ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge
5 dicembre  2005,  n. 251  (Modifiche  al  codice penale e alla legge
26 luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di  attenuanti  generiche, di
recidiva,  di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per
i  recidivi,  di usura e di prescrizione), promosso con ordinanza del
17 febbraio  2006  dal  Tribunale  di Aosta nel procedimento penale a
carico  di  L.D.,  iscritta  al  n. 382 del registro ordinanze 2006 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, 1ª serie
speciale, dell'anno 2006;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 18 aprile 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick;
    Ritenuto  che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale
di  Aosta ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 4  della legge
5 dicembre  2005,  n. 251  (Modifiche  al  codice penale e alla legge
26 luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di  attenuanti  generiche, di
recidiva,  di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per
i  recidivi,  di  usura  e  di  prescrizione),  nella  parte in cui -
sostituendo  l'art. 99 del codice penale - ha escluso che gli aumenti
di  pena previsti da tale articolo per la recidiva possano applicarsi
a chi ha commesso una contravvenzione;
        che il rimettente - chiamato a giudicare una persona imputata
della   contravvenzione  di  guida  in  stato  di  ebbrezza,  di  cui
all'art. 186  del  decreto  legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo
codice della strada) - riferisce che all'imputato e' stata contestata
la  recidiva  specifica reiterata infraquinquennale, avendo riportato
tre precedenti condanne per il medesimo reato;
        che  il corrispondente aumento di pena non sarebbe, peraltro,
piu' irrogabile alla luce dell'art. 4 della legge n. 251 del 2005, il
quale,  nel  sostituire  l'art. 99  cod.  pen.,  ha  limitato  -  con
disposizione   applicabile   anche  nel  giudizio  a  quo,  in  forza
dell'art. 2  cod.  pen.  - la rilevanza penale della recidiva ai soli
delitti non colposi;
        che,  ad  avviso  del giudice a quo, tale nuova disciplina si
porrebbe  in contrasto con l'art. 3 Cost., facendo si' che i recidivi
e  i  non recidivi vengano trattati in modo giustamente differenziato
se  commettono  un  delitto  (non colposo); e vengano invece trattati
irrazionalmente allo stesso modo se commettono una contravvenzione;
        che  la previsione di un aggravamento di pena per la recidiva
risponderebbe,  infatti,  ad  una  precisa «logica sanzionatoria»: la
quale  verrebbe,  peraltro,  «inopinatamente abbandonata» per il solo
fatto che la legge etichetti come «contravvenzione» il reato commesso
dal  recidivo,  il  quale  verrebbe cosi' sottratto - al di la' della
possibile  incidenza  negativa  dei  precedenti  penali  in  sede  di
commisurazione  in  concreto  della  pena entro i limiti edittali, ai
sensi  dell'art. 133  cod.  pen.  - all'applicazione di un'aggravante
atta  a  determinare  un  incremento di pena anche superiore a quello
previsto per le aggravanti comuni, di cui all'art. 61 cod. pen;
        che l'unica motivazione, che potrebbe essere scorta alla base
di  una  simile  scelta legislativa, sarebbe la minore gravita' delle
contravvenzioni rispetto ai delitti;
        che  si  tratterebbe,  tuttavia,  di giustificazione priva di
fondamento razionale: giacche' l'ordinamento penale annovera numerose
contravvenzioni  -  ad  esempio,  quelle  in  materia di alimenti, di
rifiuti,  di  inquinamento  o  di  edilizia, nonche', con riguardo al
giudizio  a  quo, quella di guida in stato di ebbrezza - che appaiono
ben  piu' gravi di delitti quali, ad esempio, l'ingiuria, le percosse
o i furti «minori» di cui all'art. 626, numeri 2) e 3), cod. pen;
        che  la  soluzione normativa censurata finirebbe, dunque, per
favorire  irragionevolmente  gli  autori  di determinate categorie di
reati:  in  conseguenza  di  essa,  la  recidiva  non  opererebbe nei
confronti   di  chi  conduca  un'autovettura  in  stato  di  completa
ebbrezza,  ponendo  in  grave  pericolo  l'incolumita' pubblica, dopo
essere  stato condannato ripetutamente per lo stesso reato; mentre la
pena  verrebbe  aggravata,  ai  sensi  dell'art. 99  cod.  pen.,  nei
confronti  di  chi  -  essendo  stato  condannato per aver rivolto un
epiteto offensivo ad un vicino di casa - lo ingiuri nuovamente;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata non fondata.
    Considerato  che  il giudice rimettente dubita della legittimita'
costituzionale,   in   riferimento   all'art. 3  della  Costituzione,
dell'art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui -
sostituendo  l'art. 99 del codice penale - ha limitato la recidiva ai
soli  delitti  non  colposi, escludendo cosi' che gli aumenti di pena
per   essa   previsti   possano   applicarsi   a   chi  commetta  una
contravvenzione;
        che,  in  tal  modo,  il  giudice a quo invoca, peraltro, una
pronuncia  additiva  in  malam  partem in materia penale, chiedendo a
questa  Corte di estendere l'ambito applicativo di un istituto, quale
la  recidiva,  che implica una serie di effetti negativi per il reo -
anzitutto,  ma non soltanto, sul piano dell'aggravamento della pena -
a casi che attualmente non vi rientrano (i reati contravvenzionali);
        che,  per  costante giurisprudenza di questa Corte, un simile
intervento  e' precluso dal principio della riserva di legge, sancito
dall'art. 25,  secondo  comma,  Cost., in base al quale «nessuno puo'
essere  punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore
prima del fatto commesso»: principio che, demandando in via esclusiva
al  legislatore  la  scelta  dei  fatti  da sottoporre a pena e delle
sanzioni loro applicabili, impedisce alla Corte - oltre che di creare
nuove  fattispecie  criminose  o di estendere quelle esistenti a casi
non  previsti  - anche di incidere in peius sulla risposta punitiva o
su  aspetti  comunque  inerenti alla punibilita' (ex plurimis, tra le
ultime,  sentenze  n. 161 del 2004, n. 49 del 2002 e n. 508 del 2000;
ordinanze n. 187 del 2005, n. 580 del 2000 e n. 392 del 1998); e cio'
fatta  eccezione  per  l'ipotesi  - che palesemente non ricorre nella
specie  -  delle cosiddette «norme penali di favore» (sentenza n. 394
del 2006);
        che,  pertanto,  a  prescindere  da ogni rilievo in ordine al
merito  delle  censure  -  essendosi,  in effetti, al cospetto di una
scelta di politica criminale, operata dal legislatore quale misura di
temperamento  del  maggior  rigore  assunto  dalla  disciplina  della
recidiva  a  seguito  della  stessa  legge n. 251 del 2005, e che non
introduce,  di  per  se',  alcun  elemento  di incoerenza nel sistema
penale,  caratterizzato da un trattamento differenziato dei delitti e
delle  contravvenzioni  sotto  plurimi  profili,  in  correlazione al
maggior  disvalore  tradizionalmente  assegnato  ai  primi  (sentenze
n. 243  del  1994  e  n. 482  del  1987) - la questione va dichiarata
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.