LA CORTE DI APPELLO

    Riunita  in Camera di consiglio, pronuncia la presente ordinanza,
nella  causa iscritta al n. 2197 del ruolo generale A dell'anno 2005,
promossa da Giovanni Battista Gorio, elettivamente domiciliato presso
la  persona  e  lo  studio  dell'avvocata Serena Miraldi, del Foro di
Firenze,  che,  insieme  coll'avvocata  Clara  Mecacci,  del  Foro di
Grosseto,  lo  rappresenta e difende per procura estesa a margine del
ricorso, appellante;
    Contro    comune   di   Castelnuovo   Berardenga,   elettivamente
domiciliato  presso  la  persona  e  lo  studio dell'avvocato Claudio
Gattini,  via  Maggio  n. 30,  Firenze;  rappresentato  e difeso, per
procura estesa in calce alla copia notificata del ricorso in appello,
dagli  avvocati  Paolo  Emilio Paolini e Marco Manneschi, del Foro di
Arezzo,  convenuto  in  appello, con l'intervento del p.m. che, il 15
ottobre  2005,  ha cosi' concluso: «Accoglimento dell'appello»; causa
avente ad oggetto: elettorato passivo.
    Letti gli atti;
    Uditi  i  procuratori delle parti, i quali si sono riportati alle
rispettive conclusioni in atti;

                            O s s e r v a

                 Cenni allo svolgimento del processo
    1.  -  Con  l'atto  introduttivo  del giudizio l'attore, Giovanni
Battista  Gorio,  riferi'  che  il  consiglio comunale di Castelnuovo
Berardenga, con deliberazione del 29 dicembre 2004, lo aveva nominato
consigliere comunale in via di surroga rispetto ad altro consigliere,
decaduto  dall'ufficio;  che,  contestualmente,  tuttavia,  lo stesso
consiglio  comunale  aveva  rilevato, nei suoi confronti, la causa di
incompatibilita'  di  cui  all'art. 63,  comma  1,  n. 4, del decreto
legislativo   18   agosto  2000,  n. 267  (Testo  unico  delle  leggi
sull'ordinamento  degli enti locali): cio' in quanto lo stesso attore
aveva proposto (sia pure, non in proprio, sibbene nella mera qualita'
di  amministratore  delegato  di  due distinte societa) un ricorso al
Tribunale  amministrativo  regionale  della  Toscana,  notificato nel
luglio  2004,  per  l'annullamento  della delibera consiliare di quel
comune,  n. 24/2004,  di approvazione del piano particolareggiato per
il  recupero ambientale, produttivo, turistico dell'ex-cava S. Carlo,
in  Villa  a  Sesta di Castelnuovo Berardenga; che, con provvedimento
dell'8  marzo  2005 il Consiglio comunale aveva ritenuto esistente la
causa  della  contestata incompatibilita'; che, conseguentemente, con
delibera  del 29 aprile 2005, n. 64, preso atto che Giovanni Battista
Gorio  non  aveva rimosso, come, pure, sarebbe stato in sua facolta',
la  causa  di  incompatibilita',  lo  stesso consiglio comunale aveva
dichiarato il ricorrente decaduto dall'ufficio.
    2.   -  Giovanni  Battista  Gorio  dichiaro',  quindi,  di  voler
impugnare   la   delibera  in  questione,  della  quale  affermo'  la
illegittimita';  il Tribunale di Siena, investito della controversia,
rigetto', tuttavia, il ricorso con sentenza 26 luglio 2005.
    3. - Il Tribunale osservo', in particolare:
        a)  che  era  incontroverso,  tra  le  parti,  che, avanti al
Tribunale  amministrativo  regionale della Toscana, pendesse una lite
fra  il comune di Castelnuovo Berardenga, da una parte, e la Agricola
S.  Felice  S.p.A.,  la Borgo S. Felice S.r.l. e la Fondazione per la
tutela del Chianti classico, dall'altra;
        b)  che  era, anche, pacifico che, delle due Societa' in lite
col  comune,  il  ricorrente  fosse  rappresentante  legale  e che il
medesimo   ricorrente   fosse,   ancora,   membro  del  consiglio  di
amministrazione della Fondazione per la tutela del Chianti classico;
        c)  che  il  fenomeno  giuridico  della  c.d. immedesimazione
organica, che caratterizzava il rapporto tra Giovanni Battista Gorio,
da  una  parte,  e le due ricordate Societa', dall'altra, determinava
una  sorta  di compenetrazione tra il soggetto rappresentato e quello
rappresentante:  e  dunque  una  relazione  di maggiore intensita' ed
evidenza rispetto al rapporto di rappresentanza volontaria (posto che
gli  enti  possono  esprimere  la  loro  volonta' solo attraverso gli
organi  a  cio'  deputati,  «i  cui  interessi non possono che essere
convergenti   con  quelli  delle  societa'  rappresentate,  entrando,
diversamente, in un non consentito conflitto di interessi»);
        d)  che  la  norma  di  cui  all'art. 63,  comma 1, n. 4, del
decreto  legislativo  18  agosto  2000, n. 267, che dettava le regole
dell'incompatibilita',  doveva  essere  interpretata  secondo  questa
chiave,  occorrendo,  del  resto,  ricordare, a tal proposito, che la
personalita'  giuridica  e'  pur sempre una fictio juris e che doveva
essere  evitata,  per  quanto  possibile,  una  interpretazione della
disciplina  in  esame che potesse favorire artifici volti a eludere i
fini perseguiti dal legislatore in questo campo;
        e)  che,  in  ordine  alla  diversa formulazione del n. 4 del
comma  1  dell'art. 63  del  d.lgs. n. 267/2000 (disposizione che non
conteneva  alcun  cenno  alle  possibili situazioni di rappresentanza
organica),  rispetto  ai  primi  tre  numeri dello stesso comma (ove,
invece,   tale   riferimento  ricorreva),  non  poteva  assumere,  in
concreto,  un  particolare  rilievo  interpretativo,  ai  fini  della
ricostruzione  della  volumptas  legis, la regola secondo cui ubi lex
voluit,  dixit;  ubi noluit, tacuit: cio' per la considerazione che i
compilatori  del  testo  unico  di  cui  trattasi  avevano  tratto le
disposizioni  de  quibus  dall'art. 3  della  legge  23  aprile 1981,
n. 154,  il  quale,  a  sua  volta,  era  stato  formulato  sotto  la
ispirazione  di  vari  testi  legislativi  diversi, risalenti, a loro
volta, ad epoche diverse;
        f)   che,   del   resto,   una   differente   interpretazione
dell'art. 63,  primo comma, n. 4, del d.lgs. n. 267/2000 avrebbe reso
incongrua  e  incomprensibile la norma di cui al precedente n. 3, ove
si  sancisce l'incompatibilita' del consulente legale, amministrativo
e  tecnico  che  presta  opera  in  modo continuativo in favore delle
imprese di cui ai numeri 1 e 2 dello stesso comma 1.
    4.  -  Giovanni  Battista  Gorio  ha  proposto  appello contro la
sentenza   ora   ricordata   richiamandosi,   in   particolare,  alla
giurisprudenza   della   Corte   costituzionale   e  della  Corte  di
cassazione,  secondo  la quale le norme che restringono il diritto di
elettorato passivo debbono essere di stretta interpretazione; egli ha
fatto  presente,  tra  l'altro,  di  non  essere titolare di quote di
partecipazione  nelle  due  societa'  in  discorso  e di rivestire la
carica  di  amministratore  delle medesime solo in relazione alla sua
qualita'  di funzionario della Compagnia di Assicurazioni Ras S.p.A.,
che deteneva il controllo di esse.
    5.  -  All'udienza  camerale  del  22  novembre  2005  la  corte,
ritenendo  che, in ordine alla disciplina giuridica da applicare alla
presente fattispecie, potesse profilarsi, in riferimento agli artt. 3
e  97,  primo comma, della Costituzione, la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 63,  comma 1, n. 4, del decreto legislativo
18  agosto  2000,  n. 267  (nella  parte in cui tale disposizione non
estende  il  suo  effetto  alle persone titolari della rappresentanza
organica  dei  soggetti  che  si trovino nella medesima situazione di
lite  pendente  prevista  dalla norma stessa), ha invitato le parti a
illustrare,  su  tale  q.l.c.,  le rispettive posizioni: su richiesta
delle  medesime  parti  ha,  poi,  concesso  un  termine per memorie,
rinviando la causa all'udienza camerale del 14 febbraio 2006; in tale
udienza  la corte si e' riservata di provvedere in ordine alla q.l.c.
come sopra indicata.
     Sulla rilevanza della questione che si intende prospettare
    6.  -  L'articolo  63  del  decreto  legislativo  18 agosto 2000,
n. 267, e' del seguente tenore:
        «Incompatibilita'.  1.  -  Non  puo'  ricoprire  la carica di
sindaco,    presidente   della   provincia,   consigliere   comunale,
provinciale o circoscrizionale:
          1)   l'amministratore   o   il  dipendente  con  poteri  di
rappresentanza  o  di  coordinamento  di  ente,  istituto  o  azienda
soggetti  a  vigilanza  in  cui  vi  sia  almeno  il  20 per cento di
partecipazione  rispettivamente da parte del comune o della provincia
o  che  dagli  stessi  riceva  in via continuativa una sovvenzione in
tutto  o  in  parte  facoltativa,  quando la parte facoltativa superi
nell'anno  il  dieci  per  cento  del  totale delle entrate dell'ente
[Numero  cosi'  modificato  (in  ordine  alla  percentuale  del  20%)
dall'articolo 14-decies del d.l. 30 giugno 2005, n. 115];
          2) colui che, come titolare, amministratore, dipendente con
poteri  di rappresentanza o di coordinamento ha parte, direttamente o
indirettamente,  in  servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o
appalti,  nell'interesse  del  comune  o  della  provincia  ovvero in
societa'  ed  imprese  volte al profitto di privati, sovvenzionate da
detti  enti  in  modo  continuativo,  quando le sovvenzioni non siano
dovute in forza di una legge dello Stato o della regione;
          3)  il  consulente  legale,  amministrativo  e  tecnico che
presta  opera  in modo continuativo in favore delle imprese di cui ai
numeri 1 e 2 del presente comma;
          4)  colui  che  ha  lite  pendente,  in  quanto parte di un
procedimento civile od amministrativo, rispettivamente, con il comune
o  la provincia. La pendenza di una lite in materia tributaria ovvero
di  una  lite  promossa ai sensi dell'articolo 9 del presente decreto
non  determina incompatibilita'. Qualora il contribuente venga eletto
amministratore  comunale, competente a decidere sul suo ricorso e' la
commissione  del  comune  capoluogo  di circondario sede di tribunale
ovvero sezione staccata di tribunale. Qualora il ricorso sia proposto
contro  tale  comune,  competente  a  decidere  e' la commissione del
comune capoluogo di provincia. Qualora il ricorso sia proposto contro
quest'ultimo  comune,  competente  a  decidere  e',  in ogni caso, la
commissione  del  comune capoluogo di regione. Qualora il ricorso sia
proposto  contro  quest'ultimo  comune,  competente  a decidere e' la
commissione  del capoluogo di provincia territorialmente piu' vicino.
La  lite  promossa  a seguito di o conseguente a sentenza di condanna
determina  incompatibilita'  soltanto  in  caso  di  affemarzione  di
responsabilita' con sentenza passata in giudicato. La costituzione di
parte   civile   nel   processo   penale  non  costituisce  causa  di
incompatibilita'.  La  presente  disposizione  si  applica  anche  ai
procedimenti  in  corso  [Numero  cosi'  modificato  (in  ordine alle
eccezioni mirate di cui all'ultima parte) dall'art. 3-ter del d.l. 22
febbraio  2002,  n. 13,  convertito  in legge, con modificazioni, con
legge 24 aprile 2002, n. 75];
          5)   colui   che,   per,   fatti   compiuti  allorche'  era
amministratore  o  impiegato,  rispettivamente,  del  comune  o della
provincia ovvero di istituto o azienda da esso dipendente o vigilato,
e'  stato, con sentenza passata in giudicato, dichiarato responsabile
verso l'ente, istituto od azienda e non ha ancora estinto il debito;
          6)  colui  che,  avendo  un  debito  liquido  ed esigibile,
rispettivamente, verso il comune o la provincia ovvero verso istituto
od  azienda  da  essi  dipendenti  e'  stato legalmente messo in mora
ovvero,  avendo  un  debito liquido ed esigibile per imposte, tasse e
tributi   nei   riguardi   di   detti  enti,  abbia  ricevuto  invano
notificazione   dell'avviso   di  cui  all'art. 46  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602;
          7)  colui  che,  nel corso del mandato, viene a trovarsi in
una condizione di ineleggibilita' prevista nei precedenti articoli.
        2.  -  L'ipotesi di cui al n. 2) del comma 1 non si applica a
coloro  che  hanno  parte  in  cooperative o consorzi di cooperative,
iscritte regolarmente nei registri pubblici.
        3.  -  L'ipotesi  di  cui al n. 4) del comma 1 non si applica
agli amministratori per fatto connesso con l'esercizio del mandato».
    7.  -  La  corte  condivide  il principio, sempre affermato dalla
giurisprudenza   della   Corte   costituzionale   e  della  Corte  di
cassazione,  secondo  il quale le norme che restringono il diritto di
elettorato    passivo,    incidendo   su   fondamentali   prerogative
costituzionali    del    cittadino,   debbono   essere   di   stretta
interpretazione.
    8.  -  La  Corte rileva che, in applicazione di tale principio la
disposizione  di cui trattasi, di cui all'art. 33, comma 1, n. 4, del
decreto  legislativo  18  agosto  2000,  n. 267,  non dovrebbe potere
essere  letta nel senso che l'incompatibilita' che in essa si prevede
si  riferisca,  oltre  che, come, espressamente, risulta dal testo, a
coloro  che  abbiano,  personalmente,  una  lite  pendente con l'Ente
comunale  (ovvero provinciale o circoscrizionale), anche a coloro che
ricoprano  cariche  rappresentative  di  soggetti che abbiano, a loro
volta, una lite pendente con lo stesso Ente.
    9.  -  A  tale  riguardo  si  vuole precisare che, a parere della
corte,  una tale interpretazione non sarebbe, in astratto, secondo le
regole generali, inammissibile: basti solo ricordare, a tal proposito
(ma  gli  esempi  potrebbero  essere  molti),  che  e'  pacifico,  in
giurisprudenza  e  in  dottrina, che l'incapacita' a testimoniare, di
cui   all'art. 246  c.p.c.,  riguardi  anche  i  soggetti  aventi  la
rappresentanza  organica  delle  persone  giuridiche che siano parti,
attuali   o   potenziali,   in   causa:  e  cio'  nonostante  manchi,
testualmente,   nei   confronti   di   tali   rappresentanti,   nella
disposizione   di  cui  allo  stesso  art. 246  c.p.c.,  un  espresso
richiamo.
    10. - La corte ritiene, pero', al contempo, che l'interpretazione
ora  ipotizzata  (corrispondente, in sostanza, a quella fatta propria
dal  primo  giudice)  avrebbe  natura  estensiva:  ed  infatti, se si
conduce   un'interpretazione  letterale  del  testo,  limitandosi  al
significato (giuridico) proprio delle parole (ed astraendosi da altri
criteri interpretativi, pur, in generale, previsti dall'ordinamento),
dovrebbe  escludersi  che la legge, quando richiama il caso di «colui
che  ha  lite  pendente, in quanto parte di un procedimento civile od
amministrativo»,  possa  riferirsi  al  rappresentante  legale  della
persona giuridica che abbia in corso la lite stessa: cio' proprio per
il  fatto  che  la persona titolare della rappresentanza organica e',
secondo  i  principi della personalita' giuridica e della conseguente
autonomia  patrimoniale  perfetta  della  quale  sono dotati gli enti
aventi  quella qualita', un soggetto diverso e distinto rispetto alla
persona giuridica in lite.
    11.  -  Si  vuol  dire, in sostanza, che un'interpretazione quale
quella  fatta propria dal primo giudice, pur ammissibile in astratto,
troverebbe,   pero',   un   grave   ostacolo,   alla   sua   concreta
percorribilita', in riferimento alla specifica materia che e' oggetto
del  presente  giudizio,  nella  quale  vige,  per le interpretazioni
estensive  dei casi di restrizione del diritto di elettorato passivo,
una regola di esclusione.
    12.  -  E'  pur  vero,  tuttavia, che, ove dovesse essere accolta
l'opinione   secondo   la   quale  l'interpretazione  rigorosa  della
disposizione  de  qua  (ovvero  l'interpretazione  secondo  la  quale
dovrebbe  escludersi  che l'incompatibilita' di cui trattasi riguardi
anche  i  rappresentanti  legali delle persone giuridiche in lite con
l'ente),  darebbe  luogo  a  una  norma  contraria alla Costituzione,
verrebbe  in  rilievo  un  altro, fondamentale canone interpretativo,
giustamente  valorizzato  dalla  costante  giurisprudenza della Corte
costituzionale:  quello della interpretazione adeguatrice, in base al
quale,  qualora,  di  una  disposizione  che  risulti, in relazione a
determinate,   sue,   possibili  interpretazioni,  costituzionalmente
illegittima,  sia,  pero',  attuabile,  secondo  le  regole  generali
dell'interpretazione    degli    atti    normativi,    una    diversa
interpretazione,   dalla  quale  discenda  una  norma  conforme  alla
Costituzione,  e'  quest'ultima interpretazione che il giudice ha, de
plano,   il   dovere  di  prediligere,  senza  inutili  (e,  percio',
inammissibili)  interpelli  incidentali  della  Corte costituzionale:
dunque   il  criterio  della  interpretazione  adeguatrice  dovrebbe,
probabilmente, prevalere di fronte a quello che imporrebbe, nel caso,
il divieto dell'interpretazione estensiva; cio' renderebbe, cosi', in
concreto, irrilevante la q.l.c. che la Corte ha inteso delibare.
    13.  -  Il  fatto  e', pero', che, a parere della corte, vi e' un
altro  argomento idoneo ad escludere definitivamente, in relazione al
contesto  specifico  della  normativa  che  viene in esame, che possa
essere  accolta  l'interpretazione  fatta  propria dal primo giudice:
deve,     infatti,     considerarsi    che    anche    il    criterio
dell'interpretazione  coordinata  del  testo normativo si opporrebbe,
nel  presente  caso,  a  un'estensione  di significato della norma in
esame  (di cui al n. 4 del primo comma dell'art. 63 del t.u. n. 267):
dovendosi,  infatti,  ricercare la volonta' obiettiva del legislatore
(art. 12,  comma 1, preleggi) sarebbe difficile (o meglio, secondo la
corte:  impossibile)  dare  conto  della  ragione  per  cui lo stesso
legislatore,  nel  medesimo  articolo  di legge, ed anzi nello stesso
comma,  avrebbe usato formule cosi' diverse (in un caso, n. 2: «colui
che,   come   titolare,  amministratore,  dipendente  con  poteri  di
rappresentanza   o   di   coordinamento   ha  parte,  direttamente  o
indirettamente,  in  servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o
appalti  ...»; nell'altro caso, n. 4: «colui che ha lite pendente, in
quanto  parte  di  un procedimento civile od amministrativo ...») per
esprimere  (nell'ipotesi  interpretativa di cui, appunto, si contesta
la praticabilita) la stessa estensione ai soggetti rappresentanti; le
ragioni,  di  ordine  storico,  addotte,  a  tal proposito, dal primo
giudice  non appaiono, per la verita', idonee a giustificare una tale
diversita'  di  espressione,  la  quale,  dunque, rimane insuperabile
indice (secondo l'antico brocardo ricordato dal primo giudice) di una
volonta' legislativa diversificata.
    14.  -  In sostanza, dunque, la corte e' dell'opinione che, sulla
base  della  norma  applicabile  alla  fattispecie, l'appello sarebbe
fondato  e  l'impugnazione proposta dall'attuale appellante dovrebbe,
quindi, essere accolta.
    15.  -  La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 63,
comma  1,  n. 4,  del  decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in
riferimento  agli artt. 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui
tale  disposizione  non  estende il suo effetto alle persone titolari
della  rappresentanza  organica  dei  soggetti  che  si trovino nella
medesima  situazione  di  lite  pendente  gia'  prevista  dalla norma
stessa,  e',  dunque,  rilevante  ai  fini  della  definizione  della
presente  controversia  posto  che, nella prospettiva sopra indicata,
solo  l'accoglimento  della  predetta  q.l.c.  da  parte  della Corte
costituzionale,  colla conseguente estensione anche ai rappresentanti
legali   della   incompatibilita'   prevista   dalla  norma  de  qua,
impedirebbe   l'accoglimento   dell'appello;   appello  che,  invece,
dovrebbe essere accolto nel caso contrario.
Sulla  non  manifesta  infondatezza  della  questione  che si intende
                             prospettare
    16.  - La disciplina giuridica del conflitto di interessi e' tema
assai   delicato   in   un   ordinamento   giuridico   democratico  e
costituzionale:  essa,  infatti, si situa all'incrocio tra i principi
che  assicurano  ai  cittadini  l'esercizio dei diritti politici e le
norme  che  hanno,  invece,  il  compito di tutelare la distribuzione
degli  uffici pubblici e l'esercizio delle funzioni pubbliche ad essi
ricollegabili  da  degenerazioni  e  sviamenti  sempre  possibili; la
disciplina di tali conflitti, anche quando riguarda, in ipotesi (come
e'  nel presente caso concreto), cariche elettive o, comunque, organi
che  trovano  la loro diretta legittimazione nel particolare rapporto
che  li lega ad organi elettivi, non si pone, in via di principio, in
antagonismo  (o  comunque  in  rapporto  di  eccezione  rispetto alla
regola) di fronte alla natura democratica dell'ordinamento, posto che
tale  natura non implica affatto un indistinto primato della volonta'
popolare  (primato  che,  non  a  caso,  e' sempre stato invocato dai
tiranni)  sibbene  il riconoscimento che «la sovranita' appartiene al
popolo  nelle  forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1 Cost.):
ovvero,   secondo   principi   propri   dello  stato  costituzionale,
appartiene  al popolo nelle forme e nei limiti del diritto, fuori dai
quali,  come  ben  sapevano  i padri costituenti, non c'e' il piccolo
sovrano ma la massa, con le sue passioni e la sua debolezza.
    17.   -   Uno   Stato   democratico-costituzionale,   quale   e',
attualmente,  lo  Stato italiano, ha, quindi, il dovere, se non vuole
rinnegare  i  propri,  stessi  principi, di apprestare una efficace e
ragionevole  disciplina dei casi di conflitto d'interessi che possano
riguardare  l'esercizio  delle  potesta' pubbliche; a questo riguardo
deve,  tra  l'altro,  osservarsi  che,  nemmeno  da un punto di vista
puramente   fattuale,   puo'   dirsi   che   l'accertamento   di  una
incompatibilita'  legale  rispetto  a  una  carica  elettiva si ponga
certamente  in  contrasto  rispetto  alla  effettiva  volonta'  degli
elettori:  essendo,  la  norma  di  legge che quella incompatibilita'
commina,   preesistente  rispetto  all'espressione  del  voto,  deve,
infatti,  ragionevolmente, presumersi (o, nella minore delle ipotesi:
non  puo'  escludersi)  che  il  voto stesso sia stato espresso nella
consapevolezza  (ed  anzi:  nella  fiducia)  che, una volta accertata
l'incompatibilita'  (solo  ipotetica,  al momento del voto), la legge
avrebbe  fatto  il  suo  corso;  le ragioni per escludere il predetto
contrasto sono, poi, a maggior ragione evidenti nei casi nei quali la
legge  preveda (come nel presente caso) una semplice incompatibilita'
(sempre   removibile   ex  post  da  parte  dell'eletto),  e  non  la
ineleggibilita' o la incandidabilita).
    18.  -  Lo  stesso  art. 65, primo comma, della Costituzione («La
legge  determina  i casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' con
l'ufficio  di  deputato  o  di  senatore»,  piu'  che  il  compito di
legittimare,  dal  punto  di vista costituzionale, una disciplina del
conflitto  d'interessi riguardo all'ufficio di deputato o di senatore
sembra,  proprio, avere il senso di una affermazione della necessita'
giuridica di una tale disciplina (accompagnata dalla riserva di legge
in ordine alla medesima).
    19.   -   Il   fine  della  disciplina  giuridica  del  conflitto
d'interessi   e',  naturalmente,  nel  diritto  pubblico,  quello  di
impedire,  per  quanto  e' possibile, che l'esercizio di una pubblica
funzione   possa   essere,  di  fatto,  condizionato  dalla  indebita
considerazione   di   interessi  materiali  estranei  a  quelli  che,
fisiologicamente,  dovrebbero  essere, correttamente, tenuti in conto
in  relazione a quella funzione; da questo punto di vista non sembra,
alla Corte, che la diretta titolarita' di un interesse giuridicamente
differenziato  che  si  ponga in potenziale conflitto d'interessi con
l'ente del quale la legge voglia tutelare la correttezza dei processi
determinativi  si  ponga  in termini sostanzialmente diversi rispetto
alla situazione di chi, pur non essendo il titolare dell'interesse in
conflitto, sia, pero', il rappresentante legale dello stesso soggetto
titolare:  in  quest'ultima  ipotesi,  infatti,  l'esistenza,  per il
rappresentante,  del  dovere  giuridico  (oltre  che,  eventualmente,
dell'interesse  economico)  di  perseguire  l'interesse della persona
giuridica   amministrata   realizza  una  fattispecie  giuridicamente
differenziata  che,  alla  Corte, appare (in relazione al carattere e
alle  finalita' della disciplina giuridica del conflitto d'interessi)
ontologicamente equivalente a quella nella quale la stessa situazione
riguardi, direttamente, una persona fisica.
    20.  -  Va  osservato,  del  resto,  che  lo  stesso  legislatore
dimostra,    normalmente,   di   condividere   questa   equiparazione
accomunando,  per  quanto possibile, nella stessa disciplina, sia nel
diritto  pubblico  che nel diritto privato, i casi di coloro che sono
diretti titolari di una determinata situazione e i casi di coloro che
sono  rappresentanti  legali dei titolari stessi; si vogliono, qui, a
tal  proposito,  fare  solo due esempi, peraltro molto significativi,
l'uno  nel campo del diritto pubblico e l'altro nel campo del diritto
privato:  l'art. 2  della  legge  20  luglio  2004, n. 215 («Norme in
materia  di  risoluzione  dei  conflitti  di interessi»), prevede, al
comma  1,  che  «il titolare di cariche di Governo, nello svolgimento
del proprio incarico, non - possa - ... c) ricoprire cariche o uffici
o  svolgere  altre  funzioni  comunque  denominate  ovvero esercitare
compiti  di  gestione in societa' aventi fini di lucro o in attivita'
di   rilievo   imprenditoriale  ...»;  prevede  anche,  al  comma  2,
l'obbligo,  per  l'imprenditore  individuale, di «nominare uno o piu'
institori  ai sensi degli articoli da 2203 a 2207 del codice civile»;
l'art. 1394 c.c., intitolato «Conflitto d'interessi», e' del seguente
tenore:  «Il  contratto  concluso  dal  rappresentante  in  conflitto
d'interessi  col  rappresentato  puo' essere annullato su domanda del
rappresentato,  se  il  conflitto  era conosciuto o riconoscibile dal
terzo»:   qui   il   legislatore,   non  solo  detta  una  disciplina
indifferenziata per il diretto titolare di una determinata situazione
in  conflitto  e per colui che ne e' rappresentante, ma, addirittura,
perviene a questo risultato normativo con una unica proposizione, con
la  quale,  senza  necessita'  di  alcuna  specificazione,  regola il
conflitto  d'interessi presupponendo che esso possa riguardare, oltre
che   l'interesse   personale   del   rappresentato   (in   conflitto
coll'interesse   del  rappresentante),  anche  l'interesse  di  altro
rappresentato  (in  tal  modo  la  norma e' stata sempre interpretata
dalla  giurisprudenza:  v.,  da ultimo, Cassazione civile, sez. I, 29
settembre   2005,   n. 19045:  «Il  conflitto  di  interessi  di  cui
all'art. 1394  c.c.  postula  un  rapporto  d'incompatibilita' fra le
esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante o di
un terzo che egli a sua volta rappresenti ...».
    21.  -  Si  vuole, ancora, osservare che l'equiparazione, ai fini
della disciplina giuridica del conflitto d'interessi, fra l'interesse
personale  di un soggetto e l'interesse del rappresentato appare come
un dato talmente scontato nell'ambito del diritto pubblico (oltre che
nell'ambito  del diritto privato) da essere considerata, essa stessa,
insufficiente  (anche se necessaria) a tutelare i valori del corretto
funzionamento  di uno Stato democratico-costituzionale: ed infatti, a
cominciare  dagli  Stati  Uniti  d'America  (ove  le  questioni della
connessione  tra  politica  e  affari  e,  in  generale,  quelle  che
riguardano  la  degenerazione  della  democrazia  e i rimedi volti ad
impedirla,  sono, per motivi storici e sociali, emerse all'attenzione
generale  prima  che  altrove),  si  e'  prospettata la necessita' di
squarciare  il  velo della persona giuridica per impedire che il vero
titolare  dell'interesse  in  conflitto  possa, solo perche' privo di
cariche  sociali, servirsi dello schermo della personalita' giuridica
per ottenere benefici personali in danno del soggetto che deve essere
tutelato  («lifting  the  veil  doctrine»  ovvero  «piercing the veil
doctrine»  o  anche: «disregarding of legal entity», «disregarding of
corporate entity», «cracking the personate shell»).
    22.  -  Adunque la questione della legittimita' costituzionale di
cui   trattasi   non   appare,   in   riferimento   all'art. 3  della
Costituzione,   manifestamente   infondata,   non  sembrando  che  la
diversificazione  del  trattamento  che  il  legislatore  ha posto in
essere sia giustificata e ragionevole.
    23.   -  Va  osservato  ancora,  del  resto,  che  la  previsione
dell'incompatibilita'  risulta,  per chi ha lite pendente con l'Ente,
imposta dall'art. 97, primo comma, della Costituzione e che la stessa
norma  obbliga direttamente, secondo la Corte, ad estendere la stessa
regola di incompatibilita' alle persone titolari della rappresentanza
organica  dei  soggetti  che  si trovino nella medesima situazione di
lite  pendente  coll'Ente  stesso  (non potendo ammettersi, alla luce
dell'esperienza,    che   il   buon   andamento   e   l'imparzialita'
dell'amministrazione  possano  essere  conseguiti  senza che la legge
provveda  a  impedire  le situazioni piu' evidenti e indiscutibili di
conflitto d'interessi).
    24.  - In definitiva, dunque, la Corte ritiene non manifestamente
infondata,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  97, primo comma, della
Costituzione,   la   questione   della   legittimita'  costituzionale
dell'art. 63,  comma 1, n. 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267,  nella  parte  in  cui  tale  disposizione non estende il suo
effetto  alle  persone  titolari  della  rappresentanza  organica dei
soggetti che si trovino nella stessa situazione di lite pendente gia'
prevista dalla norma stessa.
    25.  -  Poiche'  il  presente  giudizio  non puo' essere definito
indipendentemente  dalla  risoluzione  di  tale  questione,  esso, ex
art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va sospeso mentre, ai sensi
della  stessa  norma, va disposta l'immediata trasmissione degli atti
alla   Corte   costituzionale   e  va  ordinato  che,  a  cura  della
cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa
e  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e sia comunicata ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento.