stessa Corte costituzionale afferma, «che vi possa essere una designazione tanto da parte del Legislatore con norme singolari, che deroghino a regole generali, guanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»; il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti, richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002). Come la Corte ha insegnato, perche' tale principio possa considerarsi rispettato occorre che «... la regola di competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta scorrere le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia di principio del giudice naturale per rilevare che e' proprio la preesistenza della regola che individua la competenza rispetto al giudizio il criterio fondamentale in base al quale sono state valutate le questioni sollevate. Tale profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente, ad avviso del collegio, nella parte della disciplina in questione (comma 2-quater), che non solo ne dispone l'applicazione ai processi pendenti, ma addirittura consente una riforma dei provvedimenti assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera di un organo giurisdizionale pariordinato a quelli di provenienza (trattasi di giudici tutti di primo grado, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio non essendo un ª«uper-Tribunale amministrativo regionale»). Cosi' facendo, in sostanza, il Legislatore ha introdotto un rimedio inedito, che non e' di secondo grado e che finisce per costituire un doppione del gia' espletato giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna possibilita' di inquadramento tra i rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione, reclamo). Pertanto, anche l'art. 25 della Carta costituzionale risulta vulnerato dalla normativa denunciata dal collegio. Per altro, atteso che il principio del doppio grado di giudizio nella giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di merito, riceve garanzia costituzionale dall'art. 125 della Carta (cfr. Corte cost., sentenza n. 8 del 1982), si configura un ulteriore profilo di violazione di detta norma. Viene infatti ad essere introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso (su cui gia' il Collegio ha poco prima espresso i propri dubbi di. incostituzionalita) che stravolge l'ordinario iter giudiziario. La regola e' che ad un giudizio di primo grado segua, ove la parte soccombente appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti di giudizio cautelare, sia che si tratti di giudizio di merito; giammai e' prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato a riformare la decisione del primo giudice. Orbene, ad avviso del Collegio, siffatta disciplina integra altresi' violazione del principio del «giusto processo», di cui all'art. 111, comma primo, della medesima Carta («La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge»). Sempre con riferimento ai processi pendenti, infatti, la parte soccombente nel giudizio cautelare verrebbe ad essere fornita di uno strumento giurisdizionale anomalo e atipico a tutela della propria (legittima, ma da esercitare in modi conformi ai principi costituzionali) aspirazione ad ottenere una pronuncia favorevole in secondo grado (che deve tuttavia essere un vero giudizio di secondo grado, e non, si ribadisce, un inedito duplicato del giudizio di primo grado). Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio del ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale principio del «giusto processo» teste' richiamato. VI) Un'ulteriore considerazione appare, infine, opportuna. Come gia' premesso, la possibilita', espressa al comma 4-quater, di riproposizione del ricorso presso il Tribunale amministrativo regionale Lazio a cura della parte interessata introduce un ulteriore elemento di dissonanza nel sistema, segnatamente in disarmonia all'art. 24 Cost., posto che consente un riesame della decisione cautelare presso il Tribunale amministrativo regionale centrale (con espressa possibilita' di modifica) proprio ad iniziativa anche dell'amministrazione e/o del controinteressato. A dette parti processuali, secondo la richiamata norma costituzionale, non e' certamente conferito l'impulso processuale (ma la resistenza a difesa del provvedimento amministrativo), prerogativa esclusiva della parte ricorrente, cui pertiene la tutela del diritto di difesa dei propri interessi e diritti. Il ribaltamento consentito dalla norma sospettata di incostituzionalita', quindi, mentre per un verso introduce un allungamento della serie delle possibili decisioni, in violazione dell'art. 25 Cost., per un altro promuove un non consentito originario impulso processuale da parte degli originari resistenti in giudizio, con pregiudizio, come chiarito, dell'art. 24 Cost. VI) In conclusione, il Collegio ravvisa la rilevanza e la non manifesta infondatezza, per violazione degli artt. 3, 125, 24 e 25 della Costituzione e per contrasto con l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, comma 2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006. Va, pertanto, disposta - ai sensi dell'art. 134 Cost., dell'art. 1 della legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87 - la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, oltre agli ulteriori adempimenti di legge meglio indicati in dispositivo.