IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma
2,  legge  n. 87/1953  sul ricorso n. 2311/2006 proposto da Consorzio
rete  fognante,  rappresentato e difeso da Monforte avv. Giovanni con
domicilio   eletto   in  Messina,  segreteria  presso  Monforte  avv.
Giovanni;
    Contro  Comm.  delegato per emergenza idrica - Presidente Regione
Siciliana,  Commissario ad acta dell'ato 3 di Messina, Presidenza del
Consiglio   dei  Ministri,  Ministero  dell'interno  Ministero  delle
infrastrutture,  Ministero  dei  trasporti, Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio, Ministero dell'economia e delle finanze,
Ministero  delle  politiche agricole, Alimentari e forestali, Agenzia
regionale per i rifiuti e le acque.
    Tutti  rappresentati  e  difesi  da:  Avvocatura dello Stato, con
domicilio eletto in Catania, via Vecchia Ognina n. 149, presso la sua
sede  -  Comune  di  Scaletta  Zanclea  (Messina), Comune di Pagliara
(Messina),  Provincia  regionale  di  Messina,  Autorita'  d'ambito -
A.T.O.  n. 3  di  Messina,  Segreteria  tecnico  operativa A.T.O. 3 -
Messina, e nei confronti di Immordino Giovanni, per l'annullamento:
        decreto  del  Commissario  delegato per l'emergenza idrica in
Sicilia  n. 596  del  4  aprile  2006  (mai  trasmesso  al  Consorzio
ricorrente),  con  il  quale,  in  virtu'  dei  poteri  sostitutivi e
derogatori  previsti  dalle ordinanze n. 3189/2002 e n. 3299/2003, si
nominava  Commissario  presso  l'Autorita'  d'ambito dell'ATO n. 3 di
Messina  l'avv.  Giovanni  Immordino con il compito di provvedere, in
via  sostitutiva  alla  Conferenza dei Sindaci e del Presidente della
Provincia di Messina, al compimento delle procedure per l'affidamento
del  Servizio  idrico  integrato nell'Ambito territoriale ottimale di
Messina  entro  il  30  giugno  2006, attuale scadenza dello stato di
emergenza idrica nel territorio della Regione Siciliana;
        nota  del  Commissario  delegato  per  l'emergenza  idrica in
Sicilia  prot.  n. 10115  del  17  agosto  2005,  (mai  trasmessa  al
Consorzio  ricorrente) con la quale si rappresentava l'inopportunita'
di  intervenire  d'autorita'  nei confronti dei consigli comunali che
non  hanno confermato la scelta dell'Assemblea dei Sindaci dell'ATO 3
di  Messina  di  costituire  una societa' interamente pubblica per la
gestione  del  servizio  idrico integrato, «in considerazione che una
tale  scelta  non  puo'  essere  imposta  (ai  consigli comunali) ne'
surrogata  viste  le  implicazioni  economiche che inevitabilmente ne
discendono,  le quali graverebbero comunque sulla collettivita' delle
singole municipalita';
        diffida  del  Commissario  delegato per l'emergenza idrica in
Sicilia  n. 656 del 20 gennaio 2006, trasmessa all'Autorita' d'ambito
dell'ATO  3 di Messina (e mai trasmessa al Consorzio ricorrente), che
fissava  il  termine  del  31  gennaio 2006 entro cui porre in essere
quanto  necessario per l'affidamento del servizio idrico integrato in
tale ATO;
        deliberazione   del   predetto  Commissario  ad  acta  presso
l'Autorita'  d'ambito  dell'ATO  n. 3  di  Messina  (nominato  con il
predetto  decreto  del  Commissario  delegato  per l'emergenza idrica
n. 596  del  4 aprile 2006) n. 1 del 23 maggio 2006 (mai trasmessa al
Consorzio  ricorrente)  con  la  quale:  si  revocavano le precedenti
deliberazioni della Conferenza d'ambito dell'A.T.O. predetta n. 1 del
9  giugno  2005, nn. 2 e 3 del 24 giugno 2005 e n. 4 del 27 settembre
2005;  si  stabiliva  di  affidare  il  servizio idrico a societa' di
capitali  privata  da individuarsi a seguito di gara europea, secondo
le  modalita'  prescritte  con  il disciplinare di gara, lo schema di
convenzione  di  gestione  e  lo  schema  di disciplinare tecnico; si
approvava  il disciplinare di gara predisposto dal responsabile della
Segreteria  tecnica  operativa, lo schema di convenzione di gestione,
lo  schema di disciplinare tecnico e l'addendum al Piano d'ambito REV
3,  con  i  relativi  allegati,  costituenti parte integrante di tale
deliberazione;  si  dava mandato alla Segreteria tecnica operativa di
porre  in  essere  tutti i provvedimenti conseguenziali connessi alla
attuazione  di  tale deliberazione ed, in particolare, di attivare le
procedure  per  la  pubblicazione  del  disciplinare  di  gara  e dei
relativi  allegati  nel rispetto dei termini prescritti dalla vigente
normativa  e,  comunque,  entro  il 31 maggio 2006; si dava, inoltre,
mandato  alla  Segreteria  tecnica  operativa  di adottare ogni altro
provvedimento connesso alla attuazione di tale deliberazione;
        bando  di  gara  e  disciplinare  di  gara del 24 maggio 2006
(pubblicato  per estratto nella G.U.R.S. 1° giugno 2006, n. 22, Parte
II),  con i quali si indiceva procedura concorsuale avente ad oggetto
la scelta di un soggetto qualificato per il successivo affidamento in
concessione  in  conformita'  ai principi generali dell'art. 20 della
legge  n. 36/1994,  e successivo decreto legislativo n. 152/2006, del
d.m. 22 novembre 2001, e successivo d.m. 2 maggio 2006, e a norma del
decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 158 e dell'art. 113 comma 5-ter,
del  decreto  legislativo  n. 267/2000,  e  successive  modifiche  ed
integrazioni   -   della   gestione  del  servizio  idrico  integrato
(denominato  anche  SII) nell'ATO n. 3 Messina, comprendente i comuni
specificati  nella  convenzione di gestione che regola i rapporti tra
l'Autorita'  d'ambito  ed  il  Gestore  allegata a tale disciplinare,
nonche'  dell'esecuzione diretta dei lavori e servizi connessi per lo
stesso ATO n. 3 Messina;
        le   deliberazioni   della   Conferenza  dei  Sindaci  e  del
Presidente  della Provincia dell'ATO predetta n. 1 del 9 giugno 2005,
n. 2  del  24  giugno  2005,  n. 3  del  24 giugno 2005 e n. 4 del 27
settembre  2005  (mai  trasmesse  al  Consorzio ricorrente), le quali
contengono   l'implicita  determinazione  dell'ATO  predetta  di  non
salvaguardare  la  forma  e la capacita' gestionale di tale esistente
Consorzio  Rete Fognante odierno ricorrente che risponde a criteri di
efficienza, di efficacia e di economicita';
        Ordinanza   del   Ministro   dell'interno,  Delegato  per  il
coordinamento  della  protezione  civile  n. 3189  del  22 marzo 2002
(pubblicata nella G.U.R.I. 5 aprile 2002, n. 80);
        Ordinanza   del   Ministro   dell'interno,  Delegato  per  il
coordinamento  della  protezione  civile  n. 3224  del 28 giugno 2002
(pubblicata nella G.U.R.I. 6 luglio 2002, n. 157);,
        Ordinanza  del  Presidente del Consiglio dei ministri n. 3234
del 26 luglio 2002 (pubblicata nella G.U.R.I. 6 agosto 2002, n. 183);
        Ordinanza  del  Presidente del Consiglio dei ministri n. 3252
del  27  novembre  2002  (pubblicata  nella G.U.R.I. 3 dicembre 2002,
n. 283);
        Ordinanza  del  Presidente del Consiglio dei ministri n. 3299
del 3 luglio 2003 (pubblicata nella G.U.R.I. 11 luglio 2003, n. 159).
    Visto il ricorso introduttivo del giudizio;
    Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
    Vista   la   domanda   di   sospensione   della   esecuzione  del
provvedimento impugnato;
    Visto  l'atto  di costituzione in giudizio dell'Agenzia regionale
per  i  rifiuti  e  le  acque,  Autorita'  d'ambito  - A.T.O. n. 3 di
Messina,  Comm.  delegato  per  emergenza idrica, Presidente regione,
Commissario   ad   acta  dell'A.T.O.  3  di  Messina,  Ministero  dei
trasporti,  Ministero  dell'ambiente  e  della tutela del territorio,
Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  Ministero dell'interno,
Ministero  delle  infrastrutture,  Ministero  delle  risorse agricole
alimentari  e  forestali,  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,
Provincia regionale di Messina, Regione Siciliana, Segreteria tecnico
operativa A.T.O. 3 - Messina.
    Udito nella Camera di consiglio del 14 settembre 2006 il relatore
cons. Pancrazio Maria Savasta;
    Uditi gli avvocati come da verbale;
    Vista la documentazione tutta in atti;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con  deliberazione n. 1 del 9 giugno 2005, la Conferenza d'ambito
dell'ATO  3  Messina revocava la deliberazione n. 1/2004, nella parte
in  cui  si era operata la scelta di affidare il servizio di gestione
in  «concessione  a  terzi»  e  disponeva di affidare la gestione del
servizio  idrico  integrato  dell'ATO n. 3 - Messina a una societa' a
capitale  interamente  pubblico  partecipata da tutti gli enti locali
dell'ATO  n. 3  Messina,  costituita  fra i 108 comuni e la Provincia
regionale  di  Messina  ed  avente  ad  oggetto  la c.d. gestione «in
house».
    La  predetta deliberazione faceva salve le proroghe gia' concesse
al Consorzio ricorrente.
    Con deliberazione n. 2 del 24 giugno 2005, la Conferenza d'ambito
dell'ATO  3  - Messina approvava lo Statuto della societa' per azioni
Messina  Acque  S.p.A.,  da  costituire  quale  soggetto  gestore del
servizio   idrico   integrato,   ed  impegnava  ciascun  ente  locale
convenzionato,  ad  approvarne,  nei rispettivi consigli comunali, lo
statuto.
    Con deliberazione n. 3 del 24 giugno 2005, la Conferenza d'ambito
dell'ATO  3  approvava  lo  schema  di  convenzione  di  servizio tra
Autorita'  e  soggetto  gestore  dell'ATO  n. 3  Messina con relativo
disciplinare  tecnico  ed impegnava ciascun ente locale convenzionato
ad  approvare,  nei rispettivi consigli comunali, la sopra richiamata
convenzione di servizio, in conformita' all'art. 18 della Convenzione
di cooperazione istitutiva dell'Autorita' d'ambito.
    Con  deliberazione  del 27 settembre 2005, la Conferenza d'ambito
dell'ATO  3  -  Messina  riconfermava  la  volonta' di procedere alla
costituzione   della  societa'  per  azioni  a  capitale  interamente
pubblico  per  l'affidamento  della  gestione «in house», nei termini
specificati dalle predette deliberazioni 1, 2, 3 e 4/2005.
    Con decreto n. 596 del 4 aprile 2006, il Presidente della Regione
Siciliana  -  sempre  nella  qualita'  di  Commissario  delegato  per
l'emergenza   idrica   nel   territorio   della   Regione  Siciliana,
avvalendosi  dei  poteri  sostitutivi  e  derogatori  previsti  dalle
Ordinanze  n. 3189/2002  e  n. 3299/2003,  incaricava l'avv. Giovanni
Immordino di recarsi presso l'Autorita' d'ambito dell'ATO 3 - Messina
con il compito di provvedere, in via sostitutiva della Conferenza dei
Sindaci  e  del  Presidente della Provincia di Messina, al compimento
delle  procedure  per  l'affidamento  del  servizio  idrico integrato
nell'Ambito Territoriale Ottimale di Messina.
    Indi,  il  Commissario  ad acta nominato riteneva di scegliere la
«concessione  a  terzi» fra le possibili diverse forme di affidamento
del  Servizio  idrico  integrato  ed, inoltre, revocava le precedenti
delibere  n. 1/2005,  n. 2/2005, n. 3/2005 e n. 4/2005 adottate dalla
conferenza d'Ambito dell'ATO 3 di Messina, scegliendo, quale forma di
gestione, la concessione a terzi.
    A  tal fine, con bando e disciplinare di gara del 23 maggio 2006,
indiceva  una  selezione  ad evidenza pubblica per assegnare la detta
concessione per un periodo trentennale, senza escludere dalla gara il
territorio dei comuni interesati dall'attivita' del Consorzio.
    Con il ricorso in epigrafe, quest'ultimo ha impugnato detti atti.
    Costituitasi  per  le  amministrazioni  indicate  in epigrafe, la
Difesa  erariale  ha concluso per l'incompetenza funzionale di questo
Tribunale  a  favore  del  Tribunale amministrativo regionale Lazio -
Roma   e,  comunque,  per  l'inammissibilita'  e  l'infondatezza  del
ricorso.
    Alla  Camera  di  consiglio  del  14  settembre 2006, la causa e'
passata in decisione per la fase cautelare.

                            D i r i t t o

    Come  chiarito  in  punto di fatto, l'asserito pregiudizio per il
Consorzio ricorrente deriva dal decreto n. 596 del 4 aprile 2006, con
il  quale  il  Presidente  della Regione Siciliana, nella qualita' di
Commissario  delegato  per  l'emergenza  idrica  nel territorio della
Regione  Siciliana,  avvalendosi  dei poteri sostitutivi e derogatori
previsti  dalle  ordinanze n. 3189/2002 e n. 3299/2003, ha incaricato
l'avv. Giovanni  Immordino  di  recarsi  presso  l'Autorita' d'ambito
dell'ATO 3 - Messina con il compito di provvedere, in via sostitutiva
della  Conferenza  dei  Sindaci  e  del Presidente della Provincia di
Messina, al compimento delle procedure per l'affidamento del servizio
idrico integrato nell'Ambito Territoriale Ottimale di Messina.
    Lamenta,    inoltre,   il   ricorrente   l'illegittimita'   della
consequenziale  attivita' amministrativa del commissario delegato dal
presidente  della  regione,  nella  predetta  qualita', asseritamente
pregiudizievole  della  possibilita' di continuare lo svolgimento del
servizio nei comuni di interesse.
    I.   Pertanto,  il  Collegio  deve  affrontare  la  pregiudiziale
questione   relativa   alla  competenza  inderogabile  del  Tribunale
amministrativo regionale del Lazio a conoscere della vicenda.
    Tale  competenza  sorge per effetto della norma di cui alla legge
n. 21/2006, pubbl. nella Gazzeta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio 2006,
che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone: omissis ... «2-bis.
In  tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5,
comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, la competenza di primo
grado  a  conoscere della legittimita' delle ordinanze adottate e dei
conseguenziali  provvedimenti  commissariali spetta in via esclusiva,
anche   per   l'emanazione   di   misure   cautelari,   al  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio,  con  sede  in Roma. 2-ter. Le
questioni  di cui al comma 2-bis, sono rilevate d'ufficio. Davanti al
giudice   amministrativo   il   giudizio  e'  definito  con  sentenza
succintamente  motivata ai sensi dell'art. 26, della legge 6 dicembre
1971,  n. 1034,  e  successive modificazioni, trovando applicazione i
commi  2 e seguenti dell'art. 23-bis della stessa legge. 2-quater. Le
norme di cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano anche ai processi in
corso.  L'efficacia  delle misure cautelari adottate da un tribuna.Le
amministrativo  diverso  da quello di cui al comma 2-bis permane fino
alla  loro  modifica  o  revoca da parte del Tribunale amministrativo
regionale  del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata puo'
riproporre il ricorso».
    Osserva  il  Collegio  che  la  fattispecie  in esame e' attratta
nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3, in quanto il
presidente  della  regione ha agito in qualita' commissario delegato,
regolando  una  fattispecie rientrante nel novero delle situazioni di
emergenza  dichiarate  ai  sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24
febbraio  1992,  n. 225,  cosi' come emerge dall'espresso richiamo di
detta  disposizione  nel  preambolo  del  decreto n. 596 del 4 aprile
2006.
    Il  Collegio,  pertanto,  ritenendola  rilevante  ai  fini  della
decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti
al  Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  e non manifestamente
infondata,  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
predetto  art. 3,  e  segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni
bis,  ter,  quater,  come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come
gia'  fatto  in  ordine  ad altra fattispecie per la cui decisione e'
venuta   in  rilievo  la  medesima  norma  (Tribunale  amministrativo
regionale  Catania,  I,  ord.  n. 90  del  7  marzo  2006)  e per una
ulteriore   questione,   invece,   pressocche'   identica  (Tribunale
amministrativo  regionale  Catania,  ord.  n. 145 del 4 aprile 2006 -
cfr., altresi', C.G.A. per la Sicilia, Ordd. nn. 235 e 236/2006).
    I.  La  rilevanza  della  questione  ai  fini  della decisione da
assumere e' di tutta evidenza. Il Collegio sarebbe tenuto, sulla base
della  normativa espressa dalla richiamata legge n. 21/2006 - ove non
dubitasse  della  incostituzionalita'  di essa e quindi non ritenesse
necessario  investire il giudice delle leggi della relativa questione
-  a trasmettere gli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio
e  cio'  per  espressa  disposizione  della  nuova  disciplina che ne
prescrive l'applicazione.
    In  sostanza  non  potrebbe  questo  Giudicante  adottare  alcuna
decisione,  neanche  sulla correttezza della procedura ed in punto di
ammissibilita'  del  ricorso,  in  quanto  ostacolato  dalla puntuale
disposizione  che  stabilisce  la competenza funzionale del Tribunale
amministrativo  regionale  Lazio,  ogniqualvolta  si tratti, come nel
caso di specie, di gravaini volti a censurare provvedimenti afferenti
situazioni  di  emergenza  dichiarate ai sensi dell'art. 5, commna 1,
della legge 24 febbraio 1992, n. 225.
    Non  vale  a  mutare  la superiore considerazione il fatto che il
giudizio sia stato chiamato ad essere trattato in Camera di consiglio
per  la sua sola domanda cautelare, posto che la chiara dizione delle
disposizioni  in  esame  non  lascia adito a dubbi e, per effetto del
combinato  disposto  di  cui agli artt. 21 e 26 della legge T.a.r ivi
richiamato,  in sede della trattazione cautelare il Collegio dovrebbe
con   sentenza   breve   dichiarare   la   competenza  del  Tribunale
amministrativo  regionale  Lazio  e  concludere il giudizio, salva la
riassunzione  di  esso  a  cura  delle  parti  di fronte al Tribunale
amministrativo regionale competente, normativamente prevista.
    II)  Circa  la  non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno
sospettare  le  norme  in  esame  di  incostituzionalita', osserva il
collegio  che  la  normativa introdotta dal Legislatore con l'art. 3,
comma   2,  da  bis  a  quater,  della  legge  n. 21/2006,  contrasta
innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il
principio  della articolazione su base regionale degli organi statali
di  giustizia  amministrativa  di  primo  grado  ivi espressa («Nella
Regione  sono  istituiti  organi di giustizia amministrativa di primo
grado,  secondo  l'ordinamento  stabilito da legge della Repubblica»)
che  implica  il  rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di
competenza dei singoli organi predetti.
    Non  appaiono,  all'evidenza,  manifeste  o  comunque sufficienti
ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera
di  competenze  costituzionalmente  garantita  nella  materia  di cui
trattasi  quando,  come  nel  caso in esame, le singole situazioni di
emergenza   hanno   rilievo   spiccatamente  locale  con  conseguente
efficacia  locale  dei  relativi  provvedimenti adottati dai soggetti
delegati  alla  cura  delle  varie  situazioni emergenziali, anche se
(arg. ex art. 2, comma 1 lett. c) della legge n. 225/1992, richiamato
dall'art. 5 comma 1, lett. cit.) essi sono adottati per fare fronte a
situazioni   che   «per   intensita'  ed  estensione  debbono  essere
fronteggiate con mezzi e poteri straordinari».
    II.a)   Anzi,   sotto   questo  aspetto,  la  norma  e'  altresi'
contraddittoria  ed  irrazionale  in  quanto  sottopone  al  medesimo
trattamento  processuale  situazioni  disparate  e  differenti tra di
loro.
    In questo quadro, l'art. 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992,
n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione
normativa,  i  casi  in  cui (ex art. 2 comma 1, lett. o) della legge
n. 225/1992)   sia   necessario   fare  fronte  con  mezzi  e  poteri
straordinari  alle  calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi
che  richiedano  tale  intervento  per  intensita'  ed estensione. La
previsione  di  cui  alla  legge  n. 21/2006 radica la competenza del
Tribunale  amministrativo  regionale Lazio in tutti i casi in cui sia
dichiarato  lo  stato  di  emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5
appena  citato  e  quindi  con  esclusione  dei casi di intervento di
protezione  civile  per  gli  eventi  che  possano  essere affrontati
mediante  interventi  attuabili  dai  singoli  enti e amministrazioni
competenti  in  via  ordinaria  (art. 2,  lett.  a)  e  di quelli che
richiedano intervento coordinato di questi ultimi (art. 2, lett. b).
    Quindi,  il sistema della protezione civile e' articolato in vari
livelli  di  intervento,  contraddistinti dal corrispondente grado di
ampiezza  della  situazione  emergenziale.  Ne  deriva  che  per ogni
tipologia  territoriale e «qualitativa» della situazione di emergenza
e'  chiamato  ad  intervenire  in merito il «livello» di governo piu'
vicino  alla  concreta  dimensione  delle  comunita'  colpite e della
natura dell'emergenza, secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e
senza  escludere  -  funzionalmente e residualmente - che determinate
funzioni  siano «trasversali» ossia comprendano le competenze di piu'
amministrazioni o livelli di governo.
    A  fronte  di  questa  multiformita'  possibile di manifestazioni
concrete   dell'esercizio   del   potere,   la   regola  generale  di
ripartizione  delle  competenze  delineata  dagli artt. 2 e ss. della
legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente
con  l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della
legge  n. 21/2006, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex
lege   rilevanza   nazionale   a   qualsiasi   controversia   insorga
nell'esercizio  del  potere  di  protezione civile, facendo leva solo
sulla  necessita'  che  esso presupponga l'intervento extra ordinem e
quindi  a dispetto dell'articolazione del potere previsto dalla legge
n. 225/1992,   posto   che   assegna  in  maniera  indiscriminata  la
competenza   funzionale  a  conoscere  delle  relative  questioni  al
Tribunale amministrativo regionale Lazio.
    In  altri  termini,  con  la  norma in esame, il Legislatore, sul
semplice  presupposto  della  necessita'  di interventi di protezione
civile  extra  ordinem,  pare abbia cristallizzato una valutazione di
rilevanza nazionale degli stessi, a prescindere, come sembra apparire
nel   caso  di  specie,  dalla  loro  eventuale  incidenza  meramente
periferica.
    Appare  utile  rilevare,  in  questa sede, come la giurisprudenza
della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che:
        con  l'art.  5  della  legge n. 225 del 1992 e' attribuito al
Consiglio  dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza
in ipotesi di calamita' naturali, ed a seguito della dichiaraziobe di
emergenza,  e  per  fare  fronte  ad  essa,  lo stesso Presidente del
Consiglio  dei  ministri  o,  su sua delega, il Ministro dell'interno
possano  adottare  ordinanze  in deroga ad ogni disposizione vigente,
nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico;
        l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo
31   marzo   1998,   n. 112   (Conferimento  di  funzioni  e  compiti
amministrativi  dello  Stato  alle  regioni  ed  agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta,
chiarisce  che  tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che
il   riconoscimento   di   poteri  straordinari  e  derogatori  della
legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale;
        queste  ultime  due  previsioni,  inoltre,  sono  gia'  state
ritenute  dalla  Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come
espressive   di   un   principio  fondamentale  della  materia  della
protezione  civile,  sicche'  deve  ritenersi  che esse delimitino il
potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze
legislative  delineato  dalla  legge  costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione).
    Alla  luce  di  quanto  sopra  ricordato,  la Corte ha dichiarato
illegittimo  l'art.  4,  comma  4, della legge della Regione Campania
n. 8  del  2004, nella misura in cui essa ha attribuito al Sindaco di
Napoli  i  poteri  commissariali  dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del
Ministro  dell'interno,  dopo  la  scadenza  della emergenza alla cui
soluzione  tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto con
l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. n. 82/2006).
    Tale   ragionamento   comporta   che,  in  relazione  alla  legge
n. 225/1992  ed  all'art. 107,  comnma  1,  lettere  b)  e  c) d.lgs.
n. 112/1998,  possiedono  rilievo  nazionale «solamente» il potere di
dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure
ad   esso  finalisticamente  connesso,  di  derogare  a  norme  dell'
ordinamento.
    Ne  consegue  dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame
e'  irragionevole  per contraddittorieta' e disparita' di trattamento
processuale,  poiche'  utilizza  lo stesso trattamento per situazioni
del  tutto  differenti  quanto  ad  ambito  territoriale  e livello e
qualita'  degli  interessi  pubblici coinvolti, nonche' per contrasto
con  l'art. 117  della  Costituzione, poiche' implicitamente, finisce
per  attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla
competenza regionale.
    II.b)    Ancora,   l'aggravio   della   tutela   giurisdizionale,
soprattutto  ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una
effettiva  natura  accentrata  (o  dall'efficacia  estesa  a tutto il
territorio)   dei   provvedimenti   sui  quali  deve  esercitarsi  la
cognizione  del  Tribunale  amministrativo  regionale Lazio, comporta
indubbia  violazione  dell'art. 24 della Costituzione, in particolare
della   possibilita'  di  tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi
enunciata  al  primo  comma; detta tutela ne risulta minorata, per la
evidente maggiore difficolta' di esercitare le relative azioni presso
il  Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso
gli organi giurisdizionali localmente istituiti. Cio' vale sia per la
fase  transitoria  in cui i giudizi pendenti trasmigrano al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio,  sia  per  le  future  nuove
controversie  che  secondo  la  nuova  normativa dovrebbero essere ab
initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale
    Anche  l'art. 25  della  Carta  costituzionale  risulta vulnerato
dalla normativa denunciata dal collegio; e se ne trae conferma da una
recente   decisione  della  Corte  costituzionale,  che,  sebbene  in
relazione a disciplina totalmente diversa, ha avuto modo di affermare
un  principio  generale,  che  e'  quello  della  appartenenza  della
competenza   territoriale   alla   nozione   del   giudice   naturale
precostituito  per  legge.  Precisamente,  la sentenza n. 41 del 2006
afferma,  anzi, ribadisce (come testualmente essa si esprime, citando
sentenze  precedenti  in  termini),  che  «alla  nozione  del giudice
naturale   precostituito  per  legge  non  e'  affatto  estranea  «la
ripartizione  della  competenza  territoriale tra giudici, dettata da
normativa   nel   tempo  anteriore  alla  istituzione  del  giudizio»
(sentenze n. 251 del 1986 e n. 410 del 2005)».
    III)  Da  ultimo,  secondo  un  aspetto diverso che si riconnette
ancora  al  tema  del  giudice  naturale,  la  norma  in  esame viola
l'art. 23  dello  Statuto della Regione Sicilia (legge costituzionale
n. 2   del   26  febbraio  1948)  a  norma  del  quale:  «Gli  organi
giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per
gli  affari concernenti la regione. Le Sezioni del Consiglio di Stato
e   della   Corte   dei   conti  svolgeranno  altresi'  le  funzioni,
rispettivamente,   consultive   e   di   controllo  amministrativo  e
contabile.  I  magistrati  della  Corte  dei  conti sono nominati, di
accordo,   dai  Governi  dello  Stato  e  della  regione.  I  ricorsi
amministrativi,   avanzati   in   linea   straordinaria  contro  atti
amministrativi regionali, saranno decisi dal presidente della regione
sentite  le  Sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e'
stata  «interpretata»  dall'art. 5  del  d.lgs. 6 maggio 1948 n. 654,
contenente   norme   per  l'esercizio  delle  funzioni  spettanti  al
Consiglio  di  Stato  nella  Regione Sicilia, il quale prevede che il
Consiglio  di Giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge
al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e
provvedimenti  definitivi  «dell'amministrazione  regionale  e  delle
altre  autorita'  amministrative  aventi  sede  nel  territorio della
Regione».
    Osserva  il  Collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost.
in   data   12   marzo   1975,  n. 61,  dichiarando  l'illegittimita'
costituzionale delle limitazioni poste dall'art. 40, legge 6 dicembre
1971,  n. 1034 alla competenza del Tribunale amministrativo regionale
Sicilia,  e'  stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite
tutte   le   controversie   d'interesse  regionale  considerate  tali
dall'art. 23,  comma  1, d.-l. 15 maggio 1946, n. 455, comprendendosi
in  tale  categoria  le  controversie  sorte  da impugnazione di atti
amministrativi  di  autorita'  centrali  aventi  effetti  limitati al
territorio   regionale  ovvero  concernenti  pubblici  dipendenti  in
servizio  nella  Regione  Siciliana»  (Consiglio  Stato,  sez. VI, 26
luglio  1979,  n. 595).  Quindi  la  legge  n. 21/2006,  in esame, e'
costituzionalmente  illegittima  anche  nella  sua  parte  in cui, in
violazione  dell'art. 23  dello  Statuto  regionale,  sia  nella  sua
formulazione  letterale,  che  nella  interpretazione pacifica che di
esso ha maturato la giurisprudenza, anche costituzionale, non riserva
al  Consiglio  di  Giustizia  Amministrativa  ed  in  primo  grado al
Tribunale amministrativo regionale Sicilia, la competenza a conoscere
circa le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di
autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale.
    IV)  Tanto  premesso,  il  Collegio  ritiene di dover evidenziare
altri profili di incostituzionalita' delle norme in esame, seppur non
immediatamente  rifluenti  sul  giudizio  in  esame,  che,  in quanto
introdotto successivamente alla pubblicazione della legge n. 21/2006,
non   puo'   definirsi,  quindi,  «pendente»  al  momento  della  sua
pubblicazione.  L'aggravio  della tutela giurisdizionale, soprattutto
ove,  come  nella  specie, esso non sia giustificato da una effettiva
natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei
provvedimenti  sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale
amministrativo   regionale   Lazio,  comporta,  come  gia'  ritenuto,
indubbia  violazione  dell'art. 24 della Costituzione, in particolare
della   possibilita'  di  tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi
enunciata  al  primo comma; detta tutela, come gia' detto, ne risulta
minorata per la evidente maggiore difficolta' ed il maggior dispendio
anche  economico di esercitare le relative azioni presso il Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio piuttosto che presso gli organi
giurisdizionali  localmente  istituiti.  Cio'  vale  sia  per la fase
transitoria  in  cui  i  giudizi  pendenti  trasmigrano  al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio,  sia  per  le  future  nuove
controversie  che  secondo  la  nuova  normativa dovrebbero essere ab
initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale
    La  Corte  ha  ritenuto,  in  un caso in cui il Legislatore aveva
disposto  l'estinzione  ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma
primo,  legge  n. 425/1984),  che  siffatta  disposizione,  in quanto
«preclude   al   giudice  la  decisione  di  merito  imponendogli  di
dichiarare  d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi
stato  e  grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge
sopravvenuta»,  percio'  stesso  «viola  il valore costituzionale del
diritto  di  agire,  in quanto implicante il diritto del cittadino ad
ottenere  una  decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte
costituzionale, sentenza n. 123 del 1987).
    Sebbene  la  fattispecie  in  esame sia diversa da quella oggetto
della   citata  pronuncia,  il  principio  tuttavia,  ad  avviso  del
collegio,  e'  nello  stesso modo applicabile. Accade, infatti, posto
che  la  norma  in  esame  equipara  la  pendenza  del  giudizio alla
successiva  introduzione,  che  chi  abbia  gia' un giudizio pendente
davanti  al Tribunale amministrativo regionale locale, ed addirittura
abbia  ottenuto  una  decisione  cautelare,  debba proseguire altrove
nella  propria  iniziativa  giudiziaria,  addirittura (se ne parlera'
piu'  diffusamente  infra) rimanendo esposto ad una seconda pronuncia
cautelare  sollecitata  dalla  parte  soccomnbente davanti al giudice
adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione.
    V)  Altro  profilo  di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre,
nella  violazione,  sotto  diverso  profilo  rispetto  a  quanto gia'
rappresentato,  del  principio del giudice naturale precostituito per
legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale
ora citata, stabilendo che «nessuno, puo' essere distolto dal giudice
naturale  precostituito  per  legge»,  esclude,  come la stessa Corte
costituzionale  afferma,  «che vi possa essere una designazione tanto
da  parte del Legislatore con norme singolari, che deroghino a regole
generali,  guanto  da  altri  soggetti,  dopo che la controversia sia
insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»;
il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti,
richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002). Come la Corte
ha  insegnato,  perche'  tale principio possa considerarsi rispettato
occorre  che  «...  la  regola  di competenza sia prefissata rispetto
all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta
scorrere  le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia
di  principio  del  giudice  naturale  per rilevare che e' proprio la
preesistenza  della  regola  che  individua la competenza rispetto al
giudizio  il  criterio  fondamentale  in  base  al  quale  sono state
valutate le questioni sollevate.
    Tale  profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente,
ad  avviso  del  collegio,  nella parte della disciplina in questione
(comma  2-quater), che non solo ne dispone l'applicazione ai processi
pendenti,  ma  addirittura  consente  una  riforma  dei provvedimenti
assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera
di  un  organo  giurisdizionale  pariordinato a quelli di provenienza
(trattasi   di   giudici   tutti   di   primo   grado,  il  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio non essendo un ª«uper-Tribunale
amministrativo   regionale»).   Cosi'   facendo,   in   sostanza,  il
Legislatore  ha  introdotto un rimedio inedito, che non e' di secondo
grado  e  che  finisce  per costituire un doppione del gia' espletato
giudizio  (cautelare)  di  primo  grado, senza alcuna possibilita' di
inquadramento  tra  i  rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione,
reclamo).   Pertanto,  anche  l'art. 25  della  Carta  costituzionale
risulta vulnerato dalla normativa denunciata dal collegio. Per altro,
atteso  che il principio del doppio grado di giudizio nella giustizia
amministrativa,  sia  in sede cautelare sia in sede di merito, riceve
garanzia  costituzionale dall'art. 125 della Carta (cfr. Corte cost.,
sentenza  n. 8  del  1982),  si  configura  un  ulteriore  profilo di
violazione di detta norma. Viene infatti ad essere introdotto, per le
controversie  pendenti,  un anomalo percorso (su cui gia' il Collegio
ha  poco  prima  espresso  i propri dubbi di. incostituzionalita) che
stravolge l'ordinario iter giudiziario.
    La  regola  e'  che  ad  un giudizio di primo grado segua, ove la
parte  soccombente  appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si
tratti  di  giudizio  cautelare,  sia  che  si  tratti di giudizio di
merito; giammai e' prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia
da  parte  di  due  diversi  giudici  di  primo  grado, uno dei quali
abilitato  a  riformare  la  decisione  del primo giudice. Orbene, ad
avviso  del Collegio, siffatta disciplina integra altresi' violazione
del  principio  del  «giusto  processo»,  di  cui all'art. 111, comma
primo,  della  medesima Carta («La giurisdizione si attua mediante il
giusto  processo  regolato  dalla  legge»). Sempre con riferimento ai
processi   pendenti,  infatti,  la  parte  soccombente  nel  giudizio
cautelare verrebbe ad essere fornita di uno strumento giurisdizionale
anomalo e atipico a tutela della propria (legittima, ma da esercitare
in  modi conformi ai principi costituzionali) aspirazione ad ottenere
una  pronuncia  favorevole in secondo grado (che deve tuttavia essere
un  vero  giudizio  di secondo grado, e non, si ribadisce, un inedito
duplicato del giudizio di primo grado).
    Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio
del  ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla
Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale
principio del «giusto processo» teste' richiamato.
    VI) Un'ulteriore considerazione appare, infine, opportuna.
    Come  gia' premesso, la possibilita', espressa al comma 4-quater,
di  riproposizione  del  ricorso  presso  il Tribunale amministrativo
regionale Lazio a cura della parte interessata introduce un ulteriore
elemento  di  dissonanza  nel  sistema,  segnatamente  in  disarmonia
all'art. 24  Cost.,  posto  che  consente  un riesame della decisione
cautelare  presso il Tribunale amministrativo regionale centrale (con
espressa  possibilita'  di  modifica)  proprio  ad  iniziativa  anche
dell'amministrazione   e/o   del  controinteressato.  A  dette  parti
processuali,  secondo  la  richiamata  norma  costituzionale,  non e'
certamente conferito l'impulso processuale (ma la resistenza a difesa
del  provvedimento amministrativo), prerogativa esclusiva della parte
ricorrente,  cui  pertiene la tutela del diritto di difesa dei propri
interessi   e   diritti.   Il  ribaltamento  consentito  dalla  norma
sospettata  di  incostituzionalita',  quindi,  mentre  per  un  verso
introduce  un  allungamento della serie delle possibili decisioni, in
violazione   dell'art. 25   Cost.,  per  un  altro  promuove  un  non
consentito  originario  impulso  processuale da parte degli originari
resistenti  in giudizio, con pregiudizio, come chiarito, dell'art. 24
Cost.
    VI)  In  conclusione,  il  Collegio ravvisa la rilevanza e la non
manifesta  infondatezza,  per  violazione degli artt. 3, 125, 24 e 25
della  Costituzione e per contrasto con l'art. 23 dello Statuto della
Regione  Sicilia,  della  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 3,   comma   2-bis,  comma  2-ter,  comma  2-quater,  legge
n. 21/2006.
    Va,   pertanto,   disposta   -   ai  sensi  dell'art. 134  Cost.,
dell'art. 1  della  legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23,
legge  11 marzo  1953, n. 87 - la sospensione del presente giudizio e
la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte costituzionale, oltre agli
ulteriori adempimenti di legge meglio indicati in dispositivo.