ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 30, comma 4,
del  decreto  legislativo  5 febbraio  1997,  n. 22 (Attuazione delle
direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e
94/62/CE  sugli  imballaggi  e  sui  rifiuti  di  imballaggio),  come
modificato  dall'articolo 1,  comma 19,  della legge 9 dicembre 1998,
n. 426 (Nuovi interventi in campo ambientale), promosso con ordinanza
del 24 marzo 2006 della Corte di cassazione nel procedimento penale a
carico  di  I.A.,  iscritta  al  n. 376 del registro ordinanze 2006 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, 1ª serie
speciale, dell'anno 2006.
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  7 marzo 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con  l'ordinanza  indicata in epigrafe la Corte di
cassazione  ha  sollevato,  in riferimento agli artt. 11 e 117, primo
comma,  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 30, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22
(Attuazione  delle  direttive  91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui
rifiuti  pericolosi  e  94/62/CE  sugli  imballaggi  e sui rifiuti di
imballaggio),  come  modificato  dall'art. 1,  comma 19,  della legge
9 dicembre 1998, n. 426 (Nuovi interventi in campo ambientale), nella
parte  in  cui esclude che gli imprenditori che svolgono attivita' di
raccolta  e  trasporto  di  rifiuti  non  pericolosi  da  essi stessi
prodotti  siano tenuti ad iscriversi all'Albo nazionale delle imprese
che  effettuano  la  gestione  dei  rifiuti,  previsto  dal  medesimo
art. 30;
        che  la  Corte  rimettente  riferisce di essere investita del
ricorso  per  cassazione,  proposto  dalla  persona  sottoposta  alle
indagini,  avverso  l'ordinanza con la quale il tribunale del riesame
aveva  confermato il sequestro preventivo di un autocarro, utilizzato
dal  ricorrente  per  trasportare materiali derivanti da attivita' di
demolizione   svolta   nella   sua  qualita'  di  imprenditore  edile
(materiali qualificabili come rifiuti speciali non pericolosi);
        che,  ad  avviso del giudice a quo, potrebbe essere ravvisato
nella  specie  il  «fumus» del reato di cui all'art. 51, comma 1, del
d.lgs.  n. 22  del  1997, per avere il ricorrente trasportato rifiuti
senza  essere iscritto all'Albo: il che implicherebbe la legittimita'
della  misura  cautelare,  sussistendo  altresi'  il  pericolo che la
libera  disponibilita' del mezzo possa facilitare la reiterazione del
reato;
        che  a  tale  conclusione  sarebbe  peraltro  di  ostacolo la
circostanza  che  l'art. 30, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 1997, come
modificato  dall'art. 1,  comma 19,  della  legge  n. 426  del  1998,
obbliga   all'iscrizione  all'Albo  solo  «le  imprese  che  svolgono
attivita'  di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti
da   terzi   e  le  imprese  che  raccolgono  e  trasportano  rifiuti
pericolosi»  (esclusi, per queste ultime, i trasporti inferiori a una
determinata   soglia  quantitativa  giornaliera):  non,  dunque,  gli
imprenditori  che  -  come  il  ricorrente  - trasportino rifiuti non
pericolosi derivanti dalla loro stessa attivita';
        che  detta disposizione si porrebbe tuttavia in contrasto con
l'art. 12  della direttiva 91/156/CEE del Consiglio del 18 marzo 1991
- rectius: con l'art. 12 della direttiva 75/442/CEE del Consiglio del
15 luglio  1975, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva
91/156/CEE  -  il  quale,  nel  prevedere  che «gli stabilimenti e le
imprese  che  provvedono  alla  raccolta  o al trasporto di rifiuti a
titolo   professionale   [...]   devono  essere  iscritti  presso  le
competenti  autorita'  qualora non siano soggetti ad autorizzazione»,
include  tra gli imprenditori soggetti ad iscrizione anche quelli che
trasportano professionalmente rifiuti propri;
        che   l'inosservanza,  sotto  tale  profilo,  degli  obblighi
comunitari   e'  stata  accertata  dalla  Corte  di  giustizia  delle
comunita'  europee  con  sentenza 9 giugno 2005, in causa C-270/2003,
emessa   a   seguito   di  procedura  di  infrazione  promossa  dalla
Commissione  europea nei confronti della Repubblica italiana ai sensi
dell'art. 226 (ex 169) del Trattato CE;
        che,  peraltro,  non avendo la citata direttiva sui rifiuti -
e, conseguentemente, anche la sentenza della Corte di Lussemburgo che
la  interpreta  -  efficacia  diretta  nell'ordinamento  interno,  il
rilevato  contrasto  con  il  diritto  comunitario non potrebbe esser
fatto  valere  dal giudice italiano, chiamato ad applicare l'art. 30,
comma 4,  del  d.lgs.  n. 22 del 1997, se non sollevando questione di
legittimita'  costituzionale  di  tale  norma,  in  riferimento  agli
artt. 11 e 117, primo comma, Cost;
        che   la  questione  -  ancorche'  diretta  a  provocare  una
pronuncia  in  malam  partem  in  materia  penale  - sarebbe altresi'
ammissibile  e  rilevante,  dovendosi  riconoscere  alla disposizione
censurata  la natura di «norma penale di favore»: natura che, secondo
quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte a partire dalla
sentenza  n. 148  del  1983,  la  renderebbe comunque suscettibile di
scrutinio di costituzionalita';
        che il legislatore nazionale, infatti, con l'originario testo
dell'art. 30, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 1997 - il quale stabiliva
che  «le  imprese  che  svolgono  a titolo professionale attivita' di
raccolta  e  trasporto  di  rifiuti  e  le  imprese  che raccolgono e
trasportano  rifiuti  pericolosi,  anche  se  da esse prodotti [...],
devono  essere  iscritte  all'Albo»  - aveva correttamente attuato la
direttiva comunitaria;
        che  solo  per effetto della modifica successivamente operata
dall'art. 1, comma 19, della legge n. 426 del 1998 - che ha esonerato
dall'iscrizione,  tra  gli  altri,  gli  imprenditori che trasportino
rifiuti  propri  non  pericolosi  -  la disciplina interna si sarebbe
viceversa posta in contrasto con le previsioni comunitarie;
        che,  di  conseguenza, la declaratoria di incostituzionalita'
della  disposizione  censurata  non comporterebbe l'ampliamento della
sfera  applicativa  di una fattispecie criminosa al di la' dei limiti
stabiliti dal legislatore: operazione, questa, preclusa dall'art. 25,
secondo  comma, Cost.; ma si limiterebbe a ripristinare la portata di
una  norma  incriminatrice  gia' presente nell'ordinamento (quella di
cui al combinato disposto degli artt. 30, comma 4, e 51, comma 1, del
d.lgs. n. 22 del 1997, nel testo originario), che la novella del 1998
ha «parzialmente derogato»;
        che  la  citata  sentenza n. 148 del 1983 ha inoltre chiarito
che  le  questioni  di  costituzionalita' concernenti norme penali di
favore  debbono  ritenersi rilevanti nel giudizio principale, sebbene
il  principio di irretroattivita' della legge penale sfavorevole - di
cui agli artt. 25, secondo comma, Cost., e 2, primo comma, del codice
penale - impedisca di condannare l'imputato per un fatto commesso nel
vigore della norma di favore, benche' dichiarata incostituzionale;
        che siffatta conclusione e' stata motivata, in specie, con il
duplice  rilievo  che  l'accoglimento  della questione, per un verso,
verrebbe   ad   incidere   sulle  formule  di  proscioglimento  e  si
rifletterebbe  sullo schema argomentativo della relativa motivazione;
e,  per  un altro verso, avrebbe comunque un «effetto di sistema», la
cui valutazione resta affidata ai giudici ordinari;
        che  a tali considerazioni andrebbe aggiunto, con riguardo al
caso  di  specie,  un  ulteriore  e  decisivo  argomento:  ossia  che
l'eventuale  sentenza di accoglimento, pur non potendo determinare la
condanna della persona sottoposta alle indagini per il fatto commesso
anteriormente  alla  sentenza  stessa, potrebbe comunque portare alla
conferma  del  sequestro  preventivo dell'autocarro da lui utilizzato
per  il  trasporto  dei  rifiuti; e cio' alla luce della «consolidata
giurisprudenza»  secondo  cui la misura cautelare di cui all'art. 321
del  codice  di  procedura  penale ha «carattere reale», prescindendo
dalla «personale responsabilita» dell'indagato.
    Considerato  che  successivamente  all'ordinanza di rimessione e'
intervenuto  il  decreto  legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia  ambientale),  pubblicato  nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del
14 aprile 2006, supplemento ordinario, il quale - in attuazione della
delega  conferita  dall'art. 1  della  legge 15 dicembre 2004, n. 308
(Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione
della   legislazione  in  materia  ambientale  e  misure  di  diretta
applicazione)  - reca, nella parte quarta, una nuova disciplina della
gestione  dei  rifiuti,  integralmente  sostitutiva  di  quella  gia'
contenuta  nel  decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che viene
quindi  abrogato (art. 264, comma 1, lettera i, del d.lgs. n. 152 del
2006);
        che,  per  quanto  in  questa  sede piu' interessa, il citato
d.lgs.  n. 152  del  2006  regola in termini parzialmente innovativi,
all'art. 212,   anche   la   materia  dell'iscrizione  delle  imprese
esercenti  attivita'  di  gestione dei rifiuti nell'apposito Albo (il
quale   assume  ora  la  denominazione  di  «Albo  nazionale  gestori
ambientali»);
        che,   in   particolare,  il  comma 8  dell'art. 212  obbliga
all'iscrizione  all'Albo  -  con  il  presidio  della sanzione penale
comminata dall'art. 256, comma 1 (che sostituisce l'art. 51, comma 1,
del  d.lgs.  n. 22  del  1997)  -  anche le imprese che esercitano la
raccolta  e  il  trasporto  dei  propri  rifiuti  non pericolosi come
«attivita'  ordinaria  e  regolare»  e  le  imprese che trasportano i
propri  rifiuti  pericolosi  in quantita' non eccedenti i limiti gia'
previsti,   ai   fini   dell'esonero  dall'iscrizione,  dall'art. 30,
comma 4, del d.lgs. n. 22 del 1997 (trenta chilogrammi o trenta litri
al  giorno):  sia  pur  prefigurando,  per  dette  imprese, un regime
sensibilmente   agevolato   (esse   non   sono  infatti  tenute  alla
prestazione   delle  garanzie  finanziarie  normalmente  imposte  dal
comma 7   dell'art. 212   del  d.lgs.  n. 152  del  2006  e  la  loro
l'iscrizione  all'Albo ha luogo in base a semplice richiesta scritta,
senza  che  la  stessa  sia  soggetta  a  valutazione  relativa  alla
capacita' finanziaria e all'idoneita' tecnica del richiedente e senza
che occorra la nomina di un responsabile tecnico);
        che,   pertanto   -  a  prescindere  da  ogni  rilievo  circa
l'effettiva  possibilita'  di  qualificare  la disposizione censurata
come  «norma penale di favore», a fronte di quanto chiarito da questa
Corte  con  sentenza  n. 394  del  2006  (successiva all'ordinanza di
rimessione);  ed  a  prescindere, altresi', dalle ulteriori modifiche
sopravvenute, inerenti al quadro normativo comunitario di riferimento
(abrogazione   della   direttiva  75/442/CEE  ad  opera  della  nuova
direttiva  in  materia di rifiuti 2006/12/CE del Parlamento europeo e
del  Consiglio  del  5 aprile  2006),  non  foriere, in parte qua, di
innovazioni  sostanziali  -  gli  atti  vanno  restituiti  alla Corte
rimettente, ai fini di una nuova valutazione circa la rilevanza della
questione sollevata alla luce dello ius superveniens.