LA CORTE DI APPELLO Riunita in Camera di consiglio, pronuncia la presente ordinanza, nella causa iscritta al n. 2197 del ruolo generale A dell'anno 2005, promossa da Giovanni Battista Gorio, elettivamente domiciliato presso la persona e lo studio dell'avvocata Serena Miraldi, del Foro di Firenze, che, insieme coll'avvocata Clara Mecacci, del Foro di Grosseto, lo rappresenta e difende per procura estesa a margine del ricorso, appellante; Contro comune di Castelnuovo Berardenga, elettivamente domiciliato presso la persona e lo studio dell'avvocato Claudio Gattini, via Maggio n. 30, Firenze; rappresentato e difeso, per procura estesa in calce alla copia notificata del ricorso in appello, dagli avvocati Paolo Emilio Paolini e Marco Manneschi, del Foro di Arezzo, convenuto in appello, con l'intervento del p.m. che, il 15 ottobre 2005, ha cosi' concluso: «Accoglimento dell'appello»; causa avente ad oggetto: elettorato passivo. Letti gli atti; Uditi i procuratori delle parti, i quali si sono riportati alle rispettive conclusioni in atti; O s s e r v a Cenni allo svolgimento del processo 1. - Con l'atto introduttivo del giudizio l'attore, Giovanni Battista Gorio, riferi' che il consiglio comunale di Castelnuovo Berardenga, con deliberazione del 29 dicembre 2004, lo aveva nominato consigliere comunale in via di surroga rispetto ad altro consigliere, decaduto dall'ufficio; che, contestualmente, tuttavia, lo stesso consiglio comunale aveva rilevato, nei suoi confronti, la causa di incompatibilita' di cui all'art. 63, comma 1, n. 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali): cio' in quanto lo stesso attore aveva proposto (sia pure, non in proprio, sibbene nella mera qualita' di amministratore delegato di due distinte societa) un ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Toscana, notificato nel luglio 2004, per l'annullamento della delibera consiliare di quel comune, n. 24/2004, di approvazione del piano particolareggiato per il recupero ambientale, produttivo, turistico dell'ex-cava S. Carlo, in Villa a Sesta di Castelnuovo Berardenga; che, con provvedimento dell'8 marzo 2005 il Consiglio comunale aveva ritenuto esistente la causa della contestata incompatibilita'; che, conseguentemente, con delibera del 29 aprile 2005, n. 64, preso atto che Giovanni Battista Gorio non aveva rimosso, come, pure, sarebbe stato in sua facolta', la causa di incompatibilita', lo stesso consiglio comunale aveva dichiarato il ricorrente decaduto dall'ufficio. 2. - Giovanni Battista Gorio dichiaro', quindi, di voler impugnare la delibera in questione, della quale affermo' la illegittimita'; il Tribunale di Siena, investito della controversia, rigetto', tuttavia, il ricorso con sentenza 26 luglio 2005. 3. - Il Tribunale osservo', in particolare: a) che era incontroverso, tra le parti, che, avanti al Tribunale amministrativo regionale della Toscana, pendesse una lite fra il comune di Castelnuovo Berardenga, da una parte, e la Agricola S. Felice S.p.A., la Borgo S. Felice S.r.l. e la Fondazione per la tutela del Chianti classico, dall'altra; b) che era, anche, pacifico che, delle due Societa' in lite col comune, il ricorrente fosse rappresentante legale e che il medesimo ricorrente fosse, ancora, membro del consiglio di amministrazione della Fondazione per la tutela del Chianti classico; c) che il fenomeno giuridico della c.d. immedesimazione organica, che caratterizzava il rapporto tra Giovanni Battista Gorio, da una parte, e le due ricordate Societa', dall'altra, determinava una sorta di compenetrazione tra il soggetto rappresentato e quello rappresentante: e dunque una relazione di maggiore intensita' ed evidenza rispetto al rapporto di rappresentanza volontaria (posto che gli enti possono esprimere la loro volonta' solo attraverso gli organi a cio' deputati, «i cui interessi non possono che essere convergenti con quelli delle societa' rappresentate, entrando, diversamente, in un non consentito conflitto di interessi»); d) che la norma di cui all'art. 63, comma 1, n. 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che dettava le regole dell'incompatibilita', doveva essere interpretata secondo questa chiave, occorrendo, del resto, ricordare, a tal proposito, che la personalita' giuridica e' pur sempre una fictio juris e che doveva essere evitata, per quanto possibile, una interpretazione della disciplina in esame che potesse favorire artifici volti a eludere i fini perseguiti dal legislatore in questo campo; e) che, in ordine alla diversa formulazione del n. 4 del comma 1 dell'art. 63 del d.lgs. n. 267/2000 (disposizione che non conteneva alcun cenno alle possibili situazioni di rappresentanza organica), rispetto ai primi tre numeri dello stesso comma (ove, invece, tale riferimento ricorreva), non poteva assumere, in concreto, un particolare rilievo interpretativo, ai fini della ricostruzione della volumptas legis, la regola secondo cui ubi lex voluit, dixit; ubi noluit, tacuit: cio' per la considerazione che i compilatori del testo unico di cui trattasi avevano tratto le disposizioni de quibus dall'art. 3 della legge 23 aprile 1981, n. 154, il quale, a sua volta, era stato formulato sotto la ispirazione di vari testi legislativi diversi, risalenti, a loro volta, ad epoche diverse; f) che, del resto, una differente interpretazione dell'art. 63, primo comma, n. 4, del d.lgs. n. 267/2000 avrebbe reso incongrua e incomprensibile la norma di cui al precedente n. 3, ove si sancisce l'incompatibilita' del consulente legale, amministrativo e tecnico che presta opera in modo continuativo in favore delle imprese di cui ai numeri 1 e 2 dello stesso comma 1. 4. - Giovanni Battista Gorio ha proposto appello contro la sentenza ora ricordata richiamandosi, in particolare, alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, secondo la quale le norme che restringono il diritto di elettorato passivo debbono essere di stretta interpretazione; egli ha fatto presente, tra l'altro, di non essere titolare di quote di partecipazione nelle due societa' in discorso e di rivestire la carica di amministratore delle medesime solo in relazione alla sua qualita' di funzionario della Compagnia di Assicurazioni Ras S.p.A., che deteneva il controllo di esse. 5. - All'udienza camerale del 22 novembre 2005 la corte, ritenendo che, in ordine alla disciplina giuridica da applicare alla presente fattispecie, potesse profilarsi, in riferimento agli artt. 3 e 97, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 63, comma 1, n. 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (nella parte in cui tale disposizione non estende il suo effetto alle persone titolari della rappresentanza organica dei soggetti che si trovino nella medesima situazione di lite pendente prevista dalla norma stessa), ha invitato le parti a illustrare, su tale q.l.c., le rispettive posizioni: su richiesta delle medesime parti ha, poi, concesso un termine per memorie, rinviando la causa all'udienza camerale del 14 febbraio 2006; in tale udienza la corte si e' riservata di provvedere in ordine alla q.l.c. come sopra indicata. Sulla rilevanza della questione che si intende prospettare 6. - L'articolo 63 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e' del seguente tenore: «Incompatibilita'. 1. - Non puo' ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale: 1) l'amministratore o il dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza in cui vi sia almeno il 20 per cento di partecipazione rispettivamente da parte del comune o della provincia o che dagli stessi riceva in via continuativa una sovvenzione in tutto o in parte facoltativa, quando la parte facoltativa superi nell'anno il dieci per cento del totale delle entrate dell'ente [Numero cosi' modificato (in ordine alla percentuale del 20%) dall'articolo 14-decies del d.l. 30 giugno 2005, n. 115]; 2) colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune o della provincia ovvero in societa' ed imprese volte al profitto di privati, sovvenzionate da detti enti in modo continuativo, quando le sovvenzioni non siano dovute in forza di una legge dello Stato o della regione; 3) il consulente legale, amministrativo e tecnico che presta opera in modo continuativo in favore delle imprese di cui ai numeri 1 e 2 del presente comma; 4) colui che ha lite pendente, in quanto parte di un procedimento civile od amministrativo, rispettivamente, con il comune o la provincia. La pendenza di una lite in materia tributaria ovvero di una lite promossa ai sensi dell'articolo 9 del presente decreto non determina incompatibilita'. Qualora il contribuente venga eletto amministratore comunale, competente a decidere sul suo ricorso e' la commissione del comune capoluogo di circondario sede di tribunale ovvero sezione staccata di tribunale. Qualora il ricorso sia proposto contro tale comune, competente a decidere e' la commissione del comune capoluogo di provincia. Qualora il ricorso sia proposto contro quest'ultimo comune, competente a decidere e', in ogni caso, la commissione del comune capoluogo di regione. Qualora il ricorso sia proposto contro quest'ultimo comune, competente a decidere e' la commissione del capoluogo di provincia territorialmente piu' vicino. La lite promossa a seguito di o conseguente a sentenza di condanna determina incompatibilita' soltanto in caso di affemarzione di responsabilita' con sentenza passata in giudicato. La costituzione di parte civile nel processo penale non costituisce causa di incompatibilita'. La presente disposizione si applica anche ai procedimenti in corso [Numero cosi' modificato (in ordine alle eccezioni mirate di cui all'ultima parte) dall'art. 3-ter del d.l. 22 febbraio 2002, n. 13, convertito in legge, con modificazioni, con legge 24 aprile 2002, n. 75]; 5) colui che, per, fatti compiuti allorche' era amministratore o impiegato, rispettivamente, del comune o della provincia ovvero di istituto o azienda da esso dipendente o vigilato, e' stato, con sentenza passata in giudicato, dichiarato responsabile verso l'ente, istituto od azienda e non ha ancora estinto il debito; 6) colui che, avendo un debito liquido ed esigibile, rispettivamente, verso il comune o la provincia ovvero verso istituto od azienda da essi dipendenti e' stato legalmente messo in mora ovvero, avendo un debito liquido ed esigibile per imposte, tasse e tributi nei riguardi di detti enti, abbia ricevuto invano notificazione dell'avviso di cui all'art. 46 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602; 7) colui che, nel corso del mandato, viene a trovarsi in una condizione di ineleggibilita' prevista nei precedenti articoli. 2. - L'ipotesi di cui al n. 2) del comma 1 non si applica a coloro che hanno parte in cooperative o consorzi di cooperative, iscritte regolarmente nei registri pubblici. 3. - L'ipotesi di cui al n. 4) del comma 1 non si applica agli amministratori per fatto connesso con l'esercizio del mandato». 7. - La corte condivide il principio, sempre affermato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, secondo il quale le norme che restringono il diritto di elettorato passivo, incidendo su fondamentali prerogative costituzionali del cittadino, debbono essere di stretta interpretazione. 8. - La Corte rileva che, in applicazione di tale principio la disposizione di cui trattasi, di cui all'art. 33, comma 1, n. 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, non dovrebbe potere essere letta nel senso che l'incompatibilita' che in essa si prevede si riferisca, oltre che, come, espressamente, risulta dal testo, a coloro che abbiano, personalmente, una lite pendente con l'Ente comunale (ovvero provinciale o circoscrizionale), anche a coloro che ricoprano cariche rappresentative di soggetti che abbiano, a loro volta, una lite pendente con lo stesso Ente. 9. - A tale riguardo si vuole precisare che, a parere della corte, una tale interpretazione non sarebbe, in astratto, secondo le regole generali, inammissibile: basti solo ricordare, a tal proposito (ma gli esempi potrebbero essere molti), che e' pacifico, in giurisprudenza e in dottrina, che l'incapacita' a testimoniare, di cui all'art. 246 c.p.c., riguardi anche i soggetti aventi la rappresentanza organica delle persone giuridiche che siano parti, attuali o potenziali, in causa: e cio' nonostante manchi, testualmente, nei confronti di tali rappresentanti, nella disposizione di cui allo stesso art. 246 c.p.c., un espresso richiamo. 10. - La corte ritiene, pero', al contempo, che l'interpretazione ora ipotizzata (corrispondente, in sostanza, a quella fatta propria dal primo giudice) avrebbe natura estensiva: ed infatti, se si conduce un'interpretazione letterale del testo, limitandosi al significato (giuridico) proprio delle parole (ed astraendosi da altri criteri interpretativi, pur, in generale, previsti dall'ordinamento), dovrebbe escludersi che la legge, quando richiama il caso di «colui che ha lite pendente, in quanto parte di un procedimento civile od amministrativo», possa riferirsi al rappresentante legale della persona giuridica che abbia in corso la lite stessa: cio' proprio per il fatto che la persona titolare della rappresentanza organica e', secondo i principi della personalita' giuridica e della conseguente autonomia patrimoniale perfetta della quale sono dotati gli enti aventi quella qualita', un soggetto diverso e distinto rispetto alla persona giuridica in lite. 11. - Si vuol dire, in sostanza, che un'interpretazione quale quella fatta propria dal primo giudice, pur ammissibile in astratto, troverebbe, pero', un grave ostacolo, alla sua concreta percorribilita', in riferimento alla specifica materia che e' oggetto del presente giudizio, nella quale vige, per le interpretazioni estensive dei casi di restrizione del diritto di elettorato passivo, una regola di esclusione. 12. - E' pur vero, tuttavia, che, ove dovesse essere accolta l'opinione secondo la quale l'interpretazione rigorosa della disposizione de qua (ovvero l'interpretazione secondo la quale dovrebbe escludersi che l'incompatibilita' di cui trattasi riguardi anche i rappresentanti legali delle persone giuridiche in lite con l'ente), darebbe luogo a una norma contraria alla Costituzione, verrebbe in rilievo un altro, fondamentale canone interpretativo, giustamente valorizzato dalla costante giurisprudenza della Corte costituzionale: quello della interpretazione adeguatrice, in base al quale, qualora, di una disposizione che risulti, in relazione a determinate, sue, possibili interpretazioni, costituzionalmente illegittima, sia, pero', attuabile, secondo le regole generali dell'interpretazione degli atti normativi, una diversa interpretazione, dalla quale discenda una norma conforme alla Costituzione, e' quest'ultima interpretazione che il giudice ha, de plano, il dovere di prediligere, senza inutili (e, percio', inammissibili) interpelli incidentali della Corte costituzionale: dunque il criterio della interpretazione adeguatrice dovrebbe, probabilmente, prevalere di fronte a quello che imporrebbe, nel caso, il divieto dell'interpretazione estensiva; cio' renderebbe, cosi', in concreto, irrilevante la q.l.c. che la Corte ha inteso delibare. 13. - Il fatto e', pero', che, a parere della corte, vi e' un altro argomento idoneo ad escludere definitivamente, in relazione al contesto specifico della normativa che viene in esame, che possa essere accolta l'interpretazione fatta propria dal primo giudice: deve, infatti, considerarsi che anche il criterio dell'interpretazione coordinata del testo normativo si opporrebbe, nel presente caso, a un'estensione di significato della norma in esame (di cui al n. 4 del primo comma dell'art. 63 del t.u. n. 267): dovendosi, infatti, ricercare la volonta' obiettiva del legislatore (art. 12, comma 1, preleggi) sarebbe difficile (o meglio, secondo la corte: impossibile) dare conto della ragione per cui lo stesso legislatore, nel medesimo articolo di legge, ed anzi nello stesso comma, avrebbe usato formule cosi' diverse (in un caso, n. 2: «colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti ...»; nell'altro caso, n. 4: «colui che ha lite pendente, in quanto parte di un procedimento civile od amministrativo ...») per esprimere (nell'ipotesi interpretativa di cui, appunto, si contesta la praticabilita) la stessa estensione ai soggetti rappresentanti; le ragioni, di ordine storico, addotte, a tal proposito, dal primo giudice non appaiono, per la verita', idonee a giustificare una tale diversita' di espressione, la quale, dunque, rimane insuperabile indice (secondo l'antico brocardo ricordato dal primo giudice) di una volonta' legislativa diversificata. 14. - In sostanza, dunque, la corte e' dell'opinione che, sulla base della norma applicabile alla fattispecie, l'appello sarebbe fondato e l'impugnazione proposta dall'attuale appellante dovrebbe, quindi, essere accolta. 15. - La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 63, comma 1, n. 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui tale disposizione non estende il suo effetto alle persone titolari della rappresentanza organica dei soggetti che si trovino nella medesima situazione di lite pendente gia' prevista dalla norma stessa, e', dunque, rilevante ai fini della definizione della presente controversia posto che, nella prospettiva sopra indicata, solo l'accoglimento della predetta q.l.c. da parte della Corte costituzionale, colla conseguente estensione anche ai rappresentanti legali della incompatibilita' prevista dalla norma de qua, impedirebbe l'accoglimento dell'appello; appello che, invece, dovrebbe essere accolto nel caso contrario. Sulla non manifesta infondatezza della questione che si intende prospettare 16. - La disciplina giuridica del conflitto di interessi e' tema assai delicato in un ordinamento giuridico democratico e costituzionale: essa, infatti, si situa all'incrocio tra i principi che assicurano ai cittadini l'esercizio dei diritti politici e le norme che hanno, invece, il compito di tutelare la distribuzione degli uffici pubblici e l'esercizio delle funzioni pubbliche ad essi ricollegabili da degenerazioni e sviamenti sempre possibili; la disciplina di tali conflitti, anche quando riguarda, in ipotesi (come e' nel presente caso concreto), cariche elettive o, comunque, organi che trovano la loro diretta legittimazione nel particolare rapporto che li lega ad organi elettivi, non si pone, in via di principio, in antagonismo (o comunque in rapporto di eccezione rispetto alla regola) di fronte alla natura democratica dell'ordinamento, posto che tale natura non implica affatto un indistinto primato della volonta' popolare (primato che, non a caso, e' sempre stato invocato dai tiranni) sibbene il riconoscimento che «la sovranita' appartiene al popolo nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1 Cost.): ovvero, secondo principi propri dello stato costituzionale, appartiene al popolo nelle forme e nei limiti del diritto, fuori dai quali, come ben sapevano i padri costituenti, non c'e' il piccolo sovrano ma la massa, con le sue passioni e la sua debolezza. 17. - Uno Stato democratico-costituzionale, quale e', attualmente, lo Stato italiano, ha, quindi, il dovere, se non vuole rinnegare i propri, stessi principi, di apprestare una efficace e ragionevole disciplina dei casi di conflitto d'interessi che possano riguardare l'esercizio delle potesta' pubbliche; a questo riguardo deve, tra l'altro, osservarsi che, nemmeno da un punto di vista puramente fattuale, puo' dirsi che l'accertamento di una incompatibilita' legale rispetto a una carica elettiva si ponga certamente in contrasto rispetto alla effettiva volonta' degli elettori: essendo, la norma di legge che quella incompatibilita' commina, preesistente rispetto all'espressione del voto, deve, infatti, ragionevolmente, presumersi (o, nella minore delle ipotesi: non puo' escludersi) che il voto stesso sia stato espresso nella consapevolezza (ed anzi: nella fiducia) che, una volta accertata l'incompatibilita' (solo ipotetica, al momento del voto), la legge avrebbe fatto il suo corso; le ragioni per escludere il predetto contrasto sono, poi, a maggior ragione evidenti nei casi nei quali la legge preveda (come nel presente caso) una semplice incompatibilita' (sempre removibile ex post da parte dell'eletto), e non la ineleggibilita' o la incandidabilita). 18. - Lo stesso art. 65, primo comma, della Costituzione («La legge determina i casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' con l'ufficio di deputato o di senatore», piu' che il compito di legittimare, dal punto di vista costituzionale, una disciplina del conflitto d'interessi riguardo all'ufficio di deputato o di senatore sembra, proprio, avere il senso di una affermazione della necessita' giuridica di una tale disciplina (accompagnata dalla riserva di legge in ordine alla medesima). 19. - Il fine della disciplina giuridica del conflitto d'interessi e', naturalmente, nel diritto pubblico, quello di impedire, per quanto e' possibile, che l'esercizio di una pubblica funzione possa essere, di fatto, condizionato dalla indebita considerazione di interessi materiali estranei a quelli che, fisiologicamente, dovrebbero essere, correttamente, tenuti in conto in relazione a quella funzione; da questo punto di vista non sembra, alla Corte, che la diretta titolarita' di un interesse giuridicamente differenziato che si ponga in potenziale conflitto d'interessi con l'ente del quale la legge voglia tutelare la correttezza dei processi determinativi si ponga in termini sostanzialmente diversi rispetto alla situazione di chi, pur non essendo il titolare dell'interesse in conflitto, sia, pero', il rappresentante legale dello stesso soggetto titolare: in quest'ultima ipotesi, infatti, l'esistenza, per il rappresentante, del dovere giuridico (oltre che, eventualmente, dell'interesse economico) di perseguire l'interesse della persona giuridica amministrata realizza una fattispecie giuridicamente differenziata che, alla Corte, appare (in relazione al carattere e alle finalita' della disciplina giuridica del conflitto d'interessi) ontologicamente equivalente a quella nella quale la stessa situazione riguardi, direttamente, una persona fisica. 20. - Va osservato, del resto, che lo stesso legislatore dimostra, normalmente, di condividere questa equiparazione accomunando, per quanto possibile, nella stessa disciplina, sia nel diritto pubblico che nel diritto privato, i casi di coloro che sono diretti titolari di una determinata situazione e i casi di coloro che sono rappresentanti legali dei titolari stessi; si vogliono, qui, a tal proposito, fare solo due esempi, peraltro molto significativi, l'uno nel campo del diritto pubblico e l'altro nel campo del diritto privato: l'art. 2 della legge 20 luglio 2004, n. 215 («Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi»), prevede, al comma 1, che «il titolare di cariche di Governo, nello svolgimento del proprio incarico, non - possa - ... c) ricoprire cariche o uffici o svolgere altre funzioni comunque denominate ovvero esercitare compiti di gestione in societa' aventi fini di lucro o in attivita' di rilievo imprenditoriale ...»; prevede anche, al comma 2, l'obbligo, per l'imprenditore individuale, di «nominare uno o piu' institori ai sensi degli articoli da 2203 a 2207 del codice civile»; l'art. 1394 c.c., intitolato «Conflitto d'interessi», e' del seguente tenore: «Il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d'interessi col rappresentato puo' essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo»: qui il legislatore, non solo detta una disciplina indifferenziata per il diretto titolare di una determinata situazione in conflitto e per colui che ne e' rappresentante, ma, addirittura, perviene a questo risultato normativo con una unica proposizione, con la quale, senza necessita' di alcuna specificazione, regola il conflitto d'interessi presupponendo che esso possa riguardare, oltre che l'interesse personale del rappresentato (in conflitto coll'interesse del rappresentante), anche l'interesse di altro rappresentato (in tal modo la norma e' stata sempre interpretata dalla giurisprudenza: v., da ultimo, Cassazione civile, sez. I, 29 settembre 2005, n. 19045: «Il conflitto di interessi di cui all'art. 1394 c.c. postula un rapporto d'incompatibilita' fra le esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante o di un terzo che egli a sua volta rappresenti ...». 21. - Si vuole, ancora, osservare che l'equiparazione, ai fini della disciplina giuridica del conflitto d'interessi, fra l'interesse personale di un soggetto e l'interesse del rappresentato appare come un dato talmente scontato nell'ambito del diritto pubblico (oltre che nell'ambito del diritto privato) da essere considerata, essa stessa, insufficiente (anche se necessaria) a tutelare i valori del corretto funzionamento di uno Stato democratico-costituzionale: ed infatti, a cominciare dagli Stati Uniti d'America (ove le questioni della connessione tra politica e affari e, in generale, quelle che riguardano la degenerazione della democrazia e i rimedi volti ad impedirla, sono, per motivi storici e sociali, emerse all'attenzione generale prima che altrove), si e' prospettata la necessita' di squarciare il velo della persona giuridica per impedire che il vero titolare dell'interesse in conflitto possa, solo perche' privo di cariche sociali, servirsi dello schermo della personalita' giuridica per ottenere benefici personali in danno del soggetto che deve essere tutelato («lifting the veil doctrine» ovvero «piercing the veil doctrine» o anche: «disregarding of legal entity», «disregarding of corporate entity», «cracking the personate shell»). 22. - Adunque la questione della legittimita' costituzionale di cui trattasi non appare, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, manifestamente infondata, non sembrando che la diversificazione del trattamento che il legislatore ha posto in essere sia giustificata e ragionevole. 23. - Va osservato ancora, del resto, che la previsione dell'incompatibilita' risulta, per chi ha lite pendente con l'Ente, imposta dall'art. 97, primo comma, della Costituzione e che la stessa norma obbliga direttamente, secondo la Corte, ad estendere la stessa regola di incompatibilita' alle persone titolari della rappresentanza organica dei soggetti che si trovino nella medesima situazione di lite pendente coll'Ente stesso (non potendo ammettersi, alla luce dell'esperienza, che il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione possano essere conseguiti senza che la legge provveda a impedire le situazioni piu' evidenti e indiscutibili di conflitto d'interessi). 24. - In definitiva, dunque, la Corte ritiene non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 97, primo comma, della Costituzione, la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 63, comma 1, n. 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nella parte in cui tale disposizione non estende il suo effetto alle persone titolari della rappresentanza organica dei soggetti che si trovino nella stessa situazione di lite pendente gia' prevista dalla norma stessa. 25. - Poiche' il presente giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione di tale questione, esso, ex art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va sospeso mentre, ai sensi della stessa norma, va disposta l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e va ordinato che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.