ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei   giudizi   di   legittimita'   costituzionale   dell'articolo 1,
commi 366,   368   e   369,  della  legge  23 dicembre  2005,  n. 266
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato  -  Legge  finanziaria 2006), promossi con ricorsi delle
regioni  Toscana,  Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, notificati
il 22 e il 27 febbraio 2006, depositati in cancelleria il 28 febbraio
e  il  3  e  il  4 marzo  2006  ed iscritti ai numeri 28, 39 e 41 del
registro ricorsi 2006.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  20 febbraio  2007  il giudice
relatore Giuseppe Tesauro;
    Uditi  gli  avvocati  Fabio  Lorenzoni  per  la  Regione Toscana,
Giandomenico  Falcon  e  Andrea  Manzi per la Regione Emilia-Romagna,
Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia e l'avvocato
dello  Stato  Antonio  Tallarida  per il Presidente del Consiglio dei
ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Le Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Toscana,
con  separati  ricorsi  notificati  il 27 febbraio ed il 22 febbraio,
depositati  il  3  e  4  marzo  2006  ed  il  28 febbraio 2006, hanno
promosso,  tra  le  altre,  questioni  di legittimita' costituzionale
dell'art. 1,  commi 366, 368 (rectius: comma 368, lettera b, numeri 1
e  2,  e  lettera  d,  numero  4,  censurato soltanto dalle prime due
Regioni)  e  369  (comma  quest'ultimo impugnato soltanto dalla terza
ricorrente) della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - Legge
finanziaria  2006), in riferimento agli artt. 97, 117, quarto e sesto
comma,  e  118 della Costituzione (la prima ricorrente), nonche' agli
artt. 117,   quarto   e   sesto  comma,  e  118  della  Costituzione,
all'art. 4,  numeri 2, 3, 6, 7, 8, 10, 11 e 13, all'art. 5, numeri 7,
8  e  9,  della  legge  costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto
speciale   della   Regione   Friuli-Venezia   Giulia),  in  relazione
all'art. 10   della   legge   costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3
(Modifiche  al  titolo  V della parte seconda della Costituzione) (la
seconda  ricorrente), infine, agli artt. 117 e 118 della Costituzione
(la terza ricorrente).
    1.1.  -  Il  citato art. 1, al comma 366, disciplina i «distretti
produttivi»,  che  definisce  quali  «libere  aggregazioni di imprese
articolate  sul  piano  territoriale  e  sul  piano  funzionale,  con
l'obiettivo  di  accrescere  lo  sviluppo delle aree e dei settori di
riferimento,  di  migliorare l'efficienza nell'organizzazione e nella
produzione,   secondo   principi   di   sussidiarieta'  verticale  ed
orizzontale,  anche  individuando  modalita' di collaborazione con le
associazioni   imprenditoriali».   Detto  articolo 1,  al  comma 368,
lettera b),  numeri  1  e  2, stabilisce la disciplina applicabile ai
distretti   produttivi   in  materia  amministrativa;  al  comma 368,
lettera d),    disciplina    la   costituzione   e   l'organizzazione
dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione; al
comma 369   prevede  che  le  disposizioni  concernenti  i  distretti
produttivi  si  applicano anche ai distretti rurali e agro-alimentari
di  cui  all'art. 13  del  decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228
(Orientamento   e  modernizzazione  del  settore  agricolo,  a  norma
dell'art.  7 della legge 5 marzo 2001, n. 57), ai sistemi produttivi,
ai  sistemi  produttivi locali, distretti industriali e della pesca e
consorzi di sviluppo industriale definiti ai sensi dell'art. 36 della
legge  5 ottobre  1991,  n. 317  (Interventi  per  l'innovazione e lo
sviluppo delle piccole imprese), nonche' ai consorzi per il commercio
estero  di  cui  alla  legge  21 febbraio  1989, n. 83 (Interventi di
sostegno  per  i  consorzi  tra  piccole e medie imprese industriali,
commerciali ed artigiane).
    2.  -  Le  Regioni  Emilia-Romagna  e  Friuli-Venezia Giulia, nei
ricorsi  e  nelle  memorie  depositate  in  prossimita'  dell'udienza
pubblica, di contenuto in larga misura coincidente, premettono che la
disciplina  recata  dalle norme impugnate attiene alle «materie dello
sviluppo  economico»,  riconducibili,  ai sensi dell'art. 117, quarto
comma,  della  Costituzione,  alla  competenza legislativa cosiddetta
residuale delle regioni e, comunque, presenta profili di interferenza
con  la  competenza  legislativa  regionale  in  materia  di politica
economica  e  di interventi nell'economia, benche' sia connessa anche
con  materie spettanti alla competenza legislativa dello Stato quale,
ad  esempio, quella fiscale. A loro avviso, detta connessione avrebbe
reso possibile una regolamentazione di carattere generale e non, come
sarebbe   accaduto,   l'emanazione   di   norme   di  dettaglio  che,
conseguentemente, sarebbero costituzionalmente illegittime.
    Inoltre,  in  violazione  dell'art. 117,  sesto comma, Cost., che
limita  il  potere  regolamentare dello Stato alle materie attribuite
alla competenza legislativa esclusiva del medesimo, la disciplina dei
distretti  produttivi e' stata demandata a decreti interministeriali,
senza neppure stabilire criteri e parametri legislativi, quindi anche
in contrasto con il principio di legalita' sostanziale.
    In   linea  gradata,  ad  avviso  delle  ricorrenti,  qualora  si
ritenesse legittima la fissazione delle caratteristiche dei distretti
e    dei    relativi    criteri   di   individuazione   con   decreto
interministeriale,  l'art. 1,  comma 366, della legge n. 266 del 2005
sarebbe  comunque  costituzionalmente  illegittimo,  in quanto non e'
prevista   nessuna   forma  di  collaborazione  con  le  regioni,  in
particolare,   nella   forma  della  acquisizione  dell'intesa  della
Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province  autonome  di  Trento  e  di Bolzano (di seguito: Conferenza
Stato-regioni),  ed in quanto ad esse non e' riconosciuto alcun ruolo
in occasione della «concreta individuazione» di ciascun distretto.
    Le  regioni  censurano  il  citato art. 1, comma 368, lettera b),
numeri   1   e  2,  poiche'  stabilisce  la  disciplina  «dell'azione
amministrativa in relazione alle imprese», che spetta alla competenza
regionale,  salvo  che  per  gli  eventuali  interventi  di carattere
macroeconomico.  Inoltre,  la  disposizione esproprierebbe le regioni
dall'attivitaamministrativa  di propria competenza in favore di corpi
espressivi degli interessi parziali delle imprese, dei quali non sono
definite  con  legge  le  caratteristiche,  prevedendo che, a seguito
della dichiarazione dei distretti in ordine alla titolarita' da parte
delle  imprese  dei  requisiti necessari per l'avvio del procedimento
amministrativo  e  per  la partecipazione allo stesso, nonche' per la
sua conclusione con atto formale ovvero con effetto finale favorevole
alle  imprese  aderenti,  le  pubbliche  amministrazioni  e  gli enti
pubblici  provvedono  senza  altro  accertamento  nei  riguardi delle
imprese aderenti.
    Pertanto,  la  norma illegittimamente sottrae la disciplina della
materia in esame e del procedimento amministrativo alle regioni, alle
quali  essa  spetta,  ai  sensi  dell'art. 117,  quarto  comma, della
Costituzione, anche in virtu' dell'art. 29 della legge 7 agosto 1990,
n. 241  (Nuove  norme  in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi), nel testo sostituito
dall'art. 19  della  legge  11 febbraio  2005,  n. 15  (Modifiche  ed
integrazioni  alla  legge  7 agosto  1990,  n. 241, concernenti norme
generali sull'azione amministrativa), prevedendo poteri normativi del
Ministro,   preclusi   in   relazione   all'attivita'  amministrativa
regionale,  vieppiu'  in quanto gli atti previsti dalla norma possono
essere adottati senza alcuna partecipazione delle regioni.
    Secondo  la  Regione Emilia-Romagna, la evidente «parzialita» del
soggetto al quale sono attribuite le funzioni amministrative e la sua
inidoneita'  a  valutare  gli  interessi  pubblici  comportano  anche
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1, comma 368, lettera b),
numero  1,  della  legge  n. 266 del 2005, in riferimento all'art. 97
della Costituzione.
    Infine,  il  citato  art.  1,  comma 368,  lettera d),  numero 4,
violerebbe  anch'esso  le  competenze  legislative  ed amministrative
delle  Regioni,  nella  parte  in  cui  disciplina  la costituzione e
l'organizzazione  dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per
l'innovazione,  senza  prevedere  la  partecipazione  delle  regioni,
neppure  in occasione dell'approvazione dello statuto dell'Agenzia da
parte  della  Presidenza  del Consiglio dei ministri, che esercita un
potere  di  vigilanza sulla medesima e, con propri decreti (di natura
non   regolamentare),  sentiti  i  ministeri  indicati  nella  norma,
definisce  «criteri  e  modalita'  per lo svolgimento delle attivita'
istituzionali».
    La Regione Friuli-Venezia Giulia deduce, inoltre, che i distretti
produttivi costituiscono un istituto che presenta connessioni «con la
potesta'  legislativa regionale in materia di politica economica e di
interventi   nell'economia,   attribuite  dall'art. 4  dello  statuto
regionale  alla propria competenza legislativa di tipo primario, come
specificato  dai  numeri  2,  3,  6,  7,  8, 10, 11, 13». Inoltre, lo
statuto regionale attribuisce alla competenza legislativa concorrente
della  regione  la  materia  dei servizi pubblici (art. 5, n. 7), tra
l'altro  in  relazione  all'ordinamento  «degli enti aventi carattere
locale  o  regionale  per  i finanziamenti delle attivita' economiche
nella  regione»  (art. 5,  n. 8), nonche' quella della «istituzione e
ordinamento di enti aventi carattere locale o regionale per lo studio
di  programmi  di  sviluppo  economico»  (n. 9)  e,  in ogni caso, le
materie  dello  sviluppo  economico  sono  attribuite alla competenza
residuale  di  essa  istante,  ai  sensi dell'art. 117, quarto comma,
della Costituzione e dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
    2.1. - La Regione Toscana, nel ricorso e nella memoria depositata
in prossimita' dell'udienza pubblica, deduce che la disciplina recata
dalle  norme  impugnate  e' riconducibile alle materie del commercio,
dello sviluppo economico e dell'industria, attribuite alla competenza
legislativa   residuale  delle  regioni,  alle  quali  spetta  quindi
stabilire  le  caratteristiche  e  le modalita' di individuazione dei
distretti  produttivi,  come  appunto ha fatto essa ricorrente con la
deliberazione consiliare del 21 febbraio 2000, n. 69.
    Pertanto,  il  citato  art. 1,  comma 366  - applicabile anche ai
distretti  rurali e agro-alimentari, ai sistemi produttivi locali, ai
distretti industriali e ai consorzi industriali - viola gli artt. 117
e  118  della  Costituzione,  in quanto non sussistono - comunque non
sono  indicate  - le ragioni che potrebbero giustificare l'attrazione
allo  Stato  delle  funzioni  amministrative  in  esame  e neppure e'
prevista l'intesa con le regioni, che sarebbe invece necessaria.
    Infine,  il citato comma 366 si pone in contrasto con l'art. 117,
sesto  comma,  della  Costituzione, dato che attribuisce ad una fonte
regolamentare  statale  la  definizione delle caratteristiche e delle
modalita'  di individuazione dei distretti «(industriali, produttivi,
rurali,   agro-alimentari,   dei   sistemi  produttivi,  dei  sistemi
produttivi  locali,  dei  consorzi  di  sviluppo industriale)» in una
materia  non  riconducibile  a quelle spettanti alla competenza dello
Stato.
    3.  - In tutti e tre i giudizi si e' costituito il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo il rigetto dei ricorsi.
    La  difesa erariale, con argomentazioni sostanzialmente identiche
nei  tre  atti di costituzione, deduce che l'art. 1, comma 366, della
legge  n. 266  del 2005, disponendo che con decreto interministeriale
sono  stabilite  le  caratteristiche necessarie, affinche' le «libere
aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano
funzionale» siano riconosciute come distretti produttivi, concerne la
materia  «ordinamento civile», in quanto fissa i caratteri che devono
connotare  le  associazioni degli imprenditori per dare luogo a detta
nuova  figura  associativa,  conosciuta  sul  piano economico, ma non
disciplinata   normativamente.   A  suo  avviso,  si  tratta  di  una
regolamentazione  parallela  a  quella  dei  consorzi  (artt.  2602 e
seguenti del codice civile), destinata ad operare per scopi diversi.
    Il  comma 368,  lettera b),  numeri  1 e 2, della norma impugnata
chiarisce  i  limiti  della  capacita'  giuridica  dei  distretti; la
lettera d)  concerne  una  Agenzia  la  cui  costituzione non vulnera
l'autonomia  regionale,  con  conseguente  infondatezza delle censure
concernenti  dette norme, che hanno ad oggetto materie nelle quali le
regioni non hanno competenza legislativa.
    Secondo   l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  la  censura  del
comma 369  del  citato  art.  1,  proposta  dalla regione Toscana, e'
infondata per le ragioni sopra svolte, limitandosi la norma a rendere
applicabile  il  comma  366  ai  distretti rurali ed agro-alimentari.
Peraltro, nel caso in cui il decreto interministeriale previsto dalla
disposizione  dovesse eccedere i limiti da questa fissati, le regioni
potrebbero  proporre  conflitto  di attribuzione in relazione a detto
atto,   eventualita'  questa  che  non  puo'  affatto  comportare  il
contrasto della norma con i parametri costituzionali evocati.
    4.   -   All'udienza   pubblica  le  parti  hanno  insistito  per
l'accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.

                       Considerato in diritto

    1.  - Le Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Toscana,
con  tre  distinti  ricorsi, hanno promosso questioni di legittimita'
costituzionale di numerose norme della legge 23 dicembre 2005, n. 266
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato - Legge finanziaria 2006).
    1.1. - Le impugnazioni aventi ad oggetto l'art. 1, commi 366, 368
(rectius: comma 368, lettera b), numeri 1 e 2, e lettera d, censurato
esclusivamente  dalle  prime  due  regioni)  e  369  (comma impugnato
soltanto dalla terza ricorrente) della legge n. 266 del 2005 sono qui
trattate  separatamente  rispetto  alle  altre questioni promosse nei
suddetti  ricorsi  e,  in quanto formulate in riferimento a profili e
sulla  scorta  di argomentazioni sostanzialmente coincidenti, possono
essere decise con la medesima sentenza.
    2.  -  Le  ricorrenti  censurano l'art. 1, comma 366, della legge
n. 266    del   2005,   in   riferimento   agli   artt. 97   (Regione
Emilia-Romagna),  117, quarto e sesto comma, e 118 della Costituzione
(Regioni Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia), nonche' all'art. 4,
numeri  2,  3,  6,  7, 8, 10, 11 e 13, e all'art. 5, numeri 7, 8 e 9,
della  legge  costituzionale  31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale
della  Regione Friuli-Venezia Giulia), in relazione all'art. 10 della
legge  costituzionale  18  ottobre  2001, n. 3 (Modifiche al titolo V
della  parte  seconda  della  Costituzione)  (regione  Friuli-Venezia
Giulia), ed agli artt. 117 e 118 Cost. (Regione Toscana).
    La  norma  disciplina  i  «distretti  produttivi», definiti quali
«libere  aggregazioni  di imprese articolate sul piano territoriale e
sul piano funzionale, con l'obiettivo di accrescere lo sviluppo delle
aree  e  dei  settori  di  riferimento,  di  migliorare  l'efficienza
nell'organizzazione   e   nella   produzione,   secondo  principi  di
sussidiarieta' verticale ed orizzontale, anche individuando modalita'
di collaborazione con le associazioni imprenditoriali».
    Secondo  le  ricorrenti,  la  disposizione impugnata violerebbe i
suindicati parametri costituzionali, in quanto i distretti produttivi
attengono  alle «materie dello sviluppo economico» (comunque a quelle
del commercio e dell'industria) che, ex art. 117, quarto comma, della
Costituzione,  spettano  alla  competenza legislativa residuale delle
regioni  e,  ad  avviso  della  regione  Friuli-Venezia  Giulia, sono
riconducibili   alla   propria   competenza  legislativa  primaria  o
concorrente,  e  comunque a quella residuale, ai sensi dell'art. 117,
quarto  comma,  della  Costituzione  e dell'art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001.
    Inoltre,  la disciplina in esame interferirebbe con la competenza
legislativa   regionale   in  materia  di  politica  economica  e  di
interventi nell'economia e, anche tenendo conto dell'esistenza di una
connessione  con  ambiti  riservati  alla  competenza dello Stato (ad
esempio,   in   materia   fiscale),   illegittimamente   prevederebbe
l'individuazione     dei    distretti    produttivi    con    decreto
interministeriale.  Peraltro,  secondo  le  ricorrenti, anche qualora
siffatta  modalita' fosse ritenuta legittima, la disposizione sarebbe
comunque viziata, poiche' neppure e' prevista la partecipazione delle
regioni  in detta fase, in particolare, nella forma dell'acquisizione
dell'intesa con la Conferenza Stato-regioni.
    Infine,   in   contrasto   con  l'art. 117,  sesto  comma,  della
Costituzione,   la   regolamentazione  dei  distretti  produttivi  e'
demandata  a decreti interministeriali e, in ogni caso, in violazione
del  principio  di  legalita'  sostanziale,  non sono stati stabiliti
criteri e parametri legislativi; inoltre, in contrasto con l'art. 118
Cost., non sussistono - comunque non sono state indicate - le ragioni
che  giustificherebbero  l'attrazione  in  sussidiarieta'  allo Stato
della disciplina in esame.
    2.1. - L'art. 1, comma 368, lettera b), numeri 1 e 2, della legge
n. 266  del  2005,  dispone  che  i  distretti  produttivi:  svolgono
attivita'  riferibili  direttamente  alle  imprese, secondo modalita'
applicative  stabilite con decreto del Ministro dell'economia e delle
finanze,  di  concerto  con  il  Ministro  per  la funzione pubblica;
possono  inoltrare  istanze  per  l'accesso ai contributi previsti da
leggi regionali, nazionali o da disposizioni comunitarie, mediante un
procedimento    amministrativo    collettivo,   stipulando   apposite
convenzioni,   anche   di  tipo  collettivo,  aventi  ad  oggetto  la
prestazione  di  garanzie,  secondo modalita' applicative fissate con
decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.
    Ad  avviso  delle regioni Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia,
la norma violerebbe i parametri costituzionali sopra indicati (n. 2),
in  quanto  disciplina  la  «azione  amministrativa in relazione alle
imprese»,  spettante  alla  competenza  regionale,  salvo che per gli
eventuali interventi di carattere macroeconomico, prevedendo altresi'
poteri  normativi  ministeriali,  preclusi in relazione all'attivita'
amministrativa  regionale,  vieppiu'  in difetto della partecipazione
delle  Regioni alla adozione dei decreti previsti dalla disposizione.
Inoltre,  la norma illegittimamente sottrarrebbe alle amministrazioni
la   regolamentazione   dell'attivita'   amministrativa   di  propria
competenza  in  favore  di  corpi espressivi degli interessi parziali
delle   imprese,   dei   quali   non   sono  definite  con  legge  le
caratteristiche.
    Infine,  secondo  la  Regione  Emilia-Romagna,  il citato art. 1,
comma 368,  lettera b), numero 1, recherebbe vulnus anche all'art. 97
della Costituzione, in considerazione della evidente «parzialita» del
soggetto  al quale sono attribuite le funzioni amministrative oggetto
della  medesima  e  della  inidoneita'  del  medesimo  a valutare gli
interessi pubblici.
    Entrambe  le  ricorrenti  impugnano l'indicato art. 1, comma 368,
lettera d),  numero  4,  nella  parte in cui regola la costituzione e
l'organizzazione  dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per
l'innovazione,  senza  prevedere  la  partecipazione  delle  regioni,
neppure  in  occasione  dell'approvazione dello statuto dell'Agenzia,
riservata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che esercita un
potere  di  vigilanza sulla medesima e, con propri decreti (di natura
non   regolamentare),  sentiti  i  ministeri  indicati  nella  norma,
definisce  «criteri  e  modalita'  per lo svolgimento delle attivita'
istituzionali».
    2.2.  - La Regione Toscana censura, in riferimento agli artt. 117
e  118  della  Costituzione,  anche  l'art. 1, comma 369, della legge
n. 266  del  2005, il quale stabilisce che le disposizioni recate dal
comma 366,  concernenti i distretti produttivi, si applicano altresi'
ai  distretti rurali e agro-alimentari di cui all'art. 13 del decreto
legislativo  18 maggio  2001,  n. 228 (Orientamento e modernizzazione
del  settore  agricolo, a norma dell'art. 7 della legge 5 marzo 2001,
n. 57),   ai   sistemi  produttivi,  ai  sistemi  produttivi  locali,
distretti   industriali   e   della  pesca  e  consorzi  di  sviluppo
industriale  definiti  ai  sensi  dell'art. 36  della legge 5 ottobre
1991,  n. 317  (Interventi  per  l'innovazione  e  lo  sviluppo delle
piccole  imprese), nonche' ai consorzi per il commercio estero di cui
alla  legge  21 febbraio  1989,  n. 83  (Interventi di sostegno per i
consorzi  tra  piccole  e  medie  imprese industriali, commerciali ed
artigiane).
    3.  -  La  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 1,
comma 368,  lettera b),  numero  1,  della  legge  n. 266  del  2005,
promossa  dalla  regione  Emilia-Romagna  in  riferimento all'art. 97
della Costituzione, e' inammissibile.
    Va  infatti  ribadito  che  le  regioni  possono  far  valere  il
contrasto  delle  disposizioni  censurate  con  norme  costituzionali
diverse  da  quelle attributive di competenza legislativa soltanto se
tale  contrasto si risolva in una esclusione o limitazione dei poteri
regionali  (tra  le  molte, sentenze n. 116 del 2006, n. 383 e n. 285
del  2005).  Pertanto,  il  mancato  riferimento nella prospettazione
della  censura ad una compressione delle competenze della ricorrente,
come   conseguenza   della   pretesa  violazione  dell'art. 97  della
Costituzione, non consente di affrontare il merito della questione.
    3.1.  -  Del  pari  inammissibile e' la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 1,  comma 369, della legge n. 266 del 2005,
promossa  dalla  regione  Toscana,  in relazione agli artt. 117 e 118
della  Costituzione,  non  essendo  individuabili,  in  riferimento a
questa norma, censure sorrette da specifiche argomentazioni.
    Nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale in via principale,
secondo  la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l'esigenza di
una  adeguata motivazione a sostegno dell'impugnativa si pone infatti
in  termini  perfino  piu' pregnanti che in quelli in via incidentale
(ex plurimis, sentenze n. 139 del 2006; n. 450 del 2005).
    4.  -  Le  questioni  di legittimita' costituzionale dell'art. 1,
commi 366,  368,  lettera b), numeri 1 e 2, e lettera d), della legge
n. 266 del 2005, promosse in riferimento ai parametri sopra indicati,
da   esaminare   congiuntamente  in  considerazione  dei  profili  di
connessione  della  disciplina  e  della  sostanziale identita' delle
argomentazioni  con  le  quali  le  disposizioni sono censurate, sono
fondate nei limiti e nei termini di seguito precisati.
    4.1.  -  Occorre anzitutto identificare la materia nella quale si
collocano  le  disposizioni  impugnate.  A  questo scopo, come questa
Corte ha gia' affermato, occorre fare riferimento all'oggetto ed alla
disciplina  stabilita  dalle  norme  scrutinate,  per  cio'  che esse
dispongono (sentenze n. 450 e n. 411 del 2006), alla luce della ratio
dell'intervento  legislativo  nel  suo  complesso  e  nei  suoi punti
fondamentali,  tralasciando  gli  aspetti  marginali  e  gli  effetti
riflessi  delle  norme  medesime  (sentenze n. 319 e n. 30 del 2005),
cosi' da identificare correttamente e compiutamente anche l'interesse
tutelato (sentenze n. 285 del 2005; n. 449 del 2006).
    4.1.1.  -  La  disciplina  dei distretti produttivi, come risulta
anche  dai  lavori  preparatori,  e'  parte di un complesso di misure
approntate   per   favorire  la  crescita  economica  del  Paese;  in
particolare,  e'  stata  intesa  come  un  rimedio  ad alcuni profili
negativi  correlati  alle  ridotte  dimensioni  che caratterizzano in
grandissima  parte  le  imprese  italiane. Il conseguimento di questo
obiettivo e' stato affidato ad un intervento mirato a «valorizzare la
specificita' del nostro sistema produttivo», rendendo i «distretti la
piattaforma  di sviluppo e «tenuta» delle nostra economia» (cosi', la
Relazione   al  disegno  di  legge),  in  quanto  ritenuti  idonei  a
permettere  l'integrazione dell'offerta di beni e servizi da parte di
imprese  che svolgono attivita' complementari e comunque connesse, in
definitiva a favorire condizioni di maggiore competitivita'.
    Le  conferenti  disposizioni  della  legge  266  del  2005  hanno
anzitutto  definito,  in linea generale, i distretti produttivi quali
«libere  aggregazioni  di imprese articolate sul piano territoriale e
sul piano funzionale, con l'obiettivo di accrescere lo sviluppo delle
aree  e  dei  settori  di  riferimento,  di  migliorare  l'efficienza
nell'organizzazione   e   nella   produzione,   secondo  principi  di
sussidiarieta' verticale ed orizzontale, anche individuando modalita'
di collaborazione con le associazioni imprenditoriali» (comma 366).
    Per  conseguire  tali obiettivi, si sono disciplinati gli effetti
di  questa  peculiare forma di aggregazione, in primo luogo, sotto il
profilo  fiscale  e  finanziario  (comma  368,  lettere  a  e  c, non
censurate   dalle  ricorrenti).  In  secondo  luogo,  allo  scopo  di
permettere  uno  snellimento  degli adempimenti burocratici dei quali
sono  onerate le imprese, e' stato a queste concesso di «intrattenere
rapporti  con  le  pubbliche amministrazioni e con gli enti pubblici»
«per   il  tramite  del  distretto»,  legittimato  a  svolgere  detti
adempimenti  per  conto  delle medesime (comma 368, lettera b, numero
1), anche per «facilitare l'accesso ai contributi erogati a qualunque
titolo»,  avvalendosi  appunto  della  «attivita'  di  consulenza  ed
assistenza»  che  i distretti produttivi potranno loro fornire (comma
368,  lettera  b,  numero  2).  Peraltro,  il  contenuto  delle norme
dimostra  che  queste riguardano la facolta' dei distretti produttivi
di  agire  in  rappresentanza  delle  imprese  nei  rapporti  con  le
pubbliche  amministrazioni,  piuttosto  che  -  come  sostenuto dalle
ricorrenti   -   la   disciplina   del  procedimento  amministrativo,
perseguendo  dunque  una  finalita'  resa  ancor  piu'  chiara  dalla
previsione  della  ulteriore  facolta'  dei  distretti produttivi «di
stipulare, per conto delle imprese, negozi di diritto privato secondo
le  norme  in materia di mandato di cui agli articoli 1703 e seguenti
del  codice  civile»  (comma  368, lettera b, numero 3, non censurato
dalle ricorrenti).
    L'Agenzia  per  la diffusione delle tecnologie per l'innovazione,
oggetto  del comma 368, lettera d), benche' non strettamente connessa
con  la figura dei «distretti produttivi», per espresso dettato della
norma,   e'   infine   strumentale  ad  «accelerare  il  processo  di
circolazione  della conoscenza ed accrescere la capacita' competitiva
delle  piccole  e  medie  imprese  e  delle piattaforme industriali»,
nonche'  ad  «assistere  le  piattaforme industriali in ogni fase del
percorso  di  ricerca, applicazione ed ingegnerizzazione di una nuova
tecnologia».
    4.2.  -  La  disciplina  e  la  ratio  dell'intervento  normativo
rivelano  con  evidenza  la  finalita'  di  realizzare una manovra di
politica  economica  per  favorire la crescita del sistema produttivo
italiano.   Nell'ordinamento,   peraltro,  gia'  esistono  discipline
dirette  a  garantire  anche  siffatte  esigenze  di  riordino  e  di
intervento, pure conformate sulla peculiarita' del sistema produttivo
italiano  e  recanti  misure  dirette  a  favorirne  lo sviluppo. Tra
queste,  va ricordata quella concernente i sistemi produttivi locali,
definiti  come  «contesti  produttivi omogenei, caratterizzati da una
elevata concentrazione di imprese, prevalentemente di piccole e medie
dimensioni,  e  da  una  peculiare  organizzazione  interna», nel cui
ambito   costituiscono   un  particolare  sottoinsieme  i  «distretti
industriali»,   «caratterizzati  da  una  elevata  concentrazione  di
imprese  industriali  nonche'  dalla  specializzazione  produttiva di
sistemi  di  imprese» (art. 36 della legge n. 317 del 1991, nel testo
sostituito dall'art. 6 della legge 11 maggio 1999, n. 140). Si tratta
di  una  disciplina  che ha riconosciuto dal punto di vista giuridico
una  realta'  industriale,  assegnando  alle  Regioni  il  compito di
individuare  i  citati  distretti,  attribuendo alle medesime compiti
rilevanti,  con  la  conseguenza che e' questa tipologia e non quella
oggetto  delle  norme  impugnate,  che  e'  stata  anche puntualmente
disciplinata  da  alcune di esse (cosi' dalla Regione Toscana, con la
delibera  del  Consiglio  Regionale  21 febbraio 2000, n. 69, nonche'
dalla   Regione   Friuli-Venezia   Giulia,  con  la  legge  regionale
11 novembre  1999,  n. 27,  recante  «Per  lo  sviluppo dei distretti
industriali»  e  con la delibera della Giunta regionale del 21 luglio
2006, n. 1695).
    Tuttavia,  nonostante  l'omologia  tra  i  distretti  industriali
appena  ricordati e quelli contemplati dalle norme impugnate, risulta
comunque  diverso  l'oggetto  delle discipline. Invero, la menzionata
Relazione  al  disegno di legge in questione, dopo avere premesso che
«il  modello  dei  distretti  industriali  e'  la  base  su cui viene
costruita la nozione piu' ampia di piattaforma industriale», la quale
«puo'  assumere  la  forma del distretto territoriale o del distretto
funzionale»,  significativamente  indica che il «distretto funzionale
e'   una  libera  aggregazione  di  imprese  che  cooperano  in  modo
intersettoriale»    e,    «rispetto    ai    tradizionali   distretti
territoriali»,  «prescinde  da uno specifico territorio e si sviluppa
come  integrazione dell'offerta di beni e servizi da parte di imprese
che svolgono attivita' complementari o comunque connesse».
    Le norme censurate hanno realizzato precisamente questo obiettivo
e,  quindi,  la  peculiarita' dei distretti produttivi va colta nella
circostanza  che  la  loro  istituzione  non  e' collegata solo ad un
determinato  ambito territoriale, ma puo' richiedere un'articolazione
in   piu'  di  una  Regione,  ognuna  delle  quali  resta  libera  di
disciplinare  all'interno  del  suo  ambito  le  figure  omologhe,  e
tuttavia diverse, dei distretti industriali.
    Lo  scopo  di  realizzare  una  incisiva  azione a sostegno dello
sviluppo  del  sistema  produttivo,  nel  quadro  di  una  manovra di
politica   economica  nazionale,  e'  stato  conseguito  mediante  un
intervento   articolato  su  molteplici  piani.  In  particolare,  la
normativa in questione, da un canto, privilegia una valorizzazione di
profili  ulteriori  rispetto a quello della collocazione territoriale
delle   imprese   e   che,   nella   fissazione  delle  modalita'  di
individuazione  delle caratteristiche dei distretti produttivi (comma
366),  richiede l'apprezzamento anche di profili di carattere tecnico
ed  una  attivita'  di ricognizione e valutazione che non puo' essere
adeguatamente  soddisfatta  a  livello  regionale; dall'altro, mira a
realizzare  una  unificazione  idonea  a  porre  rimedio agli effetti
negativi della ridotta dimensione delle imprese, senza tuttavia farne
venire meno l'individualita'.
    La   disciplina   recata  dalle  norme  impugnate  non  e'  stata
sostanzialmente  innovata  dall'art. 1,  commi 889,  890  e 891 della
legge  27 dicembre  2006,  n. 296 (Disposizioni per la formazione del
bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2007),
che,   tuttavia,   ha   apportato   elementi   per  la  sua  corretta
interpretazione.  Il  comma 890 ha introdotto nell'art. 1 della legge
266  del  2005  due  nuovi  commi,  in  virtu'  dei quali: «In attesa
dell'adozione  del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze
di  cui al comma 366 puo' essere riconosciuto un contributo statale a
progetti  in  favore  dei distretti produttivi adottati dalle regioni
per  un  ammontare  massimo  del  cinquanta  per  cento delle risorse
pubbliche  complessivamente  impiegate  in  ciascun  progetto» (comma
371-bis);   «Con  decreto  del  Ministro  dello  sviluppo  economico,
adottato  di  concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,
sentita  la  Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le
regioni  e  le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  sono
individuati  i  progetti  regionali  ammessi  al  beneficio di cui al
comma 371-bis  ed  i  relativi  oneri  per il bilancio dello Stato ed
eventuali  ulteriori  progetti di carattere nazionale, fermo restando
il limite massimo di cui al comma 372» (comma 371-ter).
    Si    tratta    di   norme   evidentemente   giustificate   dalla
considerazione  sia  della complessita' dell'attivita' necessaria per
dare  attuazione alla nuova disciplina, sia della possibilita' per le
Regioni  di  realizzare,  nel  loro ambito territoriale, progetti che
permettano  di  conseguire  scopi analoghi a quelli perseguiti con le
disposizioni impugnate.
    4.3.  -  L'oggetto  e  la  finalita'  delle  norme  impugnate non
permettono  di  ritenere che la relativa disciplina sia riconducibile
ad  una  materia, lo «sviluppo economico», che sarebbe riservata alla
competenza  residuale  delle  Regioni.  La  locuzione costituisce una
espressione di sintesi, meramente descrittiva, che comprende e rinvia
ad una pluralita' di materie. In tal senso, e' significativo che gia'
il   decreto  legislativo  31 marzo  1998,  n. 112  (Conferimento  di
funzioni  e  compiti  amministrativi dello Stato alle regioni ed agli
enti  locali,  in  attuazione  del  capo I della legge 15 marzo 1997,
n. 59),  nel  delegare numerose funzioni alle Regioni, contemplava in
un  apposito  Titolo  (il  II)  le  funzioni  inerenti allo «sviluppo
economico  e  attivita'  produttive»,  precisando  tuttavia  che allo
stesso  erano  riconducibili una pluralita' di materie: agricoltura e
foreste,   artigianato,   industria,   energia,   miniere  e  risorse
geotermiche,   ordinamento  delle  camere  di  commercio,  industria,
artigianato  e  agricoltura,  fiere e mercati e commercio, turismo ed
industria alberghiera (art. 11, comma 2).
    L'art. 117  Cost.  contempla molteplici materie caratterizzate da
una  palese  connessione con lo sviluppo dell'economia, le quali sono
attribuite  sia  alla  competenza  legislativa  esclusiva dello Stato
(art. 117, secondo comma, Cost.), sia a quella concorrente (art. 117,
terzo  comma,  Cost.),  o  residuale  (art. 117, quarto comma, Cost.)
delle Regioni.
    La  finalita'  avuta  di  mira  dal legislatore statale ha dunque
comportato  che  la disciplina recata dalle norme impugnate attiene a
piu'  materie,  alcune senz'altro riservate alla competenza esclusiva
dello  Stato  (la  materia  fiscale,  nonche' quella dell'ordinamento
civile,  in  quanto  si e' regolata una peculiare figura associativa,
intervenendo  sulla  disciplina  delle modalita' di contrarre e della
rappresentanza).  Tuttavia,  proprio  in  quanto le disposizioni sono
dirette  a  realizzare  una complessa manovra concernente lo sviluppo
dell'economia  e del sistema produttivo italiano, esse incidono anche
su  materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni, sia
concorrente  (quale  la «ricerca scientifica e tecnologica e sostegno
all'innovazione  per  i  settori  produttivi»:  ex plurimis, sentenze
n. 31 del 2005 e n. 423 del 2004), sia residuale (quali il commercio:
sentenza  n. 1  del 2004; l'industria, l'artigianato: sentenza n. 162
del  2005). Analogamente, l'attivita' della Agenzia per la diffusione
delle  tecnologie  per l'innovazione - pur se non imprescindibilmente
connessa  ai  distretti  produttivi  -  e'  riconducibile  a  materie
spettanti  alla  competenza legislativa concorrente delle Regioni (in
particolare,  alla  ricerca  scientifica  e  tecnologica  e  sostegno
all'innovazione  per  i  settori  produttivi)  ed  a quella residuale
(industria).  Il  comma 368,  lettera d), attribuisce infatti a detta
Agenzia,  tra  gli altri, i compiti di provvedere alla «diffusione di
nuove  tecnologie e delle relative applicazioni industriali», nonche'
di  promuovere  «l'integrazione  fra  il  sistema della ricerca ed il
sistema  produttivo  attraverso  l'individuazione,  valorizzazione  e
diffusione  di nuove conoscenze, tecnologie, brevetti ed applicazioni
industriali  prodotti  su  scala  nazionale ed internazionale», anche
stipulando  «convenzioni  e contratti con soggetti pubblici e privati
che ne condividono le finalita».
    Relativamente  alla  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  va  appena
rilevato  che  alcune  delle  materie  sulle  quali incidono le norme
impugnate  (in  particolare, commercio, industria e artigianato) sono
riconducibili   alla   competenza   legislativa  regionale  residuale
(art. 117,  quarto  comma,  Cost.),  rispetto alla quale, come questa
Corte  ha  gia' affermato, gli artt. 117 e l'art. 118 Cost. delineano
forme piu' ampie di autonomia rispetto a quelle gia' attribuite dallo
statuto  regionale,  in quanto detta competenza e' soggetta ai limiti
generali  stabiliti dal primo comma dell'art. 117 della Costituzione,
fra i quali non vi e', ad esempio, quello delle norme fondamentali di
riforma  economico-sociale  (sentenza  n. 274  del  2003), ne' quello
dell'interesse  nazionale, indicati dallo statuto speciale (sentenza.
n. 328  del  2006).  Pertanto,  ai  sensi  dell'art. 10  della  legge
costituzionale  n. 3  del  2001,  la particolare «forma di autonomia»
espressa   dalle  norme  del  titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione  in  favore  delle  Regioni  ad  autonomia  ordinaria si
applica  anche  alla  Regione  Friuli-Venezia Giulia, in quanto «piu'
ampia»  rispetto  a  quella  prevista  dallo statuto, con conseguente
corretta evocazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    4.4.  - Le norme qui in esame si caratterizzano dunque in quanto,
perseguendo   un   obiettivo   complesso,   interferiscono   in   una
molteplicita' di materie.
    Nella  specie,  non  e'  possibile comporre siffatta interferenza
facendo  ricorso  al  criterio della prevalenza, applicabile soltanto
quando  risulti  evidente  l'appartenenza del nucleo essenziale della
disciplina  ad  una  materia  piuttosto  che  ad un'altra (per tutte,
sentenze  n. 422  e  n. 181  del  2006;  n. 135  e  n. 50  del 2005),
circostanza  che  risulta  chiaramente  esclusa dal contenuto e dalla
ratio della disciplina sopra indicati.
    Tuttavia,   la   finalita'   dell'intervento  e  l'individuazione
dell'oggetto  delle  norme  permettono di ritenere che ci si trovi di
fronte a scelte di rilevanza nazionale, in relazione alle quali, come
questa  Corte ha affermato, il legislatore costituzionale del 2001 ha
inteso  unificare  in  capo allo  Stato  strumenti che attengono allo
sviluppo   dell'intero   Paese,  anche  al  di  la'  della  specifica
utilizzabilita'  di  quelli  elencati nel secondo comma dell'art. 117
Cost. (sentenze n. 242 del 2005 e n. 69 del 2004).
    In   riferimento  alle  materie  interessate  dalle  disposizioni
impugnate, spettanti alla competenza regionale - sia concorrente, sia
residuale -, le considerazioni sopra svolte dimostrano che sussistono
quelle  «esigenze di carattere unitario» che legittimano l'avocazione
in  sussidiarieta'  sia delle funzioni amministrative che non possono
essere  adeguatamente  svolte  ai  livelli  inferiori  (tra le molte,
sentenze  n. 214  del 2006; n. 383, n. 270, n. 242 del 2005; n. 6 del
2004),  sia  della relativa potesta' normativa per l'organizzazione e
la  disciplina  di  tali  funzioni (sentenza n. 285 del 2005), che e'
stata realizzata con modalita' tali da escluderne l'irragionevolezza,
alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita'. Cio' vale
anche in relazione alla norma concernente l'Agenzia per la diffusione
delle  tecnologie  per  l'innovazione,  in  primo  luogo,  in  quanto
l'attrazione   appare   giustificata   dalla  considerazione  che  lo
svolgimento  dell'attivita'  di  promozione  dell'integrazione fra il
sistema   di   ricerca   ed  il  sistema  produttivo,  attraverso  la
valorizzazione  e  la  diffusione  di  nuove  conoscenze, tecnologie,
brevetti  ed  applicazioni industriali prodotti su scala nazionale ed
internazionale  presuppone,  all'evidenza,  un'attivita' unitaria. In
secondo  luogo,  la  disciplina  risulta  proporzionata,  dato  che i
compiti   affidati   all'Agenzia,   come   disciplinati  dall'art. 1,
comma 368,  lettera d),  della  legge  n. 266  del 2005, sono appunto
quelli connessi all'esigenza di unitarieta' e da questa giustificati,
mentre  l'approvazione  dello  statuto  da parte della Presidenza del
Consiglio dei ministri evoca un controllo di mera legittimita'.
    L'attrazione al centro delle funzioni amministrative, mediante la
«chiamata  in  sussidiarieta»,  benche'  sia giustificata, secondo la
consolidata  giurisprudenza  di  questa  Corte, richiede tuttavia che
l'intervento legislativo preveda forme di leale collaborazione con le
Regioni  (soprattutto  sentenza  n. 214  del  2006; ma anche sentenze
n. 425, n. 406, n. 213 del 2006). Quest'ultima condizione non risulta
osservata  dalle  norme  impugnate,  mentre  la  circostanza che esse
«trovano  applicazione in via sperimentale» (art. 1, comma 371, della
legge n. 266 del 2005) neppure ne esclude l'idoneita' a recare vulnus
alle competenze regionali.
    La  disciplina interferisce, infatti, con materie attribuite alla
competenza  legislativa sia concorrente, sia residuale delle Regioni,
senza  che,  in  contrasto  con i principi sopra enunciati, sia stata
prevista  alcuna forma di collaborazione con queste ultime nella fase
di   definizione   delle   caratteristiche   e   delle  modalita'  di
individuazione  dei  distretti  (comma  366), in quella di fissazione
delle  modalita'  applicative delle disposizioni di cui al comma 368,
lettera b),  numeri 1 e 2, nonche' in occasione della definizione dei
criteri   e  delle  modalita'  per  lo  svolgimento  delle  attivita'
istituzionali  dell'Agenzia  per  la  diffusione delle tecnologie per
l'innovazione (comma 368, lettera d, numero 4).
    Per  porre  rimedio  al  vizio delle norme, occorre recuperare il
ruolo  delle  Regioni  in  termini  di coinvolgimento delle medesime.
L'incidenza della disciplina stabilita dalle norme impugnate anche in
materie riconducibili alla competenza legislativa residuale di queste
ultime  rende  indispensabile,  per  la loro riconduzione nell'ambito
della   «chiamata   in   sussidiarieta»   da   parte   dello   Stato,
l'applicazione  del modulo della concertazione necessaria e paritaria
fra  organi  statali  e  Conferenza  Stato-Regioni dei poteri di tipo
normativo  o  programmatorio  riservati  dalle disposizioni impugnate
esclusivamente ad organi statali.
    E'  ineludibile,  pertanto,  che  i decreti ministeriali previsti
dall'art. 1,  commi 366  e 368, lettera b), numeri 1 e 2, della legge
n. 266   del  2005,  siano  adottati  di  intesa  con  la  Conferenza
Stato-Regioni,  in  modo  da  permettere alle Regioni (in materie che
sarebbero  di loro competenza) di partecipare alle scelte normative o
programmatorie;   e  che  il  decreto  interministeriale  del  citato
comma 366  sia  altresi'  adottato  sentite  le  Regioni  interessate
dall'istituendo  distretto  produttivo.  Per  le  stesse  ragioni, e'
imprescindibile che il decreto della presidenza del Consiglio recante
la definizione dei criteri e delle modalita' per lo svolgimento delle
attivita'   istituzionali  della  Agenzia  per  la  diffusione  delle
tecnologie  per  l'innovazione  (dall'art. 1,  comma, 368, lettera d,
numero  4, della legge n. 266 del 2005) sia adottato di intesa con la
Conferenza Stato-Regioni.
    Pertanto,  deve essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
delle  norme ora richiamate, nella parte in cui non prevedono che gli
atti   indicati  siano  adottati  previa  intesa  con  la  Conferenza
Stato-Regioni,  e  quello del citato art. 1, comma 366, anche sentite
le Regioni interessate.
    Infine,  l'illegittimita'  costituzionale  di dette norme, per la
Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  non  e'  esclusa  dalla  cosiddetta
«clausola  di  salvaguardia»  prevista  dall'art. 1, comma 610, della
legge  n. 266  del  2005. Infatti, va qui ribadito che detta clausola
non  e'  idonea  ad  escludere  il vizio di legittimita' della norma,
qualora,  come  nel  caso  in  esame,  sia  caratterizzata da estrema
genericita'  e  sia  contenuta  nel  contesto  di  una  legge recante
numerose  disposizioni, concernenti materie ed oggetti diversi, senza
alcuna  precisazione  in ordine a quelle che dovrebbero ritenersi non
applicabili  alla  ricorrente,  per  incompatibilita'  con lo statuto
speciale (sentenze n. 134 e n. 118 del 2006).