IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 8642/2006 Rg.
proposto  da  Luciano  Di Noto, rappresentato e difeso dal prof. avv.
Adriano   Rossi   e   dall'avv.   Francesco  Camerini,  elettivamente
domiciliato presso lo studio del primo in Roma, via Brofferio n. 6;
    Contro  il Consiglio Superiore della Magistratura, in persona del
legale rappresentante pro tempore, e il Ministero della giustizia, in
persona  del Ministro in carica, rappresentati e difesi ex lege dall'
Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi  n. 12, sono domiciliati, e nei confronti di Luigi Antonio
Rovelli,  rappresentato  e  difeso dagli avv. Lucio Florino e Tommaso
Manferoce,  elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in
Roma,  piazza  Vescovio n. 21, per l'annullamento della deliberazione
adottata  nell'adunanza  del  27  luglio  2006,  con cui il Consiglio
superiore  della  magistratura  ha  conferito  al dott. Luigi Antonio
Rovelli  l'ufficio direttivo di Procuratore generale della Repubblica
presso  la  Corte  di appello di Genova; di ogni altro eventuale atto
connesso  e  presupposto,  e  in  particolare della deliberazione del
C.s.in. prot. P159577/05 del 22 settembre 2005.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione in giudizio delle amministrazioni
resistenti e del controinteressato;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Sentiti  alla  pubblica udienza del 20 dicembre 2006, relatore il
dott.  Mario  Alberto  di  Nezza,  l'avv.  Rossi, l'avv. Schiavone in
sostituzione dell'avv. Manferoce e l'avv. dello Stato E. Arena;
    Ritenuto e considerato quanto segue in fatto e in diritto.

                                Fatto

    Con  ricorso  notificato in data 18 settembre 2006, depositato il
successivo  26  settembre,  il  dott.  Luciano  Di  Noto,  magistrato
dichiarato  idoneo  all'esercizio delle funzioni direttive superiori,
in  servizio  quale  avvocato  generale presso la Corte di appello di
Genova,  premettendo  di  aver  partecipato  alla procedura selettiva
indetta  l'8 settembre 2005 per la copertura del posto di procuratore
generale  della  Repubblica  presso  l'anzidetta  Corte territoriale,
vacante  a  far  data  dal  1° luglio 2005, ha chiesto l'annullamento
della  deliberazione  del  27  luglio  2006,  con  cui  il  Consiglio
superiore  della  magistratura  ha  conferito  tale incarico al dott.
Luigi Antonio Rovelli.
    A  sostegno  del gravame l'istante ha denunciato l'illegittimita'
del  provvedimento  di  esclusione dalla selezione in quanto adottato
sulla base di disposizioni di legge a suo dire incostituzionali.
    Si sono costituite in resistenza le amministrazioni intimate e il
controinteressato.
    Successivamente,  all'udienza  del 20 dicembre 2006 il ricorso e'
stato, trattenuto in decisione.

                               Diritto

    1.  - E' in contestazione la deliberazione del 31 maggio 2006 con
cui  il C.s.m. ha conferito al dott. Luigi Antonio Rovelli l'incarico
direttivo di procuratore generale della Corte di appello di Genova.
    L'odierno ricorrente ed altri aspiranti al medesimo incarico sono
stati   ritenuti   dal   C.s.m.   «non  [...]  legittimati  ai  sensi
dell'art. 2,   comma   45,   legge  n. 150/2005».  Di  qui  l'odierna
impugnativa,  essenzialmente  diretta  a  denunciare l'illegittimita'
costituzionale  delle  norme primarie preclusive della partecipazione
alla selezione.
    2. - La questione e' rilevante e non manifestamente infondata.
    2.1.  - La materia del conferimento ai magistrati degli incarichi
direttivi  (di merito e di legittimita) e' stata profondamente incisa
dalla  legge  25 luglio  2005,  n. 150, recante delega per la riforma
dell'ordinamento  giudiziario,  che  nel  prefigurare  una disciplina
transitoria,   destinata  ad  aver  vigore  nel  periodo  antecedente
all'entrata in funzione della Scuola della magistratura, e un assetto
«a   regime»   (caratterizzato   dalla  obbligatoria  frequenza,  per
l'attribuzione  delle  funzioni  direttive,  di  un apposito corso di
formazione  presso  detta  Scuola),  ha  introdotto  un  requisito di
«legittimazione»  collegato  alla  data  di «ordinario collocamento a
riposo»  dei  magistrati,  fissata  in  settanta anni dall'art. 5 del
regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511.
    A)  Cominciando dalla disciplina transitoria, l'art. 2, comma 10,
lett.  a),  legge n. 150/2006, prescrive al Governo di «prevedere che
gli  incarichi  direttivi giudicanti e requirenti di legittimita' non
possano essere conferiti a magistrati che abbiano meno di due anni di
servizio  prima della data di ordinario collocamento a riposo [...] e
che  gli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di primo grado e
di  secondo  grado  non  possano  essere  conferiti  a magistrati che
abbiano  meno  di  quattro  anni  di  servizio  prima  della  data di
ordinario collocamento a riposo [...]».
    In  attuazione  di questa disposizione e' stato emanato il d.lgs.
16  gennaio  2006,  n. 20 (intitolato appunto «disciplina transitoria
del conferimento degli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di
legittimita', nonche' di primo e secondo grado, a norma dell'articolo
2,  comma  10, della legge 25 luglio 2005, n. 150»), in vigore dal 28
gennaio  2006  (cfr.  art. 6),  il  quale,  delimitato  il  campo  di
applicazione (alla sola magistratura ordinaria; art. 1), sancisce che
gli  incarichi  direttivi  (giudicanti  e requirenti) di legittimita'
(art. 2)  ovvero  di  merito  (di  primo  e di secondo grado; art. 3)
possano  essere  conferiti  esclusivamente  ai  magistrati  che,  «al
momento  della  data  della  vacanza  del  posto  messo  a concorso»,
assicurino  rispettivamente  almeno due anni e almeno quattro anni di
servizio prima del raggiungimento dei settanta anni di eta'.
    Detto  altrimenti,  non  sono  legittimati  i  magistrati che, al
momento  della  data  di  vacanza  del  posto messo a concorso, hanno
superato  sessantotto  anni, in relazione agli incarichi direttivi di
legittimita',  o  sessantasei  anni,  quanto agli uffici direttivi di
merito.
    Giova  ancora  ricordare che l'entrata in vigore del d.lgs. n. 20
del  2006 ha determinato (v. art. 6 cit.) la cessazione degli effetti
della  disposizione  transitoria  di  cui all'art. 2, comma 45, legge
n. 150  del  2005  (a  sua  volta  operante a far tempo dal 30 luglio
2005), introduttiva del medesimo requisito di legittimazione.
    B)  I criteri direttivi concernenti la disciplina «a regime» sono
invece individuati nell'art. 2, comma 1, lett. h), n. 17 (quanto alle
funzioni  direttive di primo e di secondo grado) e nell'art. 2, comma
1,  lett.  i),  n. 6 (per le funzioni direttive di legittimita) della
legge n. 150/2005.
    In  esercizio di tali deleghe e' stato emanato il d.lgs. 5 aprile
2006,  n. 160,  nel  quale sono stabiliti, al Capo IX (artt. 29 ss.),
limiti di eta' coincidenti con quelli innanzi indicati.
    L'entrata in vigore di queste norme, originariamente prevista per
il 28 luglio 2006 (v. art. 56, d.lgs. n. 160/2006), e' stata peraltro
differita  al  31 luglio  2007 (tanto ha disposto la legge 24 ottobre
2006,   n. 269,   vigente   dall'8 novembre  2006),  continuando  nel
frattempo  ad  applicarsi gli artt. 2 e 3 d.lgs 20/2006 (con salvezza
degli effetti prodotti e delle situazioni esaurite durante la vigenza
del d.lgs. n. 160/2006, dal 28 luglio all'8 novembre 2006).
    C)  Nel  periodo  transitorio  (30 luglio  2005 - 31 luglio 2007)
rilevano  pertanto  l'art. 2,  comma  45,  legge  n. 150/2005 fino al
27 gennaio  2006 nonche', dal 28 gennaio 2006 fino al 31 luglio 2007,
gli  artt. 2  e  3  d.lgs.  n. 20  del  2006 (con la salvezza innanzi
ricordata).
    2.2.   -   Tanto   chiarito,   e   precisato  che  il  dubbio  di
costituzionalita'   investe  -  ratione  temporis  (la  deliberazione
impugnata  e'  del 27 luglio 2006) e ratione materiae (e' controversa
l'attribuzione  del  posto  di  procuratore generale della Repubblica
presso  una Corte di appello) - le norme transitorie sul conferimento
degli  uffici direttivi di merito (art. 2, comma 45, legge n. 150 del
2005  e art. 3 d.lgs. n. 20 del 2006, nonche', quale norma di delega,
art. 2,  comma  10,  lett.  a),  legge  n. 150/2005  cit.), reputa il
Collegio che la questione sia all' evidenza rilevante.
    L'esclusione  del ricorrente dalla procedura selettiva e' infatti
dipesa  esclusivamente  dall'applicazione  di queste disposizioni, il
cui  chiaro tenore letterale ne rende impossibile una diversa lettura
(scil,    costituzionalmente    orientata).    La   declaratoria   di
incostituzionalita' delle stesse ridonderebbe in illegittimita' (e in
eventuale  caducazione)  del provvedimento impugnato, con conseguente
riemersione  delle  chances  di  assegnazione dell'incarico frustrate
dall'esclusione.
    2.3.  -  La  questione  si  presenta  inoltre  non manifestamente
infondata sotto i profili che seguono.
    2.3.1. - Valga anzitutto chiarire che la riforma dell'ordinamento
giudiziario  non  incide  ne'  sul  ridetto  limite  di settanta anni
previsto  per  l'ordinario  collocamento  a  riposo  del personale di
magistratura (art. 5 r. d.lgs. n. 5 11/1946 cit.) ne' sulle norme che
permettono ai magistrati di pernianere in servizio fino al compimento
del  settantacinquesimo  anno  di  eta'  (art. 16, d.lgs. 30 dicembre
1992,  n. 503,  come  modificato  dall'art. 34,  comma  12,  legge 27
dicembre 2002, n. 289).
    La  giurisprudenza  amministrativa  ha  di  recente affrontato le
implicazioni  di  tale sistema normativo, affermando per un verso che
questa, come tutte le altre disposizioni che conferiscono ai pubblici
impiegati  la  facolta'  di  trattenersi  in servizio al di la' degli
limiti  anagrafici ordinariamente previsti dalla legge, costituiscono
ipotesi  eccezionali  spiegabili  in  ragione  del  perseguimento  di
finalita'  di  tipo assicurativo e previdenziale, e, per altro verso,
che  detta  facolta'  integra  un  diritto  potestativo  esercitabile
dall'interessato in ogni tempo antecedente all'automatica risoluzione
del  rapporto  (viene cioe' individuato un «diritto alla prosecuzione
del rapporto», rinunciabile attraverso una manifestazione di volonta'
uguale  e  contraria  del  dipendente; cosi', da ultimo, Cons. Stato,
sez.  IV,  7 dicembre  2006,  n. 7210, che richiama a sua volta Corte
cost. 13 giugno 2000, n. 195).
    Ad  avviso  del  Collegio  gli  enunciati appena riportati paiono
segnalare  come  detta  eccezionalita'  sia  da  intendere in termini
prettamente  ermeneutici,  nel  senso  che e' preclusa all'interprete
l'estensione della facolta' in parola a fattispecie non espressamente
contemplate  dalle  disposizioni  di  riferimento (v. ad esempio, sul
rapporto  tra  ordinamento della carriera diplomatica e art. 1-quater
d.l.  28  maggio 2004, n. 136, conv. in legge 27 luglio 2004, n. 186,
Corte cost. 11 maggio 2006, n. 194).
    Riguardato  da  una  prospettiva  che tenga conto del complessivo
sviluppo  della  carriera  del  dipendente, sembra tuttavia possibile
considerare  il  menzionato  «diritto potestativo» alla stregua di un
beneficio  che  il  Legislatore  ha inteso aggiungere, ferme restando
tutte le altre componenti, al patrimonio giuridico dell'interessato.
    Non  puo'  infatti sostenersi che la prosecuzione del rapporto in
tal   modo   ottenuta   sia  in  grado  di  trasformare  il  servizio
«prolungato»   in  qualcosa  di  diverso:  il  magistrato  che  abbia
esercitato  questo  diritto  continuera'  a svolgere le sue funzioni,
conservera'  gli  stessi  diritti  e  saranno a suo carico i medesimi
obblighi  connotanti  il pregresso tratto di attivita' professionale,
esattamente  come  se non avesse superato la soglia di settanta anni,
con  l'unica  differenza (evidenziata da Cons. Stato n. 7210/06 cit.)
che   una   «anticipata»  cessazione  del  servizio  prolungato  (una
cessazione   che   cioe'   intervenga   prima   del   compimento  del
settantacinquesimo  anno)  determina  il  collocamento  a  riposo del
magistrato  «per  raggiunti  limiti  di  eta»  (la  manifestazione di
volonta'  del  dipendente,  letta in termini di revoca del precedente
atto  di esercizio del menzionato diritto potestativo, si rende cosi'
necessaria  soltanto  per  conferire  rilievo  giuridico all'avvenuto
raggiungimento del limite anagrafico ordinario).
    Orbene,    il    Legislatore   della   riforma,   collegando   la
«legittimazione»  all'ordinario  limite  di  eta',  sembra  aver dato
origine  a una previsione irrazionale, non avendo appunto considerato
la possibilita' che il rapporto si protragga per cinque anni oltre la
soglia   in  questione  e  che  quindi  il  magistrato  con  piu'  di
sessantasei  anni  che in ipotesi aspiri a un incarico direttivo sia,
per  tale  ragione,  in  grado di assicurare quella permanenza minima
nell'ufficio giudicata dalla stessa legge necessaria.
    In  altri  termini,  proprio  la  ratio  delle  nuove norme sulla
«legittimazione»,  preordinate (come sostenuto dalla difesa erariale)
a  garantire  stabilita' agli organigrammi degli uffici direttivi (il
dirigente  viene  messo  nella  condizione  di  realizzare  «a  medio
termine»    il    proprio    progetto   organizzativo   a   vantaggio
dell'efficienza   del   servizio   giudiziario),   sembra  dimostrare
l'irragionevolezza   di   un   limite   che  non  tiene  conto  della
possibilita'  che  il  magistrato, ove investito di funzioni apicali,
sia  in  grado  di  attuare  detto «progetto», garantendo l'auspicata
continuita', anche nel periodo di ulteriore permanenza nell'ufficio.
    Il  limite  del  periodo  minimo  di  servizio  per  le  funzioni
direttive  deve  cioe'  essere,  come  si  e'  giustamente osservato,
razionalmente rapportato al servizio da espletare in concreto.
    Prova  ne sia che due norme della riforma, quali l'art. 4, d.lgs.
n. 20/2006  e  l'art. 35,  d.lgs. n. 160/2006, sembrano ispirate alla
logica appena enunciata, prevedendo, per i magistrati beneficiari del
prolungamento o del ripristino del rapporto di impiego ai sensi degli
articoli  3,  commi 57 e 57-bis, legge 24 dicembre 2003, n. 350, e 2,
comma  3,  d.l.  16 marzo 2004, n. 66 (convertito, con modificazioni,
dalla  legge  11  maggio  2004,  n. 126), che «alla data di ordinario
collocamento  a riposo» vada «aggiunto un periodo pari a quello della
sospensione  ingiustamente  subita  e  del servizio non espletato per
l'anticipato collocamento in quiescenza, cumulati fra loro».
    Dal  punto  di  vista  esattamente  speculare, il menzionato fine
della  «stabilita»  degli  organigrammi sembra irragionevolmente fare
aggio   sull'interesse,   parimenti   meritevole   di   tutela,  alla
progressione   in   carriera   (funzionale)   del  magistrato  e,  in
particolare, al suo accesso alla dirigenza.
    L'assetto   creato   dalla   nuova   normativa  comporta  infatti
l'enucleazione  di  un  «periodo minimo garantito» di esercizio delle
funzioni  direttive  pari a ben nove anni, tempo che sembra preludere
(piu'  che alla stabilita) a una «fissita» degli organigrammi stessi,
cui  non  pare  -  allo  stato  - porre rimedio la disposizione sulla
«temporaneita'  degli  incarichi direttivi» ex art. 45, d.lgs. n. 160
del  2006  (in  disparte  il  contenuto precettivo, l'efficacia della
norma e' sospesa per effetto della citata legge n. 269 del 2006).
    Di  qui,  il  dubbio  del  tribunale  circa  il  contrasto  delle
menzionate  norme  primarie  con  il  canone di ragionevolezza di cui
all'art. 3 Cost..
    2.2.2.  - Le osservazioni appena svolte consentono di individuare
un   altro   profilo  di  criticita'  delle  disposizioni  in  esame,
dubitandosi  della  coerenza  delle  stesse  con il principio di buon
andamento dell'amministrazione sancito dall'art. 97 Cost..
    Come  si  e'  detto, la scelta di richiedere ai dirigenti un'eta'
che  sia  in  grado di assicurare una permanenza minima nell'incarico
prima   della  cessazione  del  servizio  risponde,  in  astratto,  a
condivisibili  esigenze  di tipo organizzativo, tant'e' che lo stesso
C.s.m. gia' faceva ricorso a un criterio analogo, previsto in sede di
autonormazione  (peraltro  in  un  contesto  nel quale era unicamente
possibile  l'elevazione  del  limite  di  eta' a settantadue anni, in
forza dell'art. 16, d.lgs. n. 503/1992, ante legge n. 289/2002).
    Il  punto 2 circ. n. 13000 dell'8 luglio 1999 prevede(va) infatti
che «ai fini del buon andamento dell'amministrazione, e per garantire
efficacia  ed  efficienza  dell'azione  direttiva,  viene in rilievo,
quale   elemento   di   valutazione  positiva,  la  possibilita'  che
l'aspirante   assicuri,  alla  data  della  vacanza  dell'ufficio  la
permanenza  nello  stesso  per  un  periodo non inferiore a tre anni,
salvo  che ricorrano particolari circostanze ed esigenze che facciano
ritenere necessario un periodo piu' lungo o, adeguato un periodo piu'
breve»  (la  disposizione  prosegue  sancendo  che «in considerazione
della particolare organizzazione degli uffici e delle caratteristiche
proprie delle funzioni di legittimita', tale periodo e' ridotto a due
anni  per  il  conferimento  di  uffici direttivi superiori presso la
Corte di cassazione [...], la Procura Generale presso la stessa Corte
[...] ed il Tribunale superiore delle acque pubbliche»).
    La  circostanza  che  gli  aspiranti ai posti direttivi dovessero
assicurare  una  permanenza  minima  nell'ufficio  rileva(va)  dunque
unicamente  alla  stregua  di  elemento (positivo) di cui tener conto
nella valutazione comparativa dei candidati.
    L'irrigidimento    indotto   dal   Legislatore   appare   percio'
censurabile   anche  in  relazione  al  canone  del  buon  andamento:
l'impossibilita'  di  valorizzare,  attraverso  il conferimento della
dirigenza,  funzionari  dotati di peculiari attitudini professionali,
oltre  a  ledere  le  aspettative di carriera di una intera fascia di
personale  (penalizzato per mere ragioni anagrafiche), impedisce allo
stesso    tempo    di    assicurare    il    migliore   funzionamento
dell'organizzazione della giustizia, stante la limitazione del novero
dei  magistrati  che  possono aspirare alla preposizione a un ufficio
giudiziario.
    Si  pensi  al  caso  di  un magistrato con pluriennale esperienza
semidirettiva  (e  che  abbia  in  ipotesi svolto per un apprezzabile
periodo  di  tempo funzioni vicarie o di supplenza del dirigente) che
partecipi  al  concorso per la copertura della funzione direttiva del
medesimo   ufficio.  In  questa  situazione,  l'impedimento  assoluto
all'ottenimento  dell'incarico  sembra  contrastare  con  la  ridetta
finalita'   dell'art. 97   Cost.,   essendo  l'amministrazione  della
giustizia  impossibilitata  ad utilizzare una figura professionale la
cui  prevalenza  nel  giudizio  comparativo  con  altri aspiranti non
potrebbe certo reputarsi implausibile.
    Si  puo'  infine osservare che la garanzia di esercizio novennale
dei  compiti  dirigenziali,  come  gia' detto, introduce un ulteriore
elemento che porta a dubitare della correttezza dell' esercizio della
discrezionalita' legislativa.
    E'   infatti  notorio  il  benefico  influsso  su  ogni  tipo  di
organizzazione,  e  in particolar modo su quelle pubbliche, specie se
attributarie  di  funzioni  vitali  dell'ordinamento,  del  principio
dell'avvicendamento  dei  titolari  degli  organi  e  delle  cariche,
secondo  un  meccanismo  idoneo  ad  evitare quei personalismi talora
suscettibili  di  dar  vita  a  situazioni  contrastanti con una sana
dialettica democratica.
    2.2.3.  -  Un ulteriore dubbio concerne la lesione della sfera di
attribuzioni  costituzionalmente  garantite  del  Consiglio superiore
della magistratura.
    A  tenore  dell'art. 105  Cost.  spettano  al C.s.m., «secondo le
norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed
i  trasferimenti,  le  promozioni  e i provvedimenti disciplinari nei
riguardi dei magistrati».
    Questa  disposizione,  che attribuisce all'Organo (per l'appunto)
di  autogoverno  l'esclusiva competenza sui provvedimenti concernenti
lo status dei magistrati (C. cost. 27 luglio 1992, n. 379) in diretta
attuazione  del  precedente art. 104 Cost., e' posta a presidio delle
garanzie di indipendenza e di autonomia dell'ordine giudiziario.
    La   norma,   sulla   cui  interpretazione  non  vi  e'  peraltro
uniformita'  di  vedute  (la dottrina costituzionalistica talvolta ne
valorizza   la   portata   di  limite  estrinseco  alle  attribuzioni
consiliari  e talaltra sottolinea il carattere assoluto della riserva
di  legge),  sembra  tuttavia  precludere al Legislatore ordinario di
intervenire  sul  concreto  atteggiarsi  del rapporto di servizio del
personale  di  magistratura,  attraverso  provvedimenti  direttamente
intesi a regolare posizioni individuali.
    In particolare, se la norma primaria impeditiva dell'accesso alla
dirigenza  dei  magistrati con una determinata eta' anagrafica limita
in  modo  notevole  le  possibilita'  del  C.s.m. di espletare le sue
attribuzioni  in  materia  di  «promozioni»,  di  contro  un  assetto
derivante dall'esercizio dell'autonomia regolamentare del C.s.m. (che
in  concreto  aveva previsto, ragionevolmente, la mera «valutabilita»
in   positivo  della  permanenza  per  un  certo  tempo  nell'ufficio
direttivo)  ha il pregio della flessibilita', essendo suscettibile di
modulazioni diverse in dipendenza di fattori finanche contingenti.
    Questo  sembra  essere,  del  resto,  l'intento avuto di mira dal
Costituente,    che   con   l'espressione   «norme   dell'ordinamento
giudiziario»  ha voluto certamente riservare al Legislatore le scelte
di   fondo,   strutturali,   che   reggono  questo  peculiare  plesso
organizzativo,  vale  a  dire  quelle  strumentali alla delimitazione
dell'insieme  «personale  di  magistratura»,  all' individuazione dei
diritti  e  degli  obblighi derivanti dal rapporto di servizio con lo
Stato  nonche' alla relazione tra magistrato-persona fisica e ufficio
giudiziario  (in  termini di preposizione organica, titolarita' delle
funzioni giurisdizionali, ecc.).
    Ne   segue  che  la  scelta  legislativa  in  esame,  che  incide
direttamente  sulle  «promozioni»,  sembra  privare  il  C.s.m. della
prerogativa  di  individuare,  nella piu' ampia platea composta anche
dai  magistrati  ultrasessantaseienni,  il  candidato  piu'  adatto a
rivestire un certo incarico.
    2.2.4.  -  E'  invece inammissibile, per difetto di rilevanza, il
rilievo  di incostituzionalita' della disciplina transitoria rispetto
a  pretese  situazioni di vantaggio insorte in capo agli interessati.
Asserisce  in  proposito il ricorrente di esser titolare di un vero e
proprio  «diritto» di partecipare al concorso impugnato, per il fatto
che   l'ufficio   era  gia'  vacante  prima  dell'entrata  in  vigore
dell'art. 2, comma 45, legge n. 150/2005.
    La  prospettazione  in  termini  di «diritti quesiti» va tuttavia
disattesa,  occorrendo  considerare  che il concorso e' stato indetto
(in  data  8 settembre 2005, ossia) dopo che era entrata in vigore la
nuova  normativa; la quale risulta dunque senz'altro applicabile alla
procedura.
    3.  - Quanto precede giustifica la valutazione di rilevanza e non
manifesta    infondatezza    della    questione    di    legittimita'
costituzionale,  in relazione agli articoli 3, 97 e 105 Costituzione,
dell'art. 2,  comma  45,  della  legge  25 luglio 2005, n. 150, e del
combinato disposto degli articoli 2, comma 10, lett. a), della citata
legge n. 150/2005 e 3 del decreto legislativo 16 gennaio 2006, n. 20,
nella  parte  in  cui  prevedono  che il conferimento degli incarichi
direttivi  di  primo  e  di  secondo grado possa avvenire soltanto in
favore  di  aspiranti  che assicurino almeno quattro anni di servizio
prima  della  data  di  «ordinario  collocamento a riposo» ex art. 5,
r.d.lgs. n. 511 del 1933.
    Si  rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio
e  la  rimessione  degli  atti alla Corte costituzionale affinche' si
pronunci sulla questione.