IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA

    Letti  gli atti relativi ai procedimenti chiamati all'udienza del
10  ottobre 2006 e instaurati ai sensi degli artt. 69 e 14-ter, legge
n. 354/1975  e  succ.  mod.  in tema di reclamo in materia di lavoro,
preliminarmente  riuniti  per  ragioni  di  identita' delle questioni
trattate  nei  confronti di Tamer Mustaf Mustafa', nato il 5 dicembre
1949  in  Turchia,  ora  ristretto nella C.R. Fossombrone; Pattarello
Paolo, nato il 16 febbraio 1948 a Mira (VE), ora ristretto nella C.R.
Fossombrone;  De Feo Pasquale, nato il 27 gennaio 1961 a Pontecagnano
Faiano  (SA),  ora  ristretto  nella C.R. Parma; Cavaliere Francesco,
nato  il 16 luglio 1961 a Casal di Principe (CE), ora ristretto nella
C.R.  Fossombrone;  Cascino  Salvatore,  nato  il  27 novembre 1969 a
Mazzarino  (CL),  ora  ristretto  nella  C.R. Milano «Opera»; Amdouni
Kamel,  nato  in  Tunisia il 17 luglio 1968, ora ristretto nella C.R.
San  Geminiano;  Plepi  Luan  nato  in Albania il 1° agosto 1979, ora
ristretto  nella  C.R.  Fossombrone;  Pace  Mario nato a Catania il 6
novembre  1959,  ora ristretto nella C.R. Padova; Belgacem Lotfi nato
in Tunisia il 10 novembre 1964, ora ristretto nella C.R. Fossombrone;
Sperandeo  Alfredo  nato a Torre Annunziata (NA) il 13 dicembre 1962,
ora  ristretto  nella  C.R.  Fossombrone; Serio Antonio nato a Reggio
Calabria il 22 aprile 1958, ora ristretto nella C.R. Fossombrone;

                     Osserva in fatto e diritto

    I  soggetti  in  epigrafe  presentavano  reclami a questa a.g. ai
sensi  dell'art. 69,  comma  6,  lett.  a)  o.p.  lamentando  che, in
relazione  alle mansioni lavorative espletate durante la carcerazione
in  vari  istituti di pena, sono state loro corrisposte remunerazioni
non  esatte  e  di  importo  inferiore  al  dovuto,  che hanno subito
disparita'  di  trattamento  rispetto ad altri detenuti-lavoratori ed
altro,  sempre  in  relazione all'attivita' lavorativa interna (v. in
dettaglio dichiarazioni di reclamo in atti).
    In  ordine  ai  diritti  connessi  all'attivita'  lavorativa  del
detenuto,  qualche  pronuncia  della  giurisprudenza  di  merito  (v.
sentenza  Corte appello Roma, sezione lavoro, pronunciata all'udienza
di discussione del 3 giugno 2004 nella causa civile n. 5215/2002 R.G.
in  grado  di  appello  contro  la  sentenza  del 22 ottobre 2001 del
Tribunale   di   Roma)  ha  sostenuto  che  oltre  al  magistrato  di
sorveglianza,  l'interessato puo' sempre adire il giudice del lavoro,
per una tutela giurisdizionale piena e specifica.
    Per contro la Corte di cassazione (Cass. pen., sez. u., 21 luglio
1999,  n. 490 e Cass. civ., sez. lavoro, 7 giugno 1999, n. 5605; piu'
recentemente,  sentenza 23 aprile 2004 della sez. lavoro, ric. Rodano
e  sentenza  14  ottobre  2004  della  I sez. penale, ric. Arcara) ha
stabilito   che   la   competenza  del  giudice  del  lavoro  per  le
controversie  relative  al  lavoro  carcerario, prestato dal detenuto
all'interno  od  all'esterno  dello  stabilimento  detentivo a favore
dell'amministrazione    penitenziaria    oppure   all'esterno,   alle
dipendenze   di   altri   datori   di  lavoro,  pur  se  assimilabile
all'ordinario  lavoro  subordinato,  deve ritenersi derogata a favore
del  magistrato  di  sorveglianza,  per  effetto  dell'attribuzione a
quest'ultimo  dei  reclami  dei  detenuti  concernenti l'attribuzione
della   qualifica   lavorativa,  la  mercede,  la  remunerazione,  lo
svolgimento  delle  attivita' di tirocinio e lavoro, le assicurazioni
sociali.
    Preso atto percio' che l'interpretazione largamente maggioritaria
e  piu'  autorevole  attribuita  all'art. 69, comma 6, o.p., peraltro
condivisa anche da questa a.g., costituisce oggi il «diritto vivente»
cui   far   riferimento,   questa   A.G.  dubita  della  legittimita'
costituzionale della norma citata.
    In   effetti,   come   accennato,  per  un  verso  e'  senz'altro
condivisibile  la  diversa  competenza in ordine alle controversie in
materia di lavoro (magistrato di sorveglianza per i detenuti, giudice
del  lavoro  per  gli  altri lavoratori), data la diversa condizione,
quanto   a   status  libertatis,  delle  due  categorie  predette,  e
soprattutto data la diversa natura e ratio del lavoro da esse svolto:
in   particolare   il   lavoro   svolto   in   carcere  per  incarico
dell'amministrazione    penitenziaria    ha   finalita'   prettamente
rieducative  e  trattamentali,  cosi'  che  l'amministrazione puo' in
parte  decidere  di  far  lavorare  i  detenuti anche senza una reale
necessita'  propria (valutata in termini di costi sopportati-benefici
conseguiti), applica di regola il metodo turnario per far lavorare un
po'   tutti   (senza   che   si  possa  applicare  la  normativa  sui
licenziamenti,  ecc.),  ha  un  potere  di  vigilanza sul lavoro (con
relativo  potere  disciplinare) ben piu' ampio di quello riconosciuto
al  datore  di  lavoro  nei  confronti  del  lavoratore, ecc, ecc. In
considerazione   delle   differenze   evidenziate  appare  del  tutto
ragionevole  che ad occuparsi delle controversie in materia di lavoro
dei detenuti sia il magistrato di sorveglianza.
    Per  altro  verso  sorgono  forti  perplessita'  in  ordine  alle
garanzie    ed    all'effettivita'   della   tutela   giurisdizionale
riconosciute ai soggetti coinvolti in tali controversie.
    Basti  osservare che la procedura ex art. 14-ter o.p. non prevede
la  partecipazione  reale  di una delle parti del rapporto di lavoro,
quella  che  potrebbe  all'esito  del procedimento esser riconosciuta
debitrice di somme di denaro (cioe' il Ministero della giustizia, che
puo' solo presentare memorie e non ha diritto ad essere rappresentato
da  un difensore; inoltre, non essendo «parte», non puo' impugnare la
decisione ad essa sfavorevole).
    Inoltre  il  magistrato  di  sorveglianza  puo' solo pronunciarsi
sulla   fondatezza   o   meno  del  reclamo,  ma  non  puo'  emettere
provvedimenti  di  condanna: cio' si desume chiaramente dal fatto che
l'ordinanza emessa all'esito del procedimento ex art. 14-ter o.p. non
puo'  costituire titolo esecutivo, dato che non e' una sentenza e non
le  e' attribuita espressamente dalla legge efficacia esecutiva (cfr.
art. 474 c.p.c.).
    L'art. 69,     comma     6     dell'ordinamento    penitenziario,
nell'interpretazione  che  ad  esso  da'  la  consolidata  e pacifica
giurisprudenza   di  legittimita',  appare  in  contrasto  con  varie
disposizioni  costituzionali, inerenti i principi di eguaglianza e di
parita'  tra  i  soggetti processuali ed il diritto fondamentale alla
difesa:   con   gli  art.  3  e  24  della  Costituzione,  in  quanto
l'amministrazione  penitenziaria  si vede privata di qualsiasi tutela
processuale effettiva rispetto al procedimento in corso e soprattutto
rispetto  all'ordinanza  che  lo concludera'; con l'art. 111 perche',
come  detto,  se  il detenuto lavoratore puo' comunque ricorrere, sia
pure  in  Cassazione,  contro  l'ordinanza  emessa  dal magistrato di
sorveglianza,  all'amministrazione-datore  di  lavoro  e'  certamente
negato tale diritto.
    Nel  caso  di  cui  trattasi,  i  vizi  denunciati  si appalesano
rilevanti  in  ordine  all'oggetto  del  giudizio, poiche' in caso di
assunzione  di  una determinazione conclusiva da parte di questa a.g.
si  andrebbe  inevitabilmente  a  riservare  al  lavoratore  ma anche
all'amministrazione penitenziaria una forma di tutela sostanzialmente
ridotta,  con  riferimento, nei termini sopra chiariti, alla limitata
partecipazione   delle  parti,  all'impugnazione  della  decisione  e
all'eseguibilita' della stessa.