LA CORTE DI APPELLO Alla pubblica udienza del 10 gennaio 2007 ha pronunciato la seguente ordinanza. Nel processo a carico di Bottai Francesco, condannato dal Tribunale di Roma con sentenza 18 settembre 2001, concesse le attenuanti generiche e ritenuta la continuazione: per il delitto di cui all'art. 648 c.p., per avere acquistato o ricevuto da ignoti mobili e dipinti antichi compendio di un furto commesso il 13 settembre 1994. In Roma, in data antecedente e prossima al 5 ottobre 1994; per il delitto di cui all'art. 640 c.p., per avere, con gli artifici e raggiri enunciati, indotto in errore l'acquirente dei mobili di cui al capo precedente, conseguendo l'ingiusto profitto di settantacinque milioni versatigli a titolo di prezzo. In Roma, il 5 ottobre 1994. Rileva che l'appello e' ritualmente proposto (notificazione al contumace del 31 ottobre 2001 dopo il fol. 122 e deposito impugnazione 30 novembre 2001 a fol. 123); che il reato di truffa si e' prescritto in data 6 aprile 2002; che la ricettazione per cui e' intervenuta l'affermazione di responsabilita' si prescrivera' in tempo antecedente e prossimo al 6 ottobre 2009, successivo al 14 settembre 2009, in applicazione della disciplina anteriore alla 15 dicembre 2005, n. 251; che il processo e', infatti, pendente in appello dal 25 novembre 2002, cioe' da tempo anteriore alla data di entrata in vigore della predetta legge n. 251/2005, con la conseguente esclusione dei termini di prescrizione piu' brevi risultanti dalle nuove disposizioni ed ai sensi dell'art. 10, terzo comma, della stessa legge; che il processo non puo' essere definito indipendentemente dalla questione di legittimita' costituzionale della disciplina transitoria nominata, poiche' per il principio generale dettato dall'art. 2, terzo comma, c.p. viene in considerazione, in alternativa a quella sopra calcolata per la ricettazione, la prescrizione maturatasi nell'anno 2004 (anni otto piu' un quarto) dopo la sentenza di primo grado, in applicazione dei termini piu' favorevoli di cui agli art. 157, primo comma, e 161, secondo comma, c.p., come sostituiti dall'art. 6, primo e quinto comma, legge n. 251/2005; che, pertanto, si configura l'elemento di proponibilita' di cui all'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, in assenza del quale l'eccezione non e' ammissibile. O s s e r v a Va premesso che per l'art. 10, terzo comma, legge 5 dicembre 2005, n. 251, se per effetto delle nuove disposizioni i termini di prescrizione risultano piu' brevi, questi si applicano ai procedimenti pendenti all'entrata in vigore della legge - 8 dicembre 2005 - ad esclusione dei processi gia' pendenti in grado di appello alla medesima data. Il comma predetto recita: «Se, per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano piu' brevi, le stesse si applicano ai procedimenti e ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, ad esclusione (dei processi gia' pe denti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonche' 1) dei processi gia' pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione». La pendenza del processo va definita quale disponibilita' degli atti da parte del giudice ad quem ovvero dell'autorita' che procede, ricavabile dalla loro ricezione attestata dalla cancelleria centrale penale, in concreto risultante dal timbro a secco del 25 novembre 2002 apposto sul fascicolo per il dibattimento di primo grado ed in altri casi su quello della Corte di appello. Ogni altra data anteriore non e' riconducibile alla pendenza, come in fine esp1icitato, ne' l'ultima della missiva (nella specie assente) della cancelleria a quo di trasmissione degli atti del procedimento in seguito alla impugnazione, ai sensi dell'art. 590 c.p.p., che d'ordinario ne accompagna l'inoltro. Quindi la ricezione degli atti, datata dalla cancelleria centrale del giudice del gravame, si risolve in regola d'applicazione o no dei termini piu' brevi di prescrizione, a seconda che il loro pervenimento sia successivo o anteriore all'8 dicembre 2005. Ma questo discrimine temporale limita il principio di retroattivita' della legge penale piu' favorevole in modo che non s'appalesa ragionevole, poiche' ad esso, con riserva di motivi da esporre partitamente, non e' conferibile rilevanza esterna ed idoneita' ad individuare la disciplina prescrizionale applicabile senza disparita' di trattamento. Il tempo degli adempimenti non giurisdizionali e' variabile e non identico in tutti i casi (art. 582, secondo comma, c.p.p.), mentre la rinuncia alla potesta' punitiva non sembra potersi commisurare ad un parametro secondario delle ragioni che costituiscono il fondamento della prescrizione: la diminuzione dell'allarme sociale per il decorso dal reato commesso del lungo periodo di tempo legislativamente previsto e dall'altro la difficolta' dell'esercizio della difesa. Sotto entrambi profili non e' sostenibile, infatti, che il breve tempo per la trasmissione degli atti processuali, d'ordinario occorrente alla cancelleria ed al personale ausiliario, all'interno del quale cada, eventualmente, l'entrata in vigore della legge in esame con la pendenza susseguente, abbia un'influenza esclusiva o principale sulla prescrizione, ancorche' possa essere decisivo del suo maturarsi per la legge piu' mite. Vale a dire per converso che di per se' il criterio della pendenza in appello, successiva all'entrata in vigore della legge, non giustificherebbe logicamente la mancata operativita' della prescrizione preesistente meno favorevole, atteso che l'art. 25 della Costituzione vieta la retroattivita' della legge penale, ma non concerne l'ultrattivita' della medesima (Corte costit. 16 gennaio 1978, n. 6 ed altre) ovvero che il regime giuridico della legge piu' favorevole, e segnatamente la sua retroattivita', non e' assistito dalla tutela privilegiata di questa norma (Corte costit. n. 393/2006). E', allora, ben dubbio che, tanto per l'applicazione della norma penale di favore, quanto per la sua deroga, nel rispetto dell'irretroattivita' dei reati e delle pene, alla pendenza o ricezione degli atti possa attribuirsi il requisito equivalente ad una previsione generale ed astratta connessa al fluire del tempo (Corte costit. 6 dicembre 1979, n. 138 e 8 gennaio 1991, n. 1), secondo una diversificazione di fenomeni realmente influente sull'allarme sociale o regolante situazioni affatto diverse a parita' di reati, tale da richiedere un trattamento differente della causa estintiva o meglio la temporanea coesistenza di due misure del tempo di prescrizione, come concepita dall'art. 10, terzo comma, in esame: prima e dopo la pendenza in appello e, rispettivamente, esclusione e riconoscimento della lex mitior. Se l'opzione di efficacia dei termini piu' favorevoli riguardo allo stato del processo e non solo al tempo del commesso reato, puo' intanto venire in discussione per il contrasto con l'art. 2, terzo comma, c.p. - poste la sua portata di principio fondamentale del codice penale, sancito altresi' dalle disposizioni sulla legge in generale (art. 11: «La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo»), e la natura sostanziale, non processuale, delle norme sulla prescrizione (Corte costit. sent. 393/2006; Cass., sez. II, 5 gennaio 1993, n. 67, rv. 193159; Cass., sez. I, sent. 4216 del 24 maggio 1986, rv. 172803; Cass. civ., sez. lav., 28 agosto 1996, n. 7905) - non pare poi ragionevole nel sistema condizionarla al criterio non giurisdizionale di pendenza, laddove gli eventi processuali incidenti sul corso della causa estintiva sono sempre connessi a provvedimenti dell'autorita' giudiziaria (art. 159 e 160 c.p., 477 c.p.p.). La non consentita critica dell'esercizio di scelte discrezionali di esclusiva competenza legislativa non induce, tuttavia, a sottacere (Corte costit. 20 marzo 1978, n. 20) che obiettivamente la legge 5 dicembre 2005, n. 251, modificando la materia del diritto sostanziale, persegue anche 2) e soprattutto per via indiretta una parziale sollecitazione processuale, senza comprensibilita' della norma transitoria derogatrice all'art. 2, terzo comma, c.p., con una regolamentazione nuova, per un verso con l'art. 157, primo comma, c.p. ampliando il tempo di prima prescrizione, quindi d'esercizio dell'azione penale e di definizione del primo grado, e, nei limiti pertinenti, con gli art. 160, terzo comma, e 161, secondo comma, c.p. restringendo quello complessivo di trattazione dei gradi successivi per il quarto del tempo non superabile. A prescindere dall'interazione con approfondimenti 3) in una piu' ampia prospettiva, oltre l'appello contro le sentenze di proscioglimento, al vaglio di conformita' alla Costituzione, s'intende porre in luce che la prescrizione piu' specificamente collegata alla gravita' del reato ed al suo disvalore non sembra abbia in coerenza, per i reati sub iudice commessi anteriormente alla legge n. 251/2005, una uniforme disciplina. Anzi, ove maggiore sia stata la sollecitudine nel procedere, i termini piu' brevi non trovano applicazione - per l'appunto ad esclusione dei processi gia' pendenti in grado di appello -- ed, invece, l'hanno nel caso contrario dei processi pendenti dopo l'8 dicembre 2005 ed esauriti in prime cure alla stessa data. Prima della declaratoria d'illegittimita' costituzionale dell'art. 10, terzo comma, legge n. 251/2005, nell'originaria lettera tale discrasia era vieppiu' accentuata, esclusa l'applicazione della lex mitior da parte del giudice di primo grado. Come dire che la ratio attuata di solerzia in procedendo si convertiva contra reum pur in costanza della legge piu' favorevole, negata, e per la validita' del piu' lungo termine di prescrizione, mentre quelli nuovi piu' brevi si compivano nei procedimenti o nei processi piu' complessi in cui la stessa finalita' non fosse realizzabile all'8 dicembre 2005. Se mai, pure a chiarire proposizione precedente, l'esatto capovolto avrebbe avuto senso giuridico legittimante l'applicazione della legge prescrizionale anteriore meno favorevole, se rivestisse «sufficiente ragione giustificativa» di deroga alla retroattivita' della disposizione piu' favorevole al reo il criterio della pendenza, cioe' se per esso fosse riconoscibile sempre, quale risvolto processuale della fattispecie, una ragione essenziale, non rinvenibile nell'attuale formazione transitoria, che s'appalesa non univoca, di segno incetto di razionale coerenza e conformita' al principio fondamentale della successione delle leggi penali (Corte costit. n. 393/2006; 4 aprile 1990, n. 155; 20 marzo 1978, n. 20), e, pertanto, rimessa alla definitiva valutazione della Corte costituzionale. Sciogliendo la riserva, non ultimo elemento di non infondata anomalia, sotto il profilo della razionalita' e dell'eguaglianza, e' determinato dalla sopraddetta mancanza di rilevanza esterna della pendenza, soggetta a variabili indipendenti da manifestazioni della autorita' giudiziaria di persistenza della volonta' punitiva dello Stato, qualificata dal prima e dopo la ricezione degli atti del processo. Si puo' dire triplicemente qualificata per uno stesso delitto, gia' commesso all'entrata in vigore della legge n. 251/2005, con significato attenuante in fase procedimentale e prima della dichiarazione di cui all'art. 492 c.p.p., con significato aggravante dopo di essa, attualmente nei limiti dei processi pendenti in appello e in cassazione all'8 dicembre 2005, e con medesimo significato attenuante dopo la pendenza. Anteriormente alla dichiarazione d'incostituzionalita' per i processi pendenti in primo grado (Corte costit. n. 393/2006), la divergente natura del discrimine e l'inconciliabilita' del dettato d'esclusione dei termini piu' brevi di prescrizione o impossibilita' concettuale di reductio ad unum erano testuali: dinanzi al primo giudice la formalita' di apertura del dibattimento e per il giudizio di appello il criterio denunciato. Non puo' tacersi che la pendenza presso il giudice ad quem nei giorni immediatamente antecedenti o successivi all'8 dicembre 2005 puo' essere casuale, sicche' nessuna certezza d'eguaglianza di fronte alla lex mitior si ha in tutte le fattispecie di gia' maturata nuova prescrizione dopo la sentenza di primo grado. L'effettivita' della sua uniforme applicazione puo' essere fortuita, poiche' non trattasi «di una mera disparita' di fatto, cui e' estranea la legge e quindi... irrilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 3 della Costituzione» (Corte costit. 28 novembre 1972, n. 163), ma di un inconveniente emergente dal meccanismo legale, interno alla norma transitoria e per il suo dettato. In sintesi, sebbene in casi non ancora riscontrati, ma teoricamente ipotizzabili, non e' improprio definire casuale e dissimile tra gli imputati la data di entrata in vigore dell'art. 10, terzo comma, legge n. 251/2005, se non ricondotto a regole irrinunciabili: gli art. 3, primo comma, e 73, terzo comma, della Costituzione. Non puo' pensarsi, come inizialmente cennato, che il rimedio sia quello di fare retroagire, rendendola virtuale, la pendenza alla data dell'ultima formalita' prescritta, ad esempio, tra altri 4), la comunicazione del gravame dell'imputato al procuratore generale o la notificazione alla parte civile, poiche' da un canto si ricorrerebbe ad una interpretazione contraria all'applicazione della lex mitior per anticipata pendenza e dall'altro gli dempimenti funzionali all'impugnazione incidentale dell'accusa e della parte civile porterebbero paradossalmente alla sua applicazione. Tanto meno - e' appena il caso di esplicitarlo - puo' aversi riguardo alla presentazione dell'appello principale prima dell'8 dicembre 2005, giungendosi all'efficacia dei piu' lunghi termini di prescrizione in contrasto con il diritto della difesa per violazione dell'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione. Neppure va dato rilievo alla comunicazione di cancelleria ex art. 15 del regolamento c.p.p. e 590 c.p.p., non essendo legata ad atto dell'autorita' giudiziaria, al pari dell'attestazione della pendenza. S'evidenzia, dunque, che non c'e' soluzione interpretativa dell'inciso dell'art. 10, terzo comma, legge n. 251/2005: «ad esclusione... dei processi gia' pendenti in grado di appello», l'eccezione proposta essendo obbligata, poiche', pur a seguito della sentenza d'incostituzionalita' n. 393/2006 limitatamente alle parole «dei processi gia' pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonche», le disposizioni prescrizionali di favore relative al giudizio di primo grado non sono applicabili a norma dell'art. 598 c.p.p., per la tassativa eccezione fatta ai termini piu' brevi maturatisi in appello, ove la pendenza sia anteriore all'8 dicembre 2005, sempre che i medesimi non si siano compiuti in prime cure ed, ovviamente, non sia stata dichiarata l'estinzione del reato per detta causa con la decisione anteriore a quella della Corte costituzionale. Soltanto in questa ultima ipotesi, «in quanto applicabili» non applicati nel giudizio di primo grado, e per l'efficacia retroattiva delle pronuncie di incostituzionalita' (Corte costit. n. 127/1966, ord. n. 329/1985, ord. n. 94/1986), essi non possono non essere osservati anche nei gradi successivi, cosi' realizzando l'inverso costituzionale del dettato normativo, per il quale, esclusi i piu' brevi termini estintivi in primo grado, lo erano a fortiori nel secondo ed in Cassazione. In conclusione, si ritiene non manifestamente infondata la esclusione dei termini di prescrizione, fissata dalla pendenza del processo in grado di appello alla data di entrata in vigore della nuova legge, quando piu' favorevoli e maturati dopo la sentenza di primo grado. Rimane affidato alla Corte costituzionale il sindacato se l'eventuale declaratoria d'incostituzionalita' debba essere estesa, ai sensi dell'art. 271, legge 11 marzo 1953, n. 87, allo intero residuo secondo inciso del terzo comma dell'art. 10, legge n. 251/2005. 1) Inciso dichiarato incostituzionale con la sentenza della Corte costituzionale 23 ottobre 2006, n. 393. 2) V. l'art. 6, terzo comma, per la sostituzione dell'art. 159 c.p. e la sospensione processuale non oltre il sessantesimo giorno. 3) Questioni d'incostituzionalita' gia' sollevate sull'aggravio della giurisdizione ed altro a seguito della legge n. 46/2006 (ord. n. 9394/2003 e 4706/2003 r.g. Corte di appello di Roma), essendo evidente al contempo, con l'introduzione dell'esame del fatto in Cassazione per la formulazione dell'art. 606, lett. e), c.p.p., la configurazione di tre gradi di cognizione del merito (per il proscioglimento e la condanna), cosi' toccandosi la soglia, non superabile dal giudice ordinario, del campo legislativo e la domanda della sostenibilita' dell'assetto processuale per tutti i reati negli schemi sin'ora sperimentati, eccettuati quelli di cui all'art. 593, terzo comma, c.p.p. 4) Dopo la notifica dell'estratto contumaciale con l'avviso di deposito della sentenza, ai sensi dell'art. 548, terzo comma, c.p.p., puo', ad ulteriore esempio, essere proposta istanza ex art. 175 e 670 c.p.p. di restituzione nel termine per proporre gravame, il che dimostra che prima della pendenza, come specificata, permane in sede esecutiva la competenza del primo giudice, che, dopo avere provveduto sulla richiesta dell'interessato, «trasmette gli atti al giudice di cognizione competente» quando e' stata proposta impugnazione. Si tratta di adempimento che e' materialmente eseguito dalla cancelleria e non ha carattere giurisdizionale (v. natura della formazione del fascicolo per il dibattimento ex art. 431 c.p.p., Cass., sez. I, sent. 681 del 27 marzo 1995, rv. 201017). Per il giudice competente alle misure cautelari, in conformita' all'art. 91 delle norme di attuazione c.p.p., prima della trasmissione degli atti ex art. 590 c.p.p. provvede il giudice che ha emesso la sentenza.