ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 235, comma 1, n. 3), del codice civile, promosso con ordinanza del 31 marzo 2006 dal Tribunale di Brindisi nel procedimento civile vertente tra Fanuli Mariella n.q. di curatore speciale della minore C.M. e C.L. ed altra, iscritta al n. 312 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, 1ª serie speciale, dell'anno 2006; Visto l'atto di costituzione di C.L. e P.M.T; Udito nella Camera di consiglio del 7 febbraio 2007 il giudice relatore Alfio Finocchiaro; Ritenuto che il Tribunale di Brindisi, nel corso del giudizio di disconoscimento di paternita' promosso dal curatore speciale della minore C.M., nominato su istanza del pubblico ministero, ai sensi dell'art. 244, ultimo comma, del codice civile - motivato alla stregua della circostanza che la madre della predetta minore, sig.ra P.M.T., avrebbe «intrattenuto una relazione sentimentale generalmente riconosciuta con il sig. B.A.» -, con ordinanza del 31 marzo 2006, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 235, primo comma, numero 3, del codice civile, nella parte in cui dispone che l'indagine sull'adulterio della moglie ha carattere preliminare rispetto a quella sulla sussistenza o meno del rapporto procreativo, e che quindi l'adulterio, come il celamento della gravidanza e della nascita, devono essere preliminarmente ed autonomamente provati, quali condizioni per dare ingresso alle prove genetiche o ematologiche al fine di dimostrare l'incompatibilita' delle caratteristiche genetiche e del gruppo sanguigno del figlio con quelle del padre legittimo; che il giudice a quo si fa carico della giurisprudenza costante della Corte di cassazione, secondo la quale l'indagine sull'adulterio della moglie ha carattere preliminare rispetto a quella sulla sussistenza o meno del rapporto procreativo, e, pertanto, le prove genetiche o del gruppo sanguigno, anche se espletate contemporaneamente alla prova di detto adulterio, possono essere esaminate solo subordinatamente al raggiungimento di questa, ed al diverso fine di stabilire il fondamento nel merito della domanda (cfr. Cass. 22 ottobre 2002, n. 14887; Cass. 17 agosto 1998, n. 8087; Cass. 20 febbraio 1992, n. 2113); che lo stesso rimettente ritiene che l'art. 235, primo comma, n. 3, cod. civ., ove interpretato nel senso che, in assenza di prova dell'adulterio della moglie, non possa farsi luogo all'accertamento tecnico genetico-ematologico al fine di dimostrare l'incompatibilita' delle caratteristiche genetiche e del gruppo sanguigno del figlio con quelle del padre legittimo, rechi vulnus agli artt. 3 e 24 Cost., in quanto: a) in considerazione dei profondi cambiamenti della societa' italiana avvenuti nella seconda meta' del XX secolo, il lavoro femminile ha avuto amplissima diffusione; b) sono quindi aumentate le occasioni, per le donne, di uscire dai confini di una vita prevalentemente svolta nella casa coniugale e di luoghi ad essa prossimi; c) l'adulterio della moglie puo' anche consistere in un unico atto di infedelta' sessuale, conseguenza di un rapporto occasionale; d) nell'attuale realta' sociale la prova dell'adulterio della moglie nel periodo del concepimento puo' pertanto costituire una circostanza la cui dimostrazione e' di fatto impossibile o estremamente difficile; e) e' dubbio che possa considerarsi ancora ragionevole una previsione legislativa che, ai fini del disconoscimento della paternita', richieda necessariamente la prova dell'adulterio della moglie, in presenza di un progresso scientifico che consente di ottenere direttamente (e quindi senza passare attraverso la dimostrazione dell'adulterio) una sicura esclusione della paternita' - che rappresenta l'obiettivo finale dell'azione in questione - attraverso accertamenti tecnici capaci di fornire risultati la cui attendibilita' e' unanimemente riconosciuta (Cass. 5 giugno 2004, n. 10742); che nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti L.C. e M.T. P., parti private nel giudizio a quo, che, nel dare atto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 266 del 2006, ha gia' dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 235, primo comma, n. 3, cod. civ., hanno, peraltro, sottolineato le peculiarita' della questione sollevata dal Tribunale di Brindisi, peculiarita' che, a loro avviso, impedirebbero di applicare al caso di specie la citata sentenza; che, infatti, nella specie, l'azione di disconoscimento e' stata iniziata su sollecitazione del pubblico ministero, ai sensi dell'art. 244, ultimo comma, cod. civ., con la conseguenza della inesistenza di un effettivo, personalissimo ed insindacabile interesse al disconoscimento della paternita' legittima; che cio' varrebbe tanto piu' quando, come nel caso di specie, i genitori legittimi - non ascoltati nella fase preliminare, diretta alla nomina del curatore speciale - non intendano disconoscere la paternita'; che non e' mai stata sentita la minore, infrasedicenne, che, in un processo nel quale si discute dei suoi diritti fondamentali, non dovrebbe poter essere esclusa del tutto dagli accertamenti istruttori; che, nella memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, le parti private rilevano che un eventuale rigetto dell'azione di disconoscimento non impedirebbe alla minore stessa, una volta compiuti i sedici anni, di promuoverla personalmente; che, pertanto, le parti private costituite concludono nel senso della infondatezza della questione, chiedendo, in subordine, che venga specificato che, nel caso di azione promossa da un curatore speciale nominato su istanza del pubblico ministero, l'ammissione delle prove dirette a dimostrare la incompatibilita' delle caratteristiche genetiche e del gruppo sanguigno del figlio con quelle del padre legittimo deve essere preceduta, anche nella fase di merito, da un effettivo accertamento della sussistenza di un interesse attuale del minore a vedere disconosciuta la propria paternita' legittima, specie se (di fatto) l'unica prova indicata e/o ammessa a sostegno della domanda di disconoscimento sia costituita dalla consulenza genetico-ematologica in questione; che tale limitazione discenderebbe anche dalla particolare natura del mezzo di prova di cui si tratta, con il quale si limita la liberta' personale dei soggetti coinvolti. Considerato che il Tribunale di Brindisi dubita della legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 235, primo comma, numero 3, del codice civile, nella parte in cui dispone che l'indagine sull'adulterio della moglie ha carattere preliminare rispetto a quella sulla sussistenza o meno del rapporto procreativo, e che quindi l'adulterio deve essere preliminarmente ed autonomamente provato quale condizione per dare ingresso alle prove dirette a dimostrare l'incompatibilita' delle caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno del figlio con quelle del padre legittimo; che, successivamente alla proposizione della questione, questa Corte, con la sentenza n. 266 del 2006, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 235, primo comma, numero 3, del codice civile, nella parte in cui, ai fini dell'azione di disconoscimento della paternita', subordina l'esame delle prove tecniche, da cui risulta «che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre», alla previa dimostrazione dell'adulterio della moglie; che, con tale sentenza, la Corte ha rilevato che subordinare l'accesso alle prove tecniche, le quali, alla luce dei progressi della scienza biomedica, consentono di accertare la esistenza o la non esistenza del rapporto di filiazione, alla previa prova dell'adulterio e', da una parte, irragionevole, attesa la irrilevanza di tale prova ai fini dell'accoglimento nel merito della domanda e, dall'altra, si risolve in un sostanziale impedimento all'esercizio del diritto di azione garantito dall'art. 24 Cost., in relazione ad azioni volte alla tutela di diritti fondamentali, attinenti allo status ed alla identita' biologica; che, pertanto, va ordinata la restituzione degli atti al giudice rimettente, al fine di una nuova valutazione della rilevanza della questione sollevata, alla luce della predetta sopravvenuta sentenza di questa Corte n. 266 del 2006 (negli stessi termini, ex plurimis, ordinanze n. 326 del 2006, n. 346, n. 229 e n. 206 del 2005), senza che rilevi, in contrario, la circostanza che le parti private abbiano dato atto, nella memoria di costituzione, della successiva pronuncia demolitoria, incombendo il giudizio sulla rilevanza - preliminare a quello sulla non manifesta infondatezza della questione - al giudice rimettente.