ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 2, del
decreto-legge  30 settembre  2003,  n. 269  (Disposizioni urgenti per
favorire  lo  sviluppo  e  la  correzione  dell'andamento  dei  conti
pubblici),  convertito,  con  modificazioni,  dalla legge 24 novembre
2003,  n. 326,  promosso  con  ordinanza depositata il 10 maggio 2006
dalla  Commissione  tributaria  provinciale  di  Bari,  nel  giudizio
vertente  tra  la s.c.a.r.l. Mandeco e la Regione Puglia, iscritta al
n. 533  del  registro  ordinanze  2006  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 48, 1ª serie speciale, dell'anno 2006.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 21 marzo 2007 il giudice
relatore Franco Gallo.
    Ritenuto  che,  nel  corso  di  un  giudizio  avente  ad  oggetto
l'impugnazione, da parte di una societa' consortile a responsabilita'
limitata,  degli  atti  di  contestazione  dell'illecito  -  commesso
nell'anno 2000  -  e  di richiesta del pagamento delle corrispondenti
sanzioni,  riguardanti  l'omesso  e  ritardato versamento del tributo
speciale  per  il  deposito in discarica di cui all'art. 3, comma 24,
della  legge 28 dicembre 1995, n. 549, e all'art. 1 della legge della
Regione  Puglia  22 gennaio  1997,  n. 5,  la  Commissione tributaria
provinciale di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 25
e  77  della  Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 7,  comma 2,  del  decreto-legge  30 settembre 2003, n. 269
(Disposizioni  urgenti  per  favorire  lo  sviluppo  e  la correzione
dell'andamento  dei  conti  pubblici), convertito, con modificazioni,
dalla legge 24 novembre 2003, n. 326;
        che  il  suddetto  art. 7,  premette  il  giudice rimettente,
stabilisce,  al  comma 1, che «Le sanzioni amministrative relative al
rapporto   fiscale  proprio  di  societa'  o  enti  con  personalita'
giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica» e, al
comma 2,   che   «Le  disposizioni  del  comma 1  si  applicano  alle
violazioni  non  ancora contestate o per le quali la sanzione non sia
stata  irrogata  alla data di entrata in vigore del presente decreto»
(cioe'   alla   data   del   2 ottobre  2003,  erroneamente  indicata
nell'ordinanza come «26 novembre 2003»);
        che,  quanto  alla non manifesta infondatezza della sollevata
questione,   il  medesimo  rimettente  afferma  che  la  disposizione
censurata  si  pone in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo
della  violazione  dei  principi  di ragionevolezza e di certezza del
diritto,   perche'   «introduce   la   disciplina  retroattiva  della
responsabilita'  sanzionatoria in capo alla societa' in violazione di
quanto,   invece,   prevede   l'ordinamento  tributario  in  tema  di
irretroattivita' della legge tributaria»;
        che,  in proposito, il giudice a quo - pur prendendo atto che
la   giurisprudenza  costituzionale  ha  negato  che  il  divieto  di
retroattivita'  della  legge,  al di fuori di quanto stabilito per la
legge   penale   dall'art. 25   Cost.,   costituisca   un   principio
riconosciuto  dalla  Costituzione  -  osserva  che «la retroattivita'
della  responsabilita'  dell'ente  a  fatti  pregressi all'entrata in
vigore  del  d.l.  n. 269/2003  conv.  nella  legge n. 326/2003 viola
l'art. 25  della  Costituzione  atteso  lo  stampo  penalistico della
disciplina sanzionatoria amministrativa del d.lgs. n. 472/1997 su cui
ha inciso il richiamato art. 7, senza, peraltro, mutarne la natura»;
        che,  inoltre, la disposizione denunciata, contrasterebbe sia
con  l'art. 23  Cost.,  perche' nessuna prestazione patrimoniale puo'
essere  imposta se non in base ad una previa legge; sia con l'art. 77
Cost.,   perche'   e'   stata   introdotta  nell'ordinamento  con  un
decreto-legge, «verosimilmente per una scelta politica»;
        che, quanto alla rilevanza, il giudice a quo osserva che alla
disposizione  censurata  non e' possibile dare un'interpretazione che
ne  escluda  l'efficacia retroattiva e, quindi, l'applicabilita' alla
fattispecie oggetto del giudizio principale;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile o
infondata;
        che,  ad  avviso  della  difesa  erariale,  la  questione  e'
inammissibile  con riferimento all'art. 77 Cost., perche' l'ordinanza
di  rimessione  non  deduce la mancanza dei requisiti straordinari di
necessita' e d'urgenza sulla base dei quali il decreto-legge e' stato
adottato;
        che,  per la stessa difesa erariale, la medesima questione e'
infondata  con riferimento all'art. 23 Cost., perche' il principio di
legalita'  e'  rispettato  anche  nel caso in cui la disposizione che
impone  la  prestazione sia contenuta in un decreto-legge, e cioe' in
un atto avente forza di legge;
        che   del  pari  infondata  sarebbe  poi,  sempre  ad  avviso
dell'Avvocatura   generale  dello  Stato,  la  censura  proposta  con
riferimento  all'art. 25  Cost.,  data  la  natura  pacificamente non
penale delle sanzioni oggetto del giudizio principale;
        che,  infine, quanto alla denunciata violazione del principio
di  ragionevolezza, la difesa erariale osserva che l'art. 7, comma 1,
del  decreto-legge  n. 269  del  2003  e'  intervenuto in un contesto
normativo  in  cui  era bensi' previsto che la responsabilita' per le
sanzioni  tributarie  fosse  a  carico  dell'autore  materiale  della
violazione,  ai  sensi  dell'art. 2, comma 2, del decreto legislativo
18 dicembre   1997,  n. 472  (Disposizioni  generali  in  materia  di
sanzioni  amministrative  per  le  violazioni  di norme tributarie, a
norma  dell'articolo 3,  comma 133,  della  legge  23 dicembre  1996,
n. 662),  ma  non era nemmeno escluso che la medesima responsabilita'
potesse   gravare,   ai   sensi  dell'art. 11  dello  stesso  decreto
legislativo, anche sulla persona giuridica nell'interesse della quale
l'autore materiale della violazione avesse agito;
        che  pertanto, conclude l'Avvocatura generale dello Stato, la
Commissione  tributaria  di Bari e' incorsa, sul punto, in un difetto
di  motivazione  sulla  rilevanza  della  questione,  perche'  non ha
precisato   se  la  societa'  ricorrente,  in  base  alla  disciplina
previgente,  era  responsabile  dell'illecito, in solido con l'autore
materiale.
    Considerato  che  la  Commissione  tributaria provinciale di Bari
dubita,  in riferimento agli artt. 3, 23, 25 e 77 della Costituzione,
della    legittimita'   dell'art. 7,   comma 2,   del   decreto-legge
30 settembre  2003,  n. 269  (Disposizioni  urgenti  per  favorire lo
sviluppo   e   la  correzione  dell'andamento  dei  conti  pubblici),
convertito,  con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326,
il  quale stabilisce che il principio, posto dal comma 1 del suddetto
art. 7  - secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto
fiscale  proprio  di  societa' o enti con personalita' giuridica sono
esclusivamente  a  carico  della persona giuridica - si applica anche
alle  violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non
sia stata ancora irrogata alla data di entrata in vigore del medesimo
decreto-legge, cioe' alla data del 2 ottobre 2003;
        che,  ad  avviso  del  giudice  rimettente,  la  disposizione
denunciata  si pone in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo
della  inosservanza  dei principi di ragionevolezza e di certezza del
diritto,   perche'   «introduce   la   disciplina  retroattiva  della
responsabilita'  sanzionatoria in capo alla societa' in violazione di
quanto,   invece,   prevede   l'ordinamento  tributario  in  tema  di
irretroattivita' della legge tributaria»;
        che,  per il giudice a quo, la disposizione censurata si pone
altresi'  in  contrasto  sia  con  l'art. 23  Cost.,  perche' nessuna
prestazione  patrimoniale  puo'  essere imposta se non in base ad una
legge che «deve precedere nel tempo i suoi effetti nonche' i riflessi
nella  sfera patrimoniale del contribuente»; sia con l'art. 25 Cost.,
«atteso   lo   stampo   penalistico  della  disciplina  sanzionatoria
amministrativa  del  d.lgs.  n. 472/1997  su  cui  ha  inciso, senza,
peraltro,  mutarne  la  natura»,  il  citato art. 7 del decreto-legge
n. 269  del  2003;  sia, infine, con l'art. 77 Cost., perche' essa e'
stata   introdotta   nell'ordinamento   mediante   un  decreto-legge,
«verosimilmente  per  una  scelta politica, capovolgendo i criteri di
imputazione  della  sanzione  amministrativa spostandoli dalla figura
soggettiva  dell'autore  della  violazione in favore del beneficiario
della stessa violazione»;
        che  la questione e' manifestamente inammissibile per carente
motivazione sulla rilevanza;
        che  il  rimettente  muove  dalla  premessa  che  la societa'
ricorrente  e'  responsabile  per  le sanzioni tributarie oggetto del
giudizio a quo esclusivamente per effetto della norma denunciata;
        che  lo  stesso rimettente omette, pero', di considerare che,
al  momento  della  violazione  contestata  alla  contribuente (cioe'
nell'anno 2000   e,   quindi,  prima  dell'entrata  in  vigore  della
disposizione  denunciata),  vigeva  l'art. 11 del decreto legislativo
18 dicembre   1997,  n. 472  (Disposizioni  generali  in  materia  di
sanzioni  amministrative  per  le  violazioni  di norme tributarie, a
norma  dell'articolo 3,  comma 133,  della  legge  23 dicembre  1996,
n. 662);
        che  tale  articolo  dispone  che,  nel  caso  di  violazione
incidente  sulla  determinazione  o sul pagamento del tributo, l'ente
collettivo,  con  o  senza personalita' giuridica, e' responsabile di
detta  violazione,  in  solido  con l'autore materiale di essa che ha
agito  nell'esercizio  delle funzioni di dipendente, rappresentante o
amministratore,  anche  di fatto, dell'ente collettivo stesso, «salvo
il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti»;
        che,   in   conseguenza   della   mancata  valutazione  della
disciplina  di cui al suddetto art. 11 del d.lgs. n. 472 del 1997, il
rimettente  solleva  la  questione senza precisare se, in base a tale
disposizione,  la  societa'  ricorrente  nel  giudizio principale era
responsabile  o no della violazione tributaria in solido con l'autore
materiale di essa;
        che  il  difetto di tale precisazione impedisce alla Corte di
accertare  se  la  responsabilita'  della  societa' ricorrente sia da
riferire   esclusivamente   all'efficacia   retroattiva  della  norma
denunciata  ovvero se la medesima societa' fosse responsabile gia' in
base alla normativa vigente al momento della violazione;
        che  la  riscontrata  lacuna  dell'ordinanza di rimessione si
risolve  nel  difetto di motivazione sulla rilevanza della questione,
perche',  ove  la societa' ricorrente fosse stata responsabile per le
sanzioni  alla  stregua  dell'art. 11  del d.lgs. n. 472 del 1997, la
denunciata    retroattivita'    non    comporterebbe   alcuna   nuova
responsabilita'  della  stessa  societa'  per  le  sanzioni  ad  essa
inflitte.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.