IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma
2,  legge n. 87/1953 sulla domanda di sospensione dell'esecuzione del
provvedimento  che  e'  stato impugnato - in via giurisdizonale - col
ricorso  n. 2272/2006  proposto da: Azienda Meridionale Acque Messina
(AMAM)  S.p.A.,  rappresentata  e difesa da Curro' avv. Antonello con
domicilio eletto in Catania, via L. Rizzo n. 29 presso Giannitto avv.
Nino;
    Contro  Ufficio Commissario delegato emergenza idrica in Sicilia,
Presidenza   del  Consiglio  dei  ministri,  Ministero  dell'interno,
Ministero  dell'ambiente  e della tutela del territorio, Autorita' di
vigilanza   su   risorse   idriche   e  rifiuti,  Regione  Siciliana,
Assessorato  regionale  enti locali, tutti rappresentati e difesi da:
Avvocatura  dello  Stato con domicilio eletto in Catania, via Vecchia
Ognina  n. 149,  presso la sua sede; Autorita' d'Ambito - A.T.O. n. 3
di  Messina, Commissario ad acta dell'A.T.O. 3 di Messina, Segreteria
tecnico-operativa  A.T.O. 3 di Messina, Immordino Giovanni N.Q. e nei
confronti  di  Provincia regionale di Messina, Comune di Messina, per
l'annullamento:
        del disciplinare di gara (il bando di gara) per l'affidamento
in  concessione  a  terzi  del  servizio idrico integrato nell'ambito
territoriale   ottimale   di  Messina  pubblicato  nella  G.U.  delle
Comunita' europee e su Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana -
Parte II - n. 126 del 1° giugno 2006;
        della  deliberazione  n. 1  del  23  maggio 2006 adottata dal
Commissario  dell'Autorita'  d'ambito  A.T.O.  n. 3  di Messina, avv.
Giovanni Immordino, non comunicata ne' notificata alla deducente, con
cui:  a)  e'  stata disposta la revoca delle delibere nn. 1, 2, 3, 4,
dell'anno  2005  adottate  dalla  Conferenza  d'ambito A.T.O. n. 3 di
Messina;  b)  e'  stato  deliberato  di  affidare  il servizio idrico
integrato a societa' di capitali privata da individuarsi a seguito di
gara  pubblica;  c)  e'  stato  approvato  il  disciplinare  di  gara
predisposto  dalla  S.T.O.,  lo schema di convenzione di gestione, lo
schema  di disciplinare tecnico e l'addendum al Piano d'Ambito REV 3,
con  i relativi allegati, costituenti parte integrante della delibera
stessa;
        dei relativi allegati (ed allegati agli allegati) al predetto
disciplinare,  pubblicati  in  pari  data  unitamente  al  bando  (v.
art. 7), e secorido le medesime modalita', e cioe':
          a)   La   Convenzione  di  Cooperazione  ex  art. 9,  legge
n. 36/1994 e legge regionale n. 10/1999;
          b)  Lo  Schema  di  convenzione  di  gestione, con relativo
Disciplinare tecnico, completo di tutti i relativi allegati;
          c)   Il   Piano   d'Ambito,  con  annesso  programma  degli
interventi predisposto dall'Autorita' d'Ambito;
          d)  L'addendum  al  PDA  REV  3  predisposto dall'Autorita'
d'Ambito  integrante  e  costituente  la  base per la predisposizione
dell'offerte;
          e)  l'Accordo  di  Programma  Quadro  (A.P.Q) «Tutela delle
acque  e  gestione  integrata delle risorse idriche» stipulato tra la
Regione ed i Ministeri interessati;
          f)  il P.O.T. 1 adottato dall'Autorita' d'Ambito di Messina
e costituente la base per la predisposizione dell'offerta;
          g) l'A.P.Q. nel testo coordinato ed integrato stipulato tra
la  regione ed i Ministeri interessati il 21 marzo 2005 contenente le
tipologie d'interventi del P.O.T. 2005-2007;
        degli atti presupposti ed istruttori non conosciuti e sottesi
alla   predetta   delibera  n. 1  del  23 maggio  2006  adottata  dal
Commissario dell'A.T.O. n. 3 di Messina;
        degli  atti  presupposti,  tra  cui  il  decreto n. 596 del 4
aprile 2006 adottato dal Commissario delegato per l'Emergenza idrica,
dott.  Cuffaro,  non  pubblicato  su  G.U.R.S.,  ne'  comunicato, ne'
notificato,  con  cui  e'  stato  nominato l'avv. Giovanni Immordino,
quale  Commissario  al fine di provvedere in via sostituiva alla c.d.
Conferenza  d'Ambito  dell'A.T.O.  n. 3  di Messina per il compimento
delle  procedure  per  l'affidamento  del  servizio  idrico integrato
nell'A.T.O.  n. 3  di  Messina  entro  il 30 giugno 2006, nonche' del
relativo   e   sottostante   verbale   d'insediamento   del  predetto
Commissario (non conosciuto in ordine alla data ed al contenuto) e di
tutti gli atti sottesi ed istruttori non conosciuti;
        dei  decreti  del  Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio  del  2 maggio 2006 (attuativo del d.lgs. 3 aprile 2006 e,
in particolare, dell'art. 150 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del
17 maggio 2006, n. 113) e del d.m. n. 18511 del 22 novembre 2001;
        della  nota  n. 656  del  20  gennaio  2006  del  Commissario
delegato per l'emergenza idrica inviata all'A.T.O. n. 3 di Messina in
data 24 gennaio 2006;
        di   tutti   gli   altri   atti   presupposti,  connessi  e/o
consequenziali  ai  predetti  (nonche'  eventuali  schemi del bando e
degli  allegati  allo stesso), allo stato non conosciuti lesivi degli
interessi della ricorrente.
    Visto il ricorso introduttivo del giudizio;
    Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
    Vista   la   domanda   di   sospensione   della   esecuzione  del
provvedimento impugnato;
    Visto  l'atto di costituzione in giudizio delle parti indicate in
epigrafe;
    Udito nella Camera di consiglio del 14 settembre 2006 il relatore
cons. Pancrazio Maria Savasta;
    Uditi gli avvocati come da verbale;
    Vista la documentazione tutta in atti;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con decreto n. 596 del 4 aprile 2006, il Presidente della Regione
Siciliana,  nella  qualita'  di  Commissario delegato per l'emergenza
idrica nel territorio della Regione Siciliana, avvalendosi dei poteri
sostitutivi  e  derogatori  previsti  dalle  ordinanze n. 3189/2002 e
n. 3299/2003,  incaricava l'avv. Giovanni Immordino di recarsi presso
l'Autorita'  d'Ambito  dell'A.T.O.  3  -  Messina  con  il compito di
provvedere,  in  via  sostitutiva  della Conferenza dei sindaci e del
Presidente  della Provincia di Messina, al compimento delle procedure
per   l'affidamento   del   servizio   idrico  integrato  nell'Ambito
Territoriale Ottimale di Messina.
    Con  deliberazione  n. 1 del 23 maggio 2006 adottata dal nominato
Commissario  dell'Autorita'  d'Ambito  A.T.O.  n. 3  di Messina, avv.
Giovanni Immordino, e' stata disposta la revoca delle delibere nn. 1,
2,  3,  4,  dell'anno  2005 adottate dalla Conferenza d'Ambito A.T.O.
n. 3  di  Messina; e' stato deliberato di affidare il servizio idrico
integrato a societa' di capitali privata da individuarsi a seguito di
gara pubblica; e' stato approvato il disciplinare di gara predisposto
dalla  S.T.O.,  lo  schema  di  convenzione di gestione, lo schema di
disciplinare  tecnico  e  l'addendum  al  Piano d'Ambito REV 3, con i
relativi   allegati,  costituenti  parte  integrante  della  delibera
stessa.
    Con il ricorso in epigrafe, la ricorrente titolare della gestione
del   servizio   idrico   nel  comune  di  Messina,  a  tutela  della
continuazione  dello  svolgimento  della detta attivita' di interesse
pubblico, ha impugnato i predetti provvedimenti.
    Costituitasi  per  le  amministrazioni  indicate  in epigrafe, la
Difesa  erariale  ha concluso per l'incompetenza funzionale di questo
Tribunale  a  favore  del  Tribunale amministrativo regionale Lazio -
Roma.
    Alla  Camera  di  consiglio  del  14  settembre 2006, la causa e'
passata in decisione per la fase cautelare.

                            D i r i t t o

    Come  chiarito  in  punto di fatto, l'asserito pregiudizio per la
societa'  ricorrente deriva dal decreto n. 596 del 4 aprile 2006, con
il  quale  il  Presidente  della Regione Siciliana, nella qualita' di
Commissario  delegato  per  l'emergenza  idrica  nel territorio della
Regione  Siciliana,  avvalendosi  dei poteri sostitutivi e derogatori
previsti  dalle  Ordinanze n. 3189/2002 e n. 3299/2003, ha incaricato
l'avv. Giovanni  Immordino  di  recarsi  presso  l'Autorita' d'Ambito
dell'A.T.O.  3  -  Messina  con  il  compito  di  provvedere,  in via
sostitutiva  della  Conferenza  dei  Sindaci  e  del Presidente della
Provincia di Messina, al compimento delle procedure per l'affidamento
del  servizio  idrico  integrato nell'Ambito Territoriale Ottimale di
Messina.
    Lamenta,    inoltre,   la   ricorrente   l'illegittimita'   della
consequenziale  attivita' amministrativa del commissario delegato dal
Presidente  della  Regione,  nella  predetta  qualita', asseritamente
pregiudizievole  della  possibilita' di continuare lo svolgimento del
servizio idrico nel comune di Messina.
    I)    Pertanto,  il  Collegio  deve  esaminare  la  pregiudiziale
questione   relativa   alla  competenza  inderogabile  del  Tribunale
amministrativo regionale del Lazio a conoscere della vicenda.
    Tale  competenza  sorge per effetto della norma di cui alla legge
n. 21/2006,  pubbl.  nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 23 del 28 gennaio
2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone:
        omissis  ...  «2-bis.  In  tutte  le  situazioni di emergenza
dichiarate  ai  sensi  dell'art.  5, comma 1, della legge 24 febbraio
1992,  n. 225,  la  competenza  di  primo  grado  a  conoscere  della
legittimita'   delle   ordinanze   adottate   e   dei  consequenziali
provvedimenti  commissariali  spetta  in  via  esclusiva,  anche  per
l'emanazione   di   misure  cautelari,  al  Tribunale  amministrativo
regionale del Lazio, con sede in Roma.
        2-ter.  Le  questioni  di  cui  al comma 2-bis, sono rilevate
d'ufficio.  Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito
con  sentenza  succintamente  motivata  ai  sensi dell'art. 26, della
legge  6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando
applicazione  i  commi  2  e  seguenti  dell'art. 23-bis della stessa
legge;
        2-quater. Le norme di cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano
anche  ai  processi  in  corso.  L'efficacia  delle  misure cautelari
adottate  da  un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al
comma  2-bis  permane  fino  alla loro modifica o revoca da parte del
Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio, con sede in Roma, cui
la parte interessata puo' riproporre il ricorso».
    Osserva  il  Collegio  che  la  fattispecie  in esame e' attratta
nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3, in quanto il
Presidente   della  Regione  ha  agito  in  qualita'  di  Commissario
delegato,  regolando  una  fattispecie  rientrante  nel  novero delle
situazioni  di  emergenza  dichiarate  ai sensi dell'art. 5, comma 1,
della legge 24 febbraio 1992, n. 225, cosi' come emerge dall'espresso
richiamo  di  detta disposizione nel preambolo del decreto n. 596 del
4 aprile 2006.
    Il  Collegio,  pertanto,  ritenendola  rilevante  ai  fini  della
decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti
al  Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  e non manifestamente
infondata,  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
predetto  art. 3,  e  segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni
bis,  ter,  quater,  come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come
gia'  fatto  in  ordine  ad altra fattispecie per la cui decisione e'
venuta   in  rilievo  la  medesima  norma  (Tribunale  amministrativo
regionale  Catania,  I,  ord.  n. 90  del  7  marzo  2006)  e per una
ulteriore questione (Tribunale amministrativo regionale Catania, ord.
n. 145  del  4  aprile  2006 - cfr., altresi', C.G.A. per la Sicilia,
ordd. nn. 235 e 236/2006).
    I)  La  rilevanza  della  questione  ai  fini  della decisione da
assumere e' di tutta evidenza. Il Collegio sarebbe tenuto, sulla base
della  normativa espressa dalla richiamata legge n. 21/2006 - ove non
dubitasse  della  incostituzionalita'  di essa e quindi non ritenesse
necessario  investire il giudice delle leggi della relativa questione
-  a trasmettere gli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio
e  cio'  per  espressa  disposizione  della  nuova  disciplina che ne
prescrive l'applicazione.
    In  sostanza  non  potrebbe  questo  giudicante  adottare  alcuna
decisione,  neanche  sulla correttezza della procedura ed in punto di
ammissibilita'  del  ricorso,  in  quanto  ostacolato  dalla puntuale
disposizione  che  stabilisce  la competenza funzionale del Tribunale
amministrativo  regionale  Lazio,  ogniqualvolta  si tratti, come nel
caso  di specie, di gravami volti a censurare provvedimenti afferenti
situazioni  di  emergenza  dichiarate  ai sensi dell'art. 5, comma 1,
della legge 24 febbraio 1992, n. 225.
    Non  vale  a  mutare  la superiore considerazione il fatto che il
giudizio sia stato chiamato ad essere trattato in Camera di consiglio
per  la sua sola domanda cautelare, posto che la chiara dizione delle
disposizioni  in  esame  non  lascia adito a dubbi e, per effetto del
combinato  disposto  di  cui agli artt. 21 e 26 della legge Tribunale
amministrativo  regionale  ivi, richiamato, in sede della trattazione
cautelare  il  Collegio  dovrebbe  con  sentenza  breve dichiarare la
competenza  del Tribunale amministrativo regionale Lazio e concludere
il  giudizio,  salva  la  riassunzione  di esso a cura delle parti di
fronte    al    Tribunale    amministrativo   regionale   competente,
normativamente prevista.
    II)  Circa  la  non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno
sospettare  le  norme  in  esame  di  incostituzionalita', osserva il
collegio  che  la  normativa introdotta dal Legislatore con l'art. 3,
comma   2,  da  bis  a  quater,  della  legge  n. 21/2006,  contrasta
innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il
principio  della articolazione su base regionale degli organi statali
di  giustizia  amministrativa  di  primo  grado  ivi espressa («Nella
Regione  sono istituiti organi di giustizia animninistrativa di primo
grado,  secondo  l'ordinamento  stabilito da legge della Repubblica»)
che  implica  il  rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di
competenza dei singoli organi predetti.
    Non  appaiono,  all'evidenza,  manifeste  o  comunque sufficienti
ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera
di  competenze  costituzionalmente  garantita  nella  materia  di cui
trattasi  quando,  come  nel  caso in esame, le singole situazioni di
emergenza   hanno   rilievo   spiccatamente  locale  con  conseguente
efficacia  locale  dei  relativi  provvedimenti adottati dai soggetti
delegati  alla  cura  delle  varie  situazioni emergenziali, anche se
(arg. ex art. 2, comma 1, lett. c della legge n. 225/1992, richiamato
dall'art. 5,  comma 1, legge cit.) essi sono adottati per fare fronte
a  situazioni  che  «per  intensita'  ed  estensione  debbono  essere
fronteggiate con mezzi e poteri straordinari».
    II.a)   Anzi,   sotto   questo  aspetto,  la  norma  e'  altresi'
contraddittoria  ed  irrazionale  in  quanto  sottopone  al  medesimo
trattamento  processuale  situazioni  disparate  e  differenti tra di
loro.
    In questo quadro, l'art. 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992,
n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione
normativa,  i  casi  in  cui (ex art. 2, comma 1, lett. c della legge
n. 225/1992)   sia   necessario   fare  fronte  con  mezzi  e  poteri
straordinari  alle  calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi
che  richiedano  tale  intervento  per  intensita'  ed estensione. La
previsione  di  cui  alla  legge  n. 21/2006 radica la competenza del
Tribunale  amministrativo  regionale Lazio in tutti i casi in cui sia
dichiarato  lo  stato  di emergenza ai sensi del comma 1, dell'art. 5
appena  citato  e  quindi  con  esclusione  dei casi di intervento di
protezione  civile  per  gli  eventi  che  possano  essere affrontati
mediante  interventi  attuabili  dai  singoli  enti e amministrazioni
competenti  in  via  ordinaria  (art. 2,  lett.  a)  e  di quelli che
richiedano intervento coordinato di questi ultimi (art. 2, lett. b).
    Quindi,  il sistema della Protezione Civile e' articolato in vari
livelli  di  intervento,  contraddistinti dal corrispondente grado di
ampiezza  della  situazione  emergenziale.  Ne  deriva  che  per ogni
tipologia  territoriale e «qualitativa» della situazione di emergenza
e'  chiamato  ad  intervenire  in merito il «livello» di governo piu'
vicino  alla  concreta  dimensione  delle  comunita'  colpite e della
natura dell'emergenza, secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e
senza  escludere  -  funzionalmente e residualmente - che determinate
funzioni  siano «trasversali» ossia comprendano le competenze di piu'
amministrazioni o livelli di governo.
    A  fronte  di  questa  multiformita'  possibile di manifestazioni
concrete   dell'esercizio   del   potere,   la   regola  generale  di
ripartizione  delle  competenze  delineata  dagli artt. 2 e ss. della
legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente
con  l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della
legge  n. 21/2006, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex
lege   rilevanza   nazionale   a   qualsiasi   controversia   insorga
nell'esercizio  del  potere  di  protezione civile, facendo leva solo
sulla  necessita'  che  esso presupponga l'intervento extra ordinem e
quindi  a  dispetto dell'articolazione del potere revisto dalla legge
n. 225/1992,   posto   che   assegna  in  maniera  indiscriminata  la
competenza   funzionale  a  conoscere  delle  relative  questioni  al
Tribunale amministrativo regionale Lazio.
    In  altri  termini,  con  la  norma in esame, il Legislatore, sul
semplice  presupposto  della  necessita'  di interventi di protezione
civile  extra  ordinem,  pare abbia cristallizzato una valutazione di
rilevanza nazionale degli stessi, a prescindere, come sembra apparire
nel   caso  di  specie,  dalla  loro  eventuale  incidenza  meramente
periferica.
    Appare  utile  rilevare,  in  questa sede, come la giurisprudenza
della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che:
        con  l'art.  5  della  legge n. 225 del 1992 e' attribuito al
Consiglio  dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza
in ipotesi di calamita' naturali, ed a seguito della dichiarazione di
emergenza,  e  per  fare  fronte  ad  essa,  lo stesso Presidente del
Consiglio  dei  ministri  o,  su sua delega, il Ministro dell'interno
possano  adottare  ordinanze  in deroga ad ogni disposizione vigente,
nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico;
        l'art. 107,   cornma   1,   lettere  b)  e  c),  del  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi  dello  Stato  alle  regioni  ed  agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta,
chiarisce  che  tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che
il   riconoscimento   di   poteri  straordinari  e  derogatori  della
legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale;
        queste  ultime  due  previsioni,  inoltre,  sono  gia'  state
ritenute  dalla  Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come
espressive   di   un   principio  fondamentale  della  materia  della
protezione  civile,  sicche'  deve  ritenersi  che esse delimitino il
potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze
legislative  delineato  dalla  legge  costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione).
    Alla  luce  di  quanto  sopra  ricordato,  la Corte ha dichiarato
illegittimo  l'art.  4,  comma  4, della legge della Regione Campania
n. 8  del  2004, nella misura in cui essa ha attribuito al sindaco di
Napoli  i  poteri  commissariali  dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del
Ministro  dell'interno,  dopo  la  scadenza  della emergenza alla cui
soluzione  tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto con
l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. n. 82/2006).
    Tale   ragionamento   comporta   che,  in  relazione  alla  legge
n. 225/1992   ed  all'art. 107,  comma  1,  lettere  b  e  c)  d.lgs.
n. 112/1998,  possiedono  rilievo  naziona1e «solamente» il potere di
dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure
ad    esso   finalisticamente   connesso,   di   derogare   a   norme
dell'ordinamento.
    Ne  consegue  dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame
e'  irragionevole  per contraddittorieta' e disparita' di trattamento
processuale,  poiche'  utilizza  lo stesso trattamento per situazioni
del  tutto  differenti  quanto  ad  ambito  territoriale  e livello e
qualita'  degli  interessi  pubblici coinvolti, nonche' per contrasto
con  l'art. 117  della  Costituzione, poiche' implicitamente, finisce
per attribuire rilievo nazionale anche alle questioni. riservate alla
competenza regionale.
    II.b)    Ancora,   l'aggravio   della   tutela   giurisdizionale,
soprattutto  ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una
effettiva  natura  accentrata  (o  dall'efficacia  estesa  a tutto il
territorio)   dei   provvedimenti   sui  quali  deve  esercitarsi  la
cognizione  del  Tribunale  amministrativo  regionale Lazio, comporta
indubbia  violazione  dell'art. 24 della Costituzione, in particolare
della   possibilita'  di  tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi
enunciata  al  primo  comma; detta tutela ne risulta minorata, per la
evidente maggiore difficolta' di esercitare le relative azioni presso
il  Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso
gli organi giurisdizionali localmente istituiti: Cio' vale sia per la
fase  transitoria  in cui i giudizi pendenti trasmigrano al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio,  sia  per  le  future  nuove
controversie  che  secondo  la  nuova  normativa dovrebbero essere ab
initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale
    III)  Da  ultimo,  secondo  un  aspetto diverso che si riconnette
ancora  al  tema  del  giudice  naturale,  la  norma  in  esame viola
l'art. 23  dello  Statuto della Regione Sicilia (legge costituzionale
n. 2   del   26  febbraio  1948)  a  norma  del  quale:  «Gli  organi
giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per
gli  affari concernenti la Regione. Le Sezioni del Consiglio di Stato
e   della   Corte   dei   conti  svolgeranno  altresi'  le  funzioni,
rispettivamente,   consultive   e   di   controllo  amministrativo  e
contabile.  I  magistrati  della  Corte  dei  conti sono nominati, di
accordo,   dai  Governi  dello  Stato  e  della  Regione.  I  ricorsi
amministrativi,   avanzati   in   linea   straordinaria  contro  atti
amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della Regione
sentite  le  Sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e'
stata  «interpretata»  dall'art. 5  del d.lgs. 6 maggio 1948, n. 654,
contenente   norme   per  l'esercizio  delle  funzioni  spettanti  al
Consiglio  di  Stato  nella  Regione Sicilia, il quale prevede che il
Consiglio  di giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge
al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e
provvedimenti  definitivi  «dell'amministrazione  regionale  e  delle
altre  autorita'  amministrative  aventi  sede  nel  territorio della
Regione».
    Osserva  il  Collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost.
in   data   12   marzo   1975,  n. 61,  dichiarando  l'illegittimita'
costituzionale delle limitazioni poste dall'art. 40, legge 6 dicembre
1971,  n. 1034 alla competenza del Tribunale amministrativo regionale
Sicilia,  e'  stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite
tutte   le   controversie   d'interesse  regionale  considerate  tali
dall'art. 23,  comma  1, d.-l. 15 maggio 1946, n. 455, comprendendosi
in  tale  categoria  le  controversie  sorte  da impugnazione di atti
amministrativi  di  autorita'  centrali  aventi  effetti  limitati al
territorio   regionale  ovvero  concernenti  pubblici  dipendenti  in
servizio  nella  regione  siciliana»  (Consiglio  Stato,  sez. VI, 26
luglio 1979, n. 595).
    Quindi  la  legge  n. 21/2006,  in  esame,  e' costituzionalmente
illegittima  anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23
dello  Statuto  regionale,  sia nella sua formulazione letterale, che
nella   interpretazione   pacifica   che   di  esso  ha  maturato  la
giurisprudenza,  anche  costituzionale,  non  riserva al Consiglio di
giustizia   amministrativa   ed   in   primo   grado   al   Tribunale
amministrativo  regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le
controversie   sorte   da  impugnazione  di  atti  amministrativi  di
autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale.
    IV)  Tanto  premesso,  il  Collegio  ritiene di dover evidenziare
altri profili di incostituzionalita' delle norme in esame, seppur non
immediatamente  rifluenti  sul  giudizio  in  esame,  che,  in quanto
introdotto successivamente alla pubblicazione della legge n. 21/2006,
non   puo'   definirsi,  quindi,  «pendente»  al  momento  della  sua
pubblicazione.  L'aggravio  della tutela giurisdizionale, soprattutto
ove,  come  nella  specie, esso non sia giustificato da una effettiva
natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei
provvedimenti  sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale
amministrativo   regionale   Lazio,  comporta,  come  gia'  ritenuto,
indubbia  violazione  dell'art. 24 della Costituzione, in particolare
della   possibilita'  di  tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi
enunciata  al  primo comma; detta tutela, come gia' detto, ne risulta
minorata per la evidente maggiore difficolta' ed il maggior dispendio
anche  economico di esercitare le relative azioni presso il Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio piuttosto che presso gli organi
giurisdizionali  localmente  istituiti.  Cio'  vale  sia  per la fase
transitoria  in  cui  i  giudizi  pendenti  trasmigrano  al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio,  sia  per  le  future  nuove
controversie  che  secondo  la  nuova  normativa dovrebbero essere ab
initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale
    La  Corte  ha  ritenuto,  in  un caso in cui il Legislatore aveva
disposto  l'estinzione ope legis di giudizi pendenti (art. 10, commna
primo,  legge  n. 425/1984),  che  siffatta  disposizione,  in quanto
«preclude   al   giudice  la  decisione  di  merito  imponendogli  di
dichiarare  d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi
stato  e  grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge
sopravvenuta»,  percio'  stesso  «viola  il valore costituzionale del
diritto  di  agire,  in quanto implicante il diritto del cittadino ad
ottenere  una  decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte
costituzionale, sentenza n. 123 del 1987).
    Sebbene  la  fattispecie  in  esame sia diversa da quella oggetto
della   citata  pronuncia,  il  principio  tuttavia,  ad  avviso  del
collegio,  e'  nello  stesso modo applicabile. Accade, infatti, posto
che  la  norma  in  esame  equipara  la  pendenza  del  giudizio alla
successiva  introduzione,  che  chi  abbia  gia' un giudizio pendente
davanti  al Tribunale amministrativo regionale locale, ed addirittura
abbia  ottenuto  una  decisione  cautelare,  debba proseguire altrove
nella  propria  iniziativa  giudiziaria,  addirittura (se ne parlera'
piu'  diffusamente  infra) rimanendo esposto ad una seconda pronuncia
cautelare  sollecitata  dalla  parte  soccombente  davanti al giudice
adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione.
    V)  Altro  profilo  di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre,
nella  violazione,  sotto  diverso  profilo  rispetto  a  quanto gia'
rappresentato,  del  principio del giudice naturale precostituito per
legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale
ora  citata, stabilendo che «nessuno puo' essere distolto dal giudice
naturale  precostituito  per  legge»,  esclude,  come la stessa Corte
costituzionale  afferma,  «che vi possa essere una designazione tanto
da  parte del Legislatore con norme singolari, che deroghino a regole
generali,  quanto  da  altri  soggetti,  dopo che la controversia sia
insorta  (sentenze  n. 419  del  1998;  n. 460  del. 1994 e n. 56 del
1967»;  il  principio  e'  in  tali termini, e con tali citazioni dei
precedenti,  richiamato  nella sentenza della Corte n. 393 del 2002).
Come la Corte ha insegnato, perche' tale principio possa considerarsi
rispettato  occorre  che  «... la regola di competenza sia prefissata
rispetto  all'insorgere  della  controversia»  (sentenza  n. 193  del
2003);   e   basta   scorrere   le  numerose  decisioni  della  Corte
costituzionale  in  materia  di  principio  del  giudice naturale per
rilevare che e' proprio la preesistenza della regola che individua la
competenza  rispetto  al giudizio il criterio fondamentale in base al
quale sono state valutate le questioni sollevate.
    Tale  profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente,
ad  avviso  del  collegio,  nella parte della disciplina in questione
(comma  2-quater), che non solo ne dispone l'applicazione ai processi
pendenti,  ma  addirittura  consente  una  riforma  dei provvedimenti
assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera
di  un  organo  giurisdizionale  pariordinato a quelli di provenienza
(trattasi   di   giudici   tutti   di   primo   grado,  il  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio non essendo un «super-Tribunale
amministrativo   regionale»)   .   Cosi'  facendo,  in  sostanza,  il
Legislatore  ha  introdotto un rimedio inedito, che non e' di secondo
grado  e  che  finisce  per costituire un doppione del gia' espletato
giudizio  (cautelare)  di  primo  grado, senza alcuna possibilita' di
inquadramento  tra  i  rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione,
reclamo).   Pertanto,  anche  l'art. 25  della  Carta  costituzionale
risulta vulnerato dalla normativa denunciata dal collegio.
    Per  altro,  atteso che il principio del doppio grado di giudizio
nella  giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di
merito,  riceve  garanzia  costituzionale  dall'art. 125  della Carta
(cfr. Corte cost., sentenza n. 8 del 1982), si configura un ulteriore
profilo  di  violazione  di  detta  norma.  Viene  infatti  ad essere
introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso (su cui
gia'   il   Collegio  ha  poco  prima  espresso  i  propri  dubbi  di
incostituzionalita)  che  stravolge  l'ordinario iter giudiziario. La
regola  e'  che  ad  un  giudizio  di primo grado segua, ove la parte
soccombente  appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti
di  giudizio  cautelare,  sia  che  si  tratti di giudizio di merito;
giammai  e'  prevista  una  doppia  pronuncia sulla stessa materia da
parte  di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato
a  riformare  la  decisione  del primo giudice. Orbene, ad avviso del
Collegio,   siffatta   disciplina  integra  altresi'  violazione  del
principio  del  «giusto  processo», di cui all'art. 111, comma primo,
della  medesima  Carta («La giurisdizione si attua mediante il giusto
processo  regolato  dalla legge»). Sempre con riferimento ai processi
pendenti,  infatti,  la  parte  soccombente  nel  giudizio  cautelare
verrebbe ad essere fornita di uno strumento giurisdizionale anomalo e
atipico  a  tutela della propria (legittima, ma da esercitare in modi
conformi  ai  principi  costituzionali)  aspirazione  ad ottenere una
pronuncia  favorevole  in  secondo grado (che deve tuttavia essere un
vero  giudizio  di  secondo  grado,  e  non, si ribadisce, un inedito
duplicato del giudizio di primo grado).
    Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio
del  ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla
Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale
principio del «giusto processo» teste' richiamato.
    VI) Un'ulteriore considerazione appare, infine, opportuna.
    Come  gia' premesso, la possibilita', espressa al comma 4-quater,
di  riproposizione  del  ricorso  presso  il Tribunale amministrativo
regionale Lazio a cura della parte interessata introduce un ulteriore
elemento  di  dissonanza  nel  sistema,  segnatamente  in  disarmonia
all'art. 24  Cost.,  posto  che  consente  un riesame della decisione
cautelare  presso il Tribunale amministrativo regionale Centrale (con
espressa  possibilita'  di  modifica)  proprio  ad  iniziativa  anche
dell'Amministrazione e/o del controinteressato.
    A   dette   parti   processuali,   secondo  la  richiamata  norma
costituzionale, non e' certamente conferito l'impulso processuale (ma
la resistenza a difesa del provvedimento amministrativo), prerogativa
esclusiva  della parte ricorrente, cui pertiene la tutela del diritto
di difesa dei propri interessi e diritti.
    Il    ribaltamento   consentito   dalla   norma   sospettata   di
incostituzionalita',   quindi,  mentre  per  un  verso  introduce  un
allungamento  della  serie  delle  possibili decisioni, in violazione
dell'art. 25   Cost.,   per  un  altro  promuove  un  non  consentito
originario impulso processuale da parte degli originari resistenti in
giudizio, con pregiudizio, come chiarito, dell'art. 24 Cost.
    VI)  In  conclusione,  il  Collegio ravvisa la rilevanza e la non
manifesta  infondatezza,  per  violazione degli artt. 3, 125, 24 e 25
della  Costituzione e per contrasto con l'art. 23 dello statuto della
Regione  Sicilia,  della  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 3,   comma   2-bis,  comma  2-ter,  comma  2-quater,  legge
n. 21/2006.
    Va,   pertanto,   disposta   -   ai  sensi  dell'art. 134  Cost.,
dell'art. 1  della  legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23,
legge  11 marzo 1953, n.  87 - la sospensione del presente giudizio e
la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte costituzionale, oltre agli
ulteriori adempimenti di legge meglio indicati in dispositivo.