ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  di  quattro provvedimenti assunti dal Tribunale di
Messina  in  un  procedimento  civile  nei  confronti dell'on. Nicola
Vendola:  1)  provvedimento  di  rinviodell'udienza,  assunto  il  30
giugno 2003;  2)  provvedimento  di  rinvio  dell'udienza, assunto il
21 luglio  2003;  3)  provvedimento  di  trattenimento della causa in
decisione,  assunto  il 22 settembre 2003; 4) ordinanza di rimessione
degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  del  27 gennaio 2004 (R.O.
n. 389  del  2004)  promosso  con  ricorso  della Camera dei deputati
notificato   il   14 febbraio  2005,  depositato  in  cancelleria  il
22 febbraio 2005 ed iscritto al n. 12 del registro conflitti 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento fuori termine della S.E.S. Societa'
Editrice Siciliana s.p.a;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  23 gennaio  2007  il  giudice
relatore Ugo De Siervo;
    Uditi  l'avvocato  Massimo  Luciani  per la Camera dei deputati e
l'avvocato  Mario Caldarera per la S.E.S. Societa' Editrice Siciliana
s.p.a.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  del  16 luglio 2004, depositato il 24 luglio
2004,  la  Camera dei deputati ha sollevato conflitto di attribuzione
tra  poteri  dello  Stato  nei confronti del Tribunale di Messina, in
relazione  ai  provvedimenti  da  questo  assunti - nell'ambito di un
procedimento  civile  nel  quale il deputato Nicola Vendola era stato
convenuto  per  il  risarcimento  dei  danni causati da dichiarazioni
asseritamente  diffamatorie  espresse  nei  confronti  di una testata
giornalistica  e  del  suo  direttore  -  rispettivamente, in data 30
giugno 2003  e  21 luglio  2003  (provvedimenti  con i quali e' stato
disposto  il  rinvio  delle relative udienze), e in data 22 settembre
2003  (provvedimento  con  il  quale  la causa e' stata trattenuta in
decisione),  nonche' in relazione alla ordinanza del 27 gennaio 2004,
con  la  quale lo stesso Tribunale di Messina, nel corso del medesimo
procedimento,  ha  sollevato questione di legittimita' costituzionale
dei  commi 1  e  7  dell'art. 3  della  legge  20 giugno 2003, n. 140
(Disposizioni  per  l'attuazione  dell'articolo 68 della Costituzione
nonche'  in  materia  di  processi  penali  nei  confronti delle alte
cariche dello Stato).
    2.  -  La  ricorrente  premette  che, essendo entrata in vigore -
nelle    more    dello    svolgimento   del   predetto   procedimento
giurisdizionale  -  la  citata  legge  n. 140 del 2003, la difesa del
deputato  aveva  eccepito  la  riconducibilita' dei fatti nell'ambito
delle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni di parlamentare
ai  sensi  dell'art. 68,  primo  comma,  della Costituzione ed aveva,
quindi,  richiesto o l'applicazione dell'art. 3, comma 3, della legge
n. 140  del  2003, o, in caso di rigetto della suddetta eccezione, la
trasmissione   degli   atti   alla   Camera  dei  deputati  ai  sensi
dell'art. 3,  comma 4,  della  stessa  legge n. 140. Al contrario, il
giudice  procedente,  in  data  30  giugno 2003,  si  era  limitato a
disporre  il rinvio della causa all'udienza del successivo 21 luglio,
nella  quale,  nonostante  la  riproposizione  dell'eccezione,  aveva
proceduto   all'assunzione   della   prova  testimoniale,  disponendo
all'esito  un  nuovo  rinvio  per  la  precisazione delle conclusioni
all'udienza  del 22 settembre 2003, data nella quale aveva trattenuto
la causa in decisione.
    Sempre secondo quanto riferisce la ricorrente, avendo il deputato
Vendola  il  7 ottobre  2003  segnalato la pendenza della causa ed il
descritto  svolgimento  della vicenda processuale al Presidente della
Camera   dei   deputati,  questi,  interpretandola  come  domanda  di
pronuncia  di  insindacabilita',  aveva  investito della questione la
Giunta  per  le  autorizzazioni. Da cio' la proposta della Giunta nel
senso  della  riconducibilita'  dei  fatti  oggetto  del procedimento
nell'ambito   di   applicazione   dell'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione,  e  la conforme deliberazione della Camera dei deputati
adottata  nella  seduta del 13 novembre 2003 e pervenuta al Tribunale
di Messina in data 17 novembre 2003.
    Il  Tribunale,  con  successiva  ordinanza  del  27 gennaio 2004,
sollevava  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della
legge n. 140 del 2003, nella parte in cui consente al parlamentare di
richiedere    autonomamente    la    deliberazione    relativa   alla
insindacabilita', nonche' nella parte in cui, estendendo la immunita'
del   parlamentare   ad   «ogni  altra  attivita'  di  ispezione,  di
divulgazione,  di  critica  e  di  denuncia  politica,  connessa alla
funzione  di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento», non
impone   una   sostanziale   corrispondenza  di  significati  tra  le
dichiarazioni  rese al di fuori e le opinioni espresse nell'esercizio
della funzione parlamentare.
    Con lettera del 18 febbraio 2004, il deputato Vendola esponeva al
Presidente  della  Camera  dei  deputati gli ulteriori sviluppi della
vicenda  processuale,  con  riferimento  all'avvenuto promovimento di
detta   questione   di  legittimita'  costituzionale  «nonostante  la
sopravvenuta  deliberazione  di  insindacabilita».  La  Giunta per le
autorizzazioni,  nelle  sedute  del 3 e del 17 marzo 2004, deliberava
quindi  che  gli  atti  ed  i  comportamenti del Tribunale di Messina
dovevano   ritenersi  «lesivi  delle  prerogative  della  Camera  dei
deputati...»,  e  si esprimeva nel senso di proporre all'Assemblea di
sollevare  conflitto  di  attribuzione  nei  confronti  del Tribunale
medesimo, proposta accolta nella seduta del 13 maggio 2004.
    3.   -   In   relazione   alla   sussistenza  dei  requisiti  per
l'ammissibilita'  del  conflitto,  la Camera dei deputati richiama la
copiosa  giurisprudenza  costituzionale  sul  tema,  con  particolare
riferimento  alla  legittimazione  degli  organi  costituzionali - e,
specificamente,  delle  Camere  parlamentari  -  a denunciare atti di
autorita'  giurisdizionali  ritenuti  lesivi  della propria posizione
costituzionale.
    4.  -  Quanto  al merito del conflitto, la ricorrente denuncia la
illegittimita'  costituzionale  degli atti contestati, in particolare
sotto  il  profilo  della  «violazione  degli artt. 67 e 68, comma 1,
della   Costituzione   (anche   per   come  attuato  dalla  legge  20
giugno 2003,  n. 140),  anche in riferimento agli artt. 64, 70 e 101,
comma 2, Cost.».
    4.1.  -  In  relazione  agli atti compiuti dal giudice procedente
prima  della delibera di insindacabilita', ad avviso della Camera, la
illegittimita'  discenderebbe  dalla evidente violazione dell'art. 3,
commi 3 e 4, della legge n. 140 del 2003, che impongono, allorche' il
giudice    non    ritenga    di   accogliere   l'eccezione   relativa
all'applicabilita'  dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, la
immediata  trasmissione  degli  atti  alla Camera di appartenenza del
parlamentare per le determinazioni di competenza.
    La  ricorrente  ricorda  come  la Corte costituzionale abbia gia'
affermato  che  tale  disciplina  deve «considerarsi di attuazione, e
cioe'  finalizzata  a rendere immediatamente e direttamente operativo
sul  piano  processuale  il disposto dell'art. 68, primo comma» della
Costituzione  (sentenza  n. 120  del  2004).  In  quanto normativa di
attuazione,  essa integrerebbe il parametro costituzionale, nel senso
che ne costituirebbe il ragionevole e corretto svolgimento.
    Nella  specie,  il  legislatore avrebbe disegnato un procedimento
nel  quale  le posizioni delle Camere del Parlamento e dell'autorita'
giudiziaria,  vengono  opportunamente  contemperate.  In particolare,
rileverebbe  proprio la previsione della sospensione del procedimento
al fine di acquisire la delibera sull'insindacabilita' da parte della
Camera   di   appartenenza,   nell'ipotesi   in   cui  sia  formulata
un'eccezione  di applicabilita' dell'art. 68, primo comma, Cost., non
condivisa dall'autorita' giudiziaria procedente.
    In  altri  termini,  la  disciplina legislativa di cui all'art. 3
della  legge n. 140 del 2003 costituirebbe «piano e [...] ragionevole
svolgimento»  dell'istituto  contemplato  nell'art. 68,  primo comma,
Cost.,    in    quanto    essa    stabilisce    che    la    delibera
sull'insindacabilita' debba essere assunta entro novanta giorni dalla
ricezione  degli  atti  (prorogabili  per  non piu' di altri trenta).
Inoltre,   osserva   la  Camera,  la  sospensione  non  impedisce  il
compimento  degli  atti  non  ripetibili  (nel  giudizio penale) e di
quelli  urgenti  (nel  giudizio  civile),  cio' a conferma che non vi
sarebbe    alcun    sacrificio   delle   prerogative   dell'autorita'
giudiziaria, ma soltanto una disciplina del procedimento che assicura
la  possibilita'  di  un pieno confronto tra la valutazione dei fatti
operata   dalle  Camere  e  quella  operata  dalla  stessa  autorita'
giudiziaria.  Su  tali valutazioni, d'altra parte, non mancherebbe il
controllo  e  il  definitivo sindacato della Corte costituzionale, la
quale potrebbe sempre essere adita con apposito ricorso per conflitto
di attribuzione.
    Risulterebbe,  pertanto,  del  tutto  ingiustificata  la  mancata
applicazione  della  disciplina  di cui alla legge n. 140 del 2003 da
parte  del  Tribunale  di  Messina,  il  quale,  oltretutto,  avrebbe
formalmente   dubitato  della  legittimita'  costituzionale  di  tale
disciplina,  emettendo  l'apposita ordinanza di rimessione alla Corte
costituzionale,    solo    successivamente    alla   adozione   della
deliberazione di insindacabilita' da parte della Camera dei deputati.
    4.2.  -  Con  riferimento  all'ordinanza  di  promovimento  della
questione  di costituzionalita' dell'art. 3, commi 1 e 7, della legge
n. 140 del 2003, la ricorrente rileva che il Tribunale di Messina, in
presenza  della delibera di insindacabilita', avrebbe dovuto, qualora
non  avesse  condiviso  l'applicabilita'  della guarentigia, proporre
conflitto  di  attribuzione  a  tutela  delle prerogative dell'ordine
giudiziario.
    Sulla    base   di   una   ricostruzione   della   giurisprudenza
costituzionale   a  partire  dalla  sentenza  n. 1150  del  1988,  la
ricorrente  sostiene  che  «il  Tribunale  di Messina, di fronte alla
deliberazione  di  insindacabilita', aveva a disposizione due strade:
a)  condividere  la  valutazione  di applicabilita' della guarentigia
dell'art. 68,   comma 1,   Cost.,   e  statuire  di  conseguenza;  b)
contestare  tale  valutazione, proponendo conflitto di attribuzione a
tutela delle prerogative dell'Ordine giudiziario». La via seguita dal
Tribunale non rientrerebbe tra quelle che la Costituzione consente di
imboccare.
    La  Camera  ricorrente  osserva  che,  a  seguito  della  riforma
dell'art. 68  Cost.  operata  dalla  legge  costituzionale 29 ottobre
1993, n. 3 (Modifica dell'articolo 68 della Costituzione), il modello
procedimentale  ricostruito  dalla sentenza n. 1150 del 1988 dovrebbe
essere  ancor  piu'  rigorosamente  rispettato,  dal  momento che «la
deliberazione  di insindacabilita' impedisce la stessa vocatio in ius
del  parlamentare assistito dalla guarentigia costituzionale. Nessuna
autorizzazione  a  procedere, dunque, ma semplicemente l'accertamento
che  le  opinioni  espresse  e  i  voti  dati sono legati da un nesso
funzionale all'esercizio del mandato. Se e' riscontrato questo nesso,
il  procedimento  (civile  o  penale  che sia) non puo' avere corso e
nessun atto puo' essere compiuto dal giudice procedente (ad eccezione
dell'emanazione  di  una  pronuncia  "assolutoria")» o dell'eventuale
promozione del conflitto di attribuzione.
    Sarebbe  pertanto  del tutto evidente, ad avviso della Camera, la
violazione da parte del Tribunale di Messina dei consolidati principi
stabiliti  dalla  giurisprudenza costituzionale in applicazione degli
artt. 67 e 68 Cost.
    In    tali   norme   costituzionali,   infatti,   l'indipendenza,
l'autonomia e la liberta' delle Camere del Parlamento troverebbero la
piu'  piena  e  piu'  efficace tutela. Questa tutela dell'istituzione
parlamentare  si  articolerebbe,  poi,  attraverso  istituti di varia
natura giuridica preordinati alla garanzia della liberta' del mandato
parlamentare,   nonche'   dell'autonomia  e  dell'indipendenza  delle
Assemblee  rappresentative;  e proprio nel novero di tali istituti di
garanzia,  secondo  la  ricorrente,  dovrebbe  ritenersi  compreso il
procedimento    necessario    per    contestare    la   delibera   di
insindacabilita' che appaia viziata. Anche se parte della dottrina ha
dubitato  che  tale  necessario  procedimento  possa  desumersi dalle
previsioni  degli  artt. 67  e 68 Cost., sarebbe invece evidente «che
proprio  la logica delle guarentigie parlamentari, stabilite a tutela
dell'istituzione  e non del singolo, impone che il concreto ricorrere
dell'insindacabilita'  sia  apprezzato, preliminarmente, dalla Camera
di  appartenenza,  non  potendo  essere affidata la valutazione della
connessione   tra   opinione   (o   voto)  e  funzione  alla  diretta
interlocuzione   tra   il   singolo   parlamentare  e  il  magistrato
procedente».
    5. - In conclusione, la Camera dei deputati chiede a questa Corte
di   dichiarare  «che  non  spetta  all'Autorita'  giudiziaria  e  in
particolare  al  Tribunale  civile  di Messina proseguire il giudizio
pendente  nei  confronti  di  un  membro  della  Camera  dei deputati
nonostante   la   formulazione   dell'eccezione   di   applicabilita'
dell'art. 68,   comma 1,   della   Costituzione,   ne',   una   volta
sopravvenuta la deliberazione di insindacabilita' del parlamentare da
parte della Camera dei deputati, adottare altri atti del procedimento
ed  in  particolare  promuovere questione incidentale di legittimita'
costituzionale e conseguentemente annullare i seguenti atti:
        a) provvedimento   di   rinvio   dell'udienza   relativa   al
procedimento    nei   confronti   dell'on.   Nicola   Vendola   (R.G.
n. 2807/2001)   assunto   dal   Tribunale   di  Messina  in  data  30
giugno 2003;
        b) provvedimento  di rinvio dell'udienza relativa al medesimo
procedimento assunto del Tribunale di Messina in data 21 luglio 2003;
        c) provvedimento  di  trattenimento della causa in decisione,
relativamente  al  medesimo  procedimento,  assunto  dal Tribunale di
Messina in data 22 settembre 2003;
        d) ordinanza  del  Tribunale  di Messina 26 - 27 gennaio 2004
(in  G.U.,  1ª  Serie  spec.,  19 maggio 2004, con il n. R.O. 389 del
2004),  con  la  quale  e'  stato  promosso  giudizio  incidentale di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 3 della legge 20 giugno 2003,
n. 140,   nella   parte   precisata  al  dispositivo  della  predetta
ordinanza».
    6.  -  Con  ordinanza  n. 44 del 2005, questa Corte ha dichiarato
ammissibile  il  conflitto, disponendo, ai sensi dell'art. 37, quarto
comma,  della  legge 11 marzo 1953, n. 87, la notifica del ricorso al
Tribunale  di  Messina  entro  il  termine  di  sessanta giorni dalla
comunicazione della stessa ordinanza alla Camera ricorrente.
    Quest'ultima,   ricevuta   la   suddetta  comunicazione  in  data
27 gennaio 2005, ha provveduto alla notificazione in data 14 febbraio
2005  e  al  deposito  di  rito  ai  sensi  dell'art. 26  delle norme
integrative  per  i  giudizi  davanti  alla  Corte  costituzionale il
successivo 22 febbraio.
    7.  -  Ha  depositato  atto  di intervento fuori termine, in data
6 aprile  2005, la S.E.S. - Societa' Editrice Siciliana s.p.a., parte
del  giudizio  che  ha  originato il conflitto, sostenendo, sul piano
della  ammissibilita'  del  proprio intervento, che il termine di cui
all'art. 25  della legge n. 87 del 1953 non sarebbe perentorio e che,
comunque, questa Corte avrebbe in casi analoghi ammesso l'intervento,
della  parte  attrice  nel  giudizio  che  ha  provocato il conflitto
(sentenze  n. 154 del 2004 e n. 76 del 2001). Nel merito, la societa'
interveniente   ritiene   che  il  ricorso  debba  essere  dichiarato
inammissibile e comunque infondato.
    8.  -  Nella  memoria  depositata in prossimita' dell'udienza, la
Camera  dei deputati ribadisce le argomentazioni svolte nel ricorso e
aggiunge che il conflitto sarebbe ammissibile anche in considerazione
del  fatto  che  la  ricorrente  non  avrebbe potuto essere parte nel
giudizio  che ha originato il conflitto medesimo, sicche' non avrebbe
avuto   altri   rimedi   giurisdizionali   per  tutelare  le  proprie
prerogative costituzionali.
    Osserva   inoltre   che   sarebbe  pacifico  in  dottrina  ed  in
giurisprudenza   che   nei   conflitti   tra   poteri  «il  parametro
costituzionale   debba  essere  necessariamente  integrato  da  fonti
subcostituzionali».
    Con specifico riguardo all'ordinanza pronunciata dal Tribunale di
Messina  successivamente  alla  delibera di insindacabilita' e con la
quale  e' stata sollevata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 3,  commi 1 e 7, della legge n. 140 del 2003, la ricorrente
da'  conto della sopravvenienza dell'ordinanza n. 37 del 2006 con cui
la Corte si e' pronunciata su detta questione.
    Tale   decisione,   secondo   la   Camera,  avrebbe  ribadito  la
giurisprudenza  costituzionale  in materia. Ne' cio' sarebbe smentito
dalla   circostanza   che   la  Corte,  in  quell'occasione,  si  sia
pronunciata  sul  merito della questione, senza arrestare il giudizio
incidentale  in  limine  in  ragione  della riscontrata lesione delle
attribuzioni  costituzionali  di  un  altro  potere  dello Stato, dal
momento  che  tali  attribuzioni  non  sono  tutelate  dalla Corte ex
officio,  ma  solo  ad  istanza  di  parte manifestata in un apposito
ricorso.
    La  difesa  della ricorrente precisa che la lesione delle proprie
prerogative sarebbe dovuta non al solo fatto che e' stato promosso in
via incidentale il giudizio di costituzionalita', bensi' al fatto che
esso  e'  stato promosso nel corso di un giudizio sull'applicabilita'
dell'art. 68,   primo   comma,   Cost.  in  violazione  delle  regole
procedimentali  che,  delimitando  in concreto le rispettive sfere di
attribuzione  costituzionale, disciplinano il rapporto tra Camera dei
deputati e autorita' giudiziaria.

                       Considerato in diritto

    1.   -   La   Camera  dei  deputati  ha  sollevato  conflitto  di
attribuzione  tra  poteri  dello Stato nei confronti del Tribunale di
Messina,  in  relazione  ad  alcuni  provvedimenti  da questo assunti
nell'ambito  di  un procedimento civile, nel quale il deputato Nicola
Vendola  era stato convenuto per il risarcimento dei danni causati da
alcune   dichiarazioni   asseritamente   diffamatorie   espresse  nei
confronti  di  una  testata  giornalistica  e  del  suo direttore. In
particolare,  la  Camera si duole del fatto che, malgrado il deputato
avesse  eccepito  la  applicabilita' dell'art. 68, primo comma, della
Costituzione,   ai   sensi   dell'art. 3,  comma 4,  della  legge  20
giugno 2003,  n. 140  (Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68
della   Costituzione  nonche'  in  materia  di  processi  penali  nei
confronti  delle  alte  cariche  dello  Stato),  il  Tribunale  abbia
proseguito  il  giudizio,  non  dando  applicazione a quanto previsto
nell'art. 3  della  legge n. 140 del 2003 e in concreto adottando due
provvedimenti  con i quali e' stato disposto il rinvio delle relative
udienze  (rispettivamente  in data 30 giugno 2003 e 21 luglio 2003) e
un  provvedimento  con  il  quale  la  causa  e'  stata trattenuta in
decisione  (in  data  22 settembre 2003). La Camera lamenta, inoltre,
che  il  Tribunale  di  Messina,  sopravvenuta  la  deliberazione  di
insindacabilita'    del   parlamentare   nel   corso   del   medesimo
procedimento,  invece  che  conformarsi  ad  essa  o  contestarne  la
legittimita' mediante ricorso alla Corte costituzionale per conflitto
di  attribuzione  tra  poteri dello Stato, abbia adottato l'ordinanza
27 gennaio  2004, con la quale ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale  dei  commi 1  e  7 dell'art. 3 della legge n. 140 del
2003.
    Tutto cio', ad avviso della ricorrente, comporterebbe «violazione
degli  artt. 67  e  68,  comma 1,  della Costituzione (anche per come
attuato  dalla  legge  20  giugno 2003, n. 140), anche in riferimento
agli artt. 64, 70 e 101, comma 2, Cost.».
    La  Camera  dei  deputati  chiede  pertanto  a  questa  Corte  di
dichiarare «che non spetta all'Autorita' giudiziaria e in particolare
al  Tribunale  civile  di Messina proseguire il giudizio pendente nei
confronti  di  un  membro  della  Camera  dei  deputati nonostante la
formulazione  dell'eccezione di applicabilita' dell'art. 68, comma 1,
della  Costituzione,  ne', una volta sopravvenuta la deliberazione di
insindacabilita' del parlamentare da parte della Camera dei deputati,
adottare  altri  atti  del  procedimento ed in particolare promuovere
questione    incidentale    di    legittimita'    costituzionale    e
conseguentemente annullare i seguenti atti:
        a) provvedimento   di   rinvio   dell'udienza   relativa   al
procedimento    nei   confronti   dell'on.   Nicola   Vendola   (R.G.
n. 2807/2001)   assunto   dal   Tribunale   di  Messina  in  data  30
giugno 2003;
        b) provvedimento  di rinvio dell'udienza relativa al medesimo
procedimento assunto del Tribunale di Messina in data 21 luglio 2003;
        c) provvedimento  di  trattenimento della causa in decisione,
relativamente  al  medesimo  procedimento,  assunto  dal Tribunale di
Messina in data 22 settembre 2003;
        d) ordinanza  del  Tribunale  di Messina 26 - 27 gennaio 2004
(in  G.U.,  1ª  Serie  spec.,  19 maggio 2004, con il n. R.O. 389 del
2004),  con  la  quale  e'  stato  promosso  giudizio  incidentale di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 3 della legge 20 giugno 2003,
n. 140,   nella   parte   precisata  al  dispositivo  della  predetta
ordinanza».
    2.  -  Il  ricorso e' stato dichiarato ammissibile, con ordinanza
n. 44 del 2005 ed e' stato regolarmente notificato e depositato.
    Sulla  base della costante giurisprudenza di questa Corte, non vi
e'  dubbio che il giudizio di ammissibilita' del ricorso della Camera
dei  deputati  debba  essere  confermato  anche  in  questa  sede, in
considerazione,   in   primo  luogo,  della  sicura  sussistenza  dei
requisiti  soggettivi  che  debbono  caratterizzare  il  conflitto di
attribuzione tra poteri dello Stato.
    In relazione ai requisiti oggettivi, gia' la richiamata ordinanza
n. 44  del  2005 ha rilevato che la Camera ha prospettato «la lesione
della  propria sfera di attribuzioni costituzionalmente garantite, in
conseguenza  degli  impugnati provvedimenti del Tribunale di Messina,
contestando   non   gia'   "il   semplice  esercizio  della  funzione
giudiziaria,  bensi'  la  stessa  appartenenza del potere in concreto
esercitato"  e  inoltre  negando "la titolarita', in capo al giudice,
del potere di proseguire il giudizio"».
    Nel  caso  oggetto  del  presente  conflitto  non  si contestano,
infatti,  le  modalita'  di esercizio del potere giurisdizionale, ne'
tanto  meno  si pretende di ottenere un risultato che potrebbe essere
conseguito  tramite  gli  ordinari  mezzi  di impugnazione degli atti
censurati  in  questa  sede  e  ritenuti  lesivi della liberta' delle
istituzioni  parlamentari,  ma si sostiene che gli atti impugnati non
potevano  essere  adottati  dall'autorita'  giurisdizionale in quanto
vietati  dall'art. 3  della  legge n. 140 del 2003, in attuazione del
primo  comma  dell'art. 68  Cost.,  o  addirittura dallo stesso primo
comma  dell'art. 68  Cost. D'altra parte e' del tutto evidente che la
Camera  dei  deputati,  non  essendo  (e  non  potendo  in alcun modo
divenire)  parte  nel  giudizio  da  cui  origina  il  conflitto, non
potrebbe impugnarne l'esito.
    3.  -  Con  ordinanza letta nella pubblica udienza del 23 gennaio
2007   e   allegata   alla  presente  sentenza  e'  stato  dichiarato
inammissibile  l'intervento  spiegato  nel  giudizio  dalla  S.E.S. -
Societa'  editrice  siciliana  s.p.a.,  per il motivo - valutato come
assorbente  rispetto  al  profilo  della  natura  del  termine di cui
all'art. 25  della  legge  11 marzo  1953,  n. 87  - che «l'esito del
conflitto  non e' suscettibile di condizionare la stessa possibilita'
che il giudizio comune prosegua».
    4.  -  Quanto  al  merito  delle ragioni poste a fondamento delle
doglianze della ricorrente Camera dei deputati in relazione agli atti
posti  in essere dal Tribunale civile di Messina prima della delibera
di  insindacabilita',  occorre  ricordare,  in  via  preliminare, che
questa  Corte  ha  gia'  avuto occasione di rilevare che la normativa
contenuta  nell'art. 3 della legge n. 140 del 2003 «puo' considerarsi
di  attuazione,  e  cioe'  finalizzata  a  rendere  immediatamente  e
direttamente    operativo   sul   piano   processuale   il   disposto
dell'art. 68,  primo  comma», della Costituzione (sentenza n. 120 del
2004).
    In  effetti,  in  parziale continuita' con la normativa contenuta
nella serie dei decreti-legge adottati fra il 1993 ed il 1996, subito
dopo  la  modificazione  dell'art. 68  Cost.  ad  opera  della  legge
costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3 (Modifica dell'articolo 68 della
Costituzione), le disposizioni processuali contenute nei commi da 2 a
8  dell'art. 3 della legge n. 140 del 2003 tendono a risolvere alcuni
problemi  di  coordinamento e di collaborazione fra l'esercizio della
funzione giurisdizionale e la garanzia di piena liberta' ed autonomia
delle  Camere  parlamentari, nell'ipotesi che in un giudizio venga in
evidenza  una  situazione  di ipotetica responsabilita' riferibile ad
opinioni espresse o voti dati da un parlamentare.
    Nell'ineludibile   rispetto   dei  limiti  costituzionali,  quali
specificati  anche  dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte  (ed  in
particolare  evitando che la tutela delle prerogative parlamentari si
trasformi  in una sorta di potere autorizzatorio dell'esercizio della
funzione   giurisdizionale:   cfr.  sentenza  n. 265  del  1997),  e'
possibile  e  naturale  che  il  legislatore ordinario predisponga in
materia  apposite  norme  processuali,  proprio  al  fine  di  meglio
assicurare  il  coordinamento istituzionale e la leale collaborazione
fra  i  poteri  dello  Stato  coinvolti.  Disposizioni processuali di
evidente  importanza  istituzionale,  dal  momento  che  per  il loro
tramite  si mira a conseguire quell'«equilibrio razionale e misurato»
che  da  questa  Corte  e'  stato ritenuto necessario «tra le istanze
dello  Stato  di  diritto,  che tendono ad esaltare i valori connessi
all'esercizio   della   giurisdizione   (universalita'  della  legge,
legalita',  rimozione di ogni privilegio, obbligatorieta' dell'azione
penale,  diritto  di  difesa  in giudizio, ecc.) e la salvaguardia di
ambiti  di  autonomia  parlamentare  sottratti al diritto comune, che
valgono   a   conservare   alla   rappresentanza   politica   un  suo
indefettibile spazio di liberta» (sentenza n. 379 del 1996).
    Anche  se  la  Costituzione  non  prevede  l'obbligo  di adottare
specifiche disposizioni legislative per l'attuazione dell'art. 68 (ed
in   realta'   il  sistema,  dalla  fine  della  vigenza  dell'ultimo
decreto-legge  di attuazione del nuovo primo comma dell'art. 68 Cost.
all'entrata  in  vigore  della  legge  n. 140 del 2003, ha funzionato
tramite    la   mera   applicazione   delle   generali   disposizioni
processuali),    questa    materia    ha   una   evidente   rilevanza
costituzionale,  poiche'  attraverso  le  disposizioni processuali si
puo'   assicurare   sia   la   piena   effettivita'   del   principio
costituzionale di cui al primo comma dell'art. 68 Cost., sia la piena
garanzia  che  questa prerogativa delle Assemblee parlamentari non si
traduca   in  una  inammissibile  compressione  dell'esercizio  della
funzione   giurisdizionale   al   di  fuori  di  quanto  strettamente
necessario.
    Pur  attraverso una legislazione di rango ordinario dai contenuti
costituzionalmente  non  vincolati,  la cui definizione spetta dunque
alle  scelte  che  il legislatore puo' operare fra diversi modelli in
astratto   possibili  e  che  restano  ovviamente  assoggettabili  al
sindacato  di  legittimita'  costituzionale  di  questa Corte, con le
disposizioni processuali che qui vengono in considerazione sono state
poste alcune norme finalizzate a garantire, sul piano procedimentale,
un  efficace e corretto funzionamento della prerogativa parlamentare;
un   sollecito   coinvolgimento  della  Camera  di  appartenenza  del
parlamentare  che  abbia  eccepito  la  insindacabilita'  dei  propri
comportamenti  senza  convincere il giudice competente; la successiva
temporanea  sospensione del giudizio per un limitato ed improrogabile
periodo entro cui la Camera di appartenenza puo' esprimere la propria
valutazione   sulla   affermata   insindacabilita';   le  conseguenze
processuali  della  delibera  di  insindacabilita' che venga adottata
dalla Camera di appartenenza del parlamentare.
    5.  -  Il  Tribunale civile di Messina, malgrado che nell'udienza
del 30 giugno 2003 la difesa del deputato interessato avesse eccepito
la   applicabilita'   dell'art. 68,  primo  comma,  Cost.,  ai  sensi
dell'art. 3  della  legge  n. 140  del 2003, ed in particolare avesse
chiesto  di attuare quanto prescritto nel comma 3 di questo articolo,
non ha dato applicazione a tale disposizione, la quale prevede che il
giudice  in  sede  civile, ove accolga la eccezione di applicabilita'
dell'art. 68,  provveda  immediatamente  ad  adottare i provvedimenti
necessari  per  la definizione del giudizio. Peraltro, il giudice non
ha  neppure applicato quanto prescritto dal comma 4 dell'art. 3 della
legge  n. 140  del 2003, secondo il quale il giudice, ove non ritenga
di  accogliere  questa  eccezione, deve provvedere «senza ritardo con
ordinanza non impugnabile, trasmettendo direttamente copia degli atti
alla  Camera  alla quale il membro del Parlamento appartiene», con le
conseguenze  (previste  dal  comma 5) che «il procedimento e' sospeso
fino  alla deliberazione della Camera e comunque non oltre il termine
di  novanta  giorni  dalla ricezione degli atti da parte della Camera
predetta. La Camera interessata puo' disporre una proroga del termine
non  superiore  a  trenta  giorni.  La sospensione non impedisce, nel
procedimento penale, il compimento degli atti non ripetibili e, negli
altri procedimenti, degli atti urgenti».
    Al contrario, il Tribunale di Messina, all'esito dell'udienza del
30  giugno 2003,  ha  rinviato  la causa al 21 luglio 2003 «per prove
testi»,  riservandosi  di  decidere  in  quella  data  «le  eccezioni
formulate da parte convenuta». Nell'udienza del 21 luglio, il giudice
ha  poi ritenuto che le questioni preliminari sollevate dal convenuto
potessero  «essere  decise  unitamente al merito della controversia»,
procedendo   cosi'   all'assunzione   della   prova  testimoniale  e,
all'esito,   ha   rinviato   «la  causa  per  la  precisazione  delle
conclusioni  all'udienza  del 22 settembre 2003». In questa ulteriore
udienza il giudice ha infine assegnato la causa a sentenza, indicando
i  termini di legge per il deposito delle comparse e delle memorie di
replica.
    In  relazione  a tali provvedimenti, appare manifesta e reiterata
la  mancata  applicazione  da  parte  del  giudice dei commi 3, 4 e 5
dell'art. 3  della  legge  n. 140  del  2003  (rispetto  ai quali non
vengono   sollevate   questioni   di   legittimita'  costituzionale),
disposizioni   queste  -  come  detto  -  adottate  a  tutela  di  un
equilibrato   rapporto  fra  il  giudice  procedente,  la  parte  che
eccepisce  l'applicabilita'  del  primo comma dell'art. 68 Cost. e il
sollecito   coinvolgimento   della   Camera   di   appartenenza   del
parlamentare  coinvolto  nel  caso  in  cui  il  giudice medesimo non
ritenga applicabile la prerogativa in questione.
    Da  cio'  la  fondatezza del ricorso della Camera dei deputati in
relazione  ai  provvedimenti  adottati  dal  Tribunale di Messina nel
corso  delle tre udienze menzionate, poiche' la mancata tempestivita'
dell'assunzione  da  parte  del  giudice  di  una  decisione circa la
sussistenza  o  meno  della  prerogativa  parlamentare,  con tutte le
conseguenze   di   cui   all'art. 3  della  legge  n. 140  del  2003,
costituisce    un    evidente    disconoscimento    delle    funzioni
costituzionalmente  attribuite  alla Camera dei deputati e si traduce
anche  nella violazione di quell'obbligo di leale collaborazione che,
secondo  la consolidata giurisprudenza di questa Corte, deve sempre e
comunque  caratterizzare  le  relazioni tra i poteri dello Stato. Nel
caso  di  specie,  infatti,  la  prosecuzione  del giudizio civile ha
impedito  il  sollecito  coinvolgimento  della Camera di appartenenza
nella valutazione del comportamento del suo componente.
    Va  pertanto dichiarato, in accoglimento del ricorso della Camera
dei  deputati,  che  il  Tribunale  di  Messina, dopo la formulazione
dell'eccezione  di  applicabilita'  dell'art. 68, primo comma, Cost.,
non  poteva  prescindere dall'applicazione della disciplina contenuta
nei  commi 3,  4  e  5  dell'art. 3  della  legge  n. 140  del  2003.
Conseguentemente,  devono  essere annullati i provvedimenti di rinvio
dell'udienza  adottati  in  data  30  giugno 2003  e  21 luglio 2003,
nonche'  il  provvedimento  di trattenimento della causa in decisione
adottato in data 22 settembre 2003.
    6.  -  Quanto invece alle censure che la ricorrente muove avverso
l'ordinanza  del Tribunale di Messina in data 26-27 gennaio 2004, con
la  quale  e'  stato promosso - dopo l'adozione da parte della Camera
della  delibera  di  insindacabilita',  in data 13 novembre 2003 - il
giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 3, commi 1 e 7,
della  legge  n. 140  del  2003  (gia'  deciso  da  questa  Corte con
l'ordinanza n. 37 del 2006), il ricorso non e' fondato.
    Secondo  la  prospettazione della Camera dei deputati, il giudice
procedente,  con  l'emanazione  della citata ordinanza di rimessione,
avrebbe  violato  il  cosiddetto «principio della efficacia inibente»
della  delibera  parlamentare  di  insindacabilita' cosi' come emerge
dalla giurisprudenza di questa Corte a partire dalla sentenza n. 1150
del  1988,  principio  in base al quale al giudice sarebbe imposto di
conformarsi  alla  suddetta delibera - come oggi risulta testualmente
disposto  dall'art. 3,  comma 8,  della legge n. 140 del 2003 - salvo
che  non  intenda  contestarne la correttezza attraverso lo strumento
tipico  del  ricorso  per  conflitto di attribuzione davanti a questa
Corte.
    La tesi della presunta incompatibilita' tra il potere del giudice
di sollevare questioni di legittimita' costituzionale e il "principio
della    efficacia   inibente"   della   delibera   parlamentare   di
insindacabilita' non puo' essere accolta.
    Questa  Corte,  invero, ha sempre affermato che da tale principio
consegue  semplicemente  l'inammissibilita' per il giudice di opporre
«una    difforme   pronuncia   di   responsabilita»   rispetto   alla
deliberazione   di   insindacabilita'   adottata   dalla   camera  di
appartenenza del parlamentare (cosi', oltre alla sentenza n. 1150 del
1988, le sentenze n. 449 del 2002, n. 265 del 1997, n. 129 del 1996 e
n. 443 del 1993), con cio' - di fatto - circoscrivendo la limitazione
del  potere  giurisdizionale  alla  sola adozione di una decisione di
insussistenza della prerogativa a fronte di una contraria valutazione
delle Assemblee parlamentari.
    Di   qui   la  naturale  conseguenza  per  la  quale  il  giudice
procedente,  a fronte di una intervenuta delibera di insindacabilita'
della  Camera di appartenenza di un parlamentare, fatta eccezione per
il  potere  di  adottare  una pronuncia di segno contrario rispetto a
tale  delibera,  conserva  i  propri poteri giurisdizionali, compreso
quello  di  sollecitare  questa  Corte  a  pronunciarsi  su eventuali
questioni  di  legittimita' costituzionale aventi ad oggetto le norme
legislative  che egli debba applicare, sia pure limitatamente ai fini
della  adozione  dei  provvedimenti  previsti dal comma 8 dell'art. 3
della  legge n. 140 del 2003. Problema diverso e certo non pertinente
al presente giudizio sara' poi quello della necessaria verifica della
sussistenza  in  concreto dei presupposti della rilevanza e della non
manifesta  infondatezza  delle  questioni  sollevate, come d'altronde
dimostra  l'esito  del  giudizio  definito  con l'ordinanza n. 37 del
2006,  con  la  quale le questioni sollevate dal Tribunale di Messina
con  l'atto di promovimento oggetto del presente conflitto sono state
dichiarate   l'una   manifestamente   inammissibile  per  difetto  di
rilevanza,   l'altra   manifestamente  infondata  per  identita'  con
questione precedentemente decisa nel senso dell'infondatezza.
    Non e' quindi lesivo della sfera di attribuzione della Camera dei
deputati   l'esercizio   da   parte  del  Tribunale  di  Messina  con
l'ordinanza in data 26 - 27 gennaio 2004, del potere di promuovere la
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, commi 1 e 7,
della legge n. 140 del 2003.