IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letti  gli  atti  del  procedimento penale n. 25962/06 R.G. n. R.
contro  Oprea  Bianca, nata a Craiova il 28 maggio 1985, imputata del
reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, come modificato
dalla  legge  12  novembre 2004 n. 271, perche', cittadina straniera,
destinataria  di  provvedimento del Questore di Torino, (notificatole
il  29  marzo  2006  a  seguito di decreto di espulsione del prefetto
fondato  sui  motivi  di  cui  alla lettera b) dell'art. 13, comma 2,
d.lgs.  citato), con intimazione di allontanarsi dal territorio entro
cinque giorni, non ottemperava alla stessa, trattenendosi nello Stato
ove veniva reperito.
    Accertato in Torino il 30 ottobre 2006.

                            O s s e r v a

    L'imputata,  tratta  in  arresto  in  data  30  ottobre  2006 per
violazione  all'art. 14, comma 5-ter, d.l.gs. 25 luglio 1998, n. 286,
modificato  dall'art. 1,  commi  5-bis  e  6, della legge 12 novembre
2004,  n. 271,  veniva  presentata  dal  pubblico  ministero,  per la
convalida  dell'arresto  ed  il  conseguente  giudizio  direttissimo,
all'udienza  del 2 novembre 2006. Convalidato l'arresto e disposta la
liberazione  della  Oprea, non avendo il p.m. richiesto l'adozione di
alcuna  misura  cautelare,  dopo la lettura dell'imputazione, in base
alla  richiesta  dell'imputata  si  procedeva  con  rito  abbreviato.
All'esito della discussione questo giudice ritiene di dover sollevare
incidente  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 5-bis,
legge  citata  nella parte in cui prevede la pena della reclusione da
uno  a quattro anni per lo straniero che senza giustificato motivo si
trattiene  nel  territorio  dello  Stato  in  violazione  dell'ordine
impartito  dal questore ai sensi del comma 5-bis, in riferimento agli
artt. 3  e  27,  terzo  comma  della  Costituzione, pena edittale che
consente   anche  l'adozione  delle  misure  cautelari  di  cui  agli
artt. 280 e segg. c.p.p..
    La rilevanza della questione risiede nel fatto che, se si dovesse
pervenire   ad   un  giudizio  di  colpevolezza  dell'Oprea,  sarebbe
comminata  la  pena  prevista  dalla  norma  della  cui  legittimita'
costituzionale  si  dubita  ed al cui riguardo si svolgono i seguenti
rilievi.
    La  permanenza  in  Italia  dello  straniero  «senza giustificato
motivo»  e  nonostante  il  provvedimento del questore di lasciare il
territorio nazionale entro cinque giorni in caso di impossibilita' di
trattenimento presso un centro di permanenza temporanea o di scadenza
del  termine di permanenza senza esecuzione dell'espulsione nel testo
originario   dell'art. 14,   d.lgs.   25  luglio  1998,  n. 286,  era
sprovvista  di  specifica  sanzione, pur essendo controverso se fosse
sanzionabile penalmente col ricorso alla disposizione generale di cui
all'art. 650  c.p.  La legge 30 luglio 2002 n. 189, ha introdotto una
fattispecie  contravvenzionale  ad  hoc punibile con l'arresto da sei
mesi  ad  un  anno, con arresto obbligatorio del contravventore e sua
espulsione  eseguita tramite accompagnamento coattivo alla frontiera.
Caduta  la  porzione della norma che prevedeva l'arresto obbligatorio
per  effetto  della  sentenza  della  Corte costituzionale in data 15
luglio 2004 n. 223, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 14,  comma 5-quinquies,  per contrasto con gli articoli 3 e
13 Cost. «nella parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal
comma   5-ter   del   medesimo   art. 14  e'  obbligatorio  l'arresto
dell'autore  del  fatto»,  interveniva  il  legislatore  con la legge
12 novembre  2004,  n. 271,  operando  un ampio rimaneggiamento della
norma  e  reintroducendo  l'arresto  obbligatorio  per le fattispecie
trasformate in delitto.
    Tale  intervento  ha determinato un effetto pirotecnico nel magma
indifferenziato  della previgente fattispecie, che sanzionava in modo
identico  le  permanenze  ingiustificate nel territorio in violazione
dei  provvedimenti del questore che davano esecuzione a provvedimenti
di  espulsione  ministeriali  o  prefettizi.  Ora  la stessa condotta
diventa  un  delitto  ovvero  rimane  una  contravvenzione ovvero non
configura   alcun   illecito  penale  (esiste  soltanto  la  sanzione
amministrativa  dell'accompagnamento  alla frontiera) a seconda della
provenienza  e  della  natura  dell'espulsione presupposta. Pertanto,
permane  l'illiceita'  penale  nel caso di espulsione pronunciata dal
prefetto  cui  e'  data  esecuzione da parte del questore. Se essa e'
stata  disposta  per  ingresso  illegale sul territorio nazionale «ai
sensi  dell'art. 13, comma 2, lettere a) e c)» ovvero per aver omesso
di richiedere il permesso di soggiorno nel termine di legge, il reato
di inottemperanza, senza giustificato motivo, all'ordine del questore
e'  un  delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni; se il
motivo  che  ha  determinato l'espulsione e' la mancata richiesta del
rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da piu' di sessanta giorni,
resta  l'illecito  contravvenzionale punito con l'arresto da sei mesi
ad un anno.
    Se  l'ingiunzione  del  questore  e'  attuativa di una espulsione
disposta  dal  Ministro dell'interno «per motivi di ordine pubblico o
di  sicurezza  dello  Stato» (es. espulsione per i motivi suddetti di
donna  incinta  di  cui  si  ignora  la nazionalita' e, pertanto, non
suscettibile   di   esecuzione  immediata  con  accompagnamento  alla
frontiera),  la sua inosservanza non e' assistita dalla tutela penale
in  quanto  le  ragioni  dell'espulsione  avvengono per tipologie non
omologhe  a  quelle  per  le  quali  e'  dato  ricorrere da parte del
prefetto  (cui  nell'esempio  citato sarebbe precluso il rinvio della
straniera  allo  Stato  di  appartenenza),  ne'  e' dato avvalersi di
operazioni  ermeneutiche  basate  sull'analogia,  vietata  nel  campo
penale.
    Il reato per cui e' stato tratto in arresto Oprea Bianca e per il
quale  il  p.m.  ha proceduto con giudizio direttissimo configura, in
base  alla  nuova  normativa,  una delle ipotesi delittuose che hanno
avuto  un  notevole  inasprimento  di pena e che, ad avviso di questo
giudice,  presenta  profili di incostituzionalita' con riferimento ai
citati articoli della costituzione.
    E'  insegnamento  costante di codesta Corte che uno scrutinio che
investa   direttamente  il  merito  delle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore  e' possibile soltanto ove «l'opzione normativa contrasti
con  il  principio  di  eguaglianza,  sotto  il profilo dell'assoluta
arbitrarieta'  o  della  manifesta irragionevolezza» (sentenze n. 206
del  2003, n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonche' ordinanze n. 323
del  2002,  n. 110  del  2002,  n. 144  del  2001  e n. 58 del 1999).
Occorre,  in altri termini, interrogarsi «sul perche' una determinata
disciplina     operi,    all'interno    del    tessuto    egualitario
dell'ordinamento,  quella  specifica equiparazione (oppure, a seconda
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto corretto uso del potere normativo. Solo nel caso
in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa
o  ragione  della  disciplina  introdotta  potra' dirsi realizzato un
vizio  di  legittimita'  costituzionale  della norma, proprio perche'
fondato  sulla  irragionevole  omologazione  di  situazioni  diverse»
(sentenze n. 5 del 2000 e n. 89 del 1996).
    Il   giudizio   presuppone   l'individuazione   di   un   tertium
comparationis,   rappresentato   da  fattispecie  omologhe  a  quella
prevista  dalla  norma  censurata, ricavabili da norme incriminatrici
poste  a  tutela  degli  stessi  interessi (individuati nell'ordine e
nella  sicurezza  pubblica) e strutturanti con modalita' identiche o,
quantomeno,  analoghe  la condotta (sentenze n. 409 del 1989 e n. 341
del  1994).  Nel  caso  in  argomento sono ipotizzabili due raffronti
della  norma  che si censura: uno ristretto alle fattispecie previste
dall'art. 14,   comma   5-ter,   d.l.gs.   n. 286/1998,  l'altro  con
fattispecie non contemplate dalla disciplina sull'immigrazione.
    Con riferimento al primo profilo si osserva che la norma in esame
non  mira  a  reprimere  la  semplice  clandestinita', che continua a
restare  penalmente  irrilevante,  ma  quella  qualificata dal previo
ordine  del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto si
vuole  combattere  il  fenomeno  della  irregolare  permanenza  dello
straniero  nel  territorio  dello  Stato, di per se' considerato come
lesivo  dell'ordine  pubblico.  Ora,  se  questa e' la funzione della
comminatoria  penale, gia' non si comprende perche' alcune ipotesi di
irregolare  permanenza  (e  si tratta di casi di alto allarme sociale
perche'  riferibili a stranieri espulsi dal Ministro dell'interno per
motivi  di  ordine  pubblico  e  sicurezza pubblica), diversamente da
quanto  accadeva  in precedenza, non configurino ora alcun reato. Non
solo,  altre condotte che parimenti si sostanziano in inosservanza di
omologhi provvedimenti della stessa autorita' (questore), sono puniti
in forma differenziata nonostante ledano lo stesso interesse.
    Si e' gia' osservato che l'elemento differenziatore prescelto dal
legislatore  non  e'  la  condotta, ma il fatto che ha determinato il
provvedimento  di espulsione. Lo straniero regolarmente soggiornante,
il  cui  permesso  sia scaduto senza che sia stato chiesto il rinnovo
nei  60  giorni  successivi  alla  scadenza,  fruisce  di  un  doppio
trattamento  di  favore: la sua espulsione non viene in prima battuta
eseguita  coattivamente,  ma riceve soltanto l'intimazione a lasciare
il  territorio  nazionale  entro  15  giorni  dalla notificazione del
provvedimento;  inoltre,  se  si  trattiene in spregio all'ordine del
questore  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato,  e'  punito con
l'arresto  da  sei  mesi  ad  un anno. Viceversa lo straniero che sia
stato  espulso  o perche' entrato in Italia sottraendosi ai controlli
di  frontiera e non e' stato respinto, o perche' si e' trattenuto nel
territorio  dello  Stato  senza aver chiesto il permesso di soggiorno
nel  termine  prescritto,  salvo  che  il ritardo sia dipeso da forza
maggiore,  ovvero quando il permesso di soggiorno e' stato revocato o
annullato  o  perche'  appartiene  a  taluna delle categorie indicate
nell'art. 1  della  legge  27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito
dall'art. 2  della  legge  3 agosto 1988, n. 327, o nell'art. 1 della
legge  31  maggio  1965,  n. 575,  come sostituito dall'art. 13 della
legge  13 settembre 1982 n. 646, e' punito con la reclusione da uno a
4  anni. Ne discende che condotte analoghe a quella contravvenzionale
in precedenza indicata sono sanzionate, non solo a titolo di delitto,
ma  con  una  pena il cui minimo e' parametrato al massimo dell'unica
fattispecie rimasta di natura contravvenzionale.
    Ora,  se  il  principio  di  uguaglianza  esige  che «la pena sia
proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso in modo che il
sistema  sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa
sociale  ed a quella di tutela delle posizioni individuali» (sentenza
n. 409  del 18 luglio 1989), tutte le condotte di trattenimento dello
straniero  nel  territorio  italiano  ledono  con modalita' oggettive
identiche lo stesso bene. E', infatti, dalla inosservanza dell'ordine
del  questore di lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale
che  prende  avvio l'aggressione al bene giuridico tutelato ed in cui
si sostanzia la colpevolezza dell'autore del fatto.
    Differenziare    identiche    fattispecie    (talune   penalmente
indifferenti,  altre punite in modo lieve, altre in modo estremamente
pesante)  in  base  a  situazioni  che  precedono  la  condotta e non
rivelano  una  reale  dannosita'  sociale,  significa  disancorare il
giudizio  di offensivita' (che costituisce la sintesi della relazione
sussistente tra il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice
e   il  fatto)  dal  fatto  stesso;  significa,  in  ultima  analisi,
sanzionare   in   modo   differenziato,   e  percio',  arbitrario  ed
irragionevole, situazioni omologhe.
    La  comparazione  si  presenta  fattibile  anche  con altre norme
incriminatrici    presenti    in    campi   diversi   dalla   materia
dell'immigrazione.  Cosi'  appare  similare alla fattispecie in esame
quella  prevista  dall'art. 650  c.p.,  laddove punisce con l'arresto
fino  a tre mesi o con l'ammenda l'inottemperanza ad un provvedimento
legalmente  dato  dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o
d'ordine  pubblico. Tutela parimenti tale interesse la violazione del
provvedimento  di  rimpatrio emesso dal questore ai sensi dell'art. 2
della  legge 27 dicembre 1956 n. 1423 e punita con l'arresto da uno a
sei  mesi. Al riguardo pare interessante notare come con l'entrata in
vigore  del  d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, la giurisprudenza si fosse
posto  il  problema  se l'inosservanza da parte dello straniero della
intimazione  di lasciare il territorio dello Stato fosse rapportabile
alla  violazione  dell'art. 650  c.p.  e si dovesse applicare la pena
prevista da tale norma. La risposta era stata negativa sol perche' si
era  osservato  che  per  la  violazione  era  prevista  la  sanzione
amministrativa dell'immediato accompagnamento alla frontiera ai sensi
dell'art. 7, comma 9, del d.l. citato, disposizione speciale rispetto
alla  generica  previsione di cui all'art. 650 c.p. (Cass. pen., sez.
I, 26 marzo 1998 n. 1229).
    Tutto  cio'  dimostra la stretta parentela esistente tra la norma
contenuta  nel  codice  penale  e  quella speciale prevista nel campo
dell'immigrazione,  parentela  non  rinnegata  dalla  formulazione in
termini   di   «reato   di  flagranza»,  modulata  sulla  persistente
illiceita'   del  trattenersi  in  Italia,  situazione  che  comunque
consegue   ad   una  ingiustificata  non  attivazione  a  fronte  del
provvedimento  di  allontanamento  del questore. Si deve ancora tener
presente  che  l'espulsione  puo' essere disposta dal prefetto per le
stesse   categorie  di  persone  destinatarie  del  provvedimento  di
rimpatrio  con  una  comunanza  di esigenze di tutela della sicurezza
pubblica davvero eclatante.
    Eppure,   a   fronte   delle  stesse  esigenze  di  tutela  della
collettivita',  il  trattamento  sanzionatorio  appare  smaccatamente
differenziato e ben piu' favorevole per il cittadino, che, per quanto
pericoloso  egli  sia,  non  puo'  essere  allontanato dal territorio
nazionale.  Non  solo,  come tra breve si vedra', la irragionevole ed
arbitraria   disparita'   di   trattamento   di  situazioni  omologhe
sfavorisce lo straniero e lo discrimina dal cittadino con riferimento
ad uno dei diritti fondamentali (liberta' personale).
    Esiste  stretta  connessione tra il principio di proporzionalita'
della  pena, ricavabile dall'art. 3 Cost., e la finalita' rieducativa
della  sanzione  criminale  sancita  dall'art. 27, terzo comma Cost.,
finalita'  non  limitata alla sola fase dell'esecuzione, essendo «una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologico,   e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue: tale finalita' implica un costante principio di proporzione
tra  qualita'  e  quantita'  della  sanzione, da una parte, e offesa,
dall'altra»  (sentenza  n. 313 del 1990). Pertanto e' stato affermato
che  «la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale»
provocata  dalla  previsione  di  una  sanzione penale manifestamente
eccessiva   rispetto   al  disvalore  dell'illecito  «produce...  una
vanificazione    del   fine   rieducativo   della   pena   prescritto
dall'art. 27,  comma 3  della  Costituzione,  che  di quella liberta'
costituisce  una  garanzia  istituzionale  in relazione allo stato di
detenzione» (sentenza 343 del 1993).
    A  fronte  di  cio',  occorre  domandarsi: a due anni di distanza
dall'emanazione  della legge n. 189/2002 il sensibile inasprimento di
pena  per  molte  delle  ipotesi  di  inottemperanza  da  parte dello
straniero all'ordine del questore e' almeno giustificato da finalita'
generalpreventive?  La risposta pare essere negativa se si osserva il
fenomeno  dell'immigrazione  clandestina nella sua dimensione storica
(e   comunque   i  mutamenti  sanzionatori  non  paiono  rapportabili
all'eventuale modesto incremento dei flussi migratori).
    In  ogni  caso  non  va  dimenticato  quanto  osservato,  in  via
generale,   da   codesta   Corte   e   cioe'  che  «il  principio  di
proporzionalita'...  nel  campo  del diritto penale equivale a negare
legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee
a   raggiungere   finalita'   statuali   di  prevenzione,  producono,
attraverso   la   pena,   danni   all'individuo   (ai   suoi  diritti
fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente  maggiori  dei
vantaggi  ottenuti  (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei
beni  e valori offesi dalle predette incriminazioni» (sentenza n. 409
del  1989).  Peraltro, leggendo la relazione all'emendamento del d.l.
n. 241/2004,  che  ha  introdotto una cosi' elevata sanzione, si nota
come  i  relatori  giustifichino la modifica legislativa soltanto con
riferimento  alla  necessita'  di adeguarsi alla sentenza della Corte
costituzionale  n. 223 del 2004 che aveva ritenuto costituzionalmente
illegittimo     l'art. 14,    comma    5-quinquies,    della    legge
sull'immigrazione  «nella  parte  in  cui stabilisce che per il reato
previsto  dal  comma  5-ter  del  medesimo  art. 14  e'  obbligatorio
l'arresto  dell'autore  del  fatto» per la manifesta irragionevolezza
della  previsione  di  una  misura  precautelare  non suscettibile di
sfociare  in  alcuna  misura cautelare in base al vigente ordinamento
processuale.   In  altri  termini  la  trasformazione  in  delitto  e
l'aumento  di  pena  e'  stato dettato dal solo scopo di ripristinare
l'arresto  obbligatorio  ritenuto illegittimo dalla Corte; non a caso
il  limite  edittale massimo della pena e' fissato in quattro anni di
reclusione,   presupposto   minimo   per  l'adozione  della  custodia
cautelare in carcere (art. 280, comma 2 c.p.p.). Pertanto la risposta
sanzionatoria  e'  stata  scollegata  dal grado di offensivita' della
condotta  e  strumentalizzata ad una finalita' meramente processuale,
quella  di  giustificare  l'arresto  obbligatorio  in  flagranza e di
garantire  lo  svolgimento  del  giudizio  direttissimo  in  tutte le
ipotesi previste dal codice di procedura penale.
    Ora,   se   si   ritorna   al   raffronto   tra   la   disciplina
dell'ingiustificato   trattenimento   in  Italia  dello  straniero  e
l'inosservanza   del   provvedimento   di  rimpatrio  si  osserva  un
differente  ed  incomprensibile  trattamento  del bene della liberta'
personale  nel  caso in cui i destinatari siano le persone pericolose
di  cui  all'art. 1,  legge  n. 1243/1956,  e cio' nonostante codesta
corte   abbia  affermato  che  «per  quanto  gli  interessi  pubblici
incidenti  sulla  materia  dell'immigrazione  siano  molteplici e per
quanto possano essere percepiti come gravi problemi di sicurezza e di
ordine  pubblico  connessi a flussi migratori incontrollati, non puo'
risultarne   minimamente   scalfito  il  carattere  universale  della
liberta'   personale,  che,  al  pari  degli  altri  diritti  che  la
costituzione  proclama  inviolabili,  spetta ai singoli non in quanto
partecipi  di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri
umani» ( sentenza n. 105 del 2001).
    In conclusione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata
per le ragioni appena esposte la questione sopraindicata.