LA CORTE DI CASSAZIONE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso proposto da
Ceccarelli Romano, nato il 23 febbraio 1959, avverso ordinanza del 16
febbraio 2006 del Tribunale di sorveglianza di Perugia.
    Sentita   la   relazione  fatta  dal  consigliere  Gironi  Emilio
Giovanni,  sentite le conclusioni del p.g. dott. Gianfranco Viglietta
che ha chiesto il rigetto del ricorso.
    Vista   l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,  con  cui  e'  stata
dichiarata   inammissibile  l'istanza  di  affidamento  in  prova  al
servizio   sociale   di   Ceccarelli  Romano  ai  sensi  della  nuova
formulazione  dell'art. 58-quater, comma 7-bis, legge 26 luglio 1975,
n. 354  (Norme sull'ordinamento penitenziario), aggiunto dall'art. 7,
comma  7,  legge  5 dicembre  2005,  n. 251  che  preclude  la  nuova
concessione  del  predetto beneficio a coloro che, come l'istante, ne
abbiano  gia'  fruito  un  volta  ed  ai quali sia stata applicata la
recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p.;
    Visto  il  ricorso  con  cui  il difensore denuncia violazione di
legge  in  relazione  agli  artt. 25,  secondo comma, Cost. e 2 c.p.,
sull'assunto  che la nuova disposizione restrittiva invocata dal t.s.
non  potrebbe  retroattivamente  applicarsi  alle  condanne per reati
commessi  anteriormente  all'entrata  in vigore della citata legge di
modifica,   dovendosi  la  pena  considerare  nella  sua  globalita',
comprensiva  anche delle possibili variabili esecutive, e propone, in
subordine,  questione  di  legittimita'  costituzionale  della  nuova
disciplina restrittiva in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma
e 27, terzo comma, Cost.;
    Ritenuta  l'infondatezza  della  tesi difensiva con cui si invoca
l'applicabilita'  degli artt. 25, secondo comma, Cost. e 2 cod. pen.,
avendo   la   disposizione  restrittiva  in  esame  natura  di  norma
processuale,  seppure  in  connessione con una norma sostanziale come
quella  che  regola  la recidiva, ed essendo essa di conseguenza, per
costante indirizzo giurisprudenziale richiamato anche dal ricorrente,
soggetta al principio tempus regit actum, come, in generale, le norme
in  tema  di esecuzione penale e di ordinamento penitenziario (v., ex
plurimis,  Cass.,  sez.  I  pen.,  17 dicembre 2004, Goddi, in Dir. e
giustizia, 2005, fasc. 11,37);
    Rilevato  che  proprio  la  previsione  espressa,  da  parte  del
legislatore,  dell'inapplicabilita',  ai  detenuti  per  taluni reati
commessi  prima  dell'entrata in vigore della legge 23 dicembre 2002,
n. 279, delle restrizioni da questa introdotte (v. art. 4 legge cit.)
mediante  ampliamento  del  catalogo  dei reati di cui all'art. 4-bis
o.p.  (previsione  richiamata  dal  ricorrente a sostegno del proprio
assunto)  costituisce  argomento idoneo a smentire la tesi difensiva,
atteso   che,   ove   si  fossero  ritenute  operanti  le  previsioni
dell'art. 2  c.p.,  non  vi  sarebbe  stato  alcun bisogno di sancire
l'irretroattivita' della nuova disciplina: irretroattivita' derivata,
dunque,  solo  dall'espressa previsione di inapplicabilita' di quella
nuova  disposizione restrittiva ai condannati per reati anteriormente
commessi;
    Considerato  che  argomenti a favore della tesi qui disattesa non
possono  trarsi  neppure  dalla  formulazione  dell'art. 10, comma 2,
legge  5 dicembre. 2005, n. 251, pure invocato dal ricorrente per via
del  suo  generico richiamo alle disposizioni dell'art. 2 c.p. quanto
alle  norme  della  medesima legge diverse dall'art. 6 (relativo alla
prescrizione),  dovendosi  evidentemente  tale richiamo intendere nel
senso  del  rinvio  alle  disposizioni di detto art. 2 solo in quanto
applicabili secondo i principi generali (nello stesso senso v. Cass.,
sez.  I,  5 luglio 2006, n. 2321, Borromeo), tenuto, del resto, conto
che  la  legge  in questione disciplina diverse materie, talune delle
quali  suscettibili  di  applicazione  delle  richiamate disposizioni
codicistiche  (aumenti  di  pene edittali, disciplina del concorso di
circostanze di opposto segno, recidiva);
    Rilevato  che analoghi principi sono stati affermati recentemente
da  questa stessa sezione con la gia' citata sentenza n. 2321 in data
5 luglio 2006, Borromeo;
    Ritenuta,   per  contro,  la  non  manifesta  infondatezza  della
proposta   questione  di  legittimita'  costituzionale,  seppure  con
riferimento  limitato  all'art. 27, comma 3, Cost., iscrivendosi essa
nel  solco  gia'  reiteratamente percorso dal giudice delle leggi con
sentenze  nn.  306/1993,  504/1995,  445/1997,  137/1999 - relative a
limitazioni  nella  fruizione  o concessione di benefici penitenziari
introdotte  con  d.l.  8  giugno 1992, n. 306, convertito nella legge
7 agosto  1992,  n. 356  -- e significativamente ribadito, da ultimo,
con  sentenza  n. 257/2006  (concernente  l'art. 30-quater,  legge 26
luglio  1975,  n. 354, inserito dallo stesso art. 7, legge 5 dicembre
2005,  n. 251, qui sindacato e concernente l'introduzione di una piu'
rigorosa  disciplina  nei  confronti  dei recidivi), tutte snodantisi
lungo  un filo conduttore comune ed ispirate al principio secondo cui
«   non   si   puo'  ostacolare  il  raggiungimento  della  finalita'
rieducativa,  prescritta  dalla  Costituzione  nell'art. 27,  con  il
precludere  l'accesso  a  determinati benefici o a determinate misure
alternative  in favore di chi, al momento in cui e' entrata in vigore
una  legge restrittiva, abbia gia' realizzato tutte le condizioni per
usufruire di quei benefici o di quelle misure»;
    Rilevato,  infatti,  che  anche  nel caso in esame la preclusione
alla  reiterazione  del  beneficio  introdotta  dal  nuovo regime, se
applicata  a  condannati  che abbiano gia' anteriormente raggiunto un
grado   di  rieducazione  adeguato  alla  concessione  del  beneficio
richiesto,  si  risolverebbe in un irragionevole arresto del percorso
rieducativo,  segnandone  una  regressione  pur  in  difetto  di  una
regressione comportamentale da parte del detenuto;
    Considerato  che nella specie l'esecuzione concerne la pena di un
anno  di reclusione inflitta al Ceccarelli con sentenza del Tribunale
di  Perugia  in  data  28 luglio  2003  per  un reato di ricettazione
commesso nell'ormai lontano settembre 1996;
    Ritenuta  la concreta rilevanza della questione di illegittimita'
costituzionale  ai  fini  della  decisione  sull'istanza proposta dal
Ceccarelli,   avendo   il   Tribunale   di  sorveglianza  di  Perugia
preliminarmente  rilevato  la  preclusione  introdotta  dalla legge e
dichiarato  l'inammissibilita'  della richiesta senza poter procedere
al  vaglio  del merito secondo i criteri di cui all'art. 47, comma 3,
legge  n. 354/1975  (risultando  il  condannato  in stato di liberta'
all'alto della proposizione dell'istanza);
    Ritenuta,    infine,    l'impraticabilita'    di    una   diretta
interpretazione  in  senso  costituzionalmente  orientato della nuova
disposizione  limitativa, in conformita' ai principi desumibili dalla
citata  giurisprudenza del giudice delle leggi, attesa la drasticita'
ed  anelasticita'  della  formulazione normativa (che - istituendo un
divieto indiscriminato di reiterazione del beneficio per i condannati
ai  quali  sia stata, come nella specie, applicata la recidiva di cui
all'art. 99,  corna  4,  cod.  pen. - non consente spazio ermeneutico
alcuno  al  giudice) e considerata, altresi', la serie di pronunce di
illegittimita'   costituzionale   intervenute  in  casi  similari,  a
conferma della necessita' di puntuali e specifici interventi ablativi
da parte della Corte costituzionale;
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87.